Sentenza N. 184 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1980
Data deposito/pubblicazione
22/12/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE
– Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio
1978 dal pretore di Milano, nel procedimento penale a carico di Had
Hassan Mustafà, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1978 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 208 del 26
luglio 1978.
Udito nella camera di consiglio del 30 ottobre 1980 il Giudice
relatore Alberto Malagugini.
In un procedimento penale contro Had Hassan Mustafà, residente
all’estero e comprovatamente avvisato ex art. 177 bis c.p.p. (con
raccomandata con ricevuta di ritorno, restituita sottoscritta), il
pretore di Milano, con ordinanza in data 17 febbraio 1978, ha osservato
che – non essendo stata fatta dall’imputato elezione di domicilio in
Italia – le ulteriori notifiche dovrebbero essere fatte con il rito
degli irreperibili. Simile procedura appare in contrasto con gli artt.
3 e 24 Cost.
“Infatti, a fronte di una inerzia di limitata proporzione dello
interessato – nel caso di specie straniero -, in forza dell’art. 177
bis si hanno conseguenze processuali di gravità sproporzionata alla
predetta inattività, vale a dire la mancata comunicazione al medesimo
dell’atto fondamentale di apertura della fase più importante del
procedimento penale, quella dibattimentale, in cui in dettaglio sono
articolati e descritti i termini di fatto e temporali dell’accusa, per
quanto siffatta comunicazione sia materialmente possibile. Noto è il
domicilio all’estero dell’imputato, tecnicamente possibile è, a mezzo
di plico postale raccomandato, l’invio dell’atto di “vocatio in
iudicium”, che così potrebbe giungere a diretta conoscenza
dell’imputato, lo porrebbe in condizione di apprendere
nell’indispensabile dettaglio l’imputazione e di avere notizia degli
altri dati relativi allo svolgimento del giudizio (luogo e data del
dibattimento ed altre indicazioni obbligatorie per legge).
Altrettanto deve dirsi per gli altri atti che segnano il progredire
del procedimento penale ed alla cui comunicazione le regole di rito
legano il costituirsi del giudicato. Si pensi all’estratto
contumaciale, la conoscenza legale del quale determina il decorrere dei
termini di impugnazione per l’imputato”.
Il legislatore, secondo il giudice a quo, ha trascurato l'”evidente
parallelismo” fra la situazione dell’imputato all’estero con domicilio
noto, e quella ora regolata dal primo capoverso dell’art. 4 della legge
8 agosto 1977, n. 534, modificativo dell’art. 171 c.p.p. L’imputato,
nel primo atto cui partecipi o nel primo atto notificatogli, è
invitato a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni; ed “è
altresì avvertito che, in caso di mancanza, di insufficienza o di
inidoneità della dichiarazione o dell’elezione, le successive
notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l’atto è stato
notificato”. L’escludere per l’imputato residente all’estero tale
disciplina – con il necessario adattamento, derivante dalla
possibilità di comunicare solo per posta – comporterebbe invero
“gravissime ed irragionevoli conseguenze: lo straniero, sulla base dei
sintetici dati contenuti nell’avviso di procedimento (di solito
l’articolo di legge violato, la data e il luogo del fatto) non è
normalmente in grado di rendersi conto di che cosa sia accusato (e,
sovente, di essere accusato di qualcosa) e di svolgere la relativa
difesa. Né può avere all’estero facile ausilio tecnico da avvocati o
conoscitori della normativa penale, ordinaria e speciale, italiana”.
1. – Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 177 bis del codice di procedura penale nella parte in cui
prescrive che, nei confronti dell’imputato dimorante all’estero ad
indirizzo conosciuto, al quale sia stata inviata e risulti recapitata
la lettera raccomandata contenente l’avviso del procedimento pendente a
suo carico con l’invito a dichiarare od eleggere domicilio nel
territorio nazionale e che non abbia provveduto in proposito, decorso
un congruo termine, sia emesso il decreto previsto dall’art. 170 dello
stesso codice, per effetto del quale le (ulteriori) notificazioni sono
eseguite mediante deposito nella cancelleria o segreteria dell’ufficio
giudiziario nel quale si procede.
La questione non è fondata.
2. – Con le precedenti sentenze n. 31 del 1965, n. 70 del 1967, n.
177 del 1974 e n. 178 del 1980, questa Corte, pur incidendo sulla
normativa dell’art. 177 bis c.p.p., non ha mai negato che il fatto di
risiedere all’estero pone l’imputato in una situazione particolare ed
anzi ha affermato che, proprio per questo, il legislatore è tenuto a
predisporre, discrezionalmente, una disciplina specifica atta a
garantire l’esercizio del diritto di difesa, senza, però,
compromettere quello della giurisdizione penale, in armonia con il
principio della territorialità della giurisdizione stessa.
Il sistema definito dall’art. 177 bis c.p.p., che esige l’invio, a
mezzo di lettera raccomandata, all’imputato residente all’estero ad
indirizzo conosciuto, dell’avviso di procedimento e dell’invito a
dichiarare od eleggere domicilio nel territorio nazionale, con
l’avvertimento che, in difetto, sarà provveduto ai sensi dell’art. 170
c.p.p.; le ulteriori garanzie derivanti dalle pronunzie di questa
Corte, per cui occorre la prova dell’avvenuta ricezione della
raccomandata, contenente l’avviso e l’invito, e non può provvedersi ai
sensi dell’art. 170 c.p.p. se non decorso un congruo termine; tutto
ciò assicura in modo adeguato l’esercizio del diritto di difesa, dal
momento che l’imputato è posto in grado, con l’elezione o
dichiarazione di domicilio nel territorio nazionale, di venire a
conoscenza degli ulteriori atti e del corso del procedimento.
I rilievi mossi dal giudice a quo, in ordine alle difficoltà
derivanti all’imputato dalla sinteticità dei dati contenuti
nell’avviso di procedimento che, normalmente, non gli consentirebbero
di “rendersi conto di che cosa sia accaduto e sovente di essere
accusato di qualche cosa” non sono certo riferibili alla norma
denunziata, ma, se mai, ai modi burocratici della sua applicazione, che
nulla impedisce al giudice di modificare rendendo più facilmente
comprensibile l’indicazione dei fatti addebitati e (l’oggetto) degli
articoli della legge sostanziale e processuale menzionati nell’avviso
stesso.
3. – Come già ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 178 del
1974, la specificità della situazione in cui versa l’imputato
dimorante all’estero, ad indirizzo conosciuto, giustifica una
altrettanto specifica disciplina normativa del modo con cui l’imputato
stesso viene posto in condizione di conoscere l’esistenza di un
procedimento penale pendente nei suoi confronti per l’esercizio del
diritto di difesa. Non pertinente appare, di conseguenza, la
comparazione, operata dal giudice a quo, con la situazione
dell’imputato dimorante nel territorio nazionale, ai fini della
dichiarazione o elezione di domicilio per le notificazioni, quale
disciplinata dall’art. 171, primo cpv. del codice di procedura penale,
come modificato dall’articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 534.
Vero è che il legislatore – ma soltanto il legislatore -, tenendo
conto delle possibilità offerte dal servizio postale nazionale e dalle
convenzioni internazionali in materia nonché di quelle consentite
dalle convenzioni internazionali di assistenza giudiziaria in materia
penale recepite nell’ordinamento interno – e quindi sin d’ora
praticabili – (tra le quali si può citare la Convenzione europea
firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata e resa esecutiva con
legge 23 febbraio 1961, n. 215), ben potrebbe disciplinare anche in
modo diverso il rapporto tra l’autorità procedente e l’imputato
dimorante all’estero ad indirizzo conosciuto. Questa considerazione non
incide però sulla legittimità costituzionale della norma in vigore e
qui denunziata, che garantisce in modo adeguato e su un piano di
uguaglianza tra tutti i soggetti che versano nella medesima situazione,
l’esercizio del diritto di difesa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 177 bis c.p.p. sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, e 24, secondo comma, Cost. dal pretore di Milano con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere