Sentenza N. 169 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1971
Data deposito/pubblicazione
08/07/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/07/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
1 dicembre 1970, n. 898, recante “Disciplina dei casi di scioglimento
del matrimonio”, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1971 dal
tribunale di Siena nel procedimento per scioglimento di matrimonio
vertente tra Pagliantini Oville e Inglesi Gino, iscritta al n. 173 del
registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971.
Visti gli atti di costituzione di Pagliantini Oville e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 16 giugno 1971 il Giudice relatore
Giuseppe Verzì;
uditi gli avvocati Rosario Nicolò, Paolo Barile ed Enzo Cheli, per
la Pagliantini, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias ed
il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso del procedimento per scioglimento di matrimonio vertente
tra Pagliantini Oville e Inglesi Gino, il tribunale di Siena, con
ordinanza 20 aprile 1971, ha sollevato d’ufficio la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n.
898, in relazione all’art. 34, primo e quarto comma, del Concordato 11
febbraio 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede ed in riferimento
agli artt. 7, primo e secondo comma, 10 e 138 della Costituzione.
Secondo l’ordinanza di rimessione, giusta l’opinione della Corte di
cassazione a sezioni unite (sent. 12 marzo 1970, n. 635), l’art. 34
del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede ha inteso riconoscere
all’interno dello Stato il matrimonio celebrato con il rito religioso,
quale istituto disciplinato dal diritto canonico, cioè con il suo
carattere sacramentale indissolubile. Il che si evince dalla diversa
formulazione e previsione dell’art. 2 della legge n. 898 del 1970,
rispetto a quella del precedente articolo concernente il matrimonio
civile. Onde il contrasto del ripetuto art. 2 della legge 1 dicembre
1970, n. 898, con l’art. 7 della Carta, atteso che, secondo la sentenza
della Corte costituzionale n. 30 del 1971, detto art. 7 “non sancisce
solo un generico principio pattizio da valere nella disciplina dei
rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene altresì un
preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al
contenuto di questo, ha prodotto diritto”.
L’ordinanza di rimessione osserva, inoltre, quanto segue.
a) L’art. 2 della legge n. 898 del 1970 è in contrasto con l’art.
7 della Costituzione, in relazione ai commi primo e quarto dell’art. 34
del Concordato anche sotto il profilo della violazione dell’obbligo, da
parte dello Stato italiano, di garantire irrevocabilmente la permanenza
degli effetti civili del matrimonio celebrato con il rito religioso e
regolarmente trascritto. Al riguardo a nulla rileva la differenza di
dizione usata negli artt. 1 e 2 della legge (scioglimento, per i
matrimoni civili; cessazione degli effetti civili, per i matrimoni
concordatari), in quanto si tratta di formule che producono identici
effetti per i coniugi, per la prole e per i relativi rapporti
patrimoniali.
b) I sopra enunciati motivi di sospetta incostituzionalità,
convergono nel corollario della violazione dell’art. 7, comma secondo,
e altresì dell’art. 138 della Costituzione da parte della norma
impugnata, in quanto essa, implicando una modificazione dell’art. 34
del Concordato, non accettata dalle due parti contraenti, avrebbe
richiesto l’adozione del procedimento di revisione costituzionale,
previsto, in linea generale, dall’art. 138 per ogni norma della Carta
e, in linea particolare, dall’art. 7, secondo comma, per qualsiasi
modificazione dei Patti Lateranensi.
c) Se anche non si volesse considerare l’art. 34 del Concordato,
assieme alle altre clausole di questo, come formante il contenuto
dell’art. 7 della Costituzione – opinione, però, che contrasterebbe
con la sentenza n. 30 del 1971 della Corte costituzionale – esso
resterebbe pur sempre norma internazionale, non derogabile con legge
ordinaria, senza che intervenisse anteriormente la denuncia del
Concordato medesimo.
d) Con la sentenza n. 30 del 1971 la Corte costituzionale ha
equiparato la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici a quella della
Corte di giustizia della Comunità economica europea, definendola, come
aveva fatto per questa nella sentenza n. 98 del 1965, del tutto
estranea all’ordinamento giuridico interno. Ora, se è vero che il
cittadino italiano, quale soggetto di diritto internazionale, ha
diritto di adire la Corte di giustizia della Comunità europea e,
quindi, sarebbe costituzionalmente illegittima una legge ordinaria che
lo privasse di tale diritto, sembra fondato il dubbio di violazione, da
parte della norma impugnata (art. 2 della legge n. 898 del 1970), di un
diritto personale del cittadino alla giurisdizione ecclesiastica,
costituzionalmente garantito (art. 34 del Concordato).
Nel giudizio avanti questa Corte si è costituita la Pagliantini ed
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e
difeso dall’Avvocato generale dello Stato.
Per l’Avvocatura dello Stato è da escludere che con l’articolo 34
del Concordato, lo Stato italiano abbia inteso recepire nel proprio
ordinamento il matrimonio canonico, comprensivo di tutte le sue
componenti essenziali, fra cui l’indissolubilità. Vero è, invece,
che lo Stato italiano ha inteso attribuire al matrimonio canonico, una
volta che questo sia stato effettuato con il rito concordatario e
regolarmente trascritto, i medesimi effetti civili attribuiti dalla
legge ai matrimoni civili.
L’unificazione del rito celebrativo non impedisce che nell’unica
celebrazione si possano distinguere due atti, ognuno dei quali assume
rilevanza nel rispettivo ordine giuridico ed esclusivamente in esso. Il
matrimonio che così si istituisce nei due ordinamenti, quello canonico
e quello dello Stato, sussiste e vive in ciascuno di essi una propria
vita autonoma ed indipendente di rapporto giuridico. E poiché lo
Stato, nella sua sovranità ed autonomia – ribadita proprio nel primo
comma dell’art. 7 della Costituzione – ben può variare, con legge
ordinaria, gli effetti del matrimonio civile, fissandone i casi di
scioglimento anche oltre quello previsto dall’art. 149 del codice
civile, gli stessi effetti saranno applicabili anche al matrimonio
concordatario, senza che l’art. 34 del Concordato ne risulti violato.
Ciò posto, è estraneo ogni ulteriore riferimento all’art. 7 della
Costituzione, dato che questo, risolvendosi in una norma di
riproduzione, non avrebbe potuto rendere più onerosi gli obblighi
pattizi dello Stato verso la Santa Sede rispetto alla loro formulazione
testuale bilaterale.
Le suesposte argomentazioni valgono anche per l’altro profilo di
illegittimità costituzionale prospettato dall’ordinanza di rimessione:
l’aver negato ai coniugi la garanzia della permanenza degli effetti
civili del matrimonio. Le cause di scioglimento del matrimonio civile –
e di quello concordatario a questo equiparato quoad effectum – operano
all’interno dell’ordinamento statuale e non all’interno di quello
canonico. Fa eccezione a questa separazione – in quanto previsto dai
Patti – lo scioglimento del matrimonio per la dispensa pro rato, la cui
pronuncia viene recepita anche dall’ordinamento interno.
La Pagliantini, sostanzialmente, confuta l’ordinanza di rimessione
con le stesse argomentazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato.
Precisa ulteriormente soltanto che il fatto che l’art. 34 prevede un
caso di scioglimento del matrimonio e, cioè, la dispensa dal
matrimonio rato e non consumato, sta, semmai, a confermare l’ipotesi
opposta a quella accolta dal tribunale di Siena: ubi lex voluit dixit;
e qui la legge ha voluto prevedere un solo caso di scioglimento di
matrimonio, affidandolo ai dicasteri ecclesiastici. Il che vuol dire
che per tutti i casi futuri di scioglimento, non era affatto limitata
la sovranità italiana, né sotto il profilo della sostanza, né sotto
quello giurisdizionale.
Sia l’Avvocatura dello Stato, sia la Pagliantini hanno presentato
memorie. In queste, specie la Pagliantini, con dovizia di citazioni
dottrinali, si diffonde ad illustrare la infondatezza di ogni profilo
di illegittimità costituzionale prospettato dall’ordinanza di
rimessione. In particolare, contesta l’interpretazione data all’art. 34
del Concordato da detta ordinanza; si sofferma sulla differenza di
dizione tra tale articolo e l’articolo 5 della legge 27 maggio 1929, n.
847; accoglie la distinzione tra matrimonio come atto e matrimonio come
vincolo, distinzione riconfermata dall’istituto della trascrizione e
nella quale trova giustificazione la discriminazione di giurisdizione;
ribadisce il criterio interpretativo restrittivo degli impegni che
comportino l’accettazione di limiti alla sovranità di una delle parti
contraenti e accenna al rifiuto dell’Assemblea costituente di inserire
il principio della indissolubilità del matrimonio nell’art. 29 della
Costituzione.
1. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della
legge 1 dicembre 1970, n. 898, viene proposta dalla ordinanza del
tribunale di Siena sotto il profilo della violazione dell’art. 7 della
Costituzione in relazione all’art. 34 del Concordato: la norma
denunciata, ammettendo la cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario, avrebbe spezzato il nesso inscindibile tra
tali effetti e la natura indissolubile del matrimonio canonico,
violando così l’obbligo assunto dallo Stato di mantenere permanenti
gli effetti medesimi. Tale innovazione, essendo contenuta in una legge
ordinaria, non preceduta da accordi con la Santa Sede, avrebbe prodotto
una modificazione dei Patti Lateranensi senza il procedimento di
revisione costituzionale richiesto dal ripetuto art. 7 e dall’art. 138
della Costituzione.
La questione è infondata.
La Corte osserva preliminarmente che sulla decisione dell’attuale
questione non incide alcun problema inerente alla sovranità dello
Stato, ma che si tratta solo di accertare attraverso quali forme (legge
ordinaria o legge di revisione costituzionale) tale sovranità si
poteva esercitare nella specie.
2. – L’infondatezza della questione deriva dal rilievo che con i
Patti Lateranensi lo Stato non ha assunto l’obbligo di non introdurre
nel suo ordinamento l’istituto del divorzio. All’inizio delle
trattative tra la Santa Sede e l’Italia fu proposto di impegnare lo
Stato “a mantenere illeso in qualsiasi disposizione concernente il
matrimonio il principio della indissolubilità e dell’impedimento
dell’ordine sacro”, ma nel corso delle ulteriori discussioni non si
fece più alcun cenno di tale principio e si addivenne all’accordo,
consacrato nel testo dell’art. 34 del Concordato, per cui lo Stato ha
riconosciuto al matrimonio concordatario “gli effetti civili”. Con ciò
l’ordinamento italiano non ha operato una recezione della disciplina
canonistica del matrimonio, limitandosi ad assumere il matrimonio,
validamente celebrato secondo il rito cattolico e regolarmente
trascritto nei registri dello stato civile, quale presupposto cui
vengono ricollegati gli identici effetti del matrimonio celebrato
davanti agli ufficiali di stato civile.
Non può argomentarsi in contrario dal riferimento dell’art. 34 al
“sacramento del matrimonio”, giacché l’espressione usata ben si spiega
in un atto bilaterale, alla formazione del quale concorreva la Santa
Sede, dal momento che, per la Chiesa, il matrimonio costituisce
anzitutto ed essenzialmente un sacramento; ma non implica affatto che,
in questa sua figura e con le connesse caratteristiche di
indissolubilità, esso sia stato altresì riconosciuto come produttivo
di effetti civili dallo Stato. Ed infatti l’espressione più non
ricorre nell’art. 5 della legge 27 maggio 1929, n. 847, contenente
disposizioni per l’attuazione del Concordato nella parte relativa al
matrimonio, la quale più semplicemente stabilisce che “il matrimonio
celebrato davanti un ministro del culto cattolico, secondo le norme del
diritto canonico, produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi
effetti del matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello
stato civile secondo le disposizioni degli articoli 9 e seguenti”. È
da tener presente al riguardo che della conformità dell’art. 5 (come
del resto anche degli artt. 12 e 16 della citata legge n. 847 del 1929)
con l’art. 34 del Concordato non si può dubitare, perché, com’è
noto, il testo della legge fu compilato in base ad intese fra la Santa
Sede e lo Stato. E la relazione alla detta legge spiega l’abbandono
della formula concordataria con la considerazione che l’accenno al
carattere sacramentale del matrimonio canonico non era conveniente in
una norma dell’ordinamento statale e che era necessario evitare
l’introduzione in esso di concetti teologici. Dal che si deduce ancor
più chiaramente l’intendimento dello Stato di non tener conto nella
disciplina degli effetti civili del matrimonio concordatario di
principi propri del matrimonio canonico.
3. – Accertato che gli effetti del matrimonio concordatario sono, e
devono essere, gli stessi effetti che la legge attribuisce al
matrimonio civile, dalla separazione dei due ordinamenti deriva che
nell’ordinamento statale il vincolo matrimoniale, con le sue
caratteristiche di dissolubilità od indissolubilità, nasce dalla
legge civile ed è da questa regolato. Del resto, poiché l’art. 7
della Costituzione afferma tanto per lo Stato quanto per la Chiesa i
principi di indipendenza e di sovranità di ciascuno nel proprio
ordine, una limitazione della competenza statale su questo punto doveva
risultare da norma espressa, e, in mancanza di questa, non è
desumibile da incerti argomenti interpretativi: tanto più che, in
materia di accordi internazionali, vale il criterio della
interpretazione restrittiva degli impegni che comportino per uno dei
contraenti l’accettazione di limiti alla propria sovranità.
4. – Il matrimonio concordatario trova una garanzia costituzionale
nell’art. 7 della Costituzione, ma la trova nei limiti in cui il regime
statuito nel Concordato corrisponda alla volontà delle parti, quale si
è oggettivata nei testi normativi. Pertanto – non essendosi apportata
alcuna modificazione ai Patti Lateranensi neppure nella parte relativa
all’art. 34, quarto comma, giacché la legge impugnata non sottrae ai
tribunali ecclesiastici la giurisdizione sulla nullità dell’atto
matrimoniale – l’estensione al matrimonio concordatario del nuovo
regime di dissolubilità adottato per quello civile, non richiedeva
l’apposita procedura della revisione costituzionale.
5. – Dimostrato che la legge impugnata non contraddice all’art. 34
del Concordato, nemmeno l’art. 10 della Costituzione risulta violato; e
ciò a prescindere dal fatto che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa
cattolica sono specificamente regolati dall’art. 7 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di
scioglimento di matrimonio), sollevata, dall’ordinanza del tribunale di
Siena del 20 aprile 1971, in relazione all’art. 34, commi primo e
quarto, del Concordato 11 febbraio 1929 fra lo Stato Italiano e la
Santa Sede ed in riferimento agli artt. 7, primo e secondo comma, 10 e
138 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.