Sentenza N. 189 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
30/11/1971
Data deposito/pubblicazione
30/11/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/11/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (elezione dei
Consigli delle amministrazioni straordinarie delle Provincie
siciliane), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1970 dalla
Corte d’appello di Palermo nel procedimento per ricorso elettorale tra
Del Castillo Francesco Paolo e Tedesco Francesco ed altri, iscritta al
n. 1 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 49 del 24 febbraio 1971 e nella Gazzetta Ufficiale
della Regione siciliana n. 16 del 3 aprile 1971.
Visti gli atti di costituzione di Tedesco Francesco e di Del
Castillo Francesco Paolo e d’intento del Presidente della Regione
siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore
Vezio Crisafulli;
uditi l’avv. Francesco Paolo Del Castillo, l’avv. Antonio
Sangiorgi, per il Tedesco, e l’avv. Salvatore Villari, per il
Presidente della Regione siciliana.
1. – Con ordinanza emessa il 4 dicembre 1970 nel procedimento per
ricorso elettorale tra Del Castillo Francesco Paolo e Tedesco Francesco
ed altri la Corte d’appello di Palermo ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 7, n. 4, della legge regionale
siciliana 9 maggio 1969, n. 14, per contrasto con l’art. 51, comma
primo, della Costituzione.
La norma impugnata, infatti, stabilendo la ineleggibilità a
consigliere provinciale per gli impiegati ed i componenti dei Consigli
di amministrazione delle istituzioni di assistenza e beneficenza
esistenti nell’ambito della Provincia, introdurrebbe in Sicilia una
limitazione all’elettorato passivo priva di riscontro nella
legislazione nazionale e non consentita alla potestà legislativa
regionale, che, anche se primaria in detta materia, non può non
rispettare il principio di eguaglianza nella capacità elettorale,
secondo quanto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 108 del
1969 ha già avuto occasione di chiarire.
La questione sarebbe rilevante in quanto i tre appellanti, di cui
risulta contestata l’elezione a componenti del Consiglio provinciale di
Palermo, sono medici impiegati dell’Ospedale civico SS. Trinità di
Termini Imerese, che conserverebbe tuttora, nonostante la sopravvenuta
legge 12 febbraio 1968, n. 132, la natura di istituzione pubblica di
assistenza e beneficenza.
2. – Si è costituito nel presente giudizio il sig. Tedesco, con
deduzioni depositate l’8 gennaio 1971, nelle quali sostiene la
illegittimità costituzionale della norma denunciata, sviluppando gli
argomenti proposti nell’ordinanza di rinvio, sulla base anche di
un’ampia disamina della precedente legislazione in materia sia
nazionale che della Regione.
3. – Anche il sig. Del Castillo si è costituito con atto del 28
gennaio 1971, per affermare anzitutto la irrilevanza della questione,
in quanto, ove anche la norma di cui al n. 4 dell’art. 7 della legge
regionale n. 14 del 1969 dovesse essere considerata illegittima, il
giudice a quo non potrebbe considerare valida la elezione della
controparte, ostandovi il n. 3 della stessa disposizione di legge che
dichiara comunque ineleggibili coloro i quali ricevano uno stipendio o
salario dalla provincia o da enti, istituti o aziende da essa
dipendenti, controllati o sovvenzionati, nonché gli amministratori di
tali enti, istituti ed aziende. E l’Ospedale civico SS. Trinità di
Termini Imerese, quale istituzione pubblica di assistenza e beneficenza
a vantaggio di una parte della Provincia, sarebbe sottoposto a
vigilanza del Consiglio provinciale, ai sensi dell’art. 241 del t.u.
della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 4 febbraio 1915,
n. 148.
La disposizione impugnata costituirebbe, pertanto, norma speciale
rispetto all’altra che regola una fattispecie più ampia e che trova, a
sua volta, puntuale corrispondenza nell’art. 10, n. 3, della legge
statale 8 marzo 1951, n. 122, come modificato dall’art. 3 della
successiva legge 10 settembre 1960, n. 962: per cui anche le censure
svolte sotto il profilo della fondatezza della questione dovrebbero
essere disattese.
4. – È intervenuto, a sua volta, il Presidente della Giunta
regionale siciliana, con deduzioni depositate il 10 febbraio 1971,
nelle quali rileva che la normativa impugnata si riferisce, a
differenza di quella che ha formato oggetto della sentenza n. 108 del
1969 della Corte costituzionale, esclusivamente alle amministrazioni
straordinarie delle entità organizzative che precedono i liberi
consorzi e non potrebbe essere applicata a questi, qualora fossero
costituiti. Per conseguenza, non soltanto sarebbe non pertinente
qualsiasi argomento volesse trarsi dalla ricordata sentenza, ma la
stessa normativa, avendo un carattere transitorio, disciplinerebbe
categorie di dipendenti e di amministratori prive di corrispondenza
rispetto ad altre esistenti nel territorio nazionale.
D’altra parte anche le istituzioni di assistenza e di beneficenza,
rientrando nella competenza esclusiva regionale (art. 14, lettera m,
dello Statuto), si innesterebbero con il relativo personale quali
figure organizzative proprie della Regione siciliana diversamente da
come si atteggiano le corrispondenti opere pie nel rimanente territorio
nazionale. E analoghe caratteristiche dovrebbero riconoscersi in
particolare alle unità ospedaliere, che la legge regionale n. 23 del 5
luglio 1949, modificata dalla successiva n. 62 del 15 luglio 1950,
avrebbe configurato come organi regionali, pur conservando loro
provvisoriamente la personalità giuridica. A questo riguardo è da
aggiungere che in una successiva memoria la stessa parte ha anche
sostenuto la irrilevanza della questione, in quanto l’Ospedale civico
SS. Trinità di Termini Imerese avrebbe acquisito il carattere di ente
ospedaliero, e quindi perduto quello di istituzione di assistenza e
beneficenza, già per effetto delle ricordate leggi regionali n. 23
del 1949 e n. 62 del 1950 e più sicuramente in seguito alla
sopravvenuta legge statale n. 132 del 1968.
Nel merito la difesa del Presidente della Regione conclude per la
infondatezza della questione.
5. – All’udienza le parti hanno insistito nelle rispettive
conclusioni.
1. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla
Corte d’appello di Palermo ha per oggetto l’art. 7, n. 4, della legge
regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14, che statuisce la
ineleggibilità a consiglieri provinciali degli impiegati ed
amministratori delle istituzioni di assistenza e beneficenza “esistenti
nell’ambito della Provincia”. Tale disposizione, secondo l’ordinanza,
introdurrebbe così una limitazione del diritto elettorale passivo che,
non trovando corrispondenza nella legislazione statale, eccederebbe dai
limiti della potestà legislativa della Regione siciliana in materia di
ordinamento degli enti locali (e quindi anche di elezioni
amministrative).
Dinanzi a questa Corte una delle parti private ha eccepito
preliminarmente la irrilevanza della questione, argomentando che, anche
se il n. 4 dell’art. 7 ora citato fosse dichiarato costituzionalmente
illegittimo, la controparte, quale medico impiegato alle dipendenze di
una istituzione di assistenza e beneficenza controllata dalla
Provincia, sarebbe pur sempre ineleggibile, a norma del precedente n.
3, che ha più largo riferimento agli impiegati ed amministratori di
istituti, enti o aziende dipendenti, controllati o sovvenzionati dalla
Provincia. L’eccezione va, peraltro, disattesa, perché la
disposizione di cui si chiede l’applicazione nel giudizio a quo è
proprio quella del n. 4, espressamente formulata per la particolare
ipotesi che si assume ricorrere nella fattispecie, pur se rientrante –
con altre – nella più generale previsione del n. 3, essendo
indifferente che l’esito di quel giudizio possa poi risultare, nel
merito, il medesimo ove si facesse invece diretta applicazione di
quest’ultima.
Sotto altro profilo dubbi sulla rilevanza sono anche prospettati
dalla difesa della Regione, asserendosi che l’ospedale in oggetto, già
riconosciuto “unità ospedaliera circoscrizionale” con la legge
regionale siciliana 5 luglio 1949, n. 23, ed ora, con decreto 2
settembre 1970 del Presidente della Regione, dichiarato “ente
ospedaliero” a norma degli artt. 3, 4 e 9 della legge statale n. 132
del 1968, non rientrerebbe più tra le istituzioni di assistenza e
beneficenza, di cui alla disposizione dell’art. 7, n. 4, della legge
regionale n. 14 del 1969.
Ma i problemi interpretativi e sistematici connessi con
l’accertamento della esatta configurazione giuridica dell’ospedale sono
di spettanza della Corte d’appello di Palermo, quale giudice del
processo principale, e questa, pur muovendo dal presupposto che
l’ospedale sia ormai stato riconosciuto “ente ospedaliero”, ha ritenuto
tuttavia vigenti, ed ugualmente ad esso applicabili, le disposizioni
della precedente legislazione sulle istituzioni di assistenza e
beneficenza, che stanno a base della ineleggibilità stabilita nella
norma denunciata nel presente giudizio. Può soggiungersi, comunque,
che il ricordato decreto del Presidente della Regione – cui non può
riconoscersi efficacia retroattiva – è intervenuto successivamente
alle elezioni che hanno occasionato la controversia di merito, mentre
è a tale data che devono essere rapportate le cause di
ineleggibilità.
2. – Nel merito, la questione non è fondata. Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la potestà legislativa della Regione
siciliana in materia di elezioni amministrative “dev’essere
strettamente limitata dai principi della legislazione statale”, per
l’esigenza di assicurare, a norma dell’art. 51 Cost., eguaglianza di
trattamento tra i cittadini quanto all’esercizio della capacità
elettorale passiva (sent. n. 105 del 1957 e sent. n. 26 del 1965):
deroghe alla legislazione statale sono perciò ammissibili solo per
particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione,
“ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, e finalizzati alla
tutela di un interesse generale” (sent. n. 108 del 1969).
Ora, la regola della ineleggibilità ai Consigli provinciali (ed a
quelli comunali) degli impiegati delle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza esistenti nella Provincia (o rispettivamente
nel Comune) rappresenta un dato costante della nostra legislazione,
anche se – in un primo tempo – circoscritta ai soli impiegati
“contabili ed amministrativi”. La regola è, infatti, espressamente
enunciata, per entrambe le ipotesi cui si è accennato (Consigli
comunali e Consigli provinciali), a partire dal testo unico della legge
comunale e provinciale 10 febbraio 1889, n. 5921, sino a quello del 4
febbraio 1915, n. 148 (artt. 26 e 28); per ricomparire poi,
ripristinandosi la elettività delle amministrazioni degli enti
territoriali minori, e con specifico riguardo ai Consigli comunali,
nell’art. 14, n. 4, del d.lgs.lgt. 7 gennaio 1946, n. 1, e
successivamente nell’art. 15, n. 4, del testo unico delegato 5 aprile
1951, n. 203, ripetuto infine nel testo unico d.P.R. 16 maggio 1960, n.
570. Ma la limitazione ai Consigli comunali risultante da questi ultimi
testi è soltanto apparente, poiché senza dubbio la regola ha
seguitato ad essere applicabile anche ai Consigli provinciali, in forza
del rinvio alle norme sulle elezioni comunali, disposto dall’art. 8,
secondo comma, della legge 8 marzo 1951, n. 122, che non prevedeva
espressamente le cause di ineleggibilità a consigliere provinciale.
È vero bensì che, nella elencazione successivamente fattane
nell’art. 3 della legge 10 settembre 1960, n. 962, non vi è più
menzione in forma esplicita della ineleggibilità degli impiegati delle
istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella provincia, ma
non va dimenticato: 1) che la elencazione fu introdotta, non al fine di
innovare al sistema in vigore, quale risultava dal rinvio dell’art. 8
della citata legge del 1951, quanto invece al dichiarato intento di
eliminare talune divergenze interpretative che erano insorte nella
pratica sul modo di intenderne la vera portata (ritenendosi da alcuni
che ai vari riferimenti al Comune contenuti nelle leggi sulle elezioni
comunali dovessero essere tacitamente sostituiti, nel farne
applicazione a quelle provinciali, corrispondenti riferimenti alla
Provincia; da altri, invece, che le disposizioni cui si rinviava
fossero da considerare richiamate nel loro tenore letterale); 2) che la
proposizione normativa concernente la particolare causa di
ineleggibilità che qui interessa fu eliminata in sede di
coordinamento, senza esplicita motivazione, mentre ancora nella
proposta di legge del deputato Bozzi (Atti Camera, III Legislatura n.
1634), poi confluita con altre nel testo definitivamente approvato
dalla Camera il 6 settembre 1960, detta causa di ineleggibilità era
presente negli identici termini adoperati dalle vigenti disposizioni
sulle elezioni comunali, con riguardo agli impiegati delle istituzioni
di assistenza e beneficenza a base comunale; 3) che la ratio delle
ineleggibilità è sicuramente la stessa per l’un caso come per
l’altro, dal momento che, per l’art. 241, n. 15, del citato testo unico
comunale e provinciale del 1915, spetta ai Consigli provinciali nei
confronti delle istituzioni di assistenza e beneficenza destinate a
vantaggio della Provincia o di una sua parte una vigilanza – sia pur
generica – non diversa da quella attribuita, sulle analoghe istituzioni
operanti nell’ambito dei Comuni, ai rispettivi Consigli comunali (art.
132).
3. – È da ritenere, perciò, in assenza di opposti e diversi
indizi comunque desumibili dai lavori parlamentari, che la omissione
sia stata semplicemente formale, essendosi considerata la specifica
ipotesi delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella
Provincia come già inclusa in quella, più ampia, del precedente n. 3,
che sancisce la ineleggibilità di coloro che ricevono stipendio o
salario da “enti, istituti o aziende dipendenti, sovvezionate o
sottoposte a vigilanza della Provincia”: nel qual senso era ed è,
infatti, orientata autorevole dottrina.
In conclusione, la mancanza nella legge statale attualmente in
vigore – a differenza da quelle precedenti – della apposita
formulazione espressa non significa, per quanto si è venuti esponendo
fin qui, che manchi altresì (o sia stata soppressa), almeno con
riguardo agli impiegati, la norma, e meno ancora, il principio, che la
disposizione della legge regionale impugnata ha inteso espressamente
specificare; e non significa, quindi, che vi sia stata deroga
(inammissibile) alla normativa di fonte statale in tema di accesso alle
cariche elettive delle amministrazioni provinciali.
Tanto più che, anche in Sicilia, le due cause di ineleggibilità
(ai Consigli comunali ed a quelli provinciali) hanno un identico
fondamento, in esso concorrendo, con la esigenza di impedire indebite
influenze sugli elettori, la considerazione del potenziale conflitto di
interessi tra gli appartenenti agli organi deliberativi degli enti
territoriali minori e i dipendenti da istituzioni sottoposte ad
ingerenza degli enti medesimi (si veda l’art. 150, n. 8, del decreto
legislativo del Presidente della Regione 29 ottobre 1955, n. 6,
applicabile alle attuali amministrazioni straordinarie delle Provincie
siciliane in forza del successivo art. 266 ed in tutto corrispondente
al ricordato art. 241, n. 15, del testo unico nazionale del 1915).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14
(elezione dei Consigli delle amministrazioni straordinarie delle
Provincie siciliane), sollevata, con l’ordinanza della Corte d’appello
di Palermo di cui in epigrafe, in riferimento all’art. 51, primo comma,
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 novembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.