Sentenza N. 192 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1976
Data deposito/pubblicazione
22/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
35 del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1023 (disposizioni di
coordinamento transitorie e di attuazione dei codici penali militari di
pace e di guerra), promossi con due ordinanze emesse il 24 luglio 1974
dal giudice di sorveglianza del tribunale supremo militare sulle
istanze di liberazione condizionale presentate da Kappler Herbert e da
Reder Walter, iscritte ai nn. 358 e 359 del registro ordinanze 1974 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 30
ottobre 1974.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1976 il Giudice relatore
Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ai sensi dell’art. 34 del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1023
(disposizioni di coordinamento, transitorie e di attuazione dei codici
penali militari) il giudice militare di sorveglianza presso il
tribunale supremo militare ha proceduto all’esame delle domande, intese
ad ottenere la liberazione condizionale, presentate da Herbert Kappler
e da Walter Reder, detenuti nel reclusorio militare di Gaeta in
espiazione della pena dell’ergastolo e, in due distinte ordinanze, di
identico contenuto ed entrambe del 24 luglio 1974, ha osservato che
dalla documentazione esibita risulterebbe che non difettano
manifestamente le condizioni prescritte per la concessione del
beneficio.
Ha rilevato, tuttavia, che per l’art. 35 del richiamato regio
decreto 1023, “la liberazione condizionale è conceduta con decreto del
Ministro da cui dipendeva il militare condannato al momento del
commesso reato” e che non esiste alcuna norma che regoli il mancato
accoglimento delle istanze prodotte dai condannati.
Ciò premesso, ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale dei ripetuti artt. 34 e 35 del regio decreto n. 1023 del
1941, in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
Nei due giudizi avanti a questa Corte non vi è stata costituzione
di parti. Soltanto in quello conseguente all’ordinanza di rimessione
relativa all’istanza prodotta dal Kappler è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Il giudice militare fa presente che, con la sentenza n. 204 del
1974, questa Corte – per quanto attiene alla liberazione condizionale
prevista dal codice penale comune – ha dichiarato la illegittimità
dell’art. 43 del regio decreto 28 maggio 1941, n. 602 (disposizioni di
attuazione del codice di procedura penale), che attribuiva al Ministro
di grazia e giustizia il potere di concedere il beneficio, riconoscendo
siffatta attribuzione all’organo amministrativo in contrasto con gli
artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
Le considerazioni svolte in detta sentenza – osserva, quindi, tal
giudice – sembra debbano valere anche per gli artt. 34 e 35 del regio
decreto 9 settembre 1941, n. 1023, che demandano al Ministro per la
difesa la facoltà di concedere la liberazione condizionale prevista
dalla legislazione penale militare. Istituto che, peraltro,
attualmente, proprio in conseguenza della ripetuta sentenza n. 204 del
1974, è differenziato rispetto a quello della legge penale comune,
senza adeguata giustificazione, non potendo questa rinvenirsi in
speciali esigenze della normativa militare.
Per l’Avvocatura dello Stato, la questione di legittimità
costituzionale che ne occupa si risolve accertando se la
regolamentazione posta dalle norme denunciate – diversa da quella
adottata dalle norme penali comuni, quali risultano dopo la sentenza
numero 204 del 1974 – trovi o meno una giustificazione ragionevole,
anche e specificamente in relazione alle invocate norme costituzionali
di raffronto.
E all’uopo fa presente che la stessa autonoma previsione nel codice
penale militare (art. 71) e la differenziata regolamentazione – per
quanto riguarda, in particolare, i minimi di pena inflitti e scontati
ed il massimo di pena residuale, prima delle leggi n. 827 del 1942 e n.
1634 del 1962 – starebbero a dimostrare la speciale natura che
l’istituto assume in relazione alla sanzione militare.
Le esigenze di tutela delle Forze Armate e le peculiarità di
disciplina che giustificano, per espresso dettato costituzionale (art.
27 u.c. e 103 Cost.), l’esigenza di una legislazione e di una
giurisdizione penale militare, assumerebbero specifico rilievo nella
fase di esecuzione della pena militare, fase della quale la liberazione
condizionale rappresenta un particolare aspetto.
Ond’è che quanto in ordine all’istituto è stato ritenuto
costituzionalmente illegittimo in relazione al diritto penale comune,
non potrebbe ripetersi rispetto al diritto penale militare.
Alla stregua del quale – secondo l’Avvocatura – andrebbe valutata
non soltanto l’effettiva esistenza delle medesime condizioni oggettive
e soggettive, ma anche la compatibilità del beneficio con le esigenze
di tutela e di disciplina delle Forze Armate: valutazione, questa, di
carattere schiettamente politico e, quindi, da poter essere compiuta
soltanto dal Ministro responsabile, per l’appunto, politicamente.
1. – Poiché le questioni che pervengono all’esame della Corte sono
proposte con due ordinanze di identico contenuto, i relativi giudizi
vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – Il giudice militare di sorveglianza presso il tribunale
supremo militare, nell’esprimere parere sulle domande di concessione
della liberazione condizionale ai due ufficiali dell’esercito tedesco
Kappler e Reder, detenuti in espiazione della pena dell’ergastolo, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35
del r.d. 9 settembre 1941, n. 1023 (disposizioni di coordinamento,
transitorie e di attuazione dei codici penali militari), in riferimento
agli artt. 13, 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della
Costituzione.
Secondo tale giudice, in conformità di quanto la Corte ha già
ritenuto in tema di liberazione condizionale di condannati per reati
comuni, rispetto alla quale ha dichiarato illegittimo il potere
decisorio del Ministro di grazia e giustizia (sentenza 204 del 1974),
anche per la liberazione condizionale dei condannati per reati militari
deve ritenersi illegittimo quello che le norme impugnate conferiscono
al “Ministro da cui dipendeva il militare condannato al momento del
commesso reato” e che nel caso è il Ministro della difesa.
E ciò per il motivo che, anche qui, vi sarebbe violazione degli
artt. 13, 24 e 111 della Costituzione, poiché la procedura
amministrativa non consentirebbe, nonostante si verta in tema di
libertà personale, né il contraddittorio né l’impugnativa del
provvedimento di rigetto dell’istanza.
La questione è fondata.
Va preliminarmente osservato che l’art. 176 del codice penale, nel
testo modificato della legge 25 novembre 1962, n. 1634, ha, nel terzo
comma, esteso la concessione della liberazione condizionale al
condannato all’ergastolo che, avendo tenuto, durante l’espiazione, un
comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, ed
avendo risarcito, se possibile, il danno, abbia effettivamente scontato
almeno ventotto anni di pena.
Tale norma – come non è dubbio – è applicabile anche al
condannato all’ergastolo da parte di tribunali militari, in quanto
l’art. 22, secondo comma, del codice penale militare di pace classifica
detta pena tra quelle “comuni”, e cioè disciplinate dalle leggi penali
ordinarie, anche quando applicate da tribunali militari, e l’art. 71,
secondo comma, stesso codice stabilisce che “la concessione, gli
effetti e la revoca della liberazione condizionale sono regolati dalla
legge penale comune”.
Occorre poi ricordare che la Corte, nella sentenza n. 204 del 1974,
ha ritenuto che la liberazione condizionale, nel quadro della normativa
costituzionale del settore, fondata sull’art. 27, ha assunto un peso e
un valore più incisivo, in quanto l’istituto rappresenta ora un
peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di
applicazione presuppone un obbligo tassativo del legislatore di tenere
non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di
predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a
garantirle.
Ne consegue che il condannato ha diritto a che, verificandosi le
condizioni poste dalla norma sostanziale, venga riesaminata la sua
situazione in ordine alla prosecuzione della esecuzione della pena, al
fine di accertare se quella già scontata abbia o no assolto il suo
fine rieducativo e quindi se il suo ulteriore protrarsi sia o no
giustificabile.
Ora è ovvio che un simile riesame, implicando una disamina dei
presupposti, con conseguenze potenzialmente ablative degli effetti di
un giudicato, non può essere deferito a nessun organo dell’esecutivo,
ma va affidato a un organo giurisdizionale, che sia, per altro, di
adeguato livello (organo che, per condannati per reati comuni è ora,
in base alla legge 12 febbraio 1975, n. 6, la Corte di appello).
3. – L’Avvocatura dello Stato, pur senza obiettare alcunché circa
quanto ritenuto sulla natura giuridica dell’istituto, ha osservato che,
per la liberazione condizionale dalla pena militare, “va valutata non
soltanto l’effettiva esistenza in concreto delle medesime condizioni
oggettive e soggettive, ma anche l’ammissibilità del beneficio
richiesto con l’esigenza di tutela e di disciplina delle forze armate”;
valutazione, quest’ultima, che sarebbe “di carattere chiaramente
politico, e che può essere validamente compiuta solo dal Ministro
politicamente responsabile”.
Al riguardo va però osservato che la componente relativa alle
esigenze di tutela e di disciplina delle forze armate, allorché si
inserisce nel quadro valutativo di un interesse che ha tutte le
caratteristiche di un diritto soggettivo, potrà implicare che la
decisione debba essere devoluta a un organo della giurisdizione
militare anziché di quella ordinaria, ma non mai che possa essere
commessa alla discrezionalità di un organo del potere esecutivo.
In proposito sembra opportuno ricordare che una delle ragioni con
le quali si giustifica l’esistenza stessa dei tribunali militari – e se
ne trova eco anche nei lavori dell’Assemblea Costituente – è la
peculiare idoneità di essi per l’apprezzamento dei valori specifici
dell’ordinamento militare, tra i quali il coraggio, l’onore, lo spirito
di coesione, la disciplina.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 34 e 35 del
r.d. 9 settembre 1941, n. 1023 (contenente disposizioni di
coordinamento, transitorie e di attuazione dei codici penali militari),
nella parte in cui attribuiscono la decisione sulla domanda di
liberazione condizionale al Ministro da cui dipendeva il militare
condannato al momento del commesso reato, anziché ad un organo
giurisdizionale di adeguato livello.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere