Sentenza N. 18 del 1978
Corte Costituzionale
Data generale
07/03/1978
Data deposito/pubblicazione
07/03/1978
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/03/1978
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE
ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof.
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE, Giudici,
12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni), e dell’art. 4,
della legge 27 gennaio 1963, n. 19 (proroga delle locazioni degli
immobili urbani destinati ad uso commerciale), promosso con ordinanza
emessa il 15 luglio 1976 dal tribunale di Campobasso, nel procedimento
civile vertente tra Maria Leveque e la S.A.I.T., iscritta al n. 629 del
registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 314 del 24 novembre 1976.
Visto l’atto di costituzione della S.A.I.T., nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 dicembre 1977 il Giudice
relatore Paolo Rossi;
uditi gli avvocati Giovanni Mastrangelo e Franco Ciampitti, per la
S.A.I.T., e il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso di un giudizio di opposizione a precetto promosso dalla
signora Maria Leveque in Casotti, contro la Società Impresa Teatro –
la quale aveva intimato precetto per ottenere la riconsegna di una
azienda teatrale, in esecuzione di una sentenza della Corte d’appello –
il tribunale di Campobasso, giudice dell’opposizione all’esecuzione, ha
sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli
artt. 1, legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni) e 4,
legge 27 gennaio 1963, n. 19, per pretesa violazione degli artt. 3 e 41
della Costituzione.
Osserva il giudice a quo che l’art. 1 della citata legge 351 del
1974, escludendo dal regime di proroga i contratti di affitto di
azienda, violerebbe il principio d’eguaglianza in relazione ai
contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di pensioni,
alberghi, locande ed esercizi commerciali, soggetti a disciplina
vincolistica, attesa l’affinità delle situazioni così diversamente
regolate.
L’ordinanza di rimessione prosegue rilevando che l’art. 4 della
citata legge n. 19 del 1963, concedendo al solo conduttore di immobile
adibito ad attività commerciale – e non anche all’affittuario di
azienda – il diritto di optare tra la proroga biennale del contratto di
locazione ed il diritto all’avviamento commerciale, violerebbe il
principio di eguaglianza ed altresì l’art. 41 della Costituzione, per
la mancata valutazione dell’attività economica privata
dell’affittuario di azienda.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato,
con atto di deduzioni depositato il 14 dicembre 1976, chiedendo
dichiararsi l’inammissibilità o l’infondatezza della questione
sollevata.
Osserva la difesa dello Stato che il giudice a quo – investito
dell’opposizione a precetto ai sensi dell’art. 615, prima parte, c.p.c.
– incontra, nel vigente sistema processuale, considerevoli limiti alla
sua cognizione, che ne circoscrivono i poteri decisori.
Nei confronti del titolo esecutivo giudiziale – nella specie
sentenza di secondo grado – l’attore in opposizione non può proporre
censure che si risolvano in un gravame (le quali saranno proponibili
nella sede competente, ad esempio con appello o con ricorso per
Cassazione). Mentre trovano spazio le contestazioni in ordine alla
sussistenza dell’azione esecutiva, alla relativa legittimazione, agli
atti successivi estintivi dell’azione, limiti invalicabili derivano
dalle preclusioni proprie del tipo di giudizio in esame. Da tali
considerazioni la difesa dello Stato deduce l’inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale non essendo concesso al
giudice dell’opposizione all’esecuzione denunciare norme che, già
poste a fondamento del titolo giudiziale nella precedente fase di
cognizione, avrebbero dovuto essere riesaminate ed applicate dalla
Cassazione.
Nel merito l’Avvocatura dello Stato osserva che non sono
comparabili, in relazione all’art. 3 Cost., le norme che regolano le
locazioni degli immobili, anche se destinati ad uso commerciale, con
quelle disciplinanti l’affitto di azienda, in quanto questa è
un’universalità patrimoniale, idonea a produrre beni, mentre le
locazioni alberghiere avrebbero una tutela collegata all’interesse
turistico nazionale. Risulterebbe di conseguenza infondata ogni
censura, anche in relazione all’art. 41 Cost.
Si è costituita in giudizio la Società S.A.I.T., rappresentata e
difesa dagli Avvocati Franco Ciampitti e Giovanni Mastrangelo, con atto
depositato il 13 dicembre 1976, chiedendo dichiararsi
l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.
Osserva la difesa della S.A.I.T. che poiché il giudice
dell’opposizione non può modificare la sentenza di secondo grado fatta
valere esecutivamente, essendo chiamato a decidere non le questioni di
merito già risolte, ma soltanto l’esistenza del diritto ad agire in
executivis, non avrebbe potuto sollevare le questioni che ha proposto
innanzi alla Corte, per difetto di legittimazione. Soggiunge che
l’ordinanza del giudice a quo, datata 15 luglio 1976 è successiva al
momento in cui la Corte di cassazione ha preso in decisione il ricorso
proposto contro la sentenza utilizzata come titolo esecutivo, e che la
Cassazione ha respinto la questione ora sottoposta all’esame della
Corte costituzionale, ed ha rigettato il ricorso incidentale della
Leveque talché la sentenza della Corte d’appello è passata in
giudicato. Di qui la manifesta irrilevanza della questione di
legittimità costituzionale, in ordine alla quale lo stesso giudice a
quo non si è premurato di fornire motivazione alcuna, con conseguente
richiesta a questa Corte di trattazione in Camera di consiglio.
Nel merito, illustrando le diversità esistenti tra le locazioni di
immobili anche per uso commerciale, e l’affitto d’azienda, conclude per
l’infondatezza della censura prospettata in ordine all’art. 3 Cost.,
mentre osserva che la tutela giuridica dell’avviamento riconosciuta
soltanto in uno dei due casi troverebbe giustificazione nel diverso
concorso produttivo dell’imprenditore rispetto al conduttore
dell’immobile adibito ad uso commerciale.
1. – La Corte è chiamata a decidere se l’art. 1 della legge 12
agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni), che non estende agli
affitti di azienda il regime vincolistico previsto per le locazioni
degli immobili adibiti ad uso commerciale o alberghiero, contrasti o
meno con il principio di eguaglianza, attesa l’affinità delle
situazioni diversamente regolate. È parimenti denunciato, per
violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, l’art. 4 della legge
27 gennaio 1963, n. 19, secondo cui il conduttore degli immobili
adibiti ad attività commerciale o artigianale ha diritto ad un
compenso da parte del locatore per la perdita dell’avviamento in taluni
casi di cessazione del rapporto di locazione, per il dubbio che la
diversa disciplina, concernente l’affittuario di azienda, appaia
ingiustificata ed inconciliabile con il riconoscimento e la garanzia
della iniziativa economica privata.
2. – Occorre innanzitutto vagliare l’eccezione di inammissibilità
formulata dalla difesa dello Stato e dalla parte privata.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel
corso di un giudizio di opposizione a precetto intimato sulla base di
una sentenza civile emessa dal giudice di appello.
È pacifico – secondo la comune interpretazione della dottrina e la
costante giurisprudenza della Cassazione – che nel corso del giudizio
di opposizione all’esecuzione, promosso ex art. 615 c.p.c. (quando
l’azione esecutiva è fondata su di una sentenza, come nel caso di
specie) non sono riproponibili contestazioni concernenti l’oggetto del
giudizio di cognizione che ha dato luogo alla sentenza fatta valere in
executivis.
Dette censure, invero, possono esser proposte soltanto davanti al
giudice dell’appello o in Cassazione, ma mai davanti al giudice
dell’opposizione all’esecuzione, essendo vietata in tale sede la
ripetizione sotto qualunque profilo del processo di cognizione già
esaurito.
Tanto premesso è evidente che il sistema di preclusioni
processuali appena ricordato, impedisce al giudice a quo di applicare
le norme da lui denunciate, che attengono al processo di cognizione,
con conseguente irrilevanza delle questioni sottoposte a questa Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 1 legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni)
e 4 legge 27 gennaio 1963, n. 19, sollevate, in riferimento agli artt.
3 e 41 della Costituzione, con l’ordinanza del tribunale di Campobasso
in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 marzo 1978.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere