Sentenza N. 186 del 1973
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1973
Data deposito/pubblicazione
27/12/1973
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1973
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO –
Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO
VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI, Giudici,
134, 169, 266 e 304 del codice di procedura penale, promossi con due
ordinanze emesse il 20 aprile 1971 dalla sezione istruttoria della
Corte d’appello di Bologna nei procedimenti penali rispettivamente a
carico di Giannini Domenico e La Bella Vittorio, iscritte ai nn. 371 e
420 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 273 del 27 ottobre 1971 e n. 323 del 22 dicembre
1971.
Udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 1973 il Giudice
relatore Nicola Reale.
1. – Risulta dall’ordinanza del 20 aprile 1971 della sezione
istruttoria presso la Corte di appello di Bologna che Giannini
Domenico, sorpreso in flagrante furto di un’autovettura ed arrestato,
s’abbandonò ad atti di violenza, onde si rese necessario il di lui
ricovero nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia. Sottoposto a
perizia psichiatrica con ordinanza comunicata al difensore di ufficio,
nominato dopo che egli aveva revocato la prima nomina del difensore di
fiducia, il Giannini veniva ritenuto totalmente infermo di mente.
Avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento dell’imputato,
giudicato non imputabile per incapacità assoluta di intendere o di
volere, proponeva appello il procuratore generale presso la Corte
d’appello di Bologna, il quale, tra l’altro, eccepiva l’illegittimità
costituzionale degli artt. 88, 134 e 305 del codice di procedura
penale, assumendone il contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 27 della
Costituzione, in quanto non prevedono la partecipazione nel processo
penale di un legale rappresentante dell’imputato infermo di mente per
l’esercizio del diritto di difesa.
Con la citata ordinanza del 20 aprile 1971 la sezione istruttoria,
in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost., ha sollevato dubbi sulla
legittimità degli artt. 134 e 304 cod. proc. pen., nella parte in cui
non dispongono che, ai fini della nomina del difensore di fiducia,
l’imputato infermo di mente sia rappresentato dal tutore eventualmente
già nominato o assistito da un curatore speciale, nonché degli artt.
169 e 266 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che la
copia dell’atto notificando sia consegnata anche al tutore o al
curatore suddetti.
2. – Identiche questioni di legittimità costituzionale sono state
sollevate dalla stessa sezione istruttoria con ordinanza in pari data,
nel corso del procedimento penale a carico di La Bella Vittorio.
Questi, ricoverato presso l’Ospedale psichiatrico di Rieti, veniva
sottoposto a perizia psichiatrica e riconosciuto infermo di mente.
Avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento dell’imputato,
giudicato non imputabile per incapacità assoluta d’intendere o di
volere, proponeva appello il procuratore generale con le medesime
argomentazioni surriferite, cui seguiva la correlativa decisione della
sezione istruttoria, anch’essa nei medesimi termini.
3. – Nei giudizi innanzi a questa Corte non vi è stata
Costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri.
1. – Con le ordinanze di cui in epigrafe della sezione istruttoria
presso la Corte d’appello di Bologna sono sollevate identiche
questioni, che possono essere decise con unica sentenza, previa
riunione dei relativi giudizi.
2. – Nel corso di due procedimenti penali a carico di soggetti, per
i quali si rese opportuno, dopo la cattura in esecuzione di appositi
mandati, l’accertamento della capacità d’intendere o di volere, la
sezione predetta prospetta il dubbio che gli artt. 134 e 304 cod. proc.
pen., nella parte in cui non prevedono che, ai fini della nomina del
difensore di fiducia, l’imputato che si assuma infermo di mente, sia
legalmente rappresentato dal tutore, nel caso che questi risulti già
nominato, o da un curatore speciale, contrastino con i principi di cui
agli artt. 2, 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. E ciò in
analogia con le disposizioni degli artt. 155, quarto comma, cod. pen. e
14, terzo comma, cod. proc. pen., che disciplinano l’intervento del
rappresentante legale dell’imputato all’atto di accettazione della
remissione della querela, nonché sul presupposto che dalla normativa
impugnata derivi una ingiustificata disparità di trattamento nei
confronti dell’imputato pienamente capace, nel concreto esercizio del
diritto di difesa personale.
La sezione istruttoria inoltre denunzia, sotto profili analoghi,
anche gli artt. 169 e 266 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevedono, per l’ipotesi predetta, che la copia dell’atto da
notificarsi all’imputato sia consegnata anche al legale rappresentante,
tutore o curatore speciale.
3. – Occorre preliminarmente precisare che, in aderenza ai limiti
che all’attuale giudizio di costituzionalità sono segnati dalle
fattispecie di merito ed atteso che in entrambi i procedimenti non
risulta essere stata previamente dichiarata l’interdizione degli
imputati, impropriamente nelle ordinanze si profila l’esigenza della
partecipazione del tutore a taluni atti processuali penali.
Il “thema decidendum” resta in tal guisa limitato alla sola
problematica concernente l’interposizione di uno speciale
rappresentante legale nell’atto di nomina del difensore o nella
ricezione degli atti notificandi all’imputato che si assuma essere
infermo di mente.
Le questioni così prospettate ed intese non sono fondate.
4. – La peculiare natura del processo penale e degli interessi in
esso coinvolti implica necessariamente la diretta e personale
partecipazione dell’imputato al compimento degli atti che involgono
l’esercizio della di lui difesa in ordine a circostanze di fatto e
situazioni che lo riguardano. Si pone, quindi, come eccezionale la
possibilità che in rappresentanza dell’imputato intervenga altro
soggetto. Ed anzi, anche nel caso di giudizio per reato che la legge
punisce soltanto con la multa o con l’ammenda, nel quale è ammesso che
l’imputato possa, con mandato speciale, farsi rappresentare dal
difensore, il giudice ha potestà di ordinare che egli compaia
personalmente (art. 125, secondo comma, cod. proc. pen.), quando ne
ritenga opportuna la presenza ai fini degli accertamenti processuali.
In particolare, in omaggio ai principi della difesa, la vigente
disciplina del processo penale non consente che siano eseguite nei
confronti di alcun rappresentante le notificazioni degli atti, la cui
legale conoscenza si richiede sia acquisita dall’imputato
personalmente, né che altri si sostituisca all’imputato nella nomina
del difensore di fiducia.
Siffatta disciplina, secondo unanime dottrina e giurisprudenza, ha
fondamento nell’affermata coincidenza nel sistema positivo tra la
capacità di essere imputato e la capacità di agire nel processo
penale, salve le eccezioni specificamente previste dalla legge (artt.
155, terzo e quarto comma, cod. pen.; 192, secondo comma, e 193, primo
comma, cod. proc. pen.). Essa trova d’altronde puntuale riscontro nella
garanzia costituzionale del diritto all’autodifesa sancito dall’art.
24, secondo comma, della Costituzione quale diritto inviolabile
dell’imputato, distinto dal parallelo diritto di difesa tecnica (sent.
ns 205 del 1971 di questa Corte).
L’autodifesa, nell’ambito del principio del contraddittorio ha
riguardo ad un complesso di attività mediante le quali l’imputato,
come protagonista del processo penale, ha facoltà di eccitarne lo
sviluppo dialettico contribuendo all’acquisizione delle prove ed al
controllo della legalità del suo svolgimento.
A tali fini sono specialmente preordinati così il diritto
dell’imputato di designare il difensore di fiducia, come il requisito
della personalità delle notificazioni degli atti a lui diretti, in
quanto volti a renderlo edotto dell’accusa contestatagli, ai fini
dell’autodifesa. E ciò senza pregiudizio per l’imputato, ancorché
l’organo giudiziario procedente ignori quale sia l’effettivo stato
mentale di lui, attesi i poteri-doveri che a riguardo sono conferiti
all’organo predetto, in sede di accertamento critico della verità nel
processo. Accertamento cui in nessun caso, per effetto di
interposizione rappresentativa, può impedirsi all’imputato di
partecipare, indicando quegli elementi e quelle circostanze di fatto
che egli ritenga utili.
Non può d’altra parte dubitarsi che anche l’incapace d’intendere e
di volere può, con le sue dichiarazioni e con i suoi comportamenti,
contribuire all’accertamento della verità ed alla realizzazione
pratica degli scopi del processo penale.
5. – L’esigenza di assicurare il diritto di difesa materiale anche
all’imputato che si assuma incapace d’intendere o di volere, esclude
quindi che le norme impugnate creino una irrazionale disparità di
trattamento, a causa del pregiudizio di fatto che possa eventualmente
derivare all’imputato dall’omesso o non avveduto esercizio della
propria difesa, e siano pertanto in contrasto con gli artt. 2, 3 e 24
della Costituzione. Va osservato al riguardo che gli inconvenienti
connessi all’eventuale carenza di una responsabile valutazione, da
parte dell’imputato non pienamente capace d’intendere o di volere,
delle conseguenze del suo comportamento processuale trovano congruo
rimedio nella tempestiva nomina del difensore, da parte dell’organo
procedente: difensore che, anche se nominato d’ufficio, deve essere
informato degli atti riguardanti il suo assistito, onde possa
pienamente espletare, sotto i profili deontologico e
giuridico-processuale, le funzioni inerenti al mandato conferitogli.
Né va trascurato il potere-dovere dell’organo giudiziario di
procedere scrupolosamente agli accertamenti che si rendano opportuni
vagliando criticamente la fondatezza delle dichiarazioni dell’imputato,
particolarmente quando, o nel corso dell’interrogatorio o per
informative da parte di autorità o di soggetti che vi abbiano
interesse, vengano posti in evidenza anormalità psichiche o
comportamenti tali da esigere che siano disposte indagini
medico-legali.
Alla tematica del diritto di auto-difesa è infine ispirato il
disposto dell’art. 88 cod. proc. pen., inteso ad evitare, nell’ambito
della razionale interpretazione di esso, ovviamente demandata al
giudice del merito, che l’imputato rimanga pregiudicato, nell’esercizio
dei suoi diritti, dalla circostanza che non sia in grado di attendere
consapevolmente ed efficacemente alla propria difesa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 134, 169, 266 e 304 del codice di procedura penale,
sollevate dalla sezione istruttoria presso la Corte d’appello di
Bologna con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3 e
24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1973.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – GIUSEPPE
VERZÌ – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE
MARCO – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI
– GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA
– GUIDO ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere