Sentenza N. 168 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
14/05/1999
Data deposito/pubblicazione
14/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/05/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
Liguria, riapprovata il 30 settembre 1997, recante “Norme per
l’applicazione delle deroghe di cui all’art. 9 della direttiva CEE n.
409/1979”, della Regione Umbria, riapprovata il 17 novembre 1997,
recante “Disciplina delle deroghe previste dall’art. 9 della
direttiva CEE n. 409/1979 concernente la conservazione degli uccelli
selvatici” e della Regione Veneto, riapprovata il 5 marzo 1998,
recante “Applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9 della
direttiva CEE n. 409/1979”, promossi con ricorsi del Presidente del
Consiglio dei Ministri, notificati il 21 ottobre 1997, il 5 dicembre
1997 e il 25 marzo 1998, depositati in cancelleria il 30 ottobre
1997, il 15 dicembre 1997 e il 31 marzo 1998, ed iscritti ai nn. 68 e
78 del registro ricorsi 1997 e n. 22 del registro ricorsi 1998.
Visti gli atti di costituzione delle Regioni Umbria e Veneto;
Udito nella udienza pubblica del 9 dicembre 1998 il giudice
relatore Fernanda Contri;
Uditi l’avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri, per il ricorrente,
e gli avvocati Maurizio Pedetta per la Regione Umbria e Ivone
Cacciavillani e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via principale
– lamentando la violazione dell’art. 18 della legge 11 febbraio 1992,
n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
il prelievo venatorio), in relazione all’art. 9 della direttiva
79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici –
questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa
“Norme per l’applicazione delle deroghe di cui all’art. 9 della
direttiva CEE n. 409/1979” approvata dal Consiglio regionale della
Liguria nella seduta del 5 agosto 1997, rinviata dal Governo con atto
del 5 settembre 1997 e riapprovata dal Consiglio regionale ligure, a
maggioranza assoluta, nella seduta del 30 settembre 1997.
L’impugnata delibera – che ad avviso del ricorrente recepisce “non
del tutto fedelmente” le condizioni e le modalità prescritte
dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, il quale disciplina (le
diverse ipotesi nelle quali può esercitarsi) il potere degli Stati
membri di derogare alla disciplina di protezione della fauna di cui
ai precedenti artt. 5-8 – era stata oggetto di rinvio in quanto
eccedente la competenza regionale. In particolare, in sede di rinvio,
il Governo richiamava la giurisprudenza di questa Corte per ribadire
che l’elenco delle specie cacciabili costituisce norma fondamentale
di riforma economico-sociale e per concludere che la delibera
rinviata viola l’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in
relazione all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE.
Nel ricorso, il Presidente del Consiglio richiama innanzi tutto la
sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 1996 – citata nel
rinvio governativo – per sottolineare che “i divieti posti dalla
direttiva in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica
solo nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie
medesime, riservato allo Stato dall’art. 18, terzo comma, della legge
n. 157 del 1992”, considerato norma fondamentale di riforma
economico-sociale.
Il ricorrente osserva inoltre che la Regione non può ritenersi
legittimata dal decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143
(Conferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia
di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell’Amministrazione
centrale), richiamato dall’art. 1, comma 2, dell’impugnata delibera
legislativa, dato che – si afferma nell’atto introduttivo del
presente giudizio – tale decreto legislativo mantiene espressamente
(art. 2, comma 2) al Ministero per le politiche agricole le
competenze in tema di specie cacciabili.
Nel ricorso si aggiunge che l’introduzione nell’ordinamento interno
delle deroghe di cui all’art. 9 della menzionata direttiva non
costituisce attuazione obbligatoria della direttiva stessa, bensì
esercizio di una facoltà accordata allo Stato membro, e che tali
deroghe possono essere disposte solo per esigenze “connesse ad
interessi generali di indubbia pertinenza statale (navigazione
aerea, sicurezza pubblica, ricerca scientifica)”.
2. – Nel presente giudizio non si è costituita la Regione Liguria.
3. – Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il
Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via principale
– per contrasto con l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, in
relazione all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE – questione di
legittimità costituzionale della delibera legislativa “Disciplina
delle deroghe previste dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979
concernente la conservazione degli uccelli selvatici” approvata dal
Consiglio regionale dell’Umbria nella seduta del 7 ottobre 1997,
rinviata dal Governo con atto del 23 ottobre 1997 e riapprovata dal
predetto Consiglio regionale a maggioranza assoluta nella seduta del
17 novembre 1997.
I motivi del rinvio governativo muovono anche in questo caso dalla
giurisprudenza costituzionale che qualifica l’elenco delle specie
cacciabili norma fondamentale di riforma economico-sociale, ed il
ricorso riproduce sostanzialmente le argomentazioni – già illustrate
– svolte in sede di impugnazione della delibera legislativa del
Consiglio regionale ligure.
Anche in questo secondo e distinto ricorso, il Presidente del
Consiglio richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del
1996 – citata nel rinvio governativo – ed osserva che la Regione non
può ritenersi legittimata dal decreto legislativo 4 giugno 1997, n.
143, richiamato dall’art. 1 dell’impugnata delibera, dato che –
rileva anche in questo caso l’Avvocatura dello Stato – tale decreto
legislativo mantiene espressamente (art. 2, comma 2) al Ministero per
le politiche agricole le competenze in tema di specie cacciabili.
Nel ricorso, l’Avvocatura deduce che l’introduzione
nell’ordinamento interno delle deroghe di cui all’art. 9 della
menzionata direttiva non costituisce attuazione obbligatoria della
stessa, bensì esercizio di una facoltà accordata allo Stato membro,
e ribadisce che tali deroghe possono essere disposte solo per
esigenze “connesse ad interessi generali di indubbia pertinenza
statale”.
Il ricorrente lamenta altresì “una totale carenza della delibera
impugnata”, là dove questa omette di stabilire “le indispensabili
misure, anche procedurali, atte a garantire che le deroghe vengano
disposte dalle Province solo per soddisfare esigenze effettive
inerenti agli interessi generali tassativamente indicati dall’art. 9
della direttiva”.
4. – Si è costituita la Regione Umbria per chiedere la reiezione
del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
La Regione osserva che le censure formulate dal Governo sarebbero
fondate se la normativa regionale impugnata riguardasse gli elenchi
delle specie cacciabili e la loro variazione. Senonché – deduce
l’ente territoriale resistente – la legge censurata si limiterebbe a
disciplinare l’esercizio, in sede regionale, di un potere di deroga
concreto e puntuale, “senza porre minimamente in discussione la
potestà di definire e variare in via generale gli elenchi delle
specie cacciabili in ambito nazionale”. La legge n. 157 del 1992, in
altri termini, non precluderebbe alle regioni di disciplinare le
deroghe di cui all’art. 9 della direttiva comunitaria per motivi di
salute e sicurezza pubblica, per evitare danni alle colture, per
consentire la cattura selettiva di uccelli in piccole quantità, e
così via, enumerando le varie ipotesi nelle quali è consentito
esercitare il potere di deroga di cui si tratta.
La difesa dell’ente territoriale resistente ritiene la competenza
regionale in tema di deroghe ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE
chiaramente desumibile, oltre che dagli artt. 117 e 118 della
Costituzione, dalla normativa statale di attuazione dell’ordinamento
regionale, ed in particolare dall’art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977,
nonché, da ultimo, dall’art. 1 del decreto legislativo n. 143 del
1997, che conferisce alle regioni le funzioni amministrative in
materia di caccia prima esercitate dal soppresso Ministero delle
risorse agricole, alimentari e forestali, riservando – all’art. 2,
comma 2 – al Ministero per le politiche agricole (istituito dallo
stesso art. 2) compiti di disciplina generale e di coordinamento
nazionale esclusivamente in materia di specie cacciabili, ai sensi
dell’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992. La Regione
sottolinea altresì che un siffatto assetto delle competenze rispetto
alle deroghe di cui all’art. 9 della menzionata direttiva
comunitaria risultava già delineato dalle circolari del Ministero
dell’agricoltura del 29 gennaio 1993 e del 15 luglio 1994.
Secondo la difesa della Regione, peraltro, non può dirsi che la
legge n. 157 del 1992 – pur dichiarando espressamente, all’art. 1, di
recepire l’intera direttiva 79/409/CEE – abbia dato attuazione alla
direttiva comunitaria per quel che concerne il regime di deroga di
cui all’art. 9. In particolare, nulla avrebbe a che fare con tale
regime la disciplina introdotta dell’art. 18 della legge n. 157 del
1992, che si limiterebbe “a stabilire in via generale ed astratta,
con riferimento all’intero territorio nazionale, l’elenco delle
specie cacciabili e, altresì, a prevedere la possibilità di
rivedere tale elenco sempre in via generale ed astratta, con
d.P.C.M., per adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario,
ristabilendo quella che in proposito può ben definirsi la regola”,
suscettibile di essere derogata, a norma dell’art. 9 della direttiva
– considerato disposizione precisa ed incondizionata, e pertanto
“autoapplicativa” – in ipotesi circoscritte nello spazio e nel tempo,
ciò che, ad avviso della resistente, troverebbe conferma nella
giurisprudenza comunitaria e amministrativa richiamata nell’atto di
costituzione.
La Regione, insistendo nel rimarcare che la deroga in questione
“resta ben distinta dalla definizione delle specie cacciabili e dalla
variazione dei relativi elenchi”, aggiunge che riconoscere la
potestà di deroga ex art. 9 della direttiva n. 79/409/CEE allo Stato
contrasta non solo con il “diritto positivo”, che riserva allo Stato
soltanto l’individuazione in via generale delle specie cacciabili, ma
anche con le stesse finalità dell’istituto, come delineato dalla
direttiva comunitaria e precisato dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia, trattandosi “con ogni evidenza … di accertamenti da
compiere e di una potestà da esercitare per ambiti definiti nel
tempo, nello spazio e nelle modalità”.
La difesa della Regione richiama infine la giurisprudenza di questa
Corte che, in materia di caccia, “ha avuto modo di riconoscere la
potestà delle Regioni di adottare, nel rispetto del principio di
leale collaborazione, i provvedimenti più adeguati rispetto alle
varie realtà locali”, e nega altresì che, a sostegno della tesi del
ricorrente, si possa fare appello alla sentenza n. 272 del 1996,
nella quale questa Corte “non esclude affatto” – secondo la lettura
propostane, anche alla luce di una successiva decisione del TAR
dell’Umbria – “la legittimazione delle Regioni a esercitare la
potestà di deroga ex art. 9 della direttiva”, sebbene confermi la
precedente giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla
competenza statale in materia di individuazione delle specie
cacciabili.
Quanto al rilievo governativo concernente l’omessa previsione di
misure, anche di natura procedurale, atte a garantire che le deroghe
siano disposte solo per soddisfare gli interessi indicati dall’art.
9 della direttiva, si tratterebbe di una censura – deduce la Regione
– “del tutto apodittica e indimostrata”.
5. – In prossimità dell’udienza, la Regione Umbria ha depositato
una memoria illustrativa per dedurre l’inammissibilità del ricorso
proposto dal Presidente del Consiglio e per svolgere ulteriormente
argomenti a sostegno dell’infondatezza dello stesso già dedotti con
l’atto di costituzione.
Sotto il primo profilo, la Regione rileva, con riguardo
all’asserita eccedenza dalla competenza regionale, “l’assoluta
genericità sia dell’atto di rinvio sia del ricorso tramite i quali
il Governo si è limitato, in pratica, ad asserire la violazione
delle competenze e il carattere di norma fondamentale di riforma
economico-sociale dell’art. 18 della legge n. 157, senza specificare
in alcun modo con quali statuizioni, dove e come, la legge regionale
impugnata avrebbe violato la Costituzione e i principi legislativi”
indicati nel ricorso. Con riguardo alla censura concernente l’omessa
previsione di misure atte a garantire che le deroghe siano disposte
solo per soddisfare gli interessi indicati dall’art. 9 della
direttiva, nella memoria se ne deduce l’inammissibilità perché,
oltre che “apoditticamente enunciato”, tale motivo di ricorso non
troverebbe alcuna corrispondenza nell’atto di rinvio.
Agli argomenti, già illustrati, proposti per argomentare
l’infondatezza della questione prospettata dal ricorrente, la Regione
– che insiste nel richiamare le già citate circolari ministeriali –
aggiunge un richiamo al principio di sussidiarietà – sancito dalla
legge 15 marzo 1997, n. 59, all’art. 4, comma 3, lettera a) “da
ritenere senz’altro insito nella Costituzione, quanto meno con
riguardo alle materie elencate nell’articolo 117” – in virtù del
quale, “a livello centrale debbono e possono esercitarsi soltanto le
funzioni non esercitabili a livello regionale e locale”. A questo
riguardo, la difesa della Regione afferma che riservare allo Stato il
potere – non già di stabilire in via generale ed astratta le specie
cacciabili e di variarne l’elenco (ex art. 18 della legge n. 157 del
1992) – bensì di derogare puntualmente, per i motivi indicati
dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, ai divieti stabiliti in via
generale, sottraendolo alle regioni, “sarebbe espressione di puro e
semplice centralismo, senza alcuna base nella Costituzione e nelle
leggi attualmente vigenti”.
6. – In prossimità dell’udienza, la Regione Umbria ha depositato
una ulteriore memoria ad integrazione di quanto già dedotto con
l’atto di costituzione.
La difesa della Regione menziona innanzi tutto, nella memoria,
l’art. 69, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112, che, in attuazione del capo I della legge n. 59 del 1997, nel
disporre un nuovo conferimento di funzioni amministrative alle
Regioni, indica, tra i “compiti di rilievo nazionale”, per quanto
riguarda la materia venatoria, solo quelli relativi alle variazioni
dell’elenco delle specie cacciabili ai sensi dell’art. 18, comma 3,
della legge 11 febbraio 1992, n. 157.
La Regione Umbria allega inoltre tre mozioni approvate dal Senato
per impegnare il Governo a riconoscere la competenza, anche
legislativa, delle Regioni in materia di prelievo venatorio in
deroga, ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
7. – Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il
Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato in via principale
– in riferimento all’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in
relazione all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE concernente la
conservazione degli uccelli selvatici – questione di legittimità
costituzionale della delibera legislativa “Applicazione del regime di
deroga previsto dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979”
approvata dal Consiglio regionale della Regione Veneto nella seduta
del 5 novembre 1997, rinviata dal Governo con atto del 1 dicembre
1997 e riapprovata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta
nella seduta del 5 marzo 1998.
L’impugnata delibera autorizza la caccia ad una serie di specie
sottratte dalla direttiva comunitaria al prelievo venatorio, al fine
di evitare danni alle produzioni agricole, ed autorizza la Giunta
regionale a disporre ulteriori deroghe a norma dell’art. 9 della
stessa direttiva 79/409/CEE.
Ad avviso del ricorrente, che rinvia alla sentenza n. 272 del 1996
di questa Corte, già invocata negli altri due ricorsi, “i divieti
posti dalla direttiva in tema di specie cacciabili sono suscettibili
di modifica solo nei limiti del potere di variazione degli elenchi
delle specie medesime, riservato allo Stato dall’art. 18, terzo
comma, della legge n. 157 del 1992”.
Anche in questo caso il ricorrente osserva come non possa valere in
contrario la circostanza che la Regione – come si desume dalla
delibera impugnata – abbia ritenuto di essere legittimata dal decreto
legislativo 4 giugno 1997, n. 143, dato che – si sottolinea nell’atto
introduttivo del presente giudizio – questo provvedimento mantiene
espressamente (art. 2, comma 2) al Ministero per le politiche
agricole le competenze in tema di specie cacciabili.
Nel ricorso si osserva infine che le deroghe previste dalla
direttiva “possono essere disposte solo per esigenze effettive
accertate caso per caso, con provvedimenti puntuali e non in via
generale ed astratta per atto normativo”.
8. – Si è costituita la Regione Veneto per chiedere il rigetto del
ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
La Regione deduce innanzitutto che le variazioni dell’elenco delle
specie cacciabili di cui all’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del
1992, che il Presidente del Consiglio dei Ministri può disporre “in
conformità alle vigenti direttive comunitarie ed alle convenzioni
internazionali”, non sono assimilabili alle deroghe consentite dalla
direttiva 79/409/CEE. Le prime, osserva la Regione, “costituiscono lo
strumento ordinario di adeguamento degli elenchi nazionali alla
normativa comunitaria ed internazionale, e concorrono a definire il
novero delle specie di animali selvatici per le quali è – in via
normale – ammesso il prelievo venatorio nel territorio dello Stato;
le seconde, invece, sono provvedimenti di carattere eventuale ed
eccezionale attraverso i quali viene consentita la caccia (in
presenza di specifiche condizioni, in tempi e modi predeterminati) ad
uccelli che non risultano inseriti negli elenchi delle specie ammesse
al prelievo venatorio”.
Ad avviso della Regione Veneto, poiché il potere previsto
dall’art. 9 della direttiva non viene disciplinato dalla legge n.
157 del 1992, “si deve ritenere che la potestà legislativa regionale
non incontri nella fonte nazionale, in tema di deroghe, alcun
principio vincolante, potendo essa determinarsi liberamente nel
rispetto dalla sola normativa comunitaria”.
La spettanza alla Regione sia del potere di deroga sia della
competenza a disciplinare con legge tale potere troverebbe conferma,
osserva la resistente, nel decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143,
che conserva al Ministero per le politiche agricole esclusivamente la
disciplina generale ed il coordinamento nazionale in tema di specie
cacciabili ai sensi dell’art. 18, comma 3, della legge 11 febbraio
1992, n. 157.
Anche la normativa comunitaria, aggiunge la Regione resistente,
ridimensionerebbe le attribuzioni statali. L’art. 4, comma 3, della
direttiva 79/409/CEE, assegna infatti alla Commissione le funzioni di
coordinamento e di controllo dell’attuazione della normativa in tema
di tutela delle specie selvatiche. In tale contesto normativo, si
legge nell’atto di costituzione, “non pare corretto sostenere che la
tutela dell’avifauna risponda in via principale ad un interesse
unitario dello Stato”, al quale comunque rimane il potere di
indirizzo e coordinamento previsto dall’art. 9, comma 5, della legge
n. 86 del 1989, confermato dall’art. 2 del già citato decreto
legislativo n. 143 del 1997, “laddove sia necessario assicurare, in
via amministrativa, il soddisfacimento di specifiche esigenze di
interesse generale”.
9. – In prossimità dell’udienza, la Regione Veneto ha depositato
una memoria per sviluppare ulteriormente argomenti già addotti in
sede di costituzione, a sostegno della richiesta di reiezione del
ricorso proposto dal Presidente del Consiglio.
Per escludere la riconducibilità del potere di deroga all’art.
18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, la Regione richiama la
giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, che
ammette l’esercizio del potere di deroga allo scopo di soddisfare
esigenze particolari in aree, per lo più, territorialmente
circoscritte. Nella memoria, la difesa della Regione ribadisce che i
provvedimenti di variazione degli elenchi delle specie cacciabili
“hanno necessariamente un ambito di operatività nazionale” e “non
apportano circoscritte eccezioni ai divieti in materia di esercizio
venatorio, ma introducono un nuovo e diverso regime “generale”
della caccia, poiché la modifica degli elenchi delle specie
cacciabili si traduce inevitabilmente in una modificazione dello
stesso oggetto della protezione “ordinaria” che lo Stato riserva al
patrimonio faunistico”.
La Regione resistente aggiunge infine che il decreto legislativo n.
143 del 1997 ed il d.P.C.M. 27 settembre 1997 – già citati nell’atto
di costituzione – attesterebbero in modo univoco la spettanza alle
regioni delle funzioni amministrative in tema di deroghe a norma
dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE.
Ministri, il Governo ha sollevato in via principale questione di
legittimità costituzionale di altrettante delibere legislative
regionali. I dubbi di costituzionalità investono la legge della
Regione Liguria recante “Norme per l’applicazione delle deroghe
previste dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979”, riapprovata
il 30 settembre 1997; la legge della Regione Umbria recante
“Disciplina delle deroghe previste dall’art. 9 della direttiva CEE n.
409/1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici”,
riapprovata il 17 novembre 1997; la legge della Regione Veneto
recante “Applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9 della
direttiva CEE n. 409/1979”, riapprovata il 5 marzo 1998.
Le questioni di legittimità costituzionale delle tre delibere
legislative, riapprovate, a séguito di rinvio governativo, dai
consigli regionali a maggioranza assoluta nell’identico testo
rinviato, vengono sollevate per contrasto con l’art. 117 della
Costituzione, in riferimento all’art. 18 della legge 11 febbraio
1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio), in relazione all’art. 9 della direttiva
79/409/CEE, giacché le disposizioni assunte a parametro
riserverebbero allo Stato la disciplina del potere di deroga previsto
dall’art. 9 della direttiva, come si desumerebbe anche dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 272 del 1996, secondo la quale “i
divieti posti dalla direttiva in tema di specie cacciabili sono
suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di variazione
degli elenchi delle specie medesime, riservato allo Stato dall’art.
18, terzo comma, della legge n. 157 del 1992”.
Ciò troverebbe conferma nel decreto legislativo 4 giugno 1997, n.
143 (Conferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in
materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione
dell’Amministrazione centrale), che all’art. 1 trasferisce alle
Regioni le funzioni amministrative in materia di caccia prima
esercitate dal soppresso Ministero delle risorse agricole, alimentari
e forestali, ma – all’art. 2, comma 2 – riserva al Ministero per le
politiche agricole (istituito dallo stesso art. 2) i compiti di
disciplina generale e di coordinamento nazionale in materia di specie
cacciabili ai sensi dell’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del
1992. Ad avviso del ricorrente, inoltre, le deroghe di cui si tratta
possono essere disposte solo per esigenze “connesse ad interessi
generali di indubbia pertinenza statale (navigazione aerea, sicurezza
pubblica, ricerca scientifica)”.
Una ulteriore doglianza (prospettata nei confronti della delibera
legislativa della Regione Umbria con il ricorso n. 78 del 1997)
riguarda l’omessa previsione, da parte del legislatore regionale, di
“indispensabili misure, anche procedurali, atte a garantire che le
deroghe vengano disposte dalle Province solo per soddisfare esigenze
effettive inerenti agli interessi generali tassativamente indicati
dall’art. 9 della direttiva”.
2. – I ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri hanno
tutti ad oggetto delibere legislative regionali in tema di deroghe ex
art. 9 della direttiva 79/409/CEE, e prospettano censure in gran
parte comuni. I relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e
decisi con unica sentenza.
3. – Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal
Governo con i ricorsi in epigrafe sono fondate.
4. – Le delibere legislative impugnate contengono discipline in
larga misura omogenee: la legge della Regione Liguria recante “Norme
per l’applicazione delle deroghe previste dall’art. 9 della direttiva
CEE n. 409/1979”, riapprovata il 30 settembre 1997, disciplina nel
territorio della Regione il prelievo in deroga, ai sensi dell’art. 9
della direttiva, riproducendo integralmente il contenuto normativo
dello stesso art. 9, e prevedendo, ai fini dell’adozione del
provvedimento di deroga, il previo parere dell’Istituto nazionale per
la fauna selvatica, competente, fra l’altro, a stabilire il numero
complessivo dei capi prelevabili per le singole specie (art. 3, I);
la legge della Regione Umbria recante “Disciplina delle deroghe
previste dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979 concernente la
conservazione degli uccelli selvatici”, riapprovata il 17 novembre
1997, disciplina il prelievo in deroga in parte riproducendo in parte
richiamando le disposizioni della direttiva, ed affidando alle
Province, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica,
“l’approvazione del provvedimento di deroga”; la legge della Regione
Veneto recante “Applicazione del regime di deroga previsto dall’art.
9 della direttiva CEE n. 409/1979”, riapprovata il 5 marzo 1998,
stabilisce che, “al fine di prevenire e contenere i danni alle
produzioni agricole”, è consentito un limitato (non più di
venticinque capi al giorno, da parte di ciascun cacciatore) prelievo
in deroga di talune specie di uccelli (art. 1). La stessa delibera
legislativa prevede che “la Giunta regionale – previo parere delle
Province, o su richiesta delle medesime – può autorizzare,
disciplinandole, ulteriori deroghe ai sensi dell’art. 9 della
direttiva 79/409/CEE” (art. 1, comma 2).
5. – La giurisprudenza di questa Corte ha in più di un’occasione
chiarito che la competenza statale in tema di specie cacciabili non
si esaurisce nella individuazione di tali specie e nel potere di
variazione dei relativi elenchi, a norma dell’art. 18, comma 3, della
legge n. 157 del 1992.
Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma
economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che
individuano le specie cacciabili, riconosciuto da una costante
giurisprudenza (sentenze nn. 272 del 1996, 35 del 1995, 577 del 1990,
1002 del 1988), questa Corte ha ancora di recente precisato che tale
carattere compete anche alle “norme strettamente connesse con quelle
che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio” (sentenza n.
323 del 1998).
Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla
uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica: dall’individuazione delle specie
cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina
delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure
indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione
delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori,
alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE,
al generale regime di protezione.
Un’interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell’esclusiva
prospettiva di un’eccezionale autorizzazione di attività venatorie
altrimenti vietate sarebbe tuttavia parziale e fuorviante.
L’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione
degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri – “sempre che
non vi siano altre soluzioni soddisfacenti” – possono derogare alle
misure di protezione disposte dalla medesima direttiva per le
seguenti ragioni: a) nell’interesse della salute e della sicurezza
pubblica; nell’interesse della sicurezza aerea; per prevenire gravi
danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque;
per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca
e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché
per l’allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in
condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la
detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in
piccole quantità.
Si tratta di un potere di deroga esercitabile in via eccezionale
per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in
generale, l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici
appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle
condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall’art. 9.1, e
secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello stesso
art. 9.
Gli interessi a garanzia dei quali l’art. 9 consente di adottare i
provvedimenti di deroga – alcuni dei quali di indubbia pertinenza
statale: sicurezza aerea, sicurezza pubblica – possono essere
soddisfatti anche attraverso misure diverse dall’eccezionale
autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti protette.
In materia di protezione della fauna selvatica, d’altro canto,
l’ordinamento prevede un ruolo non marginale delle Regioni che
ulteriormente dimostra l’erroneità di un totale esaurimento della
tematica di cui si tratta nella prospettiva venatoria.
L’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, prevede infatti
che le Regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,
per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione
biologica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la
tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al
controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate
alla caccia. La disposizione specifica che tale controllo,
esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante
l’utilizzo di metodi ecologici, su parere dell’Istituto nazionale
della fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei
predetti metodi, le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento
destinati ad essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle
amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì
avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio
venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali
munite di licenza per l’esercizio venatorio.
Le deroghe al regime di protezione introdotto dalla direttiva
79/409/CEE configurano – come sottolineano anche le Regioni
resistenti – un potere eterogeneo rispetto alla competenza attribuita
al Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di variazione
degli elenchi delle specie cacciabili ai sensi dell’art. 18, comma 3,
della legge n. 157 del 1992. Quest’ultima disposizione prevede
l’adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di
provvedimenti diretti a modificare in modo tendenzialmente stabile –
nei limiti imposti o consentiti dalla normativa internazionale e
comunitaria (da ultimo, v. la sentenza n. 277 del 1998) – gli elenchi
delle specie cacciabili. Si tratta di provvedimenti in linea di
principio destinati a spiegare efficacia su tutto il territorio
nazionale e volti piuttosto a restringere, anche “tenendo conto della
consistenza delle singole specie sul territorio”, il novero delle
specie che alla stregua della normativa internazionale e comunitaria
possono essere ammesse al prelievo venatorio. Diversamente dalle
deroghe ex art. 9 della direttiva 79/409/CEE, i decreti emanati a
norma dell’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992 appaiono
inidonei a consentire in via eccezionale o derogatoria l’abbattimento
o la cattura delle specie protette dalla direttiva, alle condizioni e
per le finalità da quest’ultima indicate.
Nondimeno, non può essere condiviso l’assunto delle Regioni
resistenti, che basano la propria rivendicazione di competenza – a
disciplinare legislativamente il potere di deroga in questione, e ad
esercitarlo in via amministrativa – sulla non assimilabilità del
potere di deroga di cui all’art. 9 della direttiva comunitaria al
potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili e sulla
natura solo formale del recepimento, da parte del legislatore statale
(con l’art. 1, comma 4, della legge n. 157 del 1992), dell’art. 9
della direttiva 79/409/CEE, interpretato come autoapplicativo.
Occorre ancora ribadire che l’art. 9 della direttiva 79/409/CEE
contiene una disciplina volta (più che a regolare l’attività
venatoria) a consentire deroghe al regime di protezione della fauna
selvatica previsto dalla medesima direttiva, per la salvaguardia di
interessi generali. L’esercizio di tale potere di deroga può
incidere sul nucleo minimo di protezione della fauna selvatica e non
può quindi prescindere da una previa disciplina di carattere
nazionale, secondo i principi costantemente accolti dalla
giurisprudenza di questa Corte.
La disciplina del potere di deroga – che secondo la Corte di
giustizia delle Comunità europee (sentenza 15 marzo 1990, causa
C-339/1987) deve tradursi in norme nazionali precise (“i criteri in
base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti
dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali
precise”) – può, e non già deve, trattandosi di una facoltà,
trovare attuazione nel nostro ordinamento, come chiarisce anche la
sentenza di questa Corte, pronunciata in pari data, che ha definito i
conflitti nn. 56 e 61 del 1997 e nn. 2, 3 e 5 del 1998, attraverso
una normativa nazionale di recepimento – non rintracciabile nella
legge n. 157 del 1992 – idonea a garantire su tutto il territorio
nazionale un uniforme e adeguato livello di salvaguardia.
In questo senso deve interpretarsi anche l’art. 69, comma 1,
lettera b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59), che annovera tra i compiti di rilievo nazionale
per la tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 1, comma 4, lettera
c), della legge 15 marzo 1997, n. 59 – accanto a quelli relativi alle
variazioni degli elenchi delle specie cacciabili – quelli attinenti
alla “tutela … della fauna e della flora specificamente protette da
accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria”.
Rimane assorbita ogni ulteriore censura.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della
Regione Liguria recante “Norme per l’applicazione delle deroghe
previste dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979”, riapprovata, a
séguito di rinvio governativo, dal Consiglio regionale della Liguria
il 30 settembre 1997;
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della
Regione Umbria recante “Disciplina delle deroghe previste dall’art. 9
della direttiva CEE n. 409/1979 concernente la conservazione degli
uccelli selvatici”, riapprovata, a séguito di rinvio governativo,
dal Consiglio regionale dell’Umbria il 17 novembre 1997;
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della
Regione Veneto recante “Applicazione del regime di deroga previsto
dall’art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979”, riapprovata, a
séguito di rinvio governativo, dal Consiglio regionale del Veneto il
5 marzo 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Contri
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 14 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola