Sentenza N. 179 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
17/11/1971
Data deposito/pubblicazione
17/11/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/11/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla “disciplina igienica
della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle
bevande”, promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1969 dal pretore
di Bitonto nel procedimento penale a carico di Lovero Antonia e La
Fortuna Luigi, iscritta al n. 444 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio
1970.
Visti gli atti di costituzione di Luigi La Fortuna e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore
Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Antonia Lovero
e di Luigi La Fortuna – imputati della contravvenzione prevista dagli
artt. 5, lett. d, ultimo comma, e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283,
sulla “disciplina igienica della produzione e della vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande” – il pretore di Bitonto ha
ritenuto rilevante e non manifestamente infondata una questione di
legittimità costituzionale, sollevata dalla difesa del La Fortuna,
concernente l’art. 1, terzo comma, della predetta legge.
Nell’ordinanza di rimessione, emessa il 7 novembre 1969, si osserva
che la disposizione, in quanto non impone che, qualora l’analisi del
prodotto accerti la sua non corrispondenza ai requisiti fissati dalla
legge, il risultato venga comunicato, oltre che all’esercente presso il
quale è stato effettuato il prelievo, anche ad altri esercenti che
possano essere ritenuti responsabili della irregolarità, pone questi
ultimi in condizione di non poter esercitare quel mezzo di difesa –
l’istanza di revisione dell’analisi – che il quarto comma prevede per
tutti gli interessati, con la conseguente violazione del principio di
eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto inviolabile di difesa (art.
24, secondo comma, Cost.).
2. – Nel presente giudizio si è costituito, con atto del 22
novembre 1969, il signor Luigi La Fortuna ed è intervenuto, con atto
del 20 gennaio 1970, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
3. – La difesa del La Fortuna, premessa un’esposizione dei fatti di
causa, mette in evidenza che il suo assistito, sottoposto a
procedimento penale con l’imputazione di aver venduto all’esercente
Lovero la partita di formaggio dalla quale erano stati prelevati i
campioni, non ricevette alcuna comunicazione del risultato dell’analisi
e, quindi, non fu posto in grado di impugnarla attraverso la richiesta
di revisione, con la conseguenza di trovarsi poi di fronte ad un già
compiuto atto processuale del quale è consentita la lettura in
dibattimento e che costituisce legittima fonte di convincimento del
giudice. Tutto ciò – così prosegue la difesa – determina una
disparità di trattamento fra l’esercente presso il quale è stato
fatto il prelievo e gli altri soggetti che pur sarebbero interessati ad
impugnare la prima analisi, in contrasto sia con l’art. 3 che con
l’art. 24 della Costituzione: la violazione di quest’ultimo è di tutta
evidenza in base ai principi affermati da questa Corte e secondo i
quali all’indiziato di reato deve essere assicurato un minimo di difesa
personale e tecnica.
L’atto di costituzione si conclude con la richiesta che la
questione proposta dall’ordinanza di rimessione sia riconosciuta
fondata.
4. – L’Avvocatura dello Stato, dopo aver espresso, sulla base dei
dati desumibili dalla rubrica di imputazione premessa all’ordinanza di
rinvio, qualche dubbio sulla rilevanza della questione, sostiene che
questa è infondata. A conforto di tale tesi si richiama il principio –
enunciato in via generale nella sentenza n. 86 del 1968 e ribadito,
proprio a proposito dalla legge n. 283 del 1962, nella sentenza n. 149
del 1969 – secondo il quale la linea di demarcazione fra indagini
generiche ed atti istruttori coincide col momento in cui un soggetto
risulti indiziato di reato: a tale principio è conforme la
disposizione ora impugnata, perché l’esito sfavorevole della prima
analisi fa sorgere un indizio solo nei confronti dell’esercente presso
il quale è stato effettuato il prelievo e, se si tratti di confezione
originale, nei confronti del produttore. Indizi a carico di altri
soggetti possono sorgere attraverso ulteriori indagini, non
disciplinate dalla legge speciale e dal relativo procedimento di
prelievo, analisi e revisione: né riguarda la denunziata disposizione
il più ampio problema del valore e dell’efficacia degli accertamenti
generici di polizia giudiziaria nei confronti di coloro che solo
successivamente risultino indiziati. Per queste ragioni, ad avviso
dell’Avvocatura, la questione risulta infondata sia in riferimento
all’art. 24 che all’art. 3 della Costituzione, essendo evidente, per
quanto riguarda quest’ultimo, che la posizione dell’esercente presso il
quale è stato effettuato il prelievo è diversa da quella di chi gli
ha fornito la merce, perché solo nei confronti del primo il risultato
dell’analisi fa sorgere un indizio di reità.
5. – Nell’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato ha insistito
nelle sue deduzioni e conclusioni.
1. – L’art. 1, terzo comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283,
sulla “disciplina igienica della produzione e della vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande” prescrive che, ove attraverso
l’analisi compiuta dai competenti laboratori si accerti che i campioni
prelevati non corrispondono ai requisiti fissati dalla legge, il
risultato venga comunicato “all’esercente presso cui è stato fatto il
prelievo” e, se si tratti di merce “in confezioni originali”, al
produttore.
Ad avviso del giudice a quo, tale disposizione, nella parte in cui
esclude che la predetta comunicazione venga fatta anche ad altri
esercenti che possano essere ritenuti responsabili dell’irregolarità
del prodotto, ingiustificatamente non pone costoro in condizione di
esercitare quel mezzo di difesa (istanza di revisione dell’analisi) che
il quarto comma dello stesso articolo mette a disposizione di tutti
“gli interessati”: con ciò violando sia il principio di eguaglianza
(art. 3 Cost.) sia il diritto di difesa (art. 24, secondo comma,
Cost.).
2. – Questa Corte in numerose pronunzie ha ritenuto che,
nell’osservanza del precetto enunciato dall’art. 24, secondo comma,
della Costituzione, la legge deve garantire il diritto di difesa a
partire dal momento in cui l’indizio di reato “si soggettivizza nei
confronti di una determinata persona”. Di tale principio fu fatta
specifica applicazione proprio a proposito della legge n. 283 del 1962
(sent. n. 149 del 1969) e ad esso si ispirano le modifiche apportate
dalla legge 5 dicembre 1969, n. 932, all’art. 78 del codice di
procedura penale.
Posta questa premessa e rilevato che quando l’analisi del prodotto
alimentare ne accerta l’irregolarità sorge un indizio di reato (cfr.
sent. n. 149 del 1969), occorre verificare se la disposizione ora
impugnata metta tutti gli indiziati in condizione di esercitare la
propria difesa attraverso l’istanza di revisione. È ovvio che la
questione non investe il problema, al quale accenna la difesa dello
Stato, dell’efficacia degli atti di polizia giudiziaria nei confronti
dei soggetti che solo successivamente al loro compimento acquistino la
posizione di indiziati di reato: più limitatamente, invece, essa
riguarda la ipotesi nella quale, nel momento in cui si conclude
l’analisi, venga a risultare indiziato di reato, secondo i criteri
fissati dall’art. 78 cod. proc. pen., anche un soggetto diverso
dall’esercente presso il quale era stato effettuato il prelievo del
prodotto alimentare.
Così delimitata, la questione appare fondata. Si può prescindere
dal risolvere il dubbio se la legge, conferendo agli “interessati”
(art. 1, quarto comma) il diritto di chiedere la revisione
dell’analisi, si riferisca solo ai soggetti indicati nel comma
precedente come destinatari della comunicazione del risultato
dell’analisi ovvero, più in generale, a chiunque possa aver interesse
alla revisione. Anche se si potesse accogliere questa più larga
interpretazione, resterebbe pur sempre certo che solo l’esercente
presso il quale è stato fatto il prelievo ed il produttore in caso di
alimenti “in confezioni originali” vengono informati della riscontrata
irregolarità e sono posti in grado di richiedere, in un termine
perentorio, che si proceda alla revisione, con quelle garanzie
processuali che la citata sent. n. 149 del 1969 ha assicurato. Di modo
che qualsiasi altro, diverso soggetto, anche se in base ai già
compiuti atti di polizia giudiziaria sia coinvolto nell’indizio di
reità, vien messo in condizione di ignorare l’esito sfavorevole
dell’analisi e di non poter esercitare quella difesa che si realizza
attraverso la richiesta di revisione. Per questa parte, dunque, non è
dubbio che la disposizione denunziata opera una ingiustificata
discriminazione fra i soggetti indiziati di reato, con conseguente
violazione dell’art. 3 Cost., e non assicura a tutti quel diritto che
l’art. 24, secondo comma, Cost. definisce come “inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento”.
3. – I limiti entro i quali la disposizione impugnata, per quanto
innanzi si è detto, risulta costituzionalmente illegittima,
impediscono di dichiarare, come richiede il giudice a quo,
l’illegittimità delle parole “presso cui è stato fatto il prelievo”,
giacché con tale dichiarazione, imponendosi l’obbligo della
comunicazione all'”esercente” senza adeguata specificazione, si
andrebbe al di là di quanto è necessario per garantire il diritto di
difesa, in condizione di parità, a tutti coloro – e solo ad essi – che
nel momento in cui l’analisi accerta l’irregolarità del prodotto
vengono a risultare, allo stato degli atti, indiziati di reato. E
pertanto l’art. 1, comma terzo, della legge 30 aprile 1962, n. 283,
deve essere dichiarato illegittimo solo nella parte in cui esclude
l’obbligo della comunicazione a tutti coloro che in base agli atti
risultino indiziati di reato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma terzo,
della legge 30 aprile 1962, n. 283 (contenente disposizioni sulla
“disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande”), limitatamente alla parte in cui esclude
l’obbligo della comunicazione dell’esito dell’analisi anche a quei
soggetti che in base agli atti di polizia giudiziaria già compiuti
risultino indiziati di reato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.