Sentenza N. 181 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1980
Data deposito/pubblicazione
22/12/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
comma, del codice di procedura penale e dell’art. 7 del r.d. 21
ottobre 1923, n. 2393 (notificazione degli atti giudiziari a mezzo
posta), promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1978 dal Pretore di
Milano, nel procedimento penale a carico di Macchi Gioselinda, iscritta
al n. 333 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 271 del 27 settembre 1978.
Udito nella camera di consiglio del 30 ottobre 1980 il Giudice
relatore Alberto Malagugini
In un processo penale a carico di Macchi Gioselinda, non comparsa
al dibattimento, il Pretore di Milano, chiamato a decidere sulla
contumacia dell’imputata, con ordinanza in data 15 marzo 1978 ha
osservato che il decreto di citazione a giudizio era stato notificato
ai sensi “dell’art. 169, comma terzo, c.p.p., con consegna dell’atto al
portiere, sottoscrizione dello originale da parte di quest’ultimo ed
avviso al destinatario dell’avvenuta notificazione mediante lettera
raccomandata. Quest’ultima, tuttavia, come risulta dalla ricevuta di
ritorno, è stata consegnata a mani dello stesso portiere, che l’ha
sottoscritta”.
Tale situazione, secondo il giudice a quo, fa prospettare una
questione di legittimità costituzionale, alla luce dei principi
affermati dalla sentenza n. 170/76 della Corte costituzionale. L’art.
169, terzo comma, c.p.p. è stato dichiarato illegittimo, per
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., “nella parte in cui non prevede,
quale elemento integrante e sostanziale della prima notificazione,
presso il portiere o chi ne fa le veci, all’imputato non detenuto, che
l’Ufficiale giudiziario debba darne notizia al destinatario a mezzo di
lettera raccomandata”.
Dal contesto della sentenza, ad avviso del Pretore, la Corte
“sembra aver ritenuto elemento perfezionativo della notifica
l’effettiva ricezione della raccomandata da parte del destinatario
(imputato non detenuto).
Tuttavia alla Corte sembra essere sfuggita l’ipotesi in cui
l’avviso raccomandato non giunga direttamente all’imputato, ma venga
consegnato allo stesso portiere. Ora, ai sensi dello art. 7 del r.d. 21
ottobre 1923, n. 2393, che regola la notificazione degli atti
giudiziari a mezzo posta, il portiere, quale persona al servizio del
destinatario, è abilitato a ricevere il piego, quando la consegna non
possa essere fatta personalmente al destinatario.
Poiché tale ultima norma non è stata oggetto di esame da parte
della Corte nella sentenza n. 170/76, questa è rimasta pienamente in
vigore così com’è, di modo che il dilemma rimane insoluto.
Evidentemente, con la consegna del plico raccomandato, con cui si dà
notizia all’imputato non detenuto dell’avvenuta notifica allo stesso
portiere, non può ritenersi salvaguardata quella conoscenza reale
dell’atto da notificare da parte dell’interessato, che si voleva
raggiungere con l’invio della raccomandata. Ciò perché ad avere il
piego è il portiere medesimo, che con la ricezione diretta dell’atto
da notificare non offriva garanzie assolutamente confortanti circa la
consegna effettiva, immediata o, comunque, tempestiva all’imputato
dell’atto stesso, così come ha precisato la Corte”.
L’oggetto della sollevata questione di legittimità costituzionale,
con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., è indicato dal Pretore
nell’art. 169, terzo comma, c.p.p.; ed inoltre nel citato art. 7 del
r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393, relativo alla ricezione degli atti da
parte del portiere.
1. – Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 169, terzo comma, del codice di procedura penale e dell’art.
7 r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393, ritenendone il combinato disposto in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Ciò perché la normativa
denunziata consentirebbe che l’avviso, con lettera raccomandata,
dell’avvenuta notificazione a mani del portiere, possa essere
consegnato anch’esso a mani del portiere, nel qual caso non potrebbe
ritenersi soddisfatta l’esigenza – a giudizio del Pretore di Milano
posta da questa Corte con la sentenza n. 170 del 1976 – che
l’interessato (imputato non detenuto) abbia conoscenza reale del
contenuto dell’atto della cui notificazione si tratta.
La questione non è fondata.
2. – Anzitutto, non si può condividere la prospettazione del
giudice a quo, per la parte in cui mostra di ritenere (conformemente
alle risultanze processuali) che la notizia della notificazione di un
atto avvenuta mediante consegna di copia a mani del portiere della casa
di abitazione del destinatario imputato (non detenuto) debba essere
data al destinatario stesso a mezzo di lettera raccomandata con
ricevuta di ritorno, da recapitarsi ai sensi del r.d. 21 ottobre 1923,
n. 2393, portante norme per la notificazione degli atti giudiziari a
mezzo della posta.
Al contrario, dalla dizione testuale dell’art. 169, terzo comma,
del codice di procedura penale e dalla stessa lettura datane da questa
Corte con la sentenza n.170 del 1976, cui espressamente si richiama il
Pretore di Milano (nonché in modo più esplicito, sia pure con
riferimento al quinto comma dello stesso art. 169 c.p.p., con la
sentenza, n. 77 del 1972) si ricava che, nella fattispecie considerata,
è prescritto il ricorso alla lettera raccomandata e non alla lettera
raccomandata con ricevuta di ritorno.
Tanto basta per mettere fuori causa l’art. 7 del r.d. n. 2393 del
1923, anche a prescindere dal rilievo che la norma in esame, integrata
con le disposizioni di cui all’art. 174 del regolamento di esecuzione
dei titoli I e II del libro I del codice postale e delle
telecomunicazioni, approvato con r.d. 18 aprile 1940, n. 689, non
consente la consegna del piego raccomandato con ricevuta di ritorno al
portiere, eccezion fatta per il “solo caso che esso sia all’esclusivo
servizio del destinatario” (articolo 174, terzo comma, r.d. n. 689 del
1940) quando, cioè, viene ricompreso tra le persone addette al
servizio del destinatario (di cui al medesimo art. 174, secondo comma,
e all’articolo 7 r.d. n. 2393 del 1923).
Vero è che, per quanto riguarda il recapito della corrispondenza
e, in particolare, i soggetti abilitati a riceverla, nessuna differenza
sostanziale esiste, sul punto, tra la disciplina dettata per il
recapito della corrispondenza raccomandata (ordinaria) e quella sopra
richiamata per le notificazioni degli atti giudiziari a mezzo del
servizio postale.
Infatti, ai sensi dell’art. 37, secondo comma, del r.d. n. 689 del
1940, le corrispondenze raccomandate (ordinarie) possono essere rimesse
dal portalettere, oltre che, ovviamente, al destinatario, a persona
della sua famiglia e con lui convivente ed ai direttori di alberghi,
negozi, stabilimenti, uffici, manifatture e simili ove i destinatari
siano alloggiati od addetti. Il portiere, come si vede, non è
menzionato.
3. – Tanto premesso, la questione posta dal Pretore di Milano non
è fondata, anche a voler ritenere che la raccomandata prevista
dall’art. 169, terzo comma, c.p.p. – senza o con ricevuta di ritorno –
possa essere recapitata a mani del portiere.
Il giudice a quo muove, invero, dalla convinzione che la
notificazione di un atto, nel processo penale, si debba ritenere
perfezionata soltanto quando il destinatario (imputato non detenuto) ne
abbia avuto “conoscenza reale”, al quale scopo, nell’ipotesi di cui
all’art. 169, terzo comma, c.p.p., dovrebbe servire l’invio della
raccomandata ivi prevista, dichiarata da questa Corte (sent. n. 170 del
1976) “elemento integrante e sostanziale” di quel modo di
notificazione. Poiché sarebbe consentito e quindi possibile che la
raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione a mani
del portiere venga recapitata mediante consegna a persona diversa dal
destinatario (nella prospettazione del giudice a quo allo stesso
portiere) verrebbe a mancare quella conoscenza reale dell’avvenuta
notificazione che il Pretore di Milano ritiene indispensabile perché
essa possa considerarsi perfezionata.
L’argomentazione che, se accolta e portata alle sue logiche
conseguenze, condurrebbe a cancellare dall’ordinamento tutte le forme
di notificazione (ad imputato che non sia né detenuto né
irreperibile) che non comportino un momento di comunicazione diretta e
personale con l’imputato, non è certo desumibile dalla giurisprudenza
di questa Corte, che ha sempre considerato rispettose dei principi
costituzionali le notificazioni che garantissero al destinatario “la
maggior possibilità di conoscenza” del contenuto dell’atto notificato
e che ha ritenuto legittima anche “la notifica fondata su presunzione
legale” purché risponda “a criteri tali da realizzare il maggior
numero possibile di probabilità che si verifichi la conoscenza reale
da parte del destinatario”. Ciò perché scopo della notificazione è
quello di “portare il contenuto dell’atto nell’effettiva sfera di
conoscibilità dell’interessato” (sent. n. 77 del 1972; n. 170 del
1976). Con riferimento specifico all’articolo 169, terzo comma
(denunciato sotto diverso profilo) questa Corte ebbe altresì a
rilevare che la novella del 1955 – introduttiva di tale terzo comma –
volle “raggiungere, a favore dell’interessato, il duplice intento di
consentire il controllo del portiere sulla conformità all’originale
della copia consegnatagli e di dare al destinatario una maggiore
possibilità di conoscenza dell’avvenuta consegna”.
Alla stregua di una tale giurisprudenza e segnatamente della
sentenza n. 170 del 1976 di questa Corte, pure richiamata dal giudice a
quo, deve ritenersi legittima una forma di notificazione realizzata
mediante la consegna di copia a mani del portiere dello stabile e
l’invio al destinatario, ad opera dell’ufficiale giudiziario, di
lettera raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione.
Essa, infatti – tenuto anche presente il suo carattere sussidiario
rispetto alla notifica a mani dell’interessato o di persona con lui
convivente – realizza “il maggior numero di probabilità” che si
verifichi la reale conoscenza dell’atto da parte del destinatario. In
quest’ottica, le norme di legge e regolamentari e le stesse istruzioni
alle quali debbono attenersi gli incaricati del recapito della
corrispondenza (che il legislatore e la pubblica amministrazione
interessata ben farebbero a coordinare e rivedere per una loro più
agevole conoscenza e lettura da parte dei cittadini e degli stessi
operatori giudiziari) cui l’art. 169, terzo comma, c.p.p. rinvia, non
possono avere rilievo se non nei limiti in cui prevedessero la
possibilità di recapito mediante consegna a soggetti diversi da quelli
che o per vincolo familiare e di convivenza o per dovere professionale
offrono le maggiori probabilità di far pervenire la corrispondenza in
questione al destinatario. Ma una tale ipotesi non ha riscontro nella
normativa vigente e neppure è stata adombrata dal giudice a quo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 169, terzo comma, c.p.p. e dell’art. 7 r.d. 21 ottobre 1923,
n. 2393 sollevata dal Pretore di Milano in riferimento agli artt. 3 e
24, secondo comma, Cost. con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere