Sentenza N. 191 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1981
Data deposito/pubblicazione
17/12/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN –
Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO NIACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI,
Giudici,
terzo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Violazione delle misure
di sorveglianza speciale), promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio
1975 dal pretore di San Cipriano Picentino, nel procedimento penale a
carico di Costabile Orlando, iscritta al n. 204 del registro ordinanze
1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del
1975.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 1981 il Giudice relatore
Arnaldo Maccarone;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
I carabinieri di Giffoni Vallepiana, avendo accertato che il
sorvegliato speciale Orlando Costabile aveva violato la prescrizione di
“non rincasare la sera più tardi delle ore 21”, procedevano al suo
arresto il 13 febbraio 1975, ai sensi dell’art. 9, terzo comma, della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
Dispone invero tale norma che:
“Il contravventore agli obblighi inerenti alla sorveglianza
speciale è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno.
Se l’inosservanza riguarda la sorveglianza speciale con l’obbligo o
il divieto di soggiorno, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a
due anni. In ogni caso è consentito l’arresto anche fuori dei casi di
flagranza (…)”.
Il pretore di San Cipriano Picentino convalidava l’arresto con
decreto del 15 febbraio 1975 ed ordinava che l’imputato fosse condotto,
in stato di detenzione, all’udienza del 18 febbraio 1975 per giudicarlo
col rito del giudizio direttissimo, ma in udienza rilevava che, non
ricorrendo l’ipotesi della flagranza, mancavano i presupposti per la
celebrazione del giudizio stesso. Perciò ordinava la trasmissione
degli atti al suo ufficio, onde procedere con le forme ordinarie, e
disponeva la “liberazione” dell’arrestato, “essendo egli imputato di
reato per il quale la legge non consente il mandato di cattura”.
Quindi, con ordinanza 24 febbraio 1975, sollevava questione di
legittimità costituzionale dell’art. 9, terzo comma, legge 27 dicembre
1956, n. 1423, in riferimento all’art. 13 della Costituzione.
Circa la non manifesta infondatezza della questione il giudice a
quo assume che quest’ultima disposizione conferisce una riserva di
potere alla A.G. in materia di provvedimenti limitativi della libertà
personale e che pertanto il legislatore ordinario, allorché
attribuisce eccezionalmente simile potere all’autorità di polizia,
deve contemporaneamente assicurare all’A.G. il potere, in caso di
convalida, di protrarre gli effetti del provvedimento.
Senonché, nell’ipotesi prevista dall’art. 9, terzo comma, legge 27
dicembre 1956, n. 1423, così come modificato dall’art. 8 legge 14
ottobre 1974, n. 497, non essendo possibile procedere al giudizio
direttissimo, per difetto della flagranza, e non essendo consentito il
mandato di cattura, data la natura contravvenzionale del reato, il
giudice non potrebbe protrarre lo stato di detenzione, e fare quindi
proprio il provvedimento provvisorio adottato dalla P.S., ma dovrebbe
ordinare la liberazione dell’arrestato.
Di qui il dubbio che la norma denunziata contrasti, nei sensi sopra
indicati, con l’art. 13, secondo comma, della Costituzione.
In ordine alla rilevanza, il giudice a quo osserva poi che la
questione sollevata concerne un aspetto essenziale della controversia
(quello relativo allo stato di detenzione dell’imputato) e che, in caso
di accoglimento, dovrà dichiararsi l’illegittimità della detenzione
preventiva sofferta dal Costabile nonostante l’intervenuta convalida
dell’arresto.
L’ordinanza ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 1975, n. 181. In
questa sede si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato con atto
depositato l’11 giugno 1975, chiedendo che la questione sollevata sia
dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, non
fondata.
I dubbi circa la rilevanza della questione sono ricollegati al
fatto che essa è stata sollevata quando l’imputato era stato già
scarcerato.
Nel merito, l’Avvocatura prende atto che secondo l’orientamento
della Corte di cassazione l’arresto eseguito nella flagranza di un
reato per il quale, data la pena edittale, la legge non autorizza il
mandato di cattura, legittima il protrarsi della custodia preventiva
solo quando si proceda nelle forme del giudizio direttissimo e che ove,
invece, si proceda secondo il rito ordinario debbono trovare
applicazione le norme degli artt. 269 e 270 c.p.p. le quali impongono
la immediata scarcerazione dell’imputato. Ma ritiene che una esatta
interpretazione della norma impugnata porti ad escludere che con essa
si sia voluto autorizzare l’autorità di pubblica sicurezza ad operare
un arresto che, sia pure dopo la convalida, deve immediatamente essere
posto nel nulla dall’autorità giudiziaria.
Per l’Avvocatura la denuncia contenuta nell’ordinanza di rinvio
deriverebbe “dall’equivoco nel quale è incorso il giudice a quo quando
ha ritenuto di dover ordinare la liberazione dell’imputato arrestato,
in applicazione delle disposizioni del codice di rito relative alla
liberazione dell’imputato senza considerare che proprio queste
disposizioni erano state derogate dalla norma impugnata”.
Conclude pertanto chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile perché irrilevante o, in subordine, che la questione
stessa sia dichiarata infondata.
1. – Come esposto in narrativa, il giudice a quo ha sollevato
questione di legittimità dell’art. 9, terzo comma, della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, nel testo risultante dalle modifiche apportate
con l’art. 8 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, assumendo che la
disposizione ivi contenuta, secondo la quale è consentito l’arresto
del contravventore agli obblighi relativi alla sorveglianza speciale
anche fuori dei casi di flagranza, si porrebbe in contrasto con la
riserva di giurisdizione in materia di provvedimenti concernenti la
libertà personale posta dall’art. 13 Cost. in quanto non
attribuirebbe all’autorità giudiziaria il potere di protrarre
l’arresto stesso nel caso in cui, come nella specie, non sia possibile
avvalersi del giudizio direttissimo per trascorsa flagranza e si debba
quindi procedere alla liberazione dell’arrestato per un reato che, come
quello ascritto al Costabile, non consenta il mandato di cattura.
2. – E da rilevare pregiudizialmente che il giudice a quo come
risulta dalla stessa ordinanza di rinvio, in applicazione dei criteri
testé esposti, con provvedimento del 18 febbraio 1975, cioè di data
anteriore all’ordinanza stessa, aveva disposto la liberazione
dell’arrestato ritenendo appunto che la sua detenzione non era
consentita, in base alla natura contravvenzionale del reato ed alla
inapplicabilità nella specie del rito direttissimo.
La evidente definitività del detto provvedimento di scarcerazione
rende in ogni caso ininfluente la prospettata dichiarazione di
illegittimità della norma impugnata ed è quindi palese l’irrilevanza
della questione, la cui soluzione non potrebbe oramai spiegare alcun
effetto nel giudizio principale.
3. – La motivazione pur formulata dal giudice a quo ai fini del
giudizio di rilevanza di sua competenza, incentrata sulla
illegittimità dell’arresto del Costabile che dovrebbe derivare dalla
prospettata dichiarazione di illegittimità dell’articolo 9, terzo
comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, appare quindi del tutto
incongrua ed insufficiente e, come tale, censurabile in questa sede.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità dell’art. 9,
terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, modificato
dall’art. 8 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sollevata con
ordinanza del pretore di San Cipriano Picentino del 24 febbraio 1975 in
riferimento all’art. 13 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1981.
F.to: LEOPOLDO ELIA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere