Sentenza N. 187 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
10/12/1981
Data deposito/pubblicazione
10/12/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/11/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
il 21 dicembre 1977 dall’Assemblea regionale siciliana recante
“Interpretazione autentica dell’art. 1 della legge regionale 30 gennaio
1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per
missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori” promosso con
ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato
il 29 dicembre 1977, depositato in cancelleria il 5 gennaio 1978 ed
iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1978.
Visto l’atto di costituzione del Presidente della Giunta regionale
siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore
Giuseppe Ferrari;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e
l’avv. Luigi Maniscalco Basile, per la Regione Sicilia.
1. – Nella seduta del 21 dicembre 1977, l’Assemblea regionale
siciliana approvava un disegno di legge composto di due soli articoli e
recante il titolo “Interpretazione autentica dell’art. 1 della legge 30
gennaio 1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per
missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori”. Con l’art. 1 –
quello successivo conteneva la consueta formula promulgativa – veniva
disposto che l’art. 1 della legge regionale testualmente richiamata nel
titolo “deve essere interpretato nel senso che le indennità mensili
ivi previste vanno corrisposte a favore del Presidente e degli
Assessori regionali nella misura mensile netta pari ai trattamenti
economici mensili complessivi spettanti rispettivamente al Presidente
ed ai Vice Presidenti dell’Assemblea regionale, al netto degli oneri
tributari”. Il successivo 24 dicembre – e perciò nel termine di tre
giorni prescritto dall’art. 28, primo comma, dello Statuto della
Regione siciliana – il suddetto provvedimento legislativo veniva
notificato al Commissario dello Stato, il quale lo impugnava il 29
dello stesso mese – e perciò sempre nel rispetto del termine di cinque
giorni prescritti dai menzionati articolo e comma dello Statuto -,
chiedendo a questa Corte di volerne dichiarare l’illegittimità
costituzionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione,
in relazione al combinato disposto degli articoli 1, 5 e 6 della legge
statale 31 ottobre 1965, n. 1261, e degli articoli 47 e 48 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 597. Ad integrazione dei succinti dati che
precedono, va detto altresì che, essendo assente dalla sede in quel
periodo il Commissario dello Stato, l’atto veniva impugnato dal Vice
Commissario.
2. – Gli argomenti a sostegno dell’impugnazione sono agevolmente
sintetizzabili:
l’interpretazione che la legge impugnata dà dell’articolo della
citata legge regionale n. 8 del 1956 è “artificiosa”, “fittizia ed
inconsistente sul piano giuridico”. Essa, modificando nella sostanza la
portata effettiva della precedente disciplina in tema di trattamento
economico dei membri della Giunta, sottrae tale trattamento al normale
regime di imposizione tributaria, “e ciò, in violazione, sia del
disposto dell’art. 53 Cost., che sancisce per tutti i cittadini
l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva, sia del combinato disposto degli articoli 1, 5
e 6 della legge statale 31 ottobre 1956, n. 1261, e degli articoli 47 e
48 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che prevedono un particolare
regime fiscale esclusivamente per le indennità spettanti ai membri del
Parlamento ai sensi dell’art. 69 Cost. e dell’art. 48 del medesimo
d.P.R. n. 597, ma non anche per le altre indennità spettanti ai
parlamentari medesimi e ad altri privati cittadini che siano investiti
dell’esercizio di pubbliche funzioni”. Si creerebbe, insomma, un
“regime tributario privilegiato a favore del Presidente e degli
Assessori regionali (esenzione fiscale in ragione di 6/10
dell’ammontare dell’indennità percepita ex articolo 1 legge regionale
n. 8 del 1956), regime che nella fattispecie si risolve in un onere a
carico della pubblica finanza a ristoro di un sacrificio patrimoniale
che invece grava sul singolo cittadino in ragione della propria
capacità contributiva”.
3. – Il Presidente della Giunta regionale siciliana costituitosi
per resistere al ricorso, ha eccepito preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso, rilevando che, poiché lo Statuto
siciliano prevede all’art. 27 esclusivamente la figura del Commissario
dello Stato, il quale è organo costituzionale, in quanto esercita una
funzione costituzionale, solo quest’organo monocratico ha la
legitimatio ad processum in relazione a giudizi costituzionali. Il Vice
Commissario dello Stato, invece, dal quale appunto è stato proposto il
ricorso de quo, risulta istituito, col compito di coadiuvare il
Commissario dello Stato e di sostituirlo in caso di assenza od
impedimento, dal d.P.R. 4 giugno 1969, 488, il cui articolo 2 ne
dispone la nomina con decreto del Presidente del Consiglio, “mentre
l’articolo 27, a garanzia della Regione, demanda la nomina del
Commissario dello Stato al Capo dello Stato”. Ma il d.P.R. n. 488 del
1969, che reca norme di attuazione dello Statuto, è costituzionalmente
illegittimo, perché le norme di attuazione, pur avendo rilevanza
costituzionale, non sono leggi costituzionali, e per di più il decreto
presidenziale in discorso “non ha nemmeno il carattere di legge formale
poiché non è un decreto legislativo”, con la conseguenza che non può
modificare lo Statuto, il quale risulta, invece, modificato, sia
“perché aggiunge un altro organo sostitutivo all’organo monocratico
previsto dal citato articolo 27”, sia perché ne prevede la nomina,
come già rilevato, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
Sulla base delle suesposte considerazioni, viene espressamente e
formalmente dedotta l’illegittimità costituzionale del d.P.R. 4 giugno
1969, n. 488. Ed al riguardo, anzi, riaffermando che tale decreto non
ha natura di legge formale, la difesa della Regione chiede a questa
Corte, in via principale, la disapplicazione del suddetto articolo 2 ai
fini della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ed in via
subordinata la fissazione di apposita udienza per l’esame della
questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 del d.P.R.
n. 488 del 1969 per contrasto con l’articolo dello Statuto siciliano.
4. – Nell’imminenza della discussione del ricorso, entrambe le
parti hanno presentato memoria, insistendo nelle ragioni già esposte.
In particolare, l’Avvocatura dello Stato osserva che la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.P.R. n. 488 del 1969
è manifestamente infondata: poiche innegabilmente, in caso di
temporanea vacanza, assenza o impedimento, va assicurata la continuità
dell’organo monocratico, il solo dubbio, peraltro meramente teorico, è
se la supplenza debba essere espressamente disposta dalla legge ovvero
se esista una regola generale, secondo cui la funzione vicaria spetta
alla persona più anziana fra i componenti l’ufficio; inoltre, nella
specie la disposizione di cui all’art. 2 del d.P.R. non modifica la
disciplina preesistente, ma ne colma una lacuna; infine, tanto il
Commissario, quanto il Vice Commissario dello Stato vengono entrambi
nominati “sentito il Consiglio dei ministri”, e perciò entrambi dal
Governo, con la sola differenza, non certo sostanziale, del decreto del
Presidente della Repubblica nell’un caso, del decreto del Presidente
del Consiglio nell’altro caso. Nel merito, poi, ribaditi gli argomenti
di cui al ricorso, denunzia la violazione dell’art. 81 Cost. per il
fatto che non sarebbe prevista in bilancio la copertura della maggiore
spesa e che, in ogni caso, la previsione di essa nel bilancio del 1978
risulterebbe chiaramente incongrua, proprio per l’effetto retroattivo
della legge che si autodefinisce interpretativa.
A sua volta, la difesa della Regione, richiamandosi alla relazione
che accompagnava il disegno di legge, pone nuovamente in evidenza che
la mens legislatoris è volta ad eliminare la sperequazione
verificatasi di fatto tra i membri della Giunta, da un lato, ed il
Presidente ed i Vice Presidenti dell’Assemblea, dall’altro, in
conseguenza del sistema tributario che assoggetta all’imposizione IRPEF
le indennità di questi ultimi solo per quattro decimi, e che la
maggiorazione, disposta allo scopo di assicurare al Presidente della
Giunta ed agli Assessori la parità di trattamento economico con il
Presidente ed i Vice Presidenti dell’Assemblea, non modifica il sistema
tributario dello Stato in ordine alla imposizione IRPEF.
Alla pubblica udienza del 21 ottobre 1981 le difese delle parti
hanno ampiamente illustrato le rispettive ragioni, arricchendole,
l’Avvocatura dello Stato con il rilievo che l’imposta non può
trasferirsi a soggetto diverso da quello che ne è gravato, e la
difesa della Regione con l’eccezione che la legge regionale n. 8 del
1956 doveva essere impugnata nei termini di decadenza prescritti.
1. – L’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso non
può essere accolta.
Indipendentemente dal documento prodotto alla pubblica udienza
dall’Avvocatura dello Stato, dal quale risulta l’assenza del
Commissario dello Stato dalla sede “per ragioni di servizio” dal 17
dicembre 1977 al 17 gennaio 1978, la lettura dell’art. 28 dello
Statuto, quale viene prospettata dalla difesa della Regione, risulta
riduttiva, in quanto limitata ad un solo dato testuale – la locuzione
“Commissario dello Stato” – e prescinde dalla proposizione relativa
finale dello stesso articolo, che viceversa è imprescindibile. Proprio
in virtù dell’integrazione conferitale da tale proposizione, infatti,
la norma assurge a valore di compiuta disciplina, nella quale soltanto
la figura dell’organo dello Stato nella Regione siciliana può essere
esattamente, realisticamente e razionalmente valutata, anche alla
stregua di inviolabili principi costituzionali.
2. – A sensi della suddetta proposizione relativa, il Commissario
dello Stato, cui le leggi dell’Assemblea regionale vanno inviate entro
tre giorni, può impugnare tali leggi “entro i successivi cinque
giorni”. La tesi della Regione, secondo cui – poiché il Vice
Commissario non è previsto dallo Statuto siciliano e può pertanto
esercitare solo funzioni interne – la legittimazione a promuovere
giudizi di costituzionalità sarebbe assolutamente infungibile, nel
senso che essa spetterebbe esclusivamente al Commissario dello Stato,
comporterebbe l’inammissibile conseguenza della non operatività del
potere di impugnazione nei periodi di legittima assenza o legittimo
impedimento del Commissario dello Stato. E poiché si devono in ogni
caso rispettare – a non dir altro – gli articoli 32, primo comma, e 36,
ultimo comma, Cost., il primo dei quali “tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo”, mentre il secondo proclama il
“diritto… a ferie annuali” irrinunziabili, la sola alternativa per
ovviare all’eventualità di un’assenza per legittimo impedimento è la
soluzione adottata col d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488, il cui art. 2
prevede appuntola nomina di un Vice Commissario, che non solo “coadiuva
il Commissario dello Stato”, ma anche “lo sostituisce in caso di
assenza o impedimento”.
3. – La difesa della Regione, pur riconoscendo l’esistenza del
principio generale che ammette l’esercizio vicario delle funzioni nelle
strutture gerarchizzate, afferma tuttavia che tale principio non è
trasferibile dal campo del diritto amministrativo a quello
dell’ordinamento costituzionale, ed in particolare nel caso di specie,
in cui “una funzione costituzionale (tale è la promozione di un
giudizio costituzionale) sia affidata da una norma costituzionale ad un
organo costituzionale monocratico”. Non occorre certo affrontare la
problematica del concetto di “organo costituzionale”, degli indici di
riconoscimento di tale categoria, quali teorizzati dalla dottrina,
delle prerogative che vi sono connesse, né ricordare che nel nostro
ordinamento un elenco di detti organi – ai fini penali tassativo – si
rinviene solo nel codice penale (articolo 289), per convenire che la
deduzione della natura di organo costituzionale insostituibile dalla
titolarità del potere di promuovere giudizi costituzionali prova
troppo: è sufficiente in proposito tenere presente quanto si è
dilatata l’area degli organi e, in genere, delle entità soggettive cui
è stata ormai riconosciuta la legittimazione a promuovere, sia pure in
via incidentale, giudizi che hanno pur sempre per oggetto la
legittimità costituzionale delle leggi. Appare allora superfluo
aggiungere che la natura di organo amministrativo, quale innegabilmente
è pur sempre il Commissario dello Stato (come del resto questa Corte
ha già avuto occasione di affermare con la sentenza n. 6/1970), non
sembra, tanto sul piano concettuale, quanto sul piano positivo,
conciliabile con quella di organo costituzionale. Inoltre, nella
specie, l’organo de quo è portatore di interessi obiettivi, che
possono perciò essere tutelati egualmente bene dall’organo vicario, il
quale ripete anch’esso l’investitura, come esattamente ha osservato
l’Avvocatura dello Stato, dal Governo della Repubblica ed appartiene
anch’esso vale la pena di sottolineare alla medesima alta dirigenza
dello Stato.
4. – Va disattesa inoltre quella parte della eccezione preliminare,
secondo cui l’art. 2 del d.P.R. n. 488 del 1969 non avrebbe natura di
legge formale, e va conseguentemente rigettata la correlativa richiesta
di disapplicazione della summenzionata norma o, in caso contrario, di
fissazione di altra udienza per l’esame della questione di legittimità
costituzionale della stessa norma in relazione all’articolo 27 dello
Statuto siciliano.
Trattasi, infatti, di norme di attuazione dello Statuto – il che la
stessa Regione afferma esplicitamente nei suoi atti difensivi -, delle
quali questa Corte ha già riconosciuto la natura legislativa.
5. – Nel merito, la legge impugnata appare nella sua interezza
viziata da illegittimità costituzionale.
Nell’ordinamento statale, i membri del Governo hanno un trattamento
economico complessivo pari a quello dei gradi gerarchici più elevati.
Così dispone l’articolo 2 della legge 8 aprile 1952, n. 212. Nello
stesso ordinamento, i membri del Parlamento godono, invece, di un
trattamento privilegiato, nel senso che le relative indennità
parlamentari non soggiacciono per intero al normale regime di
tassazione, ma ne sono esentate nella misura del sessanta per cento,
che poi l’articolo 2, penultimo comma, della legge 24 aprile 1980, n.
146, ha ridotto al trenta per cento. Così stabiliva già la legge 31
ottobre 1965, n. 1261, invocando esplicitamente l’art. 69 Cost. e nel
dichiarato intento di “garantire il libero svolgimento del mandato”;
così ha disposto più compiutamente e definitivamente il d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597, sull’istituzione e disciplina dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche. In particolare, l’art. 47, primo comma,
lettera d), di tale normativa assimila al reddito di lavoro dipendente
le indennità “percepite dai membri del Parlamento ” e quelle,
“comunque denominate, percepite per le cariche elettive e per le
funzioni di cui agli articoli 134 e 135 Cost.”; a sua volta, il
successivo art. 48, quarto comma, stabilisce che “le indennità
indicate alla lettera d) dell’art. 47 costituiscono reddito nella
misura del quaranta per cento del loro ammontare al netto dei
contributi previdenziali”.
Se si considera poi che, al contrario, “le indennità, i gettoni di
presenza o altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle
province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni”, pur
essendo anch’essi assimilati, per espresso dettato del medesimo art.
47, lett. e), al reddito di lavoro dipendente, non risultano sottratti
al normale regime di tassazione, il sistema creato con la riforma del
1973 risulta con tutta chiarezza: il trattamento tributario
privilegiato non spetta ai membri del Governo, bensì esclusivamente ai
membri del Parlamento – nonché, ai sensi dell’art. 6 della legge n.
1261 del 1965, anche “ai consiglieri delle regioni a statuto speciale”
e, per effetto dell’art. 47, lett. d), del d.P.R. n. 597 del 1973, alle
altre cariche elettive -, ma neppure per ogni indennità, gettone di
presenza o altro compenso percepito nell’esercizio di pubbliche
funzioni, bensì esclusivamente per le indennità di cui alla già
menzionata lett. d) dell’articolo 47 del d.P.R. n. 597 del 1973. Se si
considera altresì che, con deliberazione n. 605 del 13 febbraio 1975,
la sezione di controllo della Corte dei conti dichiarò parzialmente
illegittimi, rifiutandone il visto e la registrazione, due decreti del
Presidente della Regione siciliana, proprio perché e nella parte in
cui, facendo applicazione dell’art. 1 della legge regionale 30 gennaio
1956, n. 8, sottraevano al normale regime di tassazione le indennità
corrisposte ai membri della Giunta, non può non ritenersi che la legge
impugnata dal Vice Commissario dello Stato si pone in immediato
rapporto di consecuzione, non solo temporale, con la pronuncia della
sezione di controllo della Corte dei conti e con i rilievi ivi
contenuti. Essa risulta, infatti, adottata proprio al fine di superare
l’ostacolo rappresentato dalla Corte dei conti. E non può certo dirsi
conforme ai sistema costituzionale, configurandosi, anzi, come un caso
esemplare di sviamento strumentale della funzione legislativa, il
ricorso appunto allo strumento della legge interpretativa, per porre il
vizio rilevato dall’organo di controllo al riparo da tale controllo.
6. – Il problema dell’indennità ai membri della Giunta regionale
venne affrontato dall’Assemblea siciliana ancor prima della
costituzionalizzazione dello Statuto, e precisamente con la legge
regionale 29 dicembre 1947, n. 19, che recava il titolo di
“determinazione della indennità mensile al Presidente della Regione ed
agli Assessori e del rimborso spese per incarichi agli stessi o ai
Deputati”. Tale legge stabiliva, quantificandole, e con decorrenza dal
primo giugno dello stesso anno, le diverse misure dell’indennità
mensile – al lordo – per il Presidente della Regione, per gli Assessori
effettivi e per quelli supplenti. Il suddescritto sistema durò poco
meno di un decennio, essendo stato sostituito nel 1956 dall’art. 1
della legge n. 8, a sensi del quale l’indennità mensile, con
decorrenza dal 1 agosto 1955, non è più quantificata, ma prevista in
misura pari – sempre al lordo, tuttavia – al trattamento economico
mensile spettante, rispettivamente, al Presidente ed ai Vice Presidenti
dell’Assemblea regionale siciliana.
Non rileva al riguardo la constatazione che il trattamento
economico di questi ultimi, cui è stato ancorato quello dei membri
della Giunta, non essendo disposto con legge, ma con atto interno del
Consiglio di Presidenza dell’Assemblea in virtù dell’articolo 11 del
relativo regolamento, può subire periodiche variazioni. Rileva,
viceversa, il dato di fatto che il sistema instaurato nel 1956, il
quale testualmente stabilisce per i membri della Giunta – è bene
ripeterlo – una indennità mensile “lorda”, non ha dato motivo a
questione per circa un ventennio, cioè dal 1956 al 1975. Fu solo in
quest’ultima data, infatti, che nacque la questione, e precisamente
quando la Corte dei conti in sede di controllo ebbe occasione di
esaminare i due decreti dei quali si è già detto, emanati in materia
dal Presidente della Regione siciliana nell’ottobre del precedente
anno 1974. La competente sezione di controllo non ammise al visto ed
alla registrazione i due decreti, ma non già perché negasse la
legittimità dell’attribuzione di un’indennità mensile ai membri della
Giunta o dell’assunzione come parametro di quella dei membri della
Presidenza dell’Assemblea, bensì esclusivamente perché il
particolare regime di tassazione, riservato ai membri di organi
elettivi, risultava dai due decreti esteso ai membri del governo
regionale, mentre non spetta neppure ai membri del governo nazionale.
In altre parole, quel particolare regime di tassazione costituisce
una deroga, come verrà precisato nel seguito della presente
motivazione, e la sua estensione oltre i casi tassativamente previsti
costituisce un’applicazione nuova e diversa; nuova e diversa, sia
rispetto alla lettera della legge regionale n. 8 del 1956, sia rispetto
all’applicazione costantemente fattane in passato. Ma allora la legge
impugnata, risolvendosi in sostanza nell’espansione dell’ambito di
quella deroga, non già interpreta, ma dispone. Essa, insomma, non è
interpretativa, bensì innovativa, e ne è prova – documentale, si
direbbe – il mutamento della formula “indennità mensile lorda”,
coniata già nel 1947 e ribadita nel 1956, in “misura mensile netta”,
introdotta con la sedicente interpretazione autentica, nell’intento di
realizzare mediante un atto legislativo quel medesimo disegno che non
era stato possibile realizzare con un atto amministrativo.
Ma non è interpretativa anche per una considerazione di diverso
ordine. Il legislatore può sempre riformare la disciplina vigente,
modificando la legge anteriore, ed un legislatore regionale dotato di
potestà esclusiva, godendo di ampia discrezionalità, sia pure nei
limiti delle leggi costituzionali, può sempre disciplinare
l’ordinamento degli uffici e degli enti regionali, come appunto
previsto dall’articolo 14, lett. p), dello Statuto della Regione
siciliana. Non può, però, dirsi che faccia egualmente buon uso della
sua potestà il legislatore che si sostituisca al potere cui è
riservato il compito istituzionale di interpretare la legge,
dichiarandone mediante altra legge l’autentico significato con valore
obbligatorio per tutti e, quindi, vincolante anche per il giudice,
quando non ricorrano quei casi in cui la legge anteriore riveli gravi
ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti
applicazioni, specie in sede giurisprudenziale.
Ora, la legge regionale siciliana n. 8 del 1956 non contiene sul
punto formule ambigue, né ha provocato, almeno per circa un ventennio,
contrasti in sede applicativa. La legge impugnata, quindi, ha solo il
nome di interpretazione autentica.
7. – La difesa della Regione sostiene che la legge impugnata non ha
inteso “sottrarre al normale regime di imposizione tributaria
l’indennità spettante al Presidente della Regione ed agli Assessori”:
il legislatore regionale del 1956 aveva disposto che membri della
Giunta e membri della Presidenza dell’Assemblea godessero di
trattamenti economici di pari entità. Tale essendo la mens
legislatoris – prosegue la difesa della Regione – è una volta che per
effetto dell’esonero, nella misura di sei decimi, dall’imposta sul
reddito delle persone fisiche (IRPEF), riconosciuto solo ai membri
della Presidenza dell’Assemblea, si è verificata una notevole
differenza tra i due ordini di retribuzione, la sola via per
ristabilire fra le due categorie la parità voluta dal legislatore del
1956 è appunto quella di riconoscere al Presidente della Giunta ed
agli Assessori una “retribuzione lorda maggiore di quella attribuita
al Presidente ed ai Vice Presidenti dell’Assemblea, di guisa che la
stessa, diminuita di tutti i tributi applicabili, dei quali è prevista
puntuale applicazione, risulti pari, al netto, a quella che, al netto,
ricevono, rispettivamente, il Presidente ed i Vice Presidenti
dell’Assemblea”. Mediante tale meccanismo, conclude la stessa difesa, i
membri della Giunta non ottengono un regime tributario privilegiato; al
contrario, anzi, i loro emolumenti sono esposti ad una tassazione più
elevata e ad una maggiore decurtazione.
Appare con tutta chiarezza come la sopra riassunta prospettazione
sia abilmente imperniata solo sulla parità dei trattamenti economici
dei membri della Giunta e di quelli della Presidenza. Tale parità è
innegabilmente un dato normativo letterale, che si rinviene sia nella
legge del 1956 sia in quella impugnata. Ma la questione riceve esatta
soluzione non gia argomentando da quest’unico elemento, ma solo se
impostata nei suoi esatti e più ampi termini.
Sembra indubitabile che la legge impugnata trae origine, meglio che
occasione, dalla riforma tributaria, cioè dall’istituzione e
disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF):
questa reca la data del 1973 (d.P.R. n. 597), i due decreti del
Presidente della Regione siciliana, dichiarati illegittimi dalla Corte
dei conti, recano la data del 1974. Ne deriva che si tratta
essenzialmente di questione di diritto tributario. Ne offre conferma la
relazione illustrativa della legge impugnata, che proprio alla
imposizione IRPEF fa espresso richiamo.
Sembra altrettanto indubitabile che, se si tiene presente
l’articolo 53, primo comma, Cost. secondo cui “tutti sono tenuti a
concorrere alle stesse pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”, la norma di cui all’articolo 48, quarto comma del
menzionato d.P.R. n. 597 del 1973, la quale stabilisce che le
indennità dei membri degli organi elettivi “costituiscono reddito
nella misura del qualità per cento”, si configura come una deroga al
suddetto principio costituzionale; una deroga consistente in una
esenzione parziale dall’imposta, e perciò insuscettibile, in quanto
tale, di interpretazione estensiva, e che inoltre solo il legislatore
statale può motivatamente disporre.
Valutando adesso la legge impugnata alla stregua delle due
puntualizzazioni che precedono, risulta che questa, disponendo in
materia tributaria, ha esteso un’esenzione parziale – di cui peraltro i
membri della Giunta già godono in quanto consiglieri regionali – a
categorie non previste dal sistema instaurato col d.P.R. n. 597 del
1973, così violando l’art. 53, primo comma, Cost. – ma anche l’art. 3
primo comma, Cost., in rapporto a tutti gli altri contribuenti – oltre
che la riserva di legge statale sulle esenzioni fiscali. Basta al
riguardo porre mente al meccanismo escogitato dalla legge nel suo
effettivo concretarsi, quale in definitiva viene descritto nella stessa
relazione illustrativa: la disparità nasce in seguito all’esonero
parziale riconosciuto all’una categoria, ma non anche all’altra; la
parità si ristabilisce versando a questa una maggiorazione che
corrisponda perfettamente alla maggiore imposta da essa dovuta. Ma
così il tributo viene effettivamente, anche se indirettamente, pagato
dalla finanza regione, non gravando più sul contribuente, e si
consegue, sì la effettiva parità di trattamento retributivo, ma si
consegue, prima ancora, l’effettiva parità fiscale. La legge può
certamente stabilire le indennità dei membri della Giunta nelle misure
che ritiene più congrue, ma una legge interpretativa non e,
altrettanto certamente, lo strumento più idoneo e costituzionalmente
legittimo, quando disponga una maggiorazione del trattamento economico
di alcuni pubblici dipendenti al fine di esonerare tali contribuenti
dal pagamento, sia pur solo parziale, delle imposte dovute secondo il
sistema tributario.
E poi appena il caso di osservare che, contrariamente a quanto
eccepito dalla difesa della Regione nella pubblica udienza, non vi era
motivo di impugnare la legge n. 8 del 1956 entro i previsti termini di
decadenza, dato che le censure di incostituzionalità sono rivolte, non
già contro questa legge, bensì contro la interpretazione autentica di
essa. E, per quanto riguarda il richiamo nella memoria dell’Avvocatura
dello Stato all’articolo 81 Cost., basterà rilevare che nessuna
questione risulta sollevata nel ricorso con riguardo a tale ultima
disposizione costituzionale.
Poiché, infine, l’articolo 1 della legge regionale siciliana in
epigrafe risulta costituzionalmente illegittimo per violazione degli
articoli 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost., il ricorso proposto
dal Vice Commissario dello Stato il 29 dicembre 1977 va accolto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge approvata
dall’Assemblea regionale siciliana in data 21 dicembre 1977, recante
“Interpretazione autentica dell’art. 1 della legge regionale 30 gennaio
1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per
missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 novembre 1981.
F.to: LEOPOLDO ELIA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere