Sentenza N. 178 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
17/11/1971
Data deposito/pubblicazione
17/11/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/11/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
siciliana, notificato il 27 febbraio 1971, depositato in cancelleria il
1 marzo successivo ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 1971, per
conflitto di attribuzione sorto a seguito della nota 11 giugno 1970, n.
101133, con la quale il Ministero delle finanze ha disposto
l’inclusione tra i beni del demanio pubblico statale dei ruderi
rinvenuti nell’area dell’antica Naxos.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore
Angelo De Marco;
uditi gli avvocati Salvatore Orlando Cascio ed Enzo Silvestri, per
la Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato
Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri
pro-tempore il 27 febbraio 1971 ed all’Avvocatura generale dello Stato
il 24 febbraio 1971 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 1
marzo 1971, il Presidente pro-tempore della Regione siciliana,
debitamente autorizzato dalla Giunta regionale, premesso:
che, con decreto 1 marzo 1967, n. 5757, il Prefetto di Messina
pronunciava l’espropriazione a favore della Regione di alcuni immobili,
appartenenti a Carmelo Paladino, siti nel Comune di Giardini,
occorrenti per l’esecuzione del progetto relativo a lavori di scavo e
sistemazione dell’area dell’antica Naxos, approvato dall’Assessorato
regionale del turismo;
che, con decreto 27 febbraio 1970, il Ministero della pubblica
istruzione dichiarava il particolare valore artistico ed archeologico
dei ruderi rinvenuti in tali immobili;
che, con nota 11 giugno 1970, n. 101133, il Ministero delle
finanze, in seguito a tale dichiarazione, disponeva che i detti ruderi
fossero inclusi tra i beni del demanio pubblico statale, ordinandone la
iscrizione nei relativi elenchi all’Intendenza di finanza di Messina;
che di tale decisione il Presidente della Regione aveva avuto
conoscenza il 7 gennaio 1971;
tanto premesso, ha chiesto a questa Corte, ai sensi dell’art. 134
della Costituzione, dell’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
dell’art. 27 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale:
a) che dichiari l’appartenenza alla Regione siciliana dei ruderi
rinvenuti nell’area dell’antica Naxos e dichiarati dal Ministero della
pubblica istruzione di particolare interesse artistico ed archeologico;
b) che dichiari che la nota del Ministero delle finanze 11 giugno
1970, n. 101133, comporta l’esercizio da parte dello Stato di
competenza regionale costituzionalmente garantita;
c) che dichiari tale nota viziata di illegittimità costituzionale
e, conseguentemente, l’annulli.
A sostegno del gravame si deducono i seguenti motivi.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 dello Statuto
della Regione siciliana e degli artt. 1 e 4 del decreto del Presidente
della Regione (recte: del Presidente della Repubblica) 1 dicembre 1961,
n. 1825. Con tali motivi si sostiene, in sostanza, quanto segue.
Per l’art. 33, comma secondo, dello Statuto siciliano, fanno parte
del patrimonio della Regione le cose di interesse storico,
archeologico, paleontologico ed artistico da chiunque ed in qualunque
modo ritrovate nel sottosuolo regionale.
In attuazione di questa disposizione sono stati trasferiti alla
Regione, con d.P.R. (e non della Regione) 1 dicembre 1961, n. 1825,
sia i beni patrimoniali indisponibili ivi esistenti e già appartenenti
allo Stato, sia le attribuzioni del Ministero delle finanze relative ai
beni stessi.
Alle medesime conclusioni si dovrebbe pervenire anche se si
attribuisse alle cose ritrovate nell’area di Naxos natura demaniale
anziché patrimoniale (indisponibile) in forza dell’articolo 32 dello
Statuto e delle norme di attuazione.
Si deve, peraltro, rilevare che all’inclusione di tali beni fra
quelli demaniali osta il secondo comma dell’art. 826 del codice civile,
che attribuisce natura patrimoniale alle cose ritrovate nel sottosuolo.
Infine, si fa l’ipotesi che l’atto impugnato abbia per oggetto la
conservazione dei beni suddetti, nel qual caso si rientrerebbe nella
competenza del Ministero della pubblica istruzione, dato che non sono
state ancora emanate le norme di attuazione per l’art. 14, lett. n
dello Statuto, in forza del quale tale competenza spetta alla Regione.
Ma, per l’infondatezza di tale ipotesi, si obbietta che nella
specie l’atto impugnato non ha carattere cautelativo ma carattere
attributivo di proprietà.
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
che, con memoria depositata il 16 marzo 1971, chiede che il ricorso
della Regione venga rigettato.
A sostegno di questa richiesta l’Avvocatura dello Stato, dopo una
premessa con la quale illustra l’estrema importanza storica ed
archeologica dei ruderi di Naxos, all’evidente scopo di attribuirvi un
carattere di interesse nazionale, deduce, in sostanza, quanto segue.
a) Poiché si tratta di beni “immobili”, non può contestarsi che,
ai sensi dell’art. 822 cod. civ., rientrino ipso jure nel demanio dello
Stato e non si può, in contrario, invocare l’articolo 826 cod. civ.
che riguarda, invece, beni “mobili” ritrovati nel sottosuolo.
Il richiamo all’art. 33 dello Statuto è, quindi, inconferente.
b) Posta la natura immobiliare dei beni in questione, il problema
da risolvere s’incentra nella titolarità di tale demanio e cioè se
debba restare allo Stato, ai sensi dell’art. 822 cod. civ. oppure
debba ritenersi trasferita alla Regione in base all’art. 32 dello
Statuto e 3 delle Norme di attuazione 1 dicembre 1961, n. 1825.
A tal fine, tenuto presente che queste due ultime norme escludono
il passaggio alla Regione dei beni demaniali che interessano, tra
l’altro, “servizi di carattere nazionale” è necessario fissare con
chiarezza il significato di tale espressione.
c) Argomentando dagli artt. 9 e 117 della Costituzione, sugli
Statuti speciali per la Sardegna, per il Trentino-Alto Adige, per la
Valle d’Aosta, per il Friuli-Venezia Giulia, nonché da quello stesso
per la Regione siciliana (art. 14, lettere n ed r), l’Avvocatura dello
Stato giunge alla conclusione che dal complesso di queste fonti
costituzionali e legislative emerge chiaro il concetto che si è voluto
sottrarre alla tutela delle Regioni il patrimonio artistico nazionale e
che alla stregua di questo principio deve interpretarsi l’espressione
“servizi di carattere nazionale” contenuta nell’art. 32 dello Statuto.
Di qui l’infondatezza del ricorso.
Con memoria depositata il 30 settembre 1971, il patrocinio della
Regione, a confutazione delle deduzioni dell’Avvocatura generale dello
Stato, espone, in sostanza, quanto segue.
Non si contesta, in mancanza delle norme di attuazione dell’art.
14, lett. n, dello Statuto della Regione siciliana, la competenza del
Ministero della pubblica istruzione ad emanare il decreto di
riconoscimento del particolare interesse archeologico dei ruderi in
questione ai fini della tutela preveduta dalla legge n. 1089 del 1939,
né si disconosce il carattere immobiliare dei ruderi stessi, ma si
contesta che, di fronte all’art. 32 dello Statuto stesso ed in
relazione al secondo comma dell’art. 822 cod. civ., tali ruderi
potessero essere acquisiti al demanio dello Stato anziché a quello
della Regione.
A sua volta l’Avvocatura generale dello Stato, con memoria
depositata il 29 settembre 1971, espressamente ripetuto l’assunto che i
ruderi in questione non possono ritenersi compresi tra i beni
attribuiti alla Regione dall’art. 32 dello Statuto, in quanto
interessano “servizi di carattere nazionale”, richiamate le sentenze di
questa Corte n. 74 del 1969 e n. 94 del 1971, deduce che in mancanza di
norme di attuazione dell’art. 14, lett. n, dello Statuto siciliano,
non può contestarsi la legittimità del decreto del Ministero della
pubblica istruzione che, nel dichiarare il particolare interesse
archeologico dei ruderi suddetti, ne ha attribuito la proprietà allo
Stato.
Dopo gli adempimenti di legge, il giudizio così promosso è venuto
oggi alla cognizione della Corte.
All’udienza odierna i patroni della Regione, con la discussione
orale, hanno insistito nel chiedere l’accoglimento del ricorso, mentre
l’Avvocato dello Stato ne ha chiesto il rigetto, prospettando,
altresì, una eccezione di inammissibilità sotto il profilo che
l’impugnata nota del Ministero delle finanze contiene un atto meramente
esecutivo del decreto 27 febbraio 1970 del Ministero della pubblica
istruzione, contro il quale il patrocinio della Regione ha
espressamente (memoria depositata il 30 settembre 1971) dichiarato che
il ricorso non è diretto.
1. – Per l’art. 14, lett. né dello Statuto speciale la Regione
siciliana ha legislazione esclusiva in materia di “conservazione delle
antichità e delle opere artistiche”.
Per gli artt. 32 e 33 dello stesso Statuto, poi, sono assegnati
alla Regione i beni del demanio dello Stato esistenti nella Regione
stessa, eccetto quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi
di carattere nazionale (art. 32), nonché altri beni dello Stato, tra i
quali “le cose d’interesse storico, archeologico, paleontologico e
artistico, da chiunque ed in qualunque luogo ritrovate nel sottosuolo
regionale” che vengono destinate a far parte del patrimonio
indisponibile della Regione (art. 33).
Nonostante i numerosi anni trascorsi dalla emanazione e successiva
conversione in legge costituzionale di quello Statuto, non sono state
ancora emanate, per quanto attiene alla conservazione delle antichità
ed opere artistiche, le norme di attuazione prevedute dall’art. 43
dello Statuto stesso e, quindi, non è stato attuato il trasferimento
alla Regione dei relativi poteri preveduti dall’art. 14, lett. n.
Con decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1961, n.
1825, invece, sono state emanate le norme di attuazione degli artt. 32
e 33, riguardanti il demanio ed il patrimonio, ma neppure in questo
settore si è avuto un effettivo trasferimento dei relativi poteri alla
Regione.
Infatti, l’art. 5 del decreto suddetto prevede la individuazione
dei beni da effettuare, entro sei mesi dalla sua pubblicazione, con
appositi elenchi da compilarsi dal Ministero delle finanze d’intesa col
Ministero del tesoro, con altri Ministeri interessati e con
l’Amministrazione regionale, elenchi da approvare con decreto del
Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze e di
concerto con il Ministro del tesoro e con altri Ministri interessati e
dispone che il passaggio dei beni alla Regione abbia effetto dalla data
di tali decreti.
Almeno per il settore antichità e belle arti non risulta, a
tutt’oggi, approvato alcun elenco.
2. – In questo stato della legislazione ordinaria e costituzionale
è accaduto che il Ministero della pubblica istruzione, con decreto 27
febbraio 1970, emanato in forza della legge 1 giugno 1939, n. 1089,
sulla tutela delle cose artistiche e storiche ha disposto testualmente:
“I resti archeologici venuti in luce nell’ambito dell’immobile di
proprietà del signor Paladino Carmelo, sito nel Comune di Giardini
(Messina) segnato in catasto alle part. 45 e 71 del foglio di mappa n.
6, confinante con proprietà dello stesso, appartenenti allo Stato ai
sensi dell’art. 49 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, sono
riconosciuti di particolare interesse ai sensi della legge stessa,
perché trattasi delle mura urbiche delimitanti l’antica città di
Naxos nelle quali si apre la Porta Marina”.
In base alla declaratoria contenuta in tale decreto, il Ministero
delle finanze con nota 11 giugno 1970, ha autorizzato l’Intendenza di
Messina ad iscrivere i ruderi di cui sopra tra i beni del demanio
pubblico (statale) ramo artistico-storico- archeologico.
La Regione siciliana, avuta notizia di tale nota, ha proposto il
ricorso in esame, chiedendo che, previo accertamento dell’appartenenza
ad essa Regione dei ruderi in questione, venga dichiarata l’invasione
di competenza operata dallo Stato con la impugnata nota del Ministero
delle finanze e che, conseguentemente, cotesta nota venga annullata.
3. – Così precisati i termini della controversia, in via
pregiudiziale occorre accertare se sia fondata la eccezione di
inammissibilità del ricorso, sollevata in udienza dall’Avvocatura
generale dello Stato.
Le parti sono d’accordo sul punto che, mancando le norme di
attuazione dell’art. 14, lett. n, dello Statuto siciliano, la
competenza sia legislativa, sia amministrativa in materia di
conservazione delle antichità e delle opere artistiche rimane tuttora
allo Stato.
Non può, quindi, essere posta in dubbio la legittimità del
decreto del Ministero della pubblica istruzione 27 febbraio 1970, che
dichiara il particolare interesse archeologico dei ruderi dell’antica
Naxos, all’evidente fine di sottoporli alla tutela preveduta dalla
legge 1 giugno 1939, n. 1089.
È vero che in tale decreto si afferma che detti ruderi
appartengono allo Stato in forza dell’art. 49 della citata legge, ma
tale affermazione è meramente incidentale e si riferisce alla materia
del patrimonio e finanza di competenza del Ministero delle finanze,
cosicché ha il solo valore di parere.
Viceversa, in materia di patrimonio e finanze le norme di
attuazione col citato d.P.R. n. 1825 del 1961 sono state emanate e,
quindi, gli artt. 32 e 33 dello Statuto siciliano che riguardano tale
materia debbono essere ritenuti già operanti, almeno nei limiti che
saranno in prosieguo esaminati.
Il provvedimento contenuto nella impugnata nota 11 giugno 1970,
anche se ha per presupposto la declaratoria di particolare interesse
archeologico da parte del Ministero della pubblica istruzione,
declaratoria della cui legittimità, come sopra si è dimostrato non si
può dubitare, non ne costituisce, quindi, atto meramente esecutivo,
essendo, invece, estrinsecazione autonoma, dei poteri in materia di
patrimonio e finanza, spettanti al Ministero delle finanze, anche
nell’ambito della Regione siciliana, poteri peraltro da esercitarsi nel
rispetto dello Statuto speciale di tale Regione e delle relative norme
di attuazione.
Esattamente, quindi, la Regione ha impugnato soltanto ed
autonomamente il provvedimento del Ministero delle finanze, cosicché
la eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato risulta infondata.
4. – Si può, così, passare all’esame del merito del ricorso della
Regione.
Non può esservi dubbio che, in forza dell’art. 32 dello Statuto
per la Regione siciliana, siano assegnati alla detta Regione i beni
dello Stato contemplati dall’art. 822 del codice civile, tra i quali
(secondo comma) “gli immobili riconosciuti d’interesse storico,
archeologico ed artistico, a norma delle leggi in materia”.
L’assunto dell’Avvocatura generale dello Stato tendente ad
affermare, argomentando dall’art. 9 della Costituzione, che i beni
d’interesse storico, archeologico ed artistico interessano servizi di
carattere nazionale e, quindi, proprio in base alla espressa eccezione,
contenuta nell’art. 32 dello Statuto, sarebbero esclusi
dall’assegnazione alla Regione, si appalesa privo di giuridico
fondamento: basta, al riguardo, tener presente che, in forza dell’art.
14, lett. n, dello Statuto, come sopra si è rilevato, alla Regione, in
materia di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, è
attribuita addirittura la legislazione esclusiva, cosicché se fossero
state emanate le norme di attuazione, sarebbe rientrata nella
competenza della Regione la stessa emanazione della declaratoria di
“particolare interesse archeologico” che, invece, in mancanza di tali
norme, è stata legittimamente decretata dal Ministero della pubblica
istruzione.
Al riguardo, di fronte al significato che l’Avvocatura dello Stato
ha ritenuto di attribuire al termine “conservazione” non è fuor di
luogo chiarire che la tutela, che forma oggetto della legge 1 giugno
1939, n. 1089, è appunto diretta alla conservazione dei beni che vi
vengono assoggettati.
Resta, pertanto, da accertare solamente se alla immediata
assegnazione alla Regione dei beni in questione, possa ostare l’art. 5
del d.P.R. n. 1825 del 1961, del quale sopra è stato enunciato il
contenuto.
È ammissibile che per il passaggio alla Regione di beni già
acquisiti dallo Stato possa essere opportuna, se non proprio
necessaria, una preventiva individuazione da effettuarsi con il
concorso di tutti gli Enti interessati.
Questa previa individuazione, invece, risulta del tutto inutile
quando si tratta della prima acquisizione alla proprietà pubblica di
un bene già di proprietà privata (anche se la Regione ha menzionato
un decreto prefettizio di espropriazione in suo favore del terreno nel
cui sottosuolo sono stati rinvenuti i ruderi in questione, non ne ha,
peraltro, dato la prova, mentre tanto nel decreto del Ministero della
pubblica istruzione quanto nella nota del Ministero delle finanze il
terreno stesso è indicato come di proprietà privata) e vi sono norme
chiare ed operanti che permettono di identificare immediatamente l’Ente
al quale la proprietà deve essere attribuita, senza ricorrere alla
macchinosa procedura preveduta dal citato art. 5.
Ciò tanto più in quanto, per l’art. 2 dello stesso decreto n.
1825 del 1961, è proprio dell’Intendenza di finanza, alla quale è
diretta la nota ministeriale impugnata, che la Regione si deve avvalere
per esercitare nell’ambito del proprio territorio le attribuzioni del
Ministero delle finanze, relativamente ai beni ad essa assegnati.
5. – Le considerazioni che precedono dimostrano che il ricorso
della Regione deve essere accolto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che i ruderi rinvenuti nell’area dell’antica Naxos e
riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione di particolare
interesse archeologico appartengono alla Regione siciliana e annulla la
nota del Ministero delle finanze 11 giugno 1970, n. 101133, avente per
oggetto l’inclusione di detti beni nel demanio statale e l’iscrizione
nei relativi elenchi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.