Sentenza N. 180 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1980
Data deposito/pubblicazione
22/12/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
novembre 1975, n. 764, recante “Soppressione dell’ente “Gioventù
Italiana “”, promossi con i ricorsi della Regione Sicilia e della
Regione Sardegna, notificati rispettivamente il 7 ed il 12 febbraio
1976, depositati in cancelleria l’11 ed il 20 successivi ed iscritti ai
nn. 4 e 7 del registro ricorsi 1976.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi l’avvocato Salvatore Villari per la Regione Sicilia,
l’avvocato Giuseppe Guarino per la Regione Sardegna e l’avvocato dello
Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Mediante un ricorso notificato il 7 febbraio e depositato l’11
febbraio 1976, la Regione Sicilia ha impugnato -per asserita violazione
degli artt. 3, 5, 116 e dell’ottava disposizione transitoria della
Costituzione, nonché degli artt. 14 lett. n), p), e q), 17 lett. c),
ed i), 32, 33 e 43 del relativo Statuto speciale – la legge statale 18
novembre 1975, n. 764, sulla soppressione dell’ente “Gioventù
italiana”.
Nel ricorso si assume anzitutto – traendo argomento da una serie di
precedenti legislativi e giurisprudenziali – che l’ente in questione si
sarebbe ridotto, già in forza dell’art. 6 del decreto-legge 2 agosto
1943, n. 704, ad un “patrimonio privo di scopi effettivi”, sebbene
“gravato dal peso di un folto gruppo di dipendenti”. L’art. 1 della
stessa legge impugnata, richiamando le “modalità” e le “procedure
stabilite dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404” (in tema di
soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di
altri enti interessanti la finanza statale), fornirebbe la riprova che
il reale motivo della soppressione dell’ente “Gioventù italiana”
consista nella cessazione dei fini già propri dell’ente medesimo. E,
d’altra parte, i “compiti istituzionali” dell’ente, che l’art. 2
trasferisce alle Regioni (unitamente alle relative “attività in atto
svolte”) sarebbero “caduti tutti per incompatibilità con la
Costituzione repubblicana”, essendo anzi stati “travolti insieme con il
partito fascista del quale la G.I.L. era la più penetrante
organizzazione” o comunque assunti da altre amministrazioni.
Di conseguenza, mancando il presupposto perché i compiti dell’ente
soppresso siano trasferiti alle Regioni, l’intera legge impugnata,
“intesa come legge di trasferimento di funzioni”, risulterebbe
incostituzionale “per violazione del principio di ragionevolezza”. Né
la conclusione muterebbe in vista delle “attività in atto svolte”
dall’ente medesimo, anche se la difesa regionale chiede che “in via
istruttoria” questa Corte ne accerti l’esatta consistenza.
Più specificamente, inoltre, il ricorso regionale censura l’art. 2
quinto comma della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui prevede
che il patrimonio immobiliare dell’ente soppresso sia trasferito “al
demanio” di ciascuna Regione. Con ciò stesso lo Stato verrebbe a porre
limiti circa la destinazione dei beni trasferiti, i quali perderebbero
il “carattere originario di beni patrimoniali per acquistare de jure
quello di beni demaniali della Regione”. Ma effetti del genere non
potrebbero essere disposti, senza violare l’art. 43 dello Statuto
regionale, indipendentemente dalle previe “determinazioni”
dell’apposita commissione paritetica, competente in tema di passaggio
degli uffici e del personale dello Stato alla Sicilia.
Quanto infine al personale dell’ente soppresso (o posto “comunque
alle dipendenze delle istituzioni permanenti dell’ente”, secondo l’art.
3 primo comma della legge impugnata), le disposizioni che ne regolano
il trasferimento verrebbero ad imporre alla Regione”norme diverse da
quelle che, per competenza esclusiva, essa sola legittimata ad
emanare”: con la conseguente violazione degli artt. 14 lett. p) e q),
17 lett. c) dello Statuto, 97 e 116 della Costituzione, nonché delle
leggi regionali già vigenti in materia. In ogni caso, qui pure si
richiederebbe – come più volte confermato dalla legislazione statale e
dalla giurisprudenza di questa Corte – il rispetto della procedura
prevista dall’art. 43 dello Statuto, a garanzia del “carattere
differenziato” dell’autonomia regionale siciliana.
2. – Per resistere al ricorso, si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato.
Nell’atto di costituzione, premesso che le funzioni dell’ente
“Gioventù italiana” non sarebbero venute meno malgrado la caduta
dell’ordinamento fascista, si afferma che rientrava “nella
discrezionalità del legislatore stabilire se i vasti compiti
istituzionali e le molte minori attività in concreto svolte dall’ente
“dovessero” essere fatte salve attraverso un loro trasferimento alle
Regioni o se fosse preferibile limitarsi ad una liquidazione
patrimoniale”. Una volta scelta la prima soluzione, si è reso però
necessario trasferire anche i beni dell’ente, parte allo Stato, parte
alle Regioni stesse; ed a questo proposito l’Avvocatura adombra
l’ipotesi che l’art. 2 della legge impugnata possa intendersi nel senso
che i beni della seconda specie entrino a far parte del patrimonio,
anziché del demanio regionale.
D’altronde, il corrispondente trasferimento del personale non sarebbe
immediato ma richiederebbe “un successivo provvedimento
amministrativo”: senza pertanto implicare una diretta lesione dello
Statuto speciale, nei termini denunciati dalla Regione ricorrente. Ed
anzi la lesione stessa potrebbe ipotizzarsi solo “in quanto non venisse
acquisito preventivamente” – nella fase attuativa della legge n. 764
del ’75 -“il parere delle Commissioni paritetiche”; sicché, da questo
lato, il ricorso si dimostrerebbe “inammissibile per difetto di un
interesse attuale”.
3. – Con una successiva memoria, riaffermate le ragioni del
ricorso, la difesa della Regione siciliana ha precisato che nella legge
impugnata, “non solo non si fa distinzione tra le Regioni ordinarie e
quelle speciali, ma queste sono espressamente menzionate, senza che
siano rispettate le modalità prescritte dagli Statuti speciali”.
Circa i beni trasferiti dalla legge stessa, l’autonomia regionale
siciliana sarebbe pregiudicata, sia “dal fatto che beni patrimoniali e
beni demaniali hanno disciplina e finalità diverse”, che il
legislatore statale avrebbe invece confuso, sia perché la Regione
sarebbe stata “chiamata anche a succedere nelle situazioni passive
inerenti ai beni predetti”.
Circa il personale, la norma sull’inquadramento nei ruoli regionali
sarebbe immediatamente operativa, salvi soltanto i dipendenti che
richiedano il passaggio ad una Regione diversa; per cui ogni singolo
provvedimento di messa a disposizione non rappresenterebbe altro che un
atto dovuto. Non a caso – si osserva – terzo e quarto comma dell’art. 3
della legge in questione pongono immediatamente a carico della Regione
gli oneri relativi alle retribuzioni del personale stesso; e la Sicilia
si è vista pertanto costretta ad emanare quattro leggi (n. 17 del
1976, n. 104 del 1977, n. 32 e n. 254 del 1979) per la provvisoria
erogazione delle somme necessarie, “in attesa della definizione dei
rapporti tra Stato e Regione, da attuare ai sensi dell’art. 43 dello
Statuto, e facendo salva ogni definitiva determinazione da adottare nel
rispetto delle competenze regionali”.
4. – La legge statale 18 novembre 1975, n. 764, è stata impugnata
anche dalla Regione Sardegna – con ricorso notificato il 12 febbraio e
depositato il 20 febbraio 1976 – ma limitatamente agli artt. 3, primo e
secondo comma, 6 e 7: tutti concernenti il trasferimento del personale
dell’ente “Gioventù italiana”.
Premesso che la legge in questione avrebbe attuato “un adeguamento
della legislazione statale alle esigenze dell’autonomia regionale”,
attraverso lo scioglimento di un ente pubblico operante nel settore
dell’assistenza e dello sport, la Regione ricorrente lamenta – tuttavia
– che la legge stessa avrebbe invaso la sfera di potestà legislativa
primaria attribuitale dallo art. 3 lett. a) del relativo Statuto
speciale, in tema di “stato giuridico ed economico” del personale
regionale. Né si potrebbe difendere la normativa così censurata, in
nome dell’ottava disposizione transitoria della Costituzione: sia
perché tale disposto riguarderebbe il passaggio di funzionari e
dipendenti dello Stato alle sole Regioni a statuto ordinario; sia
perché esso non si estenderebbe in nessun caso agli enti pubblici
distinti dallo Stato e sarebbe comunque inapplicabile una volta
conclusa, per ciascuna materia di competenza regionale, l’operazione di
primo trasferimento delle funzioni statali alle Regioni.
Oltre a ciò, dovrebbe dirsi illegittima “la disposizione che
trasferisce alla Regione quota parte del personale della sede centrale
del soppresso Ente”: dal momento che la Sardegna sarebbe già provvista
di un’organizzazione adeguata all’esercizio delle funzioni trasferite e
che mancherebbe, del resto, la necessaria “proporzionalità tra il
complessivo personale della sede centrale trasferito alle Regioni e il
trasferimento dei beni” rispettivi.
Infine, sarebbe stato violato l’art. 56 dello Statuto speciale: in
base al quale il passaggio del personale statale alla Regione dovrebbe
sempre avvenire “con la procedura stabilita per le norme di attuazione
(proposta di una Commissione paritetica…, parere del Consiglio
regionale, deliberazione del Consiglio dei Ministri, decreto
presidenziale)”.
5. – Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, chiedendo anche in tal caso che il ricorso venga dichiarato
in parte inammissibile, “per difetto di un interesse attuale”, e sia
comunque respinto.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, risulterebbe dalla giurisprudenza
di questa Corte (sentt. n. 243 del 1974 e n. 206 del 1975) che il
principio stabilito dall’ottava disposizione transitoria
costituzionale, quanto alla corrispondenza fra il passaggio dei beni e
delle funzioni statali alle Regioni ed il passaggio del relativo
personale, sarebbe applicabile anche al di là delle funzioni previste
dall’art. 117 Cost. In questo senso, allo scopo di evitare “una
indiscriminata moltiplicazione dei dipendenti pubblici” e di permettere
l’utilizzazione di un personale già sperimentato, la disposizione
predetta varrebbe per le stesse Regioni a statuto speciale; e andrebbe
riferita, in ogni caso, al passaggio delle funzioni e dei beni di enti
pubblici nazionali, sul tipo dell’ente “Gioventù italiana”. Del pari,
anche la previsione del passaggio alle Regioni d’una quota del
personale della sede centrale costituirebbe “applicazione di un
principio dettato dalla Corte con la ripetuta sentenza n. 243 del
1974”.
L’Avvocatura dello Stato ribadisce, inoltre, che la norma sul
trasferimento del personale dell’ente in esame non sarebbe
“immediatamente operativa”; sicché la denunciata lesione dei “diritti
statutari” della Regione ricorrente non potrebbe aversi se non in una
fase successiva, qualora la norma impugnata trovasse attuazione, senza
sentire preventivamente l’apposita Commissione paritetica.
6. – A sua volta, la Regione ricorrente ha depositato una memoria,
nella quale si osserva che la materia dell’ordinamento degli uffici,
nelle Regioni a statuto speciale, “si configura in modo profondamente
diverso rispetto alle Regioni ordinarie”: sia perché svincolata dal
limite dei principi che leggi dello Stato stabiliscono in tal campo,
sia perché ricollegata alle specifiche norme statutarie sul passaggio
degli uffici e del personale. La difesa regionale invoca in
quest’ultimo senso il precedente costituito dalla sentenza n. 206 del
1975, con cui la Corte ha imposto l’osservanza dell’art. 43 del
relativo Statuto speciale, per il trasferimento alla Regione siciliana
del personale dei soppressi enti edilizi; ed assume che la procedura
prescritta dall’articolo stesso sarebbe “in tutto simile a quella
prevista dall’art. 56 dello Statuto sardo”.
1. – I due ricorsi in esame si prestano ad essere riuniti, in
quanto censurano entrambi – per violazione delle rispettive autonomie
regionali, costituzionalmente e statutariamente garantite – la legge
statale 18 novembre 1975, n. 764, soppressiva dell’ente “Gioventù
italiana”: anche se la Regione Sardegna si limita ad impugnare le
disposizioni (artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 7) sul trasferimento
del personale già posto alle dipendenze dell’ente soppresso, nonché
sul conseguente trattamento relativo alle pensioni, all’assistenza
malattie ed alle indennità di buonuscita; mentre la Sicilia mette in
questione la legittimità costituzionale dell’intera legge, sia pure
svolgendo motivi che riguardano – in particolar modo – l’art. 2 primo
comma (sul trasferimento dei compiti dell’ente soppresso), i commi
successivi dell’articolo stesso (sul trasferimento del relativo
patrimonio), nonché le disposizioni contenute negli artt. 3 – 7 (in
quanto concernenti il personale trasferito alla Regione).
2. – Data la maggiore ampiezza della proposta impugnativa, giova
esaminare in primo luogo il ricorso della Regione Sicilia; il quale
coinvolge – come già si ricordava – tutta la legge n. 764 del 1975, in
riferimento ad una vasta ed eterogenea serie di parametri
costituzionali e statutari, rispettivamente costituiti dagli artt. 3,
5, 116, nonché dall’ottava disposizione transitoria della
Costituzione, e dagli artt. 14, lett. n, p e q, 17, lett. c ed i, 32,
33 e 43 dello Statuto siciliano (cui si aggiunge l’art. 97 Cost., che
il ricorso considera violato nella parte riguardante il buon andamento
dell’amministrazione).
Per altro, la Corte non può non riscontrare che il ricorso si
presenta per molteplici aspetti inammissibile. Nella premessa di tale
atto si richiama espressamente la previa deliberazione della Giunta
regionale siciliana, che è stata in effetti adottata il 23 gennaio
1976. Senonché la Giunta, nell’autorizzare la proposizione del ricorso
stesso, lamentava soltanto che la legge n. 764 del 1975, “statuendo
unilateralmente il trasferimento dei compiti del soppresso Ente
Gioventù Italiana alla Regione, senza dar modo a questa di farsi
sentire” in proposito, concretasse “una lesione immediata dalle
prerogative regionali costituzionalmente garantite, sotto il profilo
della violazione dell’art. 43 dello Statuto Regionale”. Ciò comporta
che il sindacato sulla pretesa lesione di tutti i parametri diversi
dall’articolo 43 dello Statuto debba essere escluso dall’attuale
giudizio. Ed effettivamente l’esigenza che le impugnazioni regionali di
leggi dello Stato siano promosse dal Presidente della Giunta regionale
“previa deliberazione della Giunta” stessa – in base al disposto
dell’art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, di cui
questa Corte ha imposto la puntuale applicazione, fin dalla sentenza n.
15 del 1957 – verrebbe elusa qualora si ammettesse che il ricorso del
Presidente possa denunciare vizi diversi da quelli prefigurati nella
relativa delibera della Giunta.
Ma la delimitazione del giudizio, in vista dell’unico parametro che
la Regione ricorrente è legittimata ad invocare, comporta una
corrispondente riduzione dell’impugnativa, per quanto concerne le
disposizioni della legge n. 764 del 1975, sindacabili in questa sede
dalla Corte. Fra di esse rientrano, sicuramente, primo e secondo comma
dell’art. 3, attinenti al trasferimento del personale già in servizio
presso le sedi periferiche e la sede centrale dell’ente “Gioventù
italiana”. Inoltre, il complesso delle argomentazioni addotte dal
ricorso, in collegamento con la citata delibera della Giunta regionale,
impone di pervenire alla stessa conclusione, circa la disciplina
dettata per trasferire alle Regioni il patrimonio già proprio
dell’ente soppresso. Infine, analoga questione di legittimità
costituzionale, in riferimento alla mancata osservanza della procedura
prescritta dallo Statuto per il “passaggio degli uffici e del personale
dallo Stato alla Regione”, dev’essere decisa dalla Corte nei riguardi
del primo comma dell’art. 2, con cui la legge impugnata ha disposto il
trasferimento dei “compiti istituzionali” e delle “attività in atto
svolte dall’Ente gioventù italiana”. Anche in tal senso, difatti, nel
ricorso si chiede -pur senza citare espressamente l’art. 43 dello
Statuto – che la Corte precisi il “valore da attribuire alle norme di
attuazione previste dagli Statuti delle regioni ad autonomia
differenziata”.
3. – Entro questi limiti, il ricorso dev ‘essere accolto.
I dati ricavabili dall’esame dei contributi dottrinali, delle norme
statali sul passaggio delle funzioni e degli uffici alle Regioni, della
stessa giurisprudenza di questa Corte, sono concordi nel senso di far
riconoscere all’art. 43 dello Statuto siciliano (come pure ai consimili
disposti degli Statuti speciali della Sardegna, del Trentino-Alto Adige
e del Friuli- Venezia Giulia) il significato attribuitogli dalla difesa
regionale. In dottrina, è dominante l’avviso che la competenza
conferita agli appositi decreti legislativi di attuazione statutaria
(necessariamente preceduti dalle proposte o dai pareri di una
commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della
Regione interessata) sia separata e riservata, rispetto a quella
esercitabile – in applicazione dell’ottava disp. trans. Cost. – dalle
ordinarie leggi della Repubblica. Del pari, allo stesso criterio si
dimostrano informate – nella loro generalità – le leggi statali di
trasferimento, entrate in vigore nello scorso decennio. Ciò vale,
anzitutto, per il primo passaggio di funzioni, uffici e personale dallo
Stato alle Regioni di diritto comune, disposto dagli undici decreti
presidenziali del 14-15 gennaio 1972; tanto è vero che si sono resi (o
si renderanno) indispensabili – per conseguire i medesimi effetti in
Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e nel Friuli-Venezia
Giulia – specifici atti statali con forza di legge, adottati nelle
forme previste per le discipline di attuazione dei relativi Statuti
speciali. Ma non diverso è il caso del d.P.R. n. 616 del ’77, il quale
stabilisce anzi espressamente – nell’art. 119 – che le funzioni
amministrative degli enti pubblici estinti, già trasferiti alle
Regioni ordinarie in virtù del contestuale art. 113, continuino “ad
essere esercitate nelle regioni a statuto speciale mediante uffici
stralcio, fino a quando non sarà diversamente disposto con le norme di
attuazione degli statuti speciali o di altre leggi dello Stato” Del
resto, la previsione che il passaggio delle rispettive funzioni
(nonché degli uffici, del personale e dei beni in questione) venga
operato a favore delle stesse Regioni differenziate, ma con le
procedure prescritte da ogni singolo Statuto, si rinviene in varie
disposizioni dettate da leggi statali di settore: a partire dall’art.
2, primo comma, della legge n. 698 del 1975 (sul trasferimento delle
funzioni dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e
della infanzia), ovvero dall’art. 1, primo comma, della legge n. 745
del 1975 (sul trasferimento delle funzioni concernenti gli istituti
zooprofilattici sperimentali), fino all’art. 80, secondo comma, della
legge n. 833 del 1978 (istitutiva del servizio sanitario nazionale).
Ciò che più conta, nel risolvere una controversia analoga a
quella in esame, la Corte ha già dichiarato – con la sentenza n. 206
del 1975 – che il trasferimento alla Regione siciliana del personale
dei soppressi enti edilizi, previsto dall’articolo 18 del d.P.R. n.
1036 del 1972, dovesse “aver luogo secondo le norme all’uopo
determinate dalla commissione paritetica di cui all’art. 43 dello
Statuto”. Né giova rispondere, per evitare che un tale precedente si
applichi anche alla legge soppressiva dell’ente “Gioventù italiana”,
che le denunciate previsioni di trasferimento non opererebbero
immediatamente, ma richiederebbero provvedimenti ulteriori, senza
dunque escludere le cosiddette norme di attuazione statutaria. Sebbene
la tesi così sostenuta dall’Avvocatura dello Stato trovi un qualche
riscontro nei lavori preparatori della legge stessa (nel corso dei
quali fu sottolineata l’esigenza di sentire le competenti commissioni
paritetiche, senza di che la legge sarebbe risultata incostituzionale),
sta di fatto che il testo degli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, non
distingue per nulla fra Regioni a statuto ordinario e speciale, ma le
considera unitariamente allorché trasferisce – con effetto immediato –
compiti, beni e personale dell’ente. Non a caso, l’ultimo comma
dell’art. 3 stabilisce senz’altro che, sino all’inquadramento nei
ruoli (destinato ad operare – in base al precedente comma – dalla data
di entrata in vigore della legge in questione), “al personale
trasferito viene corrisposto, a carico della regione, il trattamento
economico in godimento”; e che qui si tratti di qualunque Regione
(Sicilia compresa) viene confermato dalla serie di leggi regionali
siciliane con cui si è provveduto in via provvisoria (a cominciare
dalla 1.5 marzo 1976, n. 17) ad anticipare una parte di tali spettanze.
S’impone, perciò, l’annullamento dell’art. 2, secondo comma, e
dell’art. 3, primo e secondo comma, della legge n. 764 del 1975, nella
parte in cui trasferiscono alla Regione Sicilia beni e personale
dell’ente “Gioventù italiana”: al di là della lettera dell’art. 43
dello Statuto siciliano, la procedura di trasferimento che tale norma
prescrive dev’essere osservata, infatti, non solo per quanto riguarda
il passaggio di strutture pertinenti allo Stato in senso stretto, ma
anche nelle ipotesi di soppressione e regionalizzazione degli enti
pubblici nazionali sul tipo della “Gioventù italiana”.
Corrispondentemente, va inoltre dichiarata l’illegittimità
costituzionale del primo comma dell’art. 2, malgrado l’art. 43 dello
Statuto siciliano – a differenza dall’ottava disp. trans. Cost. – si
riferisca soltanto al passaggio degli uffici e del personale, non già
al trasferimento delle funzioni per sé considerate. Nel caso dell’ente
“Gioventù italiana” non potrebbero valere le argomentazioni con cui
questa Corte ha sostenuto (cfr. le sentt. n. 136 del 1969, n. 95 e n.
108 del 1971) che “non sempre” si richiedono apposite norme di
attuazione statutaria, affinché le Regioni differenziate possano
esercitare le proprie competenze, individuate e garantite dai
rispettivi Statuti. Non va dimenticato, infatti, che la legge n. 764
del 1975 ha per oggetto un’istituzione i cui compiti erano stati
deferiti – sia pure sulla carta – ad altre amministrazioni pubbliche,
già in forza dell’art. 6 del r.d.l. 2 agosto 1943, numero 704; che nel
successivo quarantennio l’ente “Gioventù italiana” è tuttavia
sopravvissuto, solo perché non venne approvato e reso esecutivo il
piano di ripartizione dei suoi compiti, previsto dal decreto 19 agosto
1944 del Presidente del Consiglio dei ministri; che il capoverso
dell’art. 1 della stessa legge soppressiva presuppone – là dove
richiama le “modalità” e le “procedure stabilite dalla legge 4
dicembre 1956, n. 1404” – che gli scopi dell’ente soppresso siano
cessati: cosicché nel primo comma dell’art. 2 l’accento non cade sui
“compiti istituzionali”, ma sulle “attività in atto svolte”, da
intendersi come attività residue, la sorte delle quali non potrebbe
essere scissa da quella del patrimonio già proprio della “Gioventù
italiana” e del personale addetto ai beni medesimi.
4. – Al pari che in Sicilia, anche per quanto concerne la Sardegna
le norme relative al passaggio degli uffici e del personale devono
essere emanate – in base all’art. 56 dello Statuto speciale – “con
decreto legislativo”, su proposta di un’apposita “Commissione
paritetica”. Il ricorso di tale Regione va pertanto accolto, nella
parte in cui censura la violazione dell’art. 56, per effetto del primo
e del secondo comma dell’art. 3 della legge 18 novembre 1975, n. 764,
disciplinanti il trasferimento alle Regioni del personale dell’ente
“Gioventù italiana”. E ne risultano assorbite le ulteriori censure che
il ricorso prospetta – con particolare riguardo agli artt. 6 e 7 della
legge impugnata – assumendo che lo Stato avrebbe invaso una sfera di
competenza riservata al legislatore regionale, quale l'”ordinamento
degli uffici e degli enti amministrativi della Regione” (ivi compreso
lo “stato giuridico ed economico del personale”), di cui all’art. 3
lett. a dello Statuto speciale.
A questo punto, però, la Corte deve rilevare che l’annullamento
dell’art. 3, primo e secondo comma, della legge impugnata determina –
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 –
l’illegittimità conseguenziale dello stesso articolo 2, primo e
secondo comma. Sebbene l’impugnativa della Regione Sardegna,
diversamente da quella della Regione Sicilia, non coinvolga le norme
sul trasferimento dei compiti e dei beni già spettanti alla “Gioventù
italiana”, le norme stesse sono state pur sempre approvate in vista di
un ‘unica ed indivisibile serie di operazioni di liquidazione: che non
si presta a venire suddivisa in più segmenti, annullando i disposti
relativi al trasferimento del personale, per mantenere in vigore –
circa la sola Sardegna – quelli relativi al parallelo trasferimento
delle funzioni e dei beni. Già si è notato, al contrario, come “i
compiti istituzionali e le attività in atto svolte dall’Ente gioventù
italiana” debbano subire la sorte delle corrispondenti strutture. Ma,
anche nei rapporti fra il patrimonio e il personale, il nesso stabilito
dalla legge n. 764 del 1975 si dimostra inscindibile, tanto è vero che
l’art. 3 ha trasferito alle Regioni il personale delle sedi periferiche
della “Gioventù italiana”, in quanto “destinatarie dei beni ceduti”;
mentre il personale della sede centrale è stato a sua volta trasferito
“in misura proporzionale a quello delle sedi periferiche addetto ai
beni ceduti”. E non pare accidentale, sotto questo aspetto, che la
Giunta regionale della Sardegna – nella seduta del 28 gennaio 1976 –
avesse deliberato l’impugnazione della intera legge n. 764 del 1975,
in riferimento alla violazione dell’art. 56 St., che tale legge avrebbe
congiuntamente concretato “nel trasferimento dei beni e del personale”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale della legge 18 novembre 1975, n. 764 (sulla soppressione
dell’ente “Gioventù italiana”), in riferimento agli artt. 3, 5, 116,
nonché all’ottava disposizione transitoria della Costituzione, ed agli
artt. 14, lett. n, p e q, 17 lett. c ed i, 32 e 33 del relativo Statuto
speciale, promossa dalla Regione Sicilia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, primo e
secondo comma, e 3, primo e secondo comma, della legge n. 764 del 1975,
nella parte in cui disciplinano il trasferimento alla Regione Sicilia
dei “compiti istituzionali” e delle “attività in atto svolte dall’Ente
gioventù italiana”, nonché del patrimonio immobiliare e del personale
dell’ente medesimo, senza prescrivere l’osservanza della procedura
prevista dallo art. 43 del relativo Statuto speciale;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, primo e
secondo comma, della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui
disciplina il trasferimento alla Regione Sardegna del personale
dell’ente “Gioventù italiana”, senza prescrivere l’osservanza della
procedura prevista dall’art. 56 del relativo Statuto speciale;
4) dichiara – in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 – l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, primo e
secondo comma, della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui
disciplina il trasferimento alla Regione Sardegna dei “compiti
istituzionali”, delle “attività in atto svolte” e del “patrimonio
immobiliare” dell’ente “Gioventù italiana”, senza prescrivere
l’osservanza della procedura prevista dallo art. 56 del relativo
Statuto speciale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere