Sentenza N. 17 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
31/03/1965
Data deposito/pubblicazione
31/03/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/03/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI
– Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
3 marzo 1934, n. 383, promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1964
dalla seconda Sezione giurisdizionale della Corte dei conti nel
giudizio in materia di responsabilità contabile a carico di Calvitti
Donato ed altri, iscritta al n. 110 del Registro ordinanze 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 169 dell’11
luglio 1964.
Visti l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e l’atto di costituzione in giudizio di Calvitti Donato ed
altri;
udita nell’udienza pubblica del 17 febbraio 1965 la relazione del
Giudice Aldo Sandulli;
uditi gli avvocati Leopoldo Piccardi e Michele Lanzetta, per
Calvitti ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato
Francesco Agrò. per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Nel giudizio di appello in materia di responsabilità
contabile, pendente innanzi alla Corte dei conti a istanza del signor
Calvitti Donato, con l’adesione di altri, contro il Comune di
Campomarino, la seconda Sezione giurisdizionale di quel consesso, a
richiesta delle parti private, ha sollevato taluni dubbi circa la
legittimità costituzionale dell’art. 260 del T.U. comunale e
provinciale 3 marzo 1934, n. 383, con riferimento all’art. 103, secondo
comma, della Costituzione, e ne ha deferito l’esame a questa Corte.
Con l’attribuire in primo grado ai Consigli di prefettura e solo in
grado di appello alla Corte dei conti la risoluzione delle controversie
in materia di responsabilità previste degli artt. 251-259 del T.U.
comunale e provinciale e di ogni altra responsabilità dipendente dalla
conservazione e gestione del patrimonio comunale, provinciale e
consorziale, la norma denunciata violerebbe infatti la “riserva
assoluta di giurisdizione della Corte dei conti nella materia di
contabilità pubblica” che sarebbe enunciata nel secondo comma
dell’art. 103 della Costituzione, la quale implicherebbe la sottrazione
ad ogni altro giudice di qualsiasi cognizione a tal titolo, ancorché
semplicemente in primo grado. A tal fine l’ordinanza argomenta anche
dagli altri commi dell’art. 103, il primo dei quali, a differenza dal
secondo (relativo alla giurisdizione della Corte dei conti), contempla
accanto al Consiglio di Stato “altri organi di giustizia
amministrativa”, mentre il terzo – che si occupa, con carattere
riconosciuto immediatamente operativo, della giurisdizione dei
tribunali militari di pace e di guerra – testimonierebbe il valore
precettivo, permanente e organico di tutte le disposizioni
dell’articolo (e perciò anche di quella del secondo comma). Essa
aggiunge che l’immediato venir meno della competenza di primo grado dei
Consigli di prefettura sarebbe confermato anche dal fatto che l’inizio
dei procedimenti innanzi ad essi, ai sensi del secondo comma dell’art
260, d’ufficio o sopra richiesta dell’autorità di vigilanza (e cioè
del prefetto, presidente del consesso giudicante), contrasterebbe col
principio costituzionale di imparzialità della funzione
giurisdizionale.
Dopo aver osservato che, alla stregua della legislazione vigente,
l’eliminazione della competenza giurisdizionale dei Consigli di
prefettura non produrrebbe alcuna lacuna nell’ordinamento, l’ordinanza
nota ancora che la VI disposizione transitoria della Costituzione non
varrebbe a legittimare la sopravvivenza di tale competenza all’entrata
in vigore della Costituzione, data la completezza e la precettività
immediata della riserva assoluta in favore della Corte dei conti
enunciata nel secondo comma dell’art. 103 – riserva affatto
inconciliabile, del resto, con la trasformazione (che sarebbe
contemplata dalla citata disposizione transitoria correlata con l’art.
102 della Costituzione) dei Consigli di prefettura in sezioni
specializzate dei tribunali ordinari.
L’ordinanza è stata notificata alle parti in causa il 26 e 27
maggio 1964 e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 27 maggio, è
stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 23 maggio
1964; è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 luglio 1964,
n. 169.
2. – Innanzi a questa Corte si sono costituiti i sigg. Calvitti
Donato, Viola Giuseppe, Lattanzio Oreste, Di Renzo Luigi, Girardo
Vincenzo, Montazzoni Maria, Carriero Chiara e Lucia, depositando in
data 31 luglio 1964 mandato e deduzioni, e chiedendo la dichiarazione
di illegittimità costituzionale dell’art. 260 impugnato. In aggiunta
agli argomenti contenuti nell’ordinanza della Corte dei conti, essi
sottolineano la mancanza di indipendenza dei Consigli di prefettura –
composti di elementi in posizione di dipendenza gerarchica rispetto al
prefetto, presidente del consesso, e destinati a operare come strumenti
dell’ingerenza governativa nelle Amministrazioni locali in contrasto
col principio costituzionale dell’autonomia di queste – e fanno appello
a quel precetto di adeguamento delle leggi alle esigenze delle
autonomie locali, che è enunciato dalla IX disposizione transitoria
della Costituzione, con l’assegnazione di un termine ancor più breve
di quello prescritto nella disposizione VI.
3. – Nega invece ogni fondamento all’impugnativa il Presidente del
Consiglio dei Ministri, nell’atto d’intervento, a cura dell’Avvocatura
generale dello Stato, depositato il 17 luglio 1964.
L’art. 103 della Costituzione, secondo l’Avvocatura, non fonda
alcuna riserva assoluta di giurisdizione, e si limita a conservare gli
organi di giurisdizione in esso considerati, tra i quali la Corte dei
conti. Comunque non potrebbe recarsi in dubbio l’applicabilità della
VI disposizione transitoria anche ai Consigli di prefettura.
Fino alla revisione prevista da questa, osserva l’Avvocatura, il
legislatore costituente volle la conservazione di tutte le
giurisdizioni speciali preesistenti, “quali che fossero le rispettive
particolarità di struttura”, sottraendole a ogni sindacato di
legittimità costituzionale “almeno per quanto attiene alle norme che
ne regolano la composizione e la competenza”.
Quand’anche dovesse ammettersi che il secondo comma dell’art. 103
della Costituzione enunci una riserva di giurisdizione in favore della
Corte dei conti, e che tale riserva valga a escludere persino la
possibilità di una competenza di primo grado di un giudice diverso; e
quand’anche dovesse ammettersi che l’attuale composizione dei Consigli
di prefettura non soddisfi il principio costituzionale
dell’indipendenza dei giudici; nondimeno la VI disposizione transitoria
della Costituzione basterebbe a escludere che la giurisdizione di tali
consessi possa considerarsi senz’altro venuta meno.
Né sarebbe esatto che la revisione prevista dalla VI disposizione
transitoria non potrebbe essere ammessa se non in presenza di una
possibilità alternativa di soppressione o di conservazione
dell’organo: infatti l’art. 125 della Costituzione prevede la
conservazione di “organi di giustizia amministrativa” diversi dal
Consiglio di Stato, e tuttavia gli organi di giustizia amministrativa
esistenti sono anch’essi soggetti a revisione. Comunque, nel sopprimere
i Consigli di prefettura in attuazione della VI disposizione
transitoria della Costituzione il legislatore avrebbe sempre la scelta
tra l’alternativa di devolverne la competenza giurisdizionale di primo
grado alla Corte dei conti così com’è attualmente ordinata e quella
di devolverla a sezioni provinciali o regionali di essa, di nuova
istituzione.
4. – In una memoria depositata il 4 febbraio 1965 la difesa delle
parti private precisa, in limine, in primo luogo, che la dichiarazione
di illegittimità dell’art. 260 del T.U. comunale e provinciale deve
essere estesa, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, agli artt. 23,
310 e 311 dello stesso T.U., riguardanti, il primo, la composizione dei
Consigli di prefettura per l’esercizio della giurisdizione contabile,
e, gli altri due, la procedura dei giudizi; in secondo luogo, che
l’ordinanza della Corte dei conti non investe soltanto il contrasto
della Sopravvivenza della giurisdizione dei Consigli di prefettura con
l’art. 103, secondo comma, della Costituzione, ma anche il contrasto
delle regole sul funzionamento, di tali organi col principio
costituzionale della imparzialità dei giudizi, e quindi con gli artt.
24 e 108 della Costituzione.
Nell’illustrare ampiamente i motivi dell’ordinanza di rinvio, la
memoria adduce, tra l’altro, a sostegno della tesi dell’immediata
operatività del precetto del secondo comma dell’art. 103 della
Costituzione, in virtù del quale sarebbe venuta automaticamente meno
la giurisdizione contabile dei Consigli di prefettura, l’osservazione
che, ove così non fosse, le decisioni di questi ultimi non potrebbero
sfuggire al ricorso per cassazione per violazione di legge previsto dal
secondo comma dell’art. 111 della Costituzione per tutte le sentenze
degli organi giurisdizionali ordinari o speciali (fatta eccezione per
quelle dei tribunali militari in tempo di guerra, nonché per quelle
del Consiglio di Stato e della Corte dei conti): e ciò snaturerebbe
completamente la posizione dei Consigli di prefettura quali organi
giurisdizionali di primo grado in materia di contabilità pubblica.
Con riferimento poi agli artt. 24 e 108 della Costituzione la
memoria richiama l’attenzione sul fatto che i Consigli di prefettura
sono composti unicamente di funzionari amministrativi dello Stato,
privi di garanzia di indipendenza e “tradizionalmente considerati come
una longa manus del Governo”; e si sofferma particolarmente sulla
partecipazione alla camera di consiglio – sia pure soltanto “con voto
consultivo” – del “funzionario di ragioneria che ha compilato la
relazione sul conto” (art. 23 T.U.), il quale sarebbe
“istituzionalmente, un accusatore”, per giunta interessato alla
decisione, poiché la legge lo considera “personalmente responsabile
degli errori che non siano ritenuti scusabili” e “personalmente
obbligato” a rilevare le irregolarità contabili e i casi di
responsabilità degli amministratori sottoposti al giudizio (art. 311).
La partecipazione di tale funzionario alla camera di consiglio sarebbe
poi tanto più grave, in quanto ne sono escluse le parti interessate,
le quali anzi, in evidente violazione del diritto di difesa, non
avrebbero neppure la possibilità di esporre oralmente le proprie
ragioni, giacché l’art. 225 del regolamento comunale e provinciale del
1911 consentirebbe al Consiglio di sentirle solo “quando lo creda
opportuno”.
5. – A propria volta l’Avvocatura dello Stato, in una memoria
depositata anch’essa il 4 febbraio, insiste nelle precedenti
conclusioni, osservando, precipuamente: a) che l’art. 103 della
Costituzione, se riserva alla Corte dei conti la giurisdizione in
materia di contabilità pubblica, lo fa all’unico fine di sottrarre
tale giurisdizione, da un lato, al Consiglio di Stato ed agli altri
organi di giustizia amministrativa, e dall’altro al giudice ordinario,
ma non anche al fine di far venir meno la giurisdizione di primo grado
dei Consigli di prefettura; b) che il giudizio contabile, una volta
promosso dal Prefetto (che è “l’autorità più qualificata a mettere
in moto il procedimento stesso”), si svolge “in piena autonomia ed
indipendenza, senza che per questo solo fatto risultino ridotte o
limitate le garanzie di giustizia e di imparzialità del procedimento”;
c) che la soppressione della competenza giurisdizionale dei Consigli di
prefettura porrebbe – contrariamente all’assunto dell’ordinanza di
rinvio – delicati problemi di adeguamento, “essendo nella materia
contabile la funzione giurisdizionale intimamente collegata alla
funzione di controllo”: onde tale soppressione non potrebbe aver luogo
“senza aver prima provveduto alle necessarie trasformazioni
istituzionali”: non diversamente dalle altre disposizioni
costituzionali, che, pur prevedendo la soppressione di enti ed organi,
sono state considerate non immediatamente operative “fin quando non si
fosse provveduto, in modo effettivo ed organico, alle necessarie
trasformazioni istituzionali”, le disposizioni costituzionali ora
invocate non potrebbero, senza urtare contro insuperabili esigenze
strutturali e funzionali del sistema, essere intese nel senso di un
automatico venir meno della giurisdizione dei Consigli di prefettura
indipendentemente dalla emanazione di apposite norme di adattamento.
6. – All’udienza di trattazione i patroni delle parti hanno
insistito nelle rispettive tesi.
1. – Secondo l’ordinanza di rimessione la disposizione del secondo
comma dell’art. 103 della Costituzione, in base alla quale “la Corte
dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica”,
avrebbe inteso riservare in modo assoluto, e con operatività
immediata, a quell’alto consesso, la competenza a conoscere di tutti i
giudizi attinenti alla “contabilità” tanto dello Stato, che degli
altri enti pubblici. Ciò importerebbe l’automatico venir meno, fin
dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, della competenza dei
Consigli di prefettura in ordine ai “giudizi contabili” in precedenza
rientranti nella loro giurisdizione; e comporterebbe perciò, tra
l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 260 del T.U. della
legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383,
il quale attribuisce a quei Consigli la risoluzione, in primo grado,
delle controversie in materia di responsabilità previste dagli artt.
251-59 dello stesso testo unico.
La tesi non è fondata.
Dai lavori preparatori risulta che dal disfavore con cui gli autori
della Costituzione considerarono le giurisdizioni speciali andò esente
(unitamente al Consiglio di Stato) la Corte dei conti. In aggiunta ai
compiti di controllo sull’amministrazione statale e su quella degli
“enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria” (art. 100), la
Costituzione volle perciò conservare a questo istituto anche la veste
di organo di giurisdizione, che era propria della sua tradizione,
particolarmente in relazione alle controversie attinenti alla
“contabilità pubblica”. Di qui l’enunciazione del secondo comma
dell’art. 103, secondo cui la Corte “ha giurisdizione nelle materie di
contabilità pubblica” (oltre che “nelle altre specificate dalla
legge”). Nulla autorizza però a ritenere che in tal modo i costituenti
abbiano inteso riservare alla Corte la competenza a conoscere di tutti
i giudizi comunque vertenti nella materia della “contabilità
pubblica”.
Questa affermazione appare tanto più evidente, quando si consideri
che la materia delle controversie relative alla “contabilità pubblica”
è di quelle il cui ambito non si riesce a definire – tanto per ciò
che riguarda l’oggetto, quanto per ciò che riguarda i soggetti – se
non in base a puntuali specificazioni legislative. Basti tener
presente, in proposito, che mentre per tradizione vengono considerati
attinenti alla “contabilità pubblica”, e deferiti alla Corte dei
conti, i giudizi in materia di comune responsabilità civile, verso lo
Stato, dei funzionari, impiegati ed agenti di esso (art. 52 del T.U.
sulla Corte dei conti 12 luglio 1934, n. 1214), gli analoghi giudizi di
responsabilità (di entità peraltro non identica), verso i rispettivi
enti, degli amministratori e dipendenti degli enti locali vengono
(dall’art. 265 del T.U. comunale e provinciale) deferiti all’autorità
giudiziaria ordinaria (diversamente dai giudizi di responsabilità ex
artt. 251 – 259, sui quali sono invece competenti i Consigli di
prefettura, ai sensi dell’art. 260).
Dunque, se può dirsi esatto che nel nostro ordinamento la Corte
dei conti è il principale organo della “giurisdizione contabile” – la
quale suole accompagnarsi alla funzione di controllo ed esercitarsi ex
officio – , non appare invece esatto ritenere – come pretenderebbe
l’ordinanza di rimessione – incompatibile col secondo comma dell’art.
103 della Costituzione che alla Corte dei conti sia conferita, in un
settore della “giurisdizione contabile” relativo ad enti locali, una
competenza limitata al secondo grado. L’esistenza, in materia, di una
competenza di primo grado di un organo diverso non sottrae infatti alla
Corte qualcosa che la Costituzione abbia voluto riservarle.
2. – Quanto si è detto non esclude che la competenza
giurisdizionale di primo grado in materia di “contabilità pubblica”
attribuita a un organo diverso dalla Corte dei conti possa urtare con
altri precetti costituzionali ed essere perciò illegittima a titolo
diverso.
Fermo il concetto che, per le considerazioni che precedono, la
“giurisdizione contabile” dei Consigli di prefettura non può ritenersi
venuta meno pel solo effetto del secondo comma dell’art. 103 della
Costituzione, è peraltro da ricordare che tale giurisdizione – non
rientrante tra quelle coperte dalle disposizioni conservatrici
dell’art. 103 – è soggetta alla “revisione” cui la VI disposizione
transitoria della Costituzione vuole che sia sottoposta la generalità
delle giurisdizioni speciali.
Per tale “revisione” quest’ultima disposizione assegnava al
Parlamento un termine di cinque anni dall’entrata in vigore della
Costituzione. Questo termine, al pari di altri termini ed adempimenti
prescritti dalla Carta costituzionale, non è stato osservato. Si è
determinato così uno stato di incompiutezza, e perciò di alterazione,
del sistema concepito dall’Assemblea costituente, che questa Corte
ritiene doveroso segnalare ancora una volta.
La lamentata inosservanza del termine costituzionale non ha
prodotto tuttavia – come ripetutamente la Corte ha avuto occasione di
affermare – il venir meno delle giurisdizioni speciali soggette a
revisione (sentenze nn. 41 del 1957, 42 del 1961, 92 del 1962).
Tutto ciò premesso, non può, d’altro canto, escludersi in modo
assoluto che la giurisdizione dei Consigli di prefettura sia, per la
sua struttura o per differenti ragioni, incompatibile con la
Costituzione. La “revisione” contemplata dalla VI disposizione
transitoria fu voluta allo scopo di consentire al Parlamento di
stabilire, attraverso un approfondito esame, se le singole
giurisdizioni speciali siano meritevoli di essere conservate o debbano
essere trasformate o soppresse, e di elaborare le indispensabili norme
di adeguamento (senza le quali si produrrebbero inevitabilmente, nel
sistema giurisdizionale, rallentamenti, disguidi ed altri
inconvenienti). Ma – contrariamente all’assunto dell’Avvocatura dello
Stato, e in conformità di quanto questa Corte ha pure avuto occasione
di affermare più volte (sentenze nn. 92 del 1962, 132 e 133 del 1963,
103 del 1964) -, la previsione di essa non importa affatto che, prima
della “revisione”, le giurisdizioni speciali possano continuare a
vivere così come sono, anche quando la loro struttura o il loro modo
di operare contrasti coi precetti dettati dalla Costituzione per la
giurisdizione in generale (quali quelli destinati ad assicurare il
diritto di difesa, l’indipendenza dei giudici, il ricorso per
violazione di legge: artt. 24, 108, 111 della Costituzione) e perciò
validi per qualsiasi organo di giurisdizione.
Precisati questi concetti in via di principio, risulta chiaro che,
non diversamente dalle altre giurisdizioni destinate a essere
“revisionate”, anche i Consigli di prefettura in sede giurisdizionale,
in tanto possono continuare a operare legittimamente fino al momento
della “revisione” prescritta dalla VI disposizione transitoria della
Costituzione, in quanto la loro composizione e il loro funzionamento
non contrasti con precetti costituzionali del tipo ora richiamato.
Questa Corte non può quindi esimersi dal prendere in esame le
denuncie, formulate nell’ordinanza di rimessione, relative alla
violazione, da parte di disposizioni sulla giurisdizione dei Consigli
di prefettura, di precetti costituzionali generali in materia di
giurisdizione.
Essa non può farlo però – ai sensi dell’art. 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87 -, se non “nei limiti dell’impugnativa”.
Orbene, la sola impugnativa proposta sotto il profilo in esame –
enunciata anzi in modo quasi incidentale e a rinforzo dell’impugnativa
fondamentale richiamantesi all’art. 103 della Costituzione – riguarda
un unico e circoscritto problema. Afferma l’ordinanza che il disposto
dell’impugnato art. 260 del T.U. comunale e provinciale, pel fatto che
“vuole le relative procedure iniziate d’ufficio o sopra richiesta
dell’autorità di vigilanza (e cioè lo stesso Prefetto)”, ferirebbe il
principio di imparzialità della giurisdizione. Entro tali limiti va
dunque tenuto l’esame della Corte: il quale – diversamente da quanto
pretenderebbe la difesa delle parti private – non può quindi portarsi
né sul rispetto, da parte delle disposizioni sulla composizione di
quei Consigli in sede giurisdizionale (non impugnate), del precetto
costituzionale della indipendenza dei giudici (art. 108 della
Costituzione), né sul rispetto, da parte delle regole del giudizio
davanti ai Consigli di prefettura (anch’esse non impugnate), della
garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 della
Costituzione), e dello stesso principio costituzionale della
imparzialità del giudice.
Nei riferiti limiti, dai quali la Corte è tenuta a non
discostarsi, la questione proposta non appare fondata.
È vero che i giudizi contemplati dall’art. 260 del T.U. comunale
e provinciale possono essere iniziati dal Consiglio di prefettura
d’ufficio, o su richiesta dell’autorità di vigilanza, che è lo stesso
Prefetto, presidente di quel Consiglio: onde in essi non vale la regola
ne procedat judex ex officio. Ma la esclusione di tale regola –
esclusione riscontrabile, nel nostro ordinamento, in vari altri casi
(tra i quali, oltre ai giudizi pretorili in materia penale e ai giudizi
fallimentari, rientrano proprio i giudizi sui conti davanti alla Corte
dei conti: art. 45 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214) – non importa
lesione del principio della imparzialità del giudice (il cui primo
fondamento risiede nell’art. 3 della Costituzione). Quest’ultimo
infatti esige soltanto che ogni giudice operi in condizione di assoluta
estraneità e indifferenza – e perciò di neutralità – rispetto agli
interessi in causa. E nulla esclude che anche un giudizio promosso ex
officio possa svolgersi in condizioni di assoluta imparzialità.
La norma denunziata non può esser considerata quindi, per sé
sola, lesiva del principio di imparzialità della giurisdizione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale,
proposta con l’ordinanza indicata in epigrafe, dell’art. 260 del T.U.
della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n.
383, in riferimento all’art. 103 della Costituzione e al principio di
imparzialità della funzione giurisdizionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – ANTONIO
MANCA – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.