Sentenza N. 185 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1976
Data deposito/pubblicazione
22/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE
STEFANO, Giudici,
12 marzo 1968, n. 334 (norme per l’accertamento dei lavoratori agricoli
aventi diritto alle prestazioni previdenziali e per l’accertamento dei
contributi unificati in agricoltura), promosso con ordinanza emessa il
30 gennaio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Bolzano nei
procedimenti civili riuniti vertenti tra l’OPAN – cooperativa
frutticoltori Andriano ed altre cooperative e l’Istituto nazionale
della previdenza sociale, iscritta al n. 116 del registro ordinanze
1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119
dell’8 maggio 1974.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e di costituzione dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1976 il Giudice relatore
Giulio Gionfrida;
uditi l’avv. Sergio Traverso, per l’INPS, ed il sostituto avvocato
generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di vari (riuniti) procedimenti civili (di
opposizione a decreto ingiuntivo) vertenti tra cooperative di
frutticoltori e l’INPS, l’adito giudice del lavoro del tribunale di
Bolzano – rilevato che le cooperative opponenti resistevano alla
richiesta dell’INPS relativa al pagamento (a decorrere dall’11 aprile
1968) dei contributi previsti per il settore commercio, deducendo di
essere, invece, tenute al versamento (in fatto regolarmente effettuato)
dei meno onerosi contributi stabiliti per il settore agricolo (e ciò
in quanto svolgevano “a scopo mutualistico, attività di raccolta,
conservazione, selezione e commercio della sola frutta prodotta dai
soci” ed erano, perciò, parificabili, ai fini previdenziali, alle
imprese agricole, giusto il parere in tal senso espresso, in data 8
aprile 1966, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale); e
ritenuto che, d’altra parte, la pretesa dell’istituto assicurativo
trovava, in realtà, fondamento nella circostanza “unicamente
dell’avere esse cooperative, prima della disposizione ministeriale di
cui sopra, accettato di essere inquadrate nel settore commercio; al che
l’art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334, ricollega automaticamente
l’obbligo di continuare a versare i contributi del settore commercio” –
con ordinanza 30 gennaio 1974, ha reputato rilevante e non
manifestamente infondata (e ha, quindi, sollevato) questione di
legittimità dell’art. 9, appunto, menzionato, in riferimento ai
parametri di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
2. – Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l’ordinanza de
qua ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, si è in questo
costituito l’INPS, deducendo, in via preliminare, l’irrilevanza e, nel
merito, la non fondatezza della sollevata questione.
3. – È intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei
ministri, che ha sostenuto essere la norma impugnata pienamente
legittima.
1. – La Corte è chiamata a decidere se sia o no costituzionalmente
legittimo l’art. 9 della legge 12 marzo 1968, n. 334 (contenente “Norme
per l’accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle
prestazioni previdenziali e per l’accertamento dei contributi unificati
in agricoltura”), secondo cui “in attesa dell’emanazione di norme
legislative per l’inquadramento, ai fini previdenziali ed
assistenziali, delle imprese individuali ed associate che manipolano,
trasformano e commerciano i prodotti agricoli e zootecnici, nonché
dei consorzi di bonifica, di irrigazione e di miglioramento fondiario,
si applicano i trattamenti previdenziali più favorevoli già goduti
dai lavoratori e i conseguenti obblighi contributivi o assicurativi
assunti da ciascuna delle predette imprese e consorzi, anche se non
più in atto all’entrata in vigore della presente legge”.
Il giudice a quo solleva la questione in riferimento agli artt. 3 e
53 della Costituzione, dei quali assume la violazione, sul rilievo
della irrazionale discriminazione di trattamento che – per effetto,
appunto, della norma impugnata e “in dipendenza di una mera circostanza
di fatto” – verrebbe nella specie a determinarsi: da un lato, tra
imprese che, pur avendo identica struttura e natura giuridica, sono
tenute a versare contributi di diversa onerosità, e dall’altro, tra i
lavoratori delle imprese stesse, i quali – a parità di condizioni
giuridiche – fruiscono di posizioni previdenziali non egualmente
vantaggiose.
2. – L’Istituto nazionale della previdenza sociale eccepisce
preliminarmente l’irrilevanza della questione per una duplice ragione,
e cioè per la asserita “improponibilità dell’azione” per omesso
previo esperimento dei rimedi amministrativi; e per la mancata
valutazione (da parte del giudice a quo) della richiesta da parte
dell’istituto medesimo di ammissione di prova sulle modalità ed
ampiezza dell’attività svolta e, conseguentemente, sulla natura delle
imprese opponenti.
3. – Vanno, innanzi tutto, respinte le eccezioni di irrilevanza su
riferite.
Per quanto attiene alla improponibilità dell’azione – e con
specifico riferimento proprio all’omesso esperimento preventivo di
ricorsi amministrativi – questa Corte ha già avuto modo di affermare
che trattasi di questione che riguarda il giudizio di merito; per tale
ragione, appunto, non suscettibile di esame nella diversa sede del
giudizio di costituzionalità (cfr. sentenza n. 24 del 1959).
Relativamente alla circostanza della omessa valutazione
dell’indicata istanza di ammissione di prova, è da rilevare che il
giudice a quo ha ritenuto che, nei riguardi delle cooperative svolgenti
attività di manipolazione o commercio di prodotti agricoli, che
abbiano precedentemente versato (per i rispettivi dipendenti) i
contributi del settore commercio, la legge impugnata prevede la
continuazione di tale contribuzione o (se nel frattempo mutata) il
ripristino di essa (con decorrenza dalla data della sua entrata in
vigore): e ciò indipendentemente dalla effettiva natura agricola o
commerciale delle predette imprese, quale desumibile dalla attività in
concreto svolta.
Coerentemente, l’indagine su tale attività è stata considerata
superflua: sempre che, appunto, resti applicabile la normativa de qua.
4. – Nel merito, in riferimento al parametro dell’art. 3 della
Costituzione, la questione è fondata.
5. – La norma di legge denunziata incide – come detto –
sull’inquadramento (al fine della individuazione del tipo di contributi
ai propri dipendenti) dei consorzi e delle cooperative svolgenti
attività di manipolazione, trasformazione e commercio della frutta o
di altri generi agricoli prodotti dai coltivatori associati.
Giova ricordare che, in precedenza, nei confronti degli enti
predetti – sempreché l’attività svolta (in base agli indici obiettivi
della dimensione quantitativa e delle modalità organizzative, in
rapporto al tipo di prodotto lavorato od alienato) non eccedesse il
ciclo normale dell’azienda agricola (giusta il criterio, appunto,
reputato idoneo ad individuare le “attività agricole per connessione”
ex art. 2135 cod. civ.) – era sorto il problema se il fatto di essere
la detta attività esercitata da un soggetto “distinto”, rispetto ai
consorziati svolgenti l’attività agricola principale, valesse, di per
sé, ad elidere il rapporto di “connessione” indicato: conseguentemente
implicando l’inquadramento dell’ente associativo nel settore
commerciale od industriale (con esclusione di quello agricolo).
L’argomento formò, come è noto, oggetto di una pronunzia della
Corte di cassazione (sentenza n. 3586 del 1954), la quale – superando
l’ostacolo del c.d. “diaframma dell’associazione” (con il configurare
il consorzio come “organo comune” dei consorziati) – ritenne che le
cooperative sopra menzionate dovessero inquadrarsi nel settore
agricolo, quando, ovviamente, la relativa attività risultasse (in base
al già enucleato criterio di “normalità”) effettivamente “connessa”
all’attività svolta dai coltivatori associati.
Seguirono a tale decisione (al fine di conformare il comportamento
dell’Amministrazione ai principi in essa enunciati) varie disposizioni
e circolari ministeriali: e tra l’altro la nota 8 aprile 1966
(indirizzata ad una delle parti dell’odierno giudizio) contenente (al
di là delle determinazioni del caso singolo) l’enunciazione (di
portata tendenzialmente generale) che “gli enti cooperativistici che
provvedono alla raccolta, conservazione e smercio della produzione
agricola dei consorziati… possono essere considerati, ai fini
previdenziali, alla stregua delle imprese agricole”.
Conseguentemente al consolidarsi di tale enunciato orientamento si
verificò appunto il passaggio al settore agricolo di vari organismi
associativi, rispondenti (o che, comunque, ritenevano di rispondere)
alle caratteristiche sopraindicate; e che avevano in precedenza,
invece, versato i contributi del settore commercio.
Delle ripercussioni di tale mutamento dell’inquadramento
previdenziale, sulla posizione dei lavoratori dipendenti dai detti
consorzi (che venivano, di conseguenza, a fruire di prestazioni in
ragione di contributi meno elevati di quelli per l’innanzi in loro
favore versati) sembra essersi preoccupato il legislatore del ’68: il
quale, con la disposizione denunziata, ha inteso (come dai lavori
preparatori è dato evincere) evitare il pregiudizio di posizioni
precostituite.
Ora, però, la soluzione normativamente accolta – in quanto si
risolve, puramente e semplicemente, nel ripristino (o, comunque, nel
mantenimento) dell’inquadramento nel settore commercio delle imprese
che avevano (sia pur solo anteriormente alla decisione della Cassazione
ed alle circolari indicate) assunto di fatto gli oneri relativi, senza,
per altro, innovare o, comunque incidere sui criteri in base ai quali
imprese identicamente strutturate restano, invece, inquadrabili nel
settore agricolo – ha effettivamente determinato una irrazionale
disparità di trattamento tra i soggetti (e per le ragioni) dal giudice
a quo esattamente individuati. E precisamente:
– da un lato, tra imprese che manipolano e commerciano prodotti
agricoli, tenute a versare contributi di differente onerosità, non in
relazione a loro diversità di situazioni economiche o giuridiche, ma
unicamente al fatto di avere già nel passato assunto obblighi
contributivi propri del settore commercio o del settore agricolo;
– e, dall’altro, tra i lavoratori delle imprese stesse, che
vengono, di conseguenza, a godere di una posizione previdenziale più o
meno favorevole, non in dipendenza di una diversità del lavoro svolto
ovvero in relazione ad una diversa situazione economica o giuridica in
cui si trovi il loro datore di lavoro, ma unicamente in relazione alla
circostanza di fatto predetta.
6. – Né tali rilevate diversità di trattamento possono ricevere
giustificazione dalla prospettata esigenza di tutela di diritti
quesiti: giacché – a prescindere da ogni altra considerazione
(relativamente anche alla possibile non attualità delle situazioni
contemplate) – è, comunque, da escludere che costituisca diritto
quesito l’aspettativa del soggetto al mantenimento di una situazione
che discenda non già da una sicura volontà di legge, sibbene dalla
applicazione in fatto di una norma, in base ad una interpretazione di
essa controversa ed, anzi, poi smentita.
7. – Inconsistente, infine, è anche l’argomento, che fa leva sulla
pretesa transitorietà della norma denunziata. Giacché non può,
infatti, ritenersi transitoria una disposizione (come quella di specie)
che, con formula sostanzialmente vuota di contenuto, si limita ad
adombrare l’esigenza di una futura disciplina della materia, senza
alcun concreto riferimento ad una fonte normativa sia pur solo in
elaborazione.
Ed è appena il caso di sottolineare che, a tutt’oggi, e cioè a
circa otto anni di distanza dalla legge de qua, non si rinviene alcuna
nuova iniziativa legislativa per la sistemazione della materia.
8. – Resta, pertanto, confermata la violazione del principio
dell’eguaglianza, rimanendo assorbita di conseguenza l’ulteriore
prospettata censura di violazione dell’art. 53 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 12
marzo 1968, n. 334 (Norme per l’accertamento dei lavoratori agricoli
aventi diritto alle prestazioni previdenziali e per l’accertamento dei
contributi agricoli unificati).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere