Sentenza N. 178 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
08/06/2000
Data deposito/pubblicazione
08/06/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/05/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare RUPERTO,
Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
e 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze
emesse il 5 dicembre 1997 dal pretore di Forlì, sezione distaccata
di Cesena, il 26 marzo 1998 (n. 2 ordinanze) dal pretore di Torino,
il “2 maggio” (da intendersi 9 maggio) 1998 dal pretore di Cuneo, il
2 maggio e il 12 giugno 1998 dal pretore di Milano, il 20 luglio 1998
dal pretore di Padova, il 26 ottobre 1998 dal pretore di Ascoli
Piceno e il 7 giugno 1999 dal Tribunale di Roma, rispettivamente
iscritte ai nn. 181, 373, 374, 580, 582, 583, 868 e 914 del registro
ordinanze 1998 ed al n. 102 del registro ordinanze 2000 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12, 22, 36 e 49, prima
serie speciale, dell’anno 1998, n. 3, prima serie speciale, dell’anno
1999 e n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Greco Eugenio ed altri, della
Cassa di risparmio di Cesena, della Banca Brignone S.p.a., Editrice
SAIE S.r.l. ed altra, Banca Regionale Europea S.p.a. e della Societé
Generale, della Milano Assicurazioni S.p.a. e Unilever Italia S.p.a.,
dell’Edison S.p.a. e Compaq Computer S.p.a., della Banca Antoniana
Popolare Veneta soc. coop. a r.l., della Cassa di risparmio di Ascoli
Piceno S.p.a., dell’INPS e dell’INPDAI, nonché gli atti di
intervento della Cassa di risparmio di Ravenna S.p.a., della Reconta
Ernst & Young S.p.a. e del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 aprile 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto;
uditi gli avv.ti Francesco Fabbri per Greco Eugenio ed altri,
Carlo Visconti per la Cassa di risparmio di Cesena, Massimo Luciani,
Paolo Tosi, Salvatore Trifirò e Mattia Persiani per la Banca
Brignone S.p.a., Editrice SAIE S.r.l. ed altra, Banca Regionale
Europea S.p.a., Societé Generale e Banca Antoniana Popolare Veneta
Soc. coop. a r.l., Paolo Tosi e Mattia Persiani per la Milano
Assicurazioni S.p.a. e Unilever Italia S.p.a., Paolo Tosi, Mattia
Persiani e Salvatore Trifirò per la Edison S.p.a. e Compaq Computer
S.p.a., Mattia Persiani per la Cassa di risparmio di Ascoli Piceno
S.p.a., Antonino Sgroi e Fabio Fonzo per l’INPS, Mario Tonucci,
Antonino Mirone e Niccolò Salanitro per l’INPDAI e l’Avvocato dello
Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
l’accertamento dell’obbligo del datore di lavoro di versare
contributi previdenziali sull’ammontare di finanziamenti ad un fondo
pensionistico integrativo, il Pretore del lavoro di Forlì, sezione
distaccata di Cesena, con ordinanza del 5 dicembre 1997 (R.O. n. 181
del 1998), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della
Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 193 e 194, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui
differenzia la posizione del datore di lavoro, che abbia corrisposto,
in data anteriore all’entrata in vigore della legge 1° giugno 1991,
n. 166 (nella quale è stato convertito, con modificazioni, il
decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, recante disposizioni urgenti in
materia previdenziale), i contributi sui versamenti a favore di
gestioni eroganti prestazioni previdenziali integrative, rispetto a
quella del datore di lavoro che, non avendoli corrisposti, è
obbligato solo al pagamento di una quota percentuale di tali
contributi.
1.1. – Il rimettente premette che l’art. 9-bis del decreto-legge
29 marzo 1991, n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1° giugno
1991, n. 166 (con il quale l’art. 12 della legge 30 aprile 1969,
n. 153 viene “interpretato” (con norma innovativa ad efficacia
retroattiva) nel senso di escludere dalla retribuzione imponibile ai
fini previdenziali le somme destinate a finanziamento di gestioni
eroganti prestazioni previdenziali integrative, e con il quale si
predispone per il futuro un contributo di solidarietà del dieci per
cento, negando la ripetibilità di quanto già corrisposto in epoca
anteriore alla data di entrata in vigore della legge di conversione),
è stato dichiarato incostituzionale, con sentenza n. 421 del 1995,
nella parte in cui esonera dal pagamento dei contributi di previdenza
ed assistenza, senza prevedere alcuna contropartita analoga al
“contributo di solidarietà” imposto per il futuro, il datore di
lavoro inadempiente all’obbligo di versare i contributi dovuti sino
alla data di entrata in vigore della legge.
Il giudice a quo – dopo aver osservato che la Corte
costituzionale, con la citata sentenza, ha riaffermato la natura
retributiva dei versamenti effettuati per la previdenza complementare
e la loro conseguente sottoposizione alla contribuzione ordinaria,
almeno fino al 1991 – rileva che la sopravvenuta denunciata norma si
è limitata ad imporre, a carico dei datori di lavoro, i quali per il
periodo contributivo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991 non
avevano effettuato i menzionati versamenti, un obbligo contributivo
pari al quindici per cento, senza oneri accessori.
Per il rimettente sussisterebbe, pertanto, una immotivata ed
ingiustificata disparità di trattamento fra i datori di lavoro che,
per il periodo suddetto, hanno già versato l’intero importo dovuto
(non più ripetibile), e quelli inadempienti a tale obbligo, ai quali
la norma denunciata consente una sanatoria con il pagamento del solo
quindici per cento; laddove il legislatore – se fosse stato coerente
con la surrichiamata sentenza – avrebbe dovuto “riscrivere l’art.
9-bis della legge n. 166 del 1991”, riconoscendo la natura
retributiva dei versamenti, con obbligo dell’integrale corresponsione
degli importi dovuti.
1.2. – Si sono costituite le parti private ricorrenti nel
giudizio a quo le quali – affermata la natura retributiva dei
versamenti per la previdenza integrativa effettuati anteriormente
all’entrata in vigore della legge n. 166 del 1991 – chiedono che la
Corte, in accoglimento della sollevata questione di
costituzionalità, escluda l’irragionevole esenzione parziale dalla
contribuzione ordinaria (concessa dalla norma denunciata ai datori di
lavoro inadempienti, per il periodo dal 1° settembre 1985 al 30
giugno 1991, all’obbligo di contribuzione sui fondi integrativi
previdenziali) ed elimini, così, i riflessi negativi provocati da
tale norma sulla posizione contributiva dei dipendenti di quei datori
di lavoro e la correlativa “incomprensibile disparità di
trattamento” rispetto ai dipendenti dei datori di lavoro che abbiano
invece (per lo stesso periodo) adempiuto all’obbligo, versando la
contribuzione in misura intera.
1.3. – Si è costituita anche la parte privata convenuta nel
giudizio a quo osservando: a) che la sentenza n. 421 del 1995 ha
riconosciuto incensurabile sia l’esclusione della contribuzione ai
fondi di previdenza complementare dalla base imponibile per la
determinazione dei contributi di previdenza ed assistenza sociale,
sia la portata retroattiva di tale esclusione, purché venga
stabilito – quale “contropartita necessaria” di questa – un
contributo di solidarietà; b) che la denunciata norma, emendando
sulla scorta delle indicazioni contenute nella citata sentenza la
precedente legislazione, ha appunto esteso al passato, per il periodo
dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, (sia pure nella maggiore
misura del quindici per cento) il contributo di solidarietà, quale
“contropartita” all’esenzione suddetta; c) che la sentenza n. 421 del
1995 non attribuisce natura retributiva alle contribuzioni ai fondi
di previdenza complementare; d) che una questione di
costituzionalità potrebbe essere, se mai, sollevata dai datori di
lavoro che abbiano versato, nel periodo menzionato, l’intera
contribuzione, senza possibilità di ripetere neppure parzialmente
quanto pagato, mentre nella specie è pacifico che la parte ha
versato, in relazione a quel periodo, l’importo del quindici per
cento quale contributo di solidarietà. Conclude, pertanto, per la
declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della
questione.
1.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la declaratoria di inammissibilità (data
l’insindacabilità della ratio dei provvedimenti legislativi, per i
quali non vi è alcun obbligo di motivazione) o comunque di
infondatezza della questione. L’autorità intervenuta osserva che il
legislatore, con la denunciata norma, si è adeguato alle indicazioni
contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995,
prevedendo, proprio al fine di appianare la disparità di trattamento
tra datori di lavoro che nel periodo avevano versato i contributi in
esame e quelli che non li avevano versati, un contributo di
solidarietà a carico di questi ultimi anche per il periodo anteriore
all’entrata in vigore della legge n. 166 del 1991.
2. – Nel corso di un giudizio promosso da un datore di lavoro nei
confronti dell’INPS per la ripetizione dei contributi previdenziali
corrisposti sui versamenti a fondi integrativi, il Pretore di Torino,
con ordinanza del 26 marzo 1998 (R.O. n. 373 del 1998), ha sollevato
– in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di
legittimità costituzionale del succitato art. 1, comma 194, nella
parte in cui sottopone a contribuzione i datori di lavoro
“limitatamente al periodo contributivo dal 1° settembre 1985 al 30
giugno 1991, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 3, commi 9 e
10, della legge 8 agosto 1995, n. 335”.
2.1. – Secondo il rimettente, la norma denunciata – introducendo,
per il contributo di solidarietà dovuto nel periodo suddetto, una
espressa deroga al regime ordinario della prescrizione dei contributi
previdenziali – contrasta con l’art. 3 della Costituzione sotto un
triplice profilo: a) viola il principio della certezza del diritto,
poiché rende imprescrittibili ed esigibili in ogni tempo le
contribuzioni dovute in quel periodo, anche quelle che si sarebbero
dovute considerare estinte per la prescrizione decennale già
maturata ai sensi dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto
1995, n. 335; b) viola il principio dell’uguaglianza di trattamento
con gli altri debiti contributivi previdenziali, perché la deroga
riguarda solo le contribuzioni previdenziali complementari sorte in
quel periodo; c) viola il principio di ragionevolezza, perché
riguarda il contributo di solidarietà dovuto fino al 30 giugno 1991,
ma non quello dovuto successivamente.
Il giudice a quo ritenuto che le domande della parte attrice
implichino l’eccezione di prescrizione, afferma la rilevanza della
questione sia “in astratto” che “in concreto”: “in astratto”, sotto
il profilo che la questione inciderebbe sulla norma applicabile nella
controversia, indipendentemente dall’influenza della pronuncia di
costituzionalità sul giudizio a quo; “in concreto”, sotto il profilo
che, da un lato, non potrebbe escludersi che la parte attrice,
nonostante le preclusioni probatorie proprie del processo del lavoro,
possa in futuro fornire la prova, ancora mancante, del periodo al
quale si riferisce l’eccepita prescrizione, e, dall’altro, che
l’accoglimento della censura di incostituzionalità renderebbe
applicabile al caso di specie il regime ordinario di prescrizione di
cui all’art. 3 della legge n. 335 del 1995, con i connessi riflessi
sull’onere della prova degli atti interruttivi e delle instaurate
procedure amministrative.
2.2. – Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo,
chiedendo l’accoglimento della sollevata questione, per la
violazione, con la norma denunciata: a) del principio della certezza
del diritto, data la previsione di imprescrittibilità di diritti
disponibili e non incidenti nella sfera giuridica di terzi; b) del
principio di ragionevolezza, data la limitazione qualitativa e
temporale dei crediti contributivi qualificati come imprescrittibili;
c) del principio di parità di trattamento, dato il diverso regime
prescrizionale, ratione temporis di debiti previdenziali aventi
l’identica natura di contributo di solidarietà; d) del principio di
irretrattabilità dei rapporti esauriti, data la disposta
esigibilità di crediti già prescritti; e) del principio di
ragionevolezza, data l’ingiustificata previsione di reviviscenza di
un debito contributivo previdenziale complementare, a fronte
dell’estinzione per prescrizione del debito contributivo
previdenziale ordinario, e dato il pregiudizio così arrecato a
datori di lavoro che pure hanno finanziato regimi di previdenza
privata, considerati generalmente con favore dal legislatore.
2.3. – Si è costituito anche l’INPS, chiedendo preliminarmente
che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile, in ragione
della sua proposizione nel giudizio a quo in via principale e non in
via incidentale; della mancata formulazione in quel giudizio
dell’eccezione di prescrizione; della mancata specificazione dei
debiti contributivi prescritti e dei correlativi periodi di
riferimento della prescrizione; della carenza di motivazione del
rimettente sulla rilevanza. In via subordinata l’Istituto chiede la
declaratoria di infondatezza della questione stessa, considerato che
la norma impugnata non deroga all’ordinario termine decennale di
prescrizione; che non può essere utilizzato, come metro di
riferimento nel giudizio di uguaglianza, il contribuente
inadempiente, invece di quello adempiente agli obblighi contributivi;
che la prospettata irragionevolezza della norma è rimasta priva di
dimostrazione.
2.4. – Ha spiegato intervento la Cassa di risparmio di Ravenna
S.p.a., che non è parte nel giudizio a quo concludendo per la
declaratoria di ammissibilità dell’intervento e di illegittimità
della norma denunciata.
2.5. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
richiamando le difese svolte nel giudizio promosso con l’ordinanza di
cui al R.O. n. 181 del 1998 e concludendo per la declaratoria di
manifesta infondatezza della sollevata questione.
3. – Nel corso di un giudizio promosso da due datori di lavoro
nei confronti dell’INPS per la ripetizione dei contributi corrisposti
sui versamenti a fondi integrativi, il Pretore di Torino, con
ordinanza del 26 marzo 1998 (R.O. n. 374 del 1998), ha sollevato
questione di legittimità identica, anche nella motivazione, a quella
di cui all’ordinanza di pari data dello stesso giudice (R.O. n. 373
del 1998).
Si sono costituiti le parti ricorrenti nel giudizio a quo’ e
l’INPS ed è altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ciascuno con difese e richieste identiche a quelle
corrispondentemente svolte ed avanzate nel predetto giudizio, secondo
le rispettive posizioni.
4.- Nel corso di un giudizio promosso da un datore di lavoro nei
confronti dell’INPS per la ripetizione di contributi previdenziali
corrisposti sui versamenti a fondi integrativi, il Pretore di Cuneo,
con ordinanza del “2 maggio” (da intendersi 9 maggio) 1998 (R.O.
n. 580 del 1998), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 136
della Costituzione – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 193 e 194, della citata legge 23 dicembre 1996,
n. 662.
4.1. – Secondo il rimettente, la norma denunciata viola: a)
l’art. 3 Cost., sia per l’irragionevole disparità di trattamento
conseguente alla diversa entità del contributo di solidarietà
previsto per il periodo contributivo dal 1° settembre 1985 al 30
giugno 1991, rispetto a quello previsto per il periodo successivo;
sia per l’eccessiva misura del contributo di solidarietà del
quindici per cento, superiore a quella di tutti i contributi di
identica natura ed inidonea ad arricchire la posizione assicurativa
dei singoli lavoratori, non correlandosi a più elevati livelli di
trattamento pensionistico; sia per l’ingiustificata eccezione –
formulata dal legislatore al fine di rendere esigibili crediti
altrimenti prescritti – alla disciplina generale della prescrizione
dei crediti contributivi previdenziali dettata dall’art. 3, commi 9 e
10, della legge n. 335 del 1995; b) l’art. 136 Cost., per
l’inosservanza – con l’imposizione del contributo di solidarietà del
quindici per cento – delle statuizioni della sentenza della Corte
costituzionale n. 421 del 1995, secondo la quale la sanatoria del
mancato pagamento dei contributi si sarebbe potuta giustificare a
fronte del pagamento di una contropartita pari, “al massimo”, ad un
contributo di solidarietà del dieci per cento.
Il giudice a quo’ quanto alla rilevanza della questione, osserva
che il “titolo in base al quale la (…) ricorrente ha iniziato ad
effettuare i versamenti di cui ora chiede la ripetizione è
costituito esclusivamente dalle disposizioni sospettate di
illegittimità costituzionale”.
4.2. – Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo
chiedendo l’accoglimento della sollevata questione. In particolare la
parte sottolinea la fondatezza dei profili prospettati dal
rimettente, in primo luogo, con riguardo alla ingiustificata diversa
entità, ratione temporis del contributo di solidarietà; in secondo
luogo, con riguardo alla misura eccessiva del contributo di
solidarietà del quindici per cento, tale da aggravare
irrazionalmente la posizione solo dei datori di lavoro che hanno
istituito forme di previdenza integrativa, tanto più che esso, a
differenza del contributo di solidarietà del dieci per cento, non è
gravato dall’onere di versamento di una sua parte al Fondo di
garanzia istituito, con effetto dal 1° gennaio 1992, dall’art. 5 del
decreto legislativo del 27 gennaio 1992, n. 80, contro il rischio di
omesso o insufficiente versamento dei contributi dovuti per forme di
previdenza complementare da parte dei datori di lavoro assoggettati a
procedura concorsuale; in terzo luogo, con riguardo alla
inottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 421 del
1995.
La stessa parte propone, inoltre, argomentazioni identiche a
quelle già svolte dalle parti private a sostegno della questione di
costituzionalità sollevata nei giudizi promossi con ordinanze di cui
al R.O. nn. 373 e 374 del 1998.
4.3. – Si è costituito anche l’INPS, chiedendo che la sollevata
questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Quanto all’inammissibilità, l’Istituto, nel riproporre
sostanzialmente le argomentazioni già svolte nei suddetti giudizi,
osserva che, nella specie, il rimettente non ha valutato “la
rilevanza giuridica del verbale di accertamento o della lettera
interruttiva dei termini” prescrizionali; non ha tenuto conto che il
pagamento del contributo di solidarietà costituisce una “rinuncia
presunta ex lege a valersi della prescrizione già compiuta”; non ha
considerato che la rilevanza sarebbe, se mai, circoscritta alla
“differenza per eccesso” dell’aliquota fissata con la norma
impugnata.
Quanto all’infondatezza, l’Ente previdenziale premette che la
sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995 si è limitata –
con pronuncia seccamente demolitoria e non manipolativa – a caducare
la norma concernente il totale esonero contributivo retroattivamente
disposto dall’art. 9-bis della legge n. 166 del 1991 ed a riaffermare
l’obbligo della contribuzione ordinaria precedentemente previsto in
materia dal diritto vivente formatosi sull’art. 12 della legge 30
aprile 1969, n. 153 (già considerato esente da censure di
costituzionalità dalla sentenza n. 427 del 1990), prospettando, solo
in astratto, la legittimità di un possibile intervento legislativo
assoggettante gli stessi periodi ad una contribuzione diversa o di
solidarietà.
L’Istituto osserva, pertanto, che il legislatore, con la norma
impugnata – nel disporre nuovamente un esonero contributivo con
effetto retroattivo – ha previsto quale contropartita per il periodo
in questione (in ossequio alla citata sentenza n. 421 del 1995) un
contributo di solidarietà in misura non eccessiva (perché inferiore
alla contribuzione ordinaria), né irragionevole (perché superiore
alla successiva aliquota del dieci per cento, proprio in
considerazione, da un lato, della vetustà del debito in questione,
gravato nelle more da somme aggiuntive e sanzioni amministrative, e,
dall’altro, della sua prevista estinguibilità senza oneri accessori,
in diciotto rate bimestrali), né irrazionale ratione temporis
(perché il fluire del tempo giustifica la diversa disciplina di
fattispecie relative a periodi cronologicamente diversi e perché la
natura transitoria della norma denunciata comporta la riduzione ad
omogeneità di elementi di per sé non omogenei), né ingiustificata
rispetto ai minori contributi di solidarietà per altri fondi
previdenziali (perché il tertium comparationis non può individuarsi
in norme derogatorie rispetto alla regola del sistema, pena
l’aggravamento dei difetti di coerenza di questo).
La parte prospetta, anzi, una censura di costituzionalità
simmetrica a quella sollevata, sottolineando l’irragionevolezza della
trasformazione di una obbligazione contributiva illegittimamente
evasa in una ridotta e diversa contribuzione di solidarietà, senza
gli oneri accessori nel frattempo maturati.
L’Istituto – dopo aver affermato di aver tempestivamente
interrotto la prescrizione prima dell’entrata in vigore della norma
denunciata, in relazione all’obbligazione contributiva ordinaria
allora dovuta -, nel riproporre le argomentazioni difensive in tema
di prescrizione svolte negli altri citati giudizi di
costituzionalità, rileva che la deroga al regime prescrizionale
introdotta dall’art. 1, comma 194, della legge n. 662 del 1996 – il
quale, peraltro, tiene fermo il termine di prescrizione decennale –
è una diretta conseguenza (idonea ad escludere la violazione degli
evocati parametri costituzionali) delle menzionate sentenze della
Corte costituzionale n. 427 del 1990 e 421 del 1995, stante la ratio
di evitare di reintrodurre di fatto l’esonero da ogni contribuzione
già disposto dall’art. 9-bis della legge n. 166 del 1991, dichiarato
incostituzionale.
4.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
richiamando la difesa svolta nel giudizio promosso con l’ordinanza di
cui al R.O. n. 583 del 1998 e concludendo per la declaratoria di
inammissibilità od infondatezza della sollevata questione, stante
l’insindacabilità della scelta legislativa della misura del
contributo di solidarietà o del termine di prescrizione.
5. – Nel corso di un giudizio promosso da un datore di lavoro nei
confronti dell’INPS, il Pretore di Milano, con ordinanza del 2 maggio
1998 (R.O. n. 582 del 1998), senza specificare la fattispecie oggetto
del giudizio, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 136 della
Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 194, della citata legge n. 662 del 1996.
5.1. – Secondo il rimettente, la norma denunciata si pone in
contrasto con gli evocati parametri costituzionali, perché: a) nel
prevedere un contributo di solidarietà del quindici per cento, non
ottempera alla sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995,
la quale – lungi dal comportare la reviviscenza dell’obbligo di
assoggettare alla contribuzione ordinaria i finanziamenti a forme di
previdenza privata – ha dichiarato illegittimo il citato art. 9-bis,
comma 1, soltanto in quanto concede una sanatoria totale senza alcuna
contropartita “analoga” al contributo di solidarietà (pari al dieci
per cento) imposto per il futuro dal comma successivo dello stesso
articolo; b) il contributo di solidarietà del quindici per cento è
eccessivo – attesa, tra l’altro, la sua funzione di sanatoria,
riferita a periodi contributivi remoti, con assetti di interesse
ormai definiti per il decorso del tempo – rispetto al contributo
della stessa natura fissato per il periodo successivo; c) nel
derogare eccezionalmente, con efficacia retroattiva, al regime
generale della prescrizione dettato dall’art. 3, commi 9 e 10, della
legge n. 335 del 1995, integra una illegittima “legge personale”,
destinata a supplire ingiustificatamente all’inerzia degli enti
previdenziali, i quali avrebbero potuto interrompere la prescrizione
già all’indomani della sentenza n. 421 del 1995.
5.2. – Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo
chiedendo l’accoglimento della questione, con argomentazioni
identiche a quelle svolte a sostegno della stessa questione nel
giudizio promosso con l’ordinanza di cui al R.O. n. 580 del 1998.
5.3. – Si è costituito anche l’INPS, chiedendo – con
argomentazioni identiche a quelle svolte nel giudizio promosso con
l’ordinanza iscritta al numero 580 del 1998 – la declaratoria di
inammissibilità o comunque di infondatezza della sollevata
questione.
5.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo la declaratoria di inammissibilità della questione perché
si è mancato d’indicare, nell’ordinanza di rimessione, l’oggetto
della domanda nel giudizio a quo sì da impedire alla Corte ogni
valutazione sulla rilevanza della questione medesima.
5.5. – Ha spiegato intervento, con memoria depositata fuori
termine, la S.p.a. Reconta Ernst & Young, soggetto estraneo al
giudizio a quo.
6. – Nel corso di un giudizio promosso da due datori di lavoro
nei confronti dell’INPS per la ripetizione dei contributi
previdenziali versati ai sensi del citato art. 1, comma 193, il
Pretore di Milano, con ordinanza del 12 giugno 1998 (R.O. n. 583 del
1998), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 136 della
Costituzione questione di legittimità costituzionale: a) della
predetta disposizione, nella parte in cui dispone che restano salvi i
versamenti effettuati prima dell’entrata in vigore della legge n. 166
del 1991; b) del comma 194 dello stesso articolo.
6.1. – Secondo il rimettente, il comma 193 contrasta con gli
evocati parametri per l’ingiustificata disparità di trattamento tra
i datori di lavoro che hanno pagato gravose contribuzioni, adempiendo
con solerzia al disposto dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 e
restando soggetti alla soluti retentio prevista dalla norma
denunciata, e gli altri che, pur originariamente inadempienti, sono
assoggettati al meno elevato contributo di solidarietà. Il comma 194
contrasterebbe, poi, con gli stessi parametri costituzionali sotto
due profili (e ciò, “pur a prescindere” dalla non conformità della
norma alle statuizioni della sentenza n. 421 del 1995 della Corte
costituzionale). In primo luogo, la differenza tra il contributo di
solidarietà stabilito per il periodo anteriore e per quello
posteriore al 30 giugno 1991 sarebbe del tutto ingiustificata, data
l’identica natura del contributo stesso (che prescinde dalla
capacità contributiva) e tenuto conto che questo è previsto per la
prima volta dalla legge n. 166 del 1991, senza perciò che la
maggiorazione dell’aliquota possa spiegarsi con l’aggravio degli
interessi legali (all’epoca, del resto, previsti secondo un tasso
diverso). In secondo luogo, sarebbe ingiustificata l’attribuzione
agli enti previdenziali – con circoscritta e retroattiva deroga alla
disciplina generale della prescrizione dei contributi previdenziali –
del potere di esigere il contributo di solidarietà anche in
relazione a periodi rispetto ai quali il diritto si sarebbe già
prescritto, conseguendo così un irragionevole effetto di sanatoria
dell’inerzia degli enti previdenziali, i quali avrebbero ben potuto
interrompere la prescrizione subito dopo la sentenza della Corte
costituzionale n. 421 del 1995.
6.2. – Si sono costituite le parti ricorrenti nel giudizio a quo
chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni. Al riguardo
svolgono argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle sviluppate
dalle parti private nei giudizi promossi con le ordinanze di cui al
R.O. nn. 373 e 374 del 1998, aggiungendo che la soluti retentio dei
versamenti anteriori all’entrata in vigore della legge n. 166 del
1991 non è sorretta da alcuna finalità perequativa.
6.3. – Si è costituito anche l’INPS, chiedendo che la sollevata
questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata,
riproponendo al riguardo le stesse difese già svolte nel giudizio di
cui all’ordinanza n. 580 del 1998.
6.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di
manifesta infondatezza della sollevata questione, perché è
insindacabile il merito della scelta discrezionale del legislatore;
perché non viola il principio di uguaglianza la successione nel
tempo di discipline differenziate; perché la fissazione del termine
di prescrizione è riservata al legislatore, non essendo il termine
decennale espressione di un principio costituzionale; perché non
può la Corte costituzionale integrare la norma relativa alla soluti
retentio stabilendo disposizioni nuove (con forme di sgravio o
compensazioni), frutto di scelta discrezionale; perché sono
costituzionalmente legittime le norme che non consentono la
ripetizione di quanto corrisposto in più rispetto a chi abbia
soddisfatto l’obbligazione in via agevolata.
7. – Nel corso di un giudizio promosso da un datore di lavoro nei
confronti dell’INPS, il Pretore di Padova, con ordinanza del 20
luglio 1998 (R.O. n. 868 del 1998), ha sollevato – in riferimento
agli artt. 136, 3, 53 e 47 della Costituzione – questione di
legittimità costituzionale del citato art. 1, commi 193, ultima
parte, e 194.
7.1. – Secondo il rimettente, le norme denunciate violano: a)
l’art. 136 Cost., perché il comma 194, imponendo ai datori di lavoro
il contributo del quindici per cento delle somme erogate per il
finanziamento della previdenza privata, si pone in contrasto con la
sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995, la quale avrebbe
ritenuto legittima una sanatoria solo se accompagnata da un
contributo di solidarietà pari “al massimo” al dieci per cento; b)
l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata differenza dell’aliquota del
contributo di solidarietà prevista per il periodo anteriore e per
quello posteriore al 30 giugno 1991; c) gli artt. 3, 53 e 47 Cost.,
per l’imposizione del maggior onere contributivo esclusivamente a
carico dei datori di lavoro che hanno costituito forme di previdenza
integrativa e, quindi, prescindendo dalla loro capacità contributiva
e penalizzando una forma di risparmio; d) l’art. 3 Cost., per la
lesione sia del principio costituzionale e comunitario della certezza
del diritto, sia del principio della parità di trattamento con gli
altri crediti contributivi, a cagione dell’imprescrittibilità
disposta con effetto retroattivo, riaprendo rapporti esauriti per
prescrizione (per i quali non risultano atti interruttivi), in
violazione dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953.
Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente precisa che
la parte ricorrente del giudizio a quo ha chiesto la condanna
dell’INPS alla restituzione delle somme versate “per i titoli di cui
si tratta”.
7.2. – Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo
chiedendo l’accoglimento della sollevata questione e svolgendo a tal
fine argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle svolte a
sostegno della stessa questione dalle parti private nei giudizi
promossi con le ordinanze di cui al R.O. nn. 373, 374, 580 e 583 del
1998.
7.3. – Si è costituito anche l’INPS, chiedendo la declaratoria
di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della questione,
svolgendo difese analoghe a quelle formulate nei richiamati giudizi.
7.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
formulando argomentazioni e conclusioni identiche a quelle svolte e
prese nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 583 del 1998.
8. – Nel corso di un giudizio promosso da un datore di lavoro nei
confronti dell’INPS per la ripetizione dei contributi previdenziali
versati ai sensi del citato art. 1, commi 193 e 194, della legge
n. 662 del 1996, il Pretore di Ascoli Piceno, con l’ordinanza di cui
in epigrafe, iscritta al R.O. n. 914 del 1998, ha sollevato – in
riferimento agli artt. 3 e 136 della Costituzione – questione di
legittimità costituzionale delle menzionate disposizioni, nella
parte in cui dispongono che soggiace a contribuzione il periodo dal
1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, in deroga alle disposizioni di
cui all’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e
nella parte in cui è disposto un contributo del quindici per cento a
carico dei datori di lavoro inadempienti.
8.1. – Secondo il rimettente, le norme denunciate violano: a)
l’art. 3 Cost., perché prevedono una differente aliquota per il
contributo anteriore al 30 giugno 1991, rispetto a quella per il
contributo successivo, non giustificabile neppure con l’aggravio
degli interessi legali da ritardato pagamento, considerato che il
contributo risulta istituito solo nel 1991; b) ancora l’art. 3 Cost.,
per l’ingiustificata previsione di esigibilità di crediti
contributivi prescritti, perché dispongono con disciplina speciale
di carattere retroattivo ed eccezionale la riapertura di rapporti
giuridici altrimenti definiti per decorso del tempo, così ledendo il
principio della certezza del diritto e della parità di trattamento;
c) l’art. 136 Cost., per contrasto con la sentenza della Corte
costituzionale n. 421 del 1995.
8.2. – Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio a quo
chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni, con difese
identiche a quelle formulate dalle parti nei giudizi promossi con le
ordinanze di cui al R.O. nn. 373, 374, 580, 583 e 868 del 1998.
8.3. – Si è costituito anche l’INPS, formulando argomentazioni e
conclusioni identiche a quelle già proposte nei suddetti giudizi.
8.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
richiamando le difese svolte nel giudizio di cui all’ordinanza
iscritta al n. 868 del 1998 e concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o, comunque, di manifesta infondatezza della
questione.
9. – Nel corso di due giudizi riuniti, promossi da alcuni datori
di lavoro nei confronti dell’INPDAI per la ripetizione di contributi
previdenziali versati, ai sensi del menzionato art. 1, comma 194,
nella misura del quindici per cento, il giudice del Tribunale di
Roma, con ordinanza del 7 giugno 1999 (R.O. n. 102 del 2000), ha
sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione
di legittimità costituzionale della citata disposizione, nella parte
in cui obbliga i datori di lavoro al pagamento dei suddetti
contributi previdenziali.
9.1. – Secondo il rimettente, in considerazione della riduzione a
cinque anni, a decorrere dal 1° gennaio 1996, del termine decennale
di prescrizione, disposta dall’art. 3 della legge n. 335 del 1995
(fatti salvi i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure
iniziate nel rispetto della normativa previgente) anche per le
contribuzioni relative a periodi precedenti alla data di entrata in
vigore di tale legge (17 agosto 1995), la norma denunciata –
comportando l’eccezionale reviviscenza di crediti contributivi già
prescritti (data la mancanza, nella specie, di atti interruttivi
della prescrizione) o comunque l’esigibilità di crediti sostitutivi
di quelli contributivi ordinari prescritti – confliggerebbe con i
princìpi di certezza del diritto e di intangibilità dei rapporti
esauriti, interpretati alla luce del canone generale di
ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost.
Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente – dopo avere
sottolineato che la riserva di ripetizione formulata all’atto del
pagamento dei contributi esclude l’ipotesi di pagamento spontaneo di
un debito prescritto prevista dall’art. 2940 cod. civ. – evidenzia
“l’imprescindibilità dalla norma impugnata” per decidere la
controversia posta al suo esame.
9.2. – Si sono costituite due delle parti ricorrenti nel giudizio
a quo, chiedendo l’accoglimento della sollevata questione ed
argomentando in modo conforme a quanto dedotto a sostegno della
medesima questione nel giudizio di costituzionalità di cui
all’ordinanza iscritta al n. 868 del 1998.
9.3. – Si è costituito anche l’INPDAI, concludendo per la
declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della sollevata
questione, tenuto conto, da un lato, che il credito contributivo di
solidarietà del quindici per cento, istituito ex novo con la legge
n. 662 del 1996, certamente non può considerarsi prescritto già
prima dell’entrata in vigore della medesima legge; dall’altro, che la
norma denunciata, lungi dal “riaprire rapporti esauriti”, si è
limitata ad applicare la sentenza della Corte costituzionale n. 421
del 1995.
9.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
richiamando le difese svolte nel giudizio di costituzionalità di cui
all’ordinanza iscritta al n. 868 del 1998 e concludendo per la
declaratoria di inammissibilità o, comunque, di manifesta
infondatezza della sollevata questione.
10. – Nell’imminenza dell’udienza hanno presentato memorie alcune
delle parti private ricorrenti nei giudizi a quibus, nonché l’INPS e
l’interveniente S.p.a. Reconta Ernst & Young.
10.1. – Le parti ricorrenti nel giudizio a quo di cui alla
ordinanza iscritta al n. 181 del 1998 insistono – con unica memoria –
nella propria posizione, incidentalmente affermando che la normativa
impugnata prevede, per il periodo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno
1995, un vero e proprio contributo previdenziale, sia pure ridotto al
quindici per cento, diverso per natura dal contributo di solidarietà
del 10 per cento, previsto per il periodo successivo.
10.2. – Le parti ricorrenti nei giudizi a quibus di cui alle
ordinanze iscritte ai nn. 373, 374, 580, 582, 583 e 868 del 1998, con
unica memoria, ribadiscono l’ammissibilità delle questioni,
richiamando le argomentazioni svolte dai giudici rimettenti.
Nel merito, esse rilevano che le norme denunciate, confondendo
solidarietà settoriale (o categoriale) e solidarietà generale,
utilizzano l’istituto del contributo di solidarietà in luogo del
prelievo fiscale, con irragionevole pregiudizio proprio di
quell’esiguo numero di datori di lavoro che, con elevata sensibilità
sociale, hanno finanziato forme di previdenza complementare.
Osservano, inoltre, che la volontà del legislatore di soddisfare –
con la normativa impugnata – le esigenze finanziarie degli enti
previdenziali ha fatto venir meno ogni contemperamento dei valori
costituzionali rilevanti, ingiustificatamente sacrificando il valore
dell’affidamento, attraverso l’imposizione di una disciplina
derogatoria e retroattiva, tale da incidere addirittura sui rapporti
esauriti.
Le stesse parti, per il resto, ripropongono, con maggiore
ampiezza, le argomentazioni già svolte in giudizio ed in particolare
invocano la sentenza n. 421 del 1995 della Corte costituzionale,
intesa come pronuncia dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
dell’art. 9-bis del decreto-legge n. 103 del 1991, introdotto dalla
legge di conversione n. 166 del 1991, nella parte in cui non prevede,
quale contropartita all’esonero della contribuzione ordinaria, un
contributo di solidarietà pari “al massimo” al dieci per cento.
10.3. – La parte ricorrente nel giudizio a quo di cui alla
ordinanza iscritta al n. 914 del 1998, con la propria memoria – nel
rinviare per il resto a quella presentata dalle parti ricorrenti nei
giudizi di cui alle ordinanze iscritte ai nn. 373, 374, 580, 582,
583, 868 del 1998 – ribadisce le ragioni di ammissibilità della
questione prospettata dal giudice rimettente ed osserva, in
particolare, che la censura di incostituzionalità riguarda proprio
la differenza per eccesso tra l’aliquota contributiva del quindici
per cento e quella del dieci per cento.
10.4. – Una delle parti ricorrenti nel giudizio a quo di cui
all’ordinanza iscritta al n. 102 del 2000, nella propria memoria –
con la quale rinvia, per il resto, a quella presentata dalle parti
ricorrenti nel giudizi a quibus di cui alle ordinanze iscritte ai
nn. 373, 374, 580, 582, 583, 868 del 1998 – sottolinea, in punto di
ammissibilità delle questioni, la fondatezza delle argomentazioni
del giudice rimettente e rileva, nel merito, che, prima dell’entrata
in vigore delle norme denunciate, gli enti previdenziali ben
avrebbero potuto interrompere la prescrizione facendo valere in
giudizio il loro diritto alla contribuzione, portando, in via
incidentale, allo scrutinio della Corte costituzionale la norma che
lo escludeva.
Aggiunge, sempre nel merito, che – contrariamente a quanto
ritenuto dall’INPDAI – la sentenza della Corte n. 421 del 1995 non ha
inciso sulla prescrizione di alcun credito, mentre la denunciata
norma pretende di sopprimere qualsiasi termine di prescrizione, anche
per crediti ormai interamente consumati dal decorso del tempo.
10.5. – Un’altra delle parti ricorrenti nel giudizio a quo per
ultimo citato si limita a rinviare alla stessa memoria sopra
menzionata.
10.6. – L’INPS ha presentato memoria nei giudizi promossi con le
ordinanze di cui ai nn. 373, 374, 580, 582, 583, 868 e 914 del 1998,
chiedendo: a) l’estromissione dal giudizio degli intervenienti S.p.a.
Cassa di Risparmio di Ravenna (R.O. 373 del 1998) e S.p.a. Reconta
Ernst & Young (R.O. 582 del 1998, per la tardività della
costituzione e per la mancanza della qualità di parti nei giudizi a
quibus; b) la declaratoria dell’inammissibilità delle questioni, in
quanto sollevate in via principale e non già incidentale; c) la
declaratoria d’inammissibilità delle questioni per mancata
motivazione sulla rilevanza, data la carenza dell’attestazione
dell’effettivo pagamento dei contributi indicati dalla norma
denunciata e data l’omessa precisazione dei contributi (e dei
relativi periodi contributivi) per i quali si sarebbe verificata la
prescrizione; d) la declaratoria di infondatezza delle questioni per
le ragioni già esposte nella precedente difesa, tenuto ulteriormente
conto che, in caso di accoglimento, si riproporrebbe la stessa
situazione normativa che ha condotto alla pronuncia n. 421 del 1995,
con alterazione dell’equilibrio stabilito dalle leggi di spesa
(intese in senso ampio) e quindi con violazione sia degli artt. 2 e
38 che dell’art. 81 Cost.
10.7. – Ha presentato memoria anche la S.p.a. Reconta Ernst &
Young, la quale – come già rilevato – non è parte nel giudizio a
quo di cui all’ordinanza iscritta al n. 582 del 1998 ed ha inoltre
spiegato intervento fuori termine.
10.8. – Ha infine depositato memoria anche l’INPDAI, il quale ha
illustrato le motivazioni svolte in sede di costituzione, nel
giudizio instaurato con l’ordinanza di cui al n. 102 del 2000,
ribadendo la richiesta di declaratoria di inammissibilità o di
infondatezza della sollevata questione, con riferimento sia al regime
prescrizionale del contributo di solidarietà, sia alla
determinazione dello stesso.
costituzionale dell’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), appuntando le
loro censure, chi sul solo comma 193 (che sostituisce il comma 1
dell’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, aggiunto
dalla legge di conversione del 1° giugno 1991, n. 166), chi sul solo
comma 194 (nella parte in cui stabilisce, limitatamente al periodo
contributivo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, in deroga alle
disposizioni sulla prescrizione dei crediti contributivi
previdenziali di cui all’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto
1995, n. 335, che i datori di lavoro – per i periodi per i quali non
abbiano versato i contributi di previdenza ed assistenza sociale
sulle contribuzioni e somme di cui al citato art. 9-bis comma 1, del
decreto-legge n. 103 del 1991, come sostituito dal comma 193 dello
stesso art. 1 della legge n. 662 del 1996 – sono tenuti al pagamento
dei contributi previdenziali nella misura del quindici per cento
sulle predette contribuzioni e somme, senza oneri accessori), chi
infine su entrambi i commi citati.
Con le ordinanze di rimessione vengono complessivamente
sollevati, in riferimento ai quattro diversi parametri evocati, tre
distinti gruppi di questioni. Infatti si dubita della legittimità
costituzionale della denunciata normativa:
a) in riferimento all’art. 3 della Costituzione:
a.1) per ingiustificata disparità di trattamento fra i
datori di lavoro che, per il periodo contributivo dal 1° settembre
1985 al 30 giugno 1991, hanno versato, anteriormente al 2 giugno 1991
(giorno di entrata in vigore della legge n. 166 del 1991, di
conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 103 del 1991),
il maggior importo previsto dalla contribuzione previdenziale
ordinaria (dichiarato non ripetibile dall’art. 9-bis primo comma, del
citato decreto-legge n. 103 del 1991) ed i datori di lavoro che, non
avendo effettuato tale versamento, sono tenuti, per lo stesso periodo
contributivo, al pagamento del contributo di solidarietà (di minore
importo) pari al quindici per cento dei finanziamenti alla previdenza
complementare (R.O. n. 181 del 1998: il rimettente ritiene
ingiustificata la riduzione dell’entità dell’obbligo contributivo;
R.O. n. 583 del 1998: il rimettente impugna il solo comma 193,
ritenendo – all’opposto – ingiustificata la soluti retentio di quanto
già versato secondo contribuzione ordinaria);
a.2) per ingiustificata disparità di trattamento fra i
datori di lavoro, conseguente alla diversa entità del contributo di
solidarietà previsto per il periodo contributivo dal 1° settembre
1985 al 30 giugno 1991 (quindici per cento) rispetto a quello
previsto per il periodo successivo (dieci per cento) (R.O. n. 580 del
1998; R.O. n. 582 del 1998 e R.O. n. 583 del 1998, riferite solo al
comma 194; R.O. n. 868 del 1998; R.O. n. 914 del 1998);
a.3) per l’eccessiva entità del contributo di
solidarietà (inidoneo, data la sua funzione, ad elevare direttamente
i livelli di trattamento pensionistico) previsto, per il periodo dal
1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, nella misura del quindici per
cento, superiore a quella stabilita per altri contributi di identica
natura (R.O. n. 580 del 1998);
a.4) per violazione (con la disposizione del comma 194)
del principio della certezza del diritto, del principio
dell’eguaglianza di trattamento rispetto agli altri crediti
previdenziali, del principio di intangibilità dei rapporti esauriti
e del principio di ragionevolezza, perché – con espressa ed
asseritamente ingiustificata deroga al regime ordinario della
prescrizione dei contributi previdenziali previsto dall’art. 3, commi
9 e 10, della legge n. 335 del 1995, supplendo alla colpevole inerzia
degli enti previdenziali – rende retroattivamente imprescrittibili ed
esigibili i crediti relativi ai contributi di solidarietà dovuti per
il periodo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, anche se già
estinti per prescrizione o comunque anche se sostitutivi di crediti
contributivi ordinari estinti a loro volta per prescrizione (R.O.
nn. 373, 374, 580, 583, 868, 914 del 1998; R.O. n. 102 del 2000);
a.5) per aver realizzato (con la disposizione del comma
194) un’ipotesi di “legge personale”, essendo la norma diretta a
colpire soggetti specificamente individuabili, supplendo, attraverso
l’espressa deroga al regime generale della prescrizione dei crediti
contributivi previdenziali, all’inerzia degli enti di previdenza
(R.O. n. 582 del 1998);
b) in riferimento al combinato disposto degli artt. 3, 53 e
47 della Costituzione, per avere il legislatore imposto il maggior
onere contributivo del quindici per cento a carico dei soli datori di
lavoro che hanno costituito forme di previdenza integrativa, così
discriminandoli senza tener conto della loro capacità contributiva e
penalizzando, altresì, una forma di risparmio (R.O. n. 868 del
1998);
c) in riferimento all’art. 136 della Costituzione, perché il
legislatore (con il comma 194) non avrebbe ottemperato alla sentenza
n. 421 del 1995 di questa Corte, che dichiarò l’illegittimità
costituzionale del totale esonero contributivo sui finanziamenti a
fondi di previdenza complementare (disposto, per il periodo anteriore
al 2 giugno 1991, dalla legge n. 166 del 1991, che ha introdotto, in
sede di conversione, l’art. 9-bis, primo comma, del decreto-legge
n. 103 del 1991, nella formulazione originaria), siccome non
correlato ad una contropartita “analoga” (intesa dai rimettenti come,
al più, “identica nella misura”) al contributo di solidarietà del
dieci per cento, previsto per il periodo decorrente dal 2 giugno
1991, data di entrata in vigore della legge n. 166 del 1991 (R.O.
n. 582 del 1998; R.O. n. 583 del 1998, nella quale si evoca detto
parametro, pur dichiarandosi di “prescindere” dalla censura; R.O.
nn. 868 e 914 del 1998).
2. – I nove giudizi di cui in epigrafe, in quanto propongono
questioni sostanzialmente identiche o, comunque, oggettivamente
connesse, vanno riuniti e congiuntamente decisi; previa affermazione
d’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla S.p.a. Cassa di
risparmio di Ravenna, poiché essa non riveste la qualità di parte
nel giudizio a quo (v., ex plurimis ordinanza n. 390 del 1999 e
sentenza n. 421 del 1995); nonché di quello spiegato dalla S.p.a.
Reconta Ernst & Young, la quale, oltre a non rivestire la qualità di
parte nel giudizio a quo si è anche costituita tardivamente, cioè
dopo la scadenza del termine perentorio di venti giorni dalla
pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale,
fissato dagli artt. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87 e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
(v., ex plurimis, ordinanza n. 85 del 2000).
3. – Le questioni sono in parte inammissibili e in parte non
fondate.
3.1. – L’ordinanza del Pretore di Milano del 2 maggio 1998 (R.O.
n. 582 del 1998) omette di indicare gli elementi della fattispecie
oggetto del giudizio principale, impedendo a questa Corte ogni
valutazione sulla rilevanza della sollevata questione. Quest’ultima
va perciò dichiarata manifestamente inammissibile, secondo quanto
esattamente eccepito dall’Avvocatura dello Stato.
3.2. – Per quanto attiene alle altre ordinanze di rimessione, va
invece disattesa l’eccezione di inammissibilità delle sollevate
questioni mossa dall’INPS, perché queste non esauriscono il petitum
dei giudizi a quibus, ma sono – giusta come adeguatamente motivato
nelle stesse ordinanze – meramente strumentali alla tutela richiesta
ai giudici rimettenti (v., ex plurimis, sentenze n. 4 del 2000 e
n. 17 del 1999).
3.3. – Ai fini di un proficuo esame delle questioni stesse, giova
ricordare che il quadro normativo e giurisprudenziale in cui queste
si inseriscono si è venuto delineando, diacronicamente, attraverso
sei fasi.
3.3.1. – Inizialmente, la nozione generale di retribuzione
imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza
sociale, fissata dall’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nel
testo vigente prima della sua sostituzione, ad opera dell’art. 6,
comma 1, del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314,
ricomprendeva – secondo l’interpretazione fornitane dal diritto
(allora) vivente, e come riconosciuto anche da questa Corte nella
sentenza n. 427 del 1990 e nell’ordinanza n. 225 del 1995 – i
contributi versati dalle imprese a fondi di previdenza integrativa
previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti
aziendali.
3.3.2. – Successivamente, il legislatore, con l’art. 9-bis comma
1, primo periodo, del decreto-legge n. 103 del 1991, aggiunto dalla
legge di conversione del 1° giugno 1991, n. 166 – norma innovativa
munita di efficacia retroattiva (in virtù dell’impropria
autoqualificazione come legge di “interpretazione autentica”,
contenuta nella rubrica dell’articolo: v., in tal senso, la sentenza
n. 421 del 1995, l’ordinanza n. 225 del 1995, nonché, per analoghi
rilievi, la sentenza n. 427 del 1990) – derogò a detta nozione
generale di retribuzione imponibile, escludendo da questa i predetti
contributi. Con il secondo periodo dello stesso comma, poi, il
legislatore introdusse anche una eccezione a tale eccezione,
limitando la retroattività della norma nel senso di attribuire agli
enti previdenziali la soluti retentio dei versamenti contributivi
già effettuati anteriormente alla data di entrata in vigore della
legge di conversione (v., per tale ricostruzione, l’ordinanza n. 225
del 1995). In tal modo, senza richiedere alcuna contropartita, il
legislatore del 1991 concesse una sanatoria totale ai datori di
lavoro inadempienti a detti obblighi contributivi per il periodo
anteriore al 2 giugno 1991.
Il secondo ed il terzo comma dell’articolo imposero, a decorrere
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (e con
soggezione alle disposizioni in materia di riscossione, ai termini di
prescrizione ed alle sanzioni vigenti per le contribuzioni dei regimi
pensionistici obbligatori di pertinenza), un contributo di
solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura
del dieci per cento, in favore delle gestioni pensionistiche di legge
cui sono iscritti i lavoratori.
3.3.3. – In un terzo momento, a séguito del decreto legislativo
del 21 aprile 1993, n. 124 (in vigore dal 28 aprile 1993, ai sensi
dell’art. 19), attuativo dell’art. 3 della legge delega 23 ottobre
1992, n. 42, è venuto meno (senza efficacia retroattiva) per i fondi
di previdenza complementare il referente dell’art. 12 della legge
n. 153 del 1969. Come ha infatti già ritenuto la Corte, dopo queste
leggi “le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi
non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione
previdenziale , ma sono strutturalmente contributi di natura
previdenziale, come tali estranei alla nozione di retribuzione
imponibile ai sensi e agli effetti dell’art. 12 della legge n. 153
del 1969, potendo (e dovendo) formare oggetto soltanto di un
contributo di solidarietà alla previdenza pubblica, il quale non è
un contributo previdenziale in senso tecnico” (sentenza n. 421 del
1995).
3.3.4. – L’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (in
vigore, ai sensi dell’art. 17, dal 17 agosto 1995) ha assoggettato i
crediti contributivi di previdenza e di assistenza sociale
obbligatoria alla prescrizione:
a) decennale, per le contribuzioni di pertinenza del Fondo
pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche
obbligatorie, “compreso il contributo di solidarietà previsto
dall’art. 9-bis comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, ed
esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle
gestioni pensionistiche”;
b) quinquennale, per le stesse contribuzioni, a decorrere dal
1° gennaio 1996, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi
superstiti;
c) quinquennale, per tutte le altre contribuzioni di
previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.
Il comma 10 dello stesso articolo ha stabilito che i termini di
prescrizione di cui al comma 9 si applicano anche alle contribuzioni
relative ai periodi precedenti la data di entrata in vigore della
legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti
o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente;
aggiungendo che agli effetti del computo dei termini prescrizionali
non si tiene conto della sospensione (di un triennio a decorrere dal
12 settembre 1983) “prevista dall’art. 2, comma 19, del decreto-legge
12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge
11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti
e le procedure in corso”.
3.3.5. – Con sentenza n. 421 del 1995 (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica del 14 settembre 1995) questa Corte –
ritenendo che “il contributo di solidarietà è una contropartita
necessaria dell’esclusione delle contribuzioni ai fondi di previdenza
complementare dalla base imponibile per la determinazione dei
contributi di previdenza e di assistenza sociale” e che “l’omessa
previsione di esso nell’art. 9-bis, comma 1, del decreto-legge n. 103
del 1991, inficia di illegittimità costituzionale, per contrarietà
agli artt. 3 e 38 Cost., la disposizione dettata nel primo periodo
del comma medesimo” – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’appena citata norma.
Nella motivazione si sottolinea che la sanatoria totale a favore
dei datori di lavoro, “senza alcuna contropartita analoga” al
contributo di solidarietà previsto per il futuro (a decorrere dal 2
giugno 1991), si pone “in contrasto col principio di
razionalità-equità (art. 3 Cost.) coordinato col principio di
solidarietà, col quale deve integrarsi l’interpretazione
dell’art. 38, secondo comma, Cost.”, così da imporre la caducazione
della norma di favore.
3.3.6. – Infine, le ora denunciate norme (entrate in vigore il 1°
gennaio 1997) hanno sostituito il comma 1 dell’art. 9-bis del citato
decreto-legge n. 103 del 1991, prevedendo, per il periodo dal 1°
settembre 1985 al 30 giugno 1991, “in deroga alle disposizioni di cui
all’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335”, un
contributo previdenziale del quindici per cento a carico dei datori
di lavoro inadempienti agli obblighi contributivi sui finanziamenti a
casse, fondi, gestioni, forme assicurative previdenziali o
assistenziali integrative di cui al suddetto art. 9-bis comma 1.
3.4. – Passando all’esame delle questioni di legittimità
costituzionale, a cominciare da quelle sollevate in riferimento
all’art. 3 (disparità di trattamento tra i datori di lavoro; entità
eccessiva del contributo del quindici per cento), va osservato quanto
segue.
3.4.1. – Sotto un primo profilo (v. retro punto 1, sub a.1),
l’evidente funzione di sanatoria dell’inadempimento dell’obbligazione
contributiva dei datori di lavoro, assolta dalle norme impugnate,
esclude la denunciata disparità di trattamento tra i datori di
lavoro che, per il periodo contributivo dal 1° settembre 1985 al 30
giugno 1991, abbiano versato, anteriormente al 2 giugno 1991 (data di
entrata in vigore della legge n. 166 del 1991, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge n. 103 del 1991), il maggior importo
previsto dalla contribuzione previdenziale ordinaria (dichiarato non
ripetibile dall’art. 9-bis comma 1, secondo periodo, del citato
decreto-legge n. 103 del 1991) ed i datori di lavoro che, non avendo
effettuato tale versamento, sono tenuti, per lo stesso periodo
contributivo, al pagamento di un contributo di minore importo, pari
al quindici per cento dei finanziamenti alla previdenza
complementare. È, infatti, la stessa natura di sanatoria del
beneficio concessso – con la contropartita del versamento di un
contributo di minore entità rispetto a quello altrimenti dovuto in
via ordinaria – a comportarne l’applicazione solo nei confronti di
coloro che ancora debbano regolarizzare la propria posizione, senza
che il principio costituzionale di eguaglianza resti di per sé
violato dal succedersi nel tempo di discipline differenziate, ed in
particolare dalla previsione della soluti retentio delle
contribuzioni ordinarie già versate e di una riduzione dell’entità
dell’obbligo contributivo per i datori di lavoro inadempienti che
fruiscano della sanatoria (v., per una analoga fattispecie, ordinanza
n. 103 del 1997).
3.4.2. – Sotto altro profilo (v. retro punto 1, sub a.2), la
diversa entità del contributo di solidarietà stabilito dalle norme
denunciate per il periodo contributivo dal 1 settembre 1985 al 30
giugno 1991 rispetto a quello stabilito per il periodo successivo
(dieci per cento), è palesemente giustificata dalla differenza
temporale del periodo di riferimento (con la conseguente diversa
durata dell’inadempimento), e dalla previsione del beneficio della
rateazione in diciotto bimestri del pagamento del debito contributivo
relativo al periodo più antico: così da non potersi ritenere
travalicati dal legislatore i limiti della ragionevolezza.
3.4.3. – Per le stesse ragioni, nonché per la peculiarità
dell’obbligazione contributiva in esame, non esula dai limiti della
ragionevolezza neppure la fissazione dell’entità del contributo
relativo al periodo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991 in misura
superiore a quella stabilita dalla legge per altri contributi di
identica od analoga natura (v. retro punto 1, sub a.3).
3.4.4. – Numerosi elementi – quali lo stretto collegamento con le
specifiche particolarità del caso; la delimitazione temporale del
periodo contributivo di riferimento; la necessità di disciplinare ex
novo in generale, per tale periodo, l’obbligazione contributiva dei
datori di lavoro esonerati dalla contribuzione (senza alcuna
contropartita) in forza dell’art. 9-bis comma 1, prima parte, del
decreto-legge n. 103 del 1991, norma dichiarata illegittima da questa
Corte con sentenza n. 421 del 1995 – danno, poi, nel loro complesso,
piena ragione dell’efficacia retroattiva e della funzione di
sanatoria assolta dalle norme denunciate; così da doversi escludere,
anche sotto tali profili, la violazione dell’art. 3 della
Costituzione. Tanto più che, come viene sottolineato nella stessa
sentenza, i datori di lavoro già totalmente esonerati dalla
contribuzione non possono fondare un’aspettativa legittima sulla
norma costituzionalmente illegittima posta dal citato art. 9-bis,
comma 1, prima parte, nell’originario testo.
Né la specifica delimitazione temporale e soggettiva della
fattispecie può considerarsi lesiva del principio di eguaglianza,
una volta che in via generale la disciplina eccezionale denunciata
dai rimettenti è stata ritenuta giustificata.
3.4.5. – Quanto all’ulteriore questione sollevata in riferimento
allo stesso parametro dell’art. 3 Cost., quella cioè relativa
all’asserita deroga che le denunciate norme avrebbero apportato al
regime ordinario della prescrizione dei crediti per i contributi
previdenziali (v. supra punto 1, sub a.4) e a.4-bis), va
preliminarmente constatato che i rimettenti – pur lamentando che le
norme stesse rendano esigibili crediti contributivi già prescritti
secondo il regime ordinario di cui all’art. 3, commi 9 e 10, della
legge n. 335 del 1995, ovvero illegittimamente configurino nuovi
crediti, sostitutivi di altri già prescritti – non forniscono
tuttavia alcuna precisazione sui termini di decorrenza e di durata
della prescrizione dei singoli crediti che nella specie le parti
assumerebbero essere già estinti per decorso del tempo.
Tale carente individuazione della fattispecie sottoposta al
giudizio delle autorità rimettenti si risolve nel difetto di
motivazione sulla rilevanza della questione: particolarmente
necessaria, stante la notevole ampiezza del periodo contributivo
contemplato dalla legge (1° settembre 1985-30 giugno 1991), e
considerato anche che taluni rimettenti stessi assumono –
contraddittoriamente con la loro premessa interpretativa della
disposta “reviviscenza” dei crediti contributivi già prescritti –
che le norme denunciate abbiano introdotto (il 1° gennaio 1997), per
il periodo in esame, un contributo prima non previsto dalla legge,
sostitutivo dei crediti prescritti.
La questione si appalesa, perciò, inammissibile.
3.5. – Prive di consistenza sono poi le censure che evocano
congiuntamente i parametri degli artt. 3, 53 e 47 della Costituzione
(v. supra punto 1, sub b).
Innanzitutto, è da ritenersi inconferente il riferimento
all’art. 53 Cost., poiché la contribuzione previdenziale (intesa in
senso lato, come comprensiva del contributo di cui alle norme
denunciate), non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e
propria, di carattere generale, ma è da considerare quale
prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli
oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (v., ex
plurimis, sentenza n. 173 del 1986).
Inoltre, non si vede come il contributo previsto per il periodo
dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991, possa comportare una lesione
del principio di tutela del risparmio di cui all’art. 47 della
Costituzione. Esso infatti rappresenta solo una “contropartita
necessaria dell’esclusione delle contribuzioni ai fondi di previdenza
complementare dalla base imponibile per la determinazione di
contributi di previdenza e di assistenza sociale”, quale esplicazione
del “principio di razionalità-equità (art. 3 Cost.) coordinato col
principio di solidarietà, col quale deve integrarsi
l’interpretazione dell’art. 38, secondo comma, Cost.”, in forza di
cui la tutela dell’interesse individuale dei lavoratori ad usufruire
di forme di previdenza complementare non deve andare disgiunta, in
misura proporzionata, da un “dovere specifico di cura dell’interesse
pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti
inadeguate, spettanti ai soggetti economicamente più deboli”
(sentenze n. 421 del 1995 e n. 292 del 1997).
Per le ragioni già viste, infine, non è irragionevole l’entità
del contributo stabilita dalla relativa norma denunciata, anche se
maggiore di quella del periodo successivo.
3.6. – Parimenti infondate si palesano, da ultimo, le censure per
violazione dell’art. 136 Cost. (v. supra, punto 1, sub c) che
muovono, all’evidenza, da una errata interpretazione del contenuto
della sentenza n. 421 del 1995, la quale, in realtà, si è limitata
a dichiarare, con pronuncia meramente caducatoria, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 9-bis comma 1, primo periodo, del
decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, aggiunto dalla legge di
conversione 1° giugno 1991, n. 166. Questa Corte, difatti, ha
motivato la incostituzionalità dell’esclusione delle contribuzioni
ai fondi di previdenza complementare dalla base imponibile per la
determinazione dei contributi di previdenza e di assistenza sociale,
con la mancata previsione, da parte del legislatore, di una
“contropartita analoga al “contributo di solidarietà imposto per il
futuro” dal comma 2 dell’art. 9-bis del decreto-legge n. 103 del 1991
(contropartita definita “necessaria” per la legittimità
dell’esenzione dalle contribuzioni in questione); avvertendo
espressamente che “la caducazione della norma di favore non
interferisce nella discrezionalità del legislatore, il quale rimane
libero di intervenire come meglio crede per riordinare la materia
riconducendone la disciplina a razionalità”.
Il nuovo legislatore, pertanto, non si è discostato dal decisum
della Corte, ma, in aderenza alle statuizioni di essa, ha imposto ai
datori di lavoro, per il periodo in questione, un contributo di
solidarietà appunto “analogo” (cioè simile, anche se non identico
nella misura) al contributo di solidarietà stabilito per il futuro,
quale “contropartita” dell’esclusione dei finanziamenti alla
previdenza complementare dalla base imponibile per la determinazione
dei contributi previdenziali.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi;
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), sollevata dal pretore di Milano, con l’ordinanza in
epigrafe, iscritta al R.O. n. 582 del 1998;
Dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 194, della legge n. 662 del 1996,
nella parte in cui deroga al regime ordinario della prescrizione dei
contributi previdenziali di cui all’art. 3, commi 9 e 10, della legge
8 agosto 1995, n. 335, sollevata, con le altre ordinanze in epigrafe,
dal Pretore di Torino (R.O. nn. 373 e 374 del 1998), dal pretore di
Cuneo (R.O. n. 580 del 1998), dal pretore di Milano (R.O. n. 583 del
1998), dal pretore di Padova (R.O. n. 868 del 1998), dal pretore di
Ascoli Piceno (R.O. n. 914 del 1998), dal giudice del Tribunale di
Roma (R.O. n. 102 del 2000);
Dichiara non fondate le altre questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 193 e 194, della legge n. 662 del
1996, sollevate, con le ordinanze in epigrafe, dal pretore di Forlì,
sezione distaccata di Cesena (R.O. n. 181 del 1998), dal pretore di
Milano (R.O. n. 583 del 1998), dal pretore di Cuneo (R.O. n. 580 del
1998), dal pretore di Padova (R.O. n. 868 del 1998), dal pretore di
Ascoli Piceno (R.O. n. 914 del 1998).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria l’8 giugno 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola