Sentenza N. 193 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
16/05/2002
Data deposito/pubblicazione
16/05/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/05/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ultima parte – rectius: ultimo periodo – del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle
amministrazione pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), nel testo sostituito dall’art. 6 del decreto legislativo
18 novembre 1993, n. 470 (Disposizioni correttive del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego), promossi con due
ordinanze emesse il 24 ottobre 2000 dal Consiglio di Stato, Sezione
IV, iscritte ai nn. 449 e 450 del registro ordinanze 2001 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1ª serie
speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di costituzione di Del Gizzo Ernesto, nonché gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 4 dicembre 2001 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa;
Udito l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Sezione IV – con due ordinanze di identico contenuto, ha sollevato,
con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9,
ultima parte – rectius: ultimo periodo – del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle
amministrazione pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), nel testo sostituito dall’art. 6 del decreto legislativo
18 novembre 1993, n. 470 (Disposizioni correttive del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego).
Il giudice rimettente, premette che identica questione era già
stata in precedenza proposta, in quanto ritenuta rilevante e non
manifestamente infondata, ma che, tuttavia, la Corte, a seguito di un
mutamento del quadro normativo, con ordinanza n. 246 del 2000, aveva
ritenuto necessario che lo stesso giudice a quo ai fini della
rilevanza, verificasse gli effetti della duplice abrogazione espressa
accompagnata dalla nuova disciplina.
Osserva il giudice rimettente che il principio generale tempus
regit actum non possa essere ignorato in relazione all’intervenuto
mutamento del quadro normativo, e, quindi, la fattispecie ricadrebbe,
comunque, sotto la disciplina denunciata.
Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che il
provvedimento impugnato (in entrambi i casi decreto del Presidente
della Repubblica di collocamento a riposo, per motivi di servizio,
per responsabilità dirigenziale) trova conforto nella norma
contestata, di modo che un’eventuale dichiarazione di fondatezza
della questione comporterebbe, per ciò solo, l’accoglimento del
ricorso.
Nel merito, il giudice rimettente sostanzialmente denuncia un
eccesso di delega nella disposizione impugnata, in quanto, la legge
di delega prevedeva, in caso di mancato conseguimento degli obiettivi
della gestione, solo la “rimozione dalle funzioni ed il collocamento
a disposizione”, laddove la legge delegata (decreto legislativo n. 29
del 1993), all’art. 20, comma 9, nel testo sostituito dall’art. 6 del
d.lgs. 18 novembre 1993, n. 470, ha previsto, da un lato, il
collocamento a disposizione per l’inosservanza delle direttive e per
i risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica,
amministrativa; dall’altro, ha stabilito il collocamento a riposo per
ragioni di servizio in caso di responsabilità particolarmente grave
o reiterata.
2. – In entrambi i giudizi, introdotti con le ordinanze sopra
riassunte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generalo dello Stato, che ha
fatto presente che la norma denunciata, pur essendo stata abrogata
dalla successiva normativa, tuttavia, in base al principio tempus
regit actum conserva la sua efficacia in relazione alle fattispecie
all’esame.
Nel merito conclude per la infondatezza della questione, anche
alla luce del sopravvenuto decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di
lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59)
per la logica che sta alla base delle disposizioni in esso contenute,
considerato che l’anzidetto decreto legislativo è stato emanato in
base alla delega contenuta nell’art. 11, comma 4, della legge
15 marzo 1957, n. 59, che sul punto non differirebbe, ma anzi
richiamerebbe la delega contenuta nella legge 23 ottobre 1992, n. 421
(Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle
discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza
e di finanza territoriale).
Sottolinea, in particolare, che in ossequio al principio
contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera g), numero 3, della legge di
delega 23 ottobre 1992, n. 421, il legislatore delegato abbia
previsto due differenti ipotesi: l’una contenuta nella prima parte
della norma impugnata, che riguarda il collocamento a disposizione
per la durata massima di un anno in caso di inosservanza delle
direttive e risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa; l’altra, contenuta nella seconda parte della
disposizione e che disciplina una fattispecie diversa, stabilisce il
collocamento a riposo per ragioni di servizio in caso di
responsabilità particolarmente grave e reiterata.
Orbene, secondo la prospettazione dell’Autorità interveniente,
la delega legislativa non eliminerebbe ogni discrezionalità del
legislatore delegato, al quale non può essere negata la facoltà di
adottare misure più severe per fattispecie di maggior gravità,
peraltro già previste dalla normativa previgente.
Corte riguardano l’art. 20, comma 9, ultimo periodo, del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo sostituito dall’art. 6 del
decreto legislativo 18 novembre 1993, n. 470 (Disposizioni correttive
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante
razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche
e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego) sotto il
profilo della violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, in
quanto la legge di delega prevedeva, in caso di mancato conseguimento
degli obiettivi della gestione, solo la rimozione dalle funzioni ed
il collocamento a disposizione.
Attesa l’identità delle questioni sollevate, i giudizi vanno
preliminarmente riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. – La questione è fondata.
Dall’esame dei lavori preparatori della legge delega (art. 2
della legge 23 ottobre 1992, n. 421) emerge puntualmente la ratio
dell’intervento da realizzarsi in base alla delega legislativa per
quanto attiene allo status giuridico dei dirigenti. Cioè, “da un
lato il rafforzamento dei poteri di impulso, direzione e
coordinamento, e, dall’altro, una verifica dei risultati di gestione
e più precise responsabilità dirigenziali”. “Nell’ambito di una
prospettiva generale di separazione tra politica e amministrazione e
di connesso riconoscimento di autonomia gestionale” venivano indicati
come obiettivi “la massima flessibilità e agilità nel reclutamento,
nella mobilità e nei procedimenti di rimozione dalle funzioni” –
senza, tuttavia, alcun accenno al collocamento immediato a riposo o
alla rimozione dall’impiego – “in caso di accertata incapacità a
raggiungere gli obiettivi programmati” (Relazione al disegno di legge
presentato dal Governo per la delega: Senato n. 463).
Nella legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, l’art. 2 poneva la
finalità generale di “miglioramento dell’efficienza e della
produttività del settore pubblico” e prevedeva la separazione tra
compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa,
con autonomi poteri di direzione, vigilanza, controllo e gestione
(lettera g, numero 1) ed inoltre – specificatamente sul punto che
interessa la questione di legittimità costituzionale – “la
mobilità, anche temporanea, dei dirigenti, nonché la rimozione
dalle funzioni e il collocamento a disposizione in caso di mancato
conseguimento degli obiettivi prestabiliti della gestione” (lettera g
numero 3). Anche in questa sede, si noti che non vi era alcuna
previsione di diversa misura di rimozione dall’impiego o di
collocamento a riposo per ragioni di servizio.
3. – Giova, inoltre, ricordare, anche ai fini di una
interpretazione delle norme conforme a Costituzione, che la
distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e
l’attività gestionale con propria autonomia e responsabilità dei
dirigenti generali nonché la progressiva estensione della
privatizzazione del rapporto, dando risalto alla qualificazione di
diritto soggettivo delle relative posizioni (sentenza n. 275 del
2001), comporta, da un canto, un maggiore rigore nella
responsabilità degli stessi. Nello stesso tempo vi è un’esigenza di
rafforzamento della posizione dei medesimi dirigenti generali
attraverso la specificazione delle peculiari responsabilità
dirigenziali, la tipicizzazione delle misure sanzionatorie
adottabili, nonché la previsione di adeguate garanzie procedimentali
nella valutazione dei risultati e dell’osservanza delle direttive
ministeriali; inoltre, il modo ed i tempi in cui si possa pervenire
non solo alla revoca delle funzioni ma anche alla risoluzione
definitiva del rapporto di impiego.
Dette specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di
impiego dei dirigenti generali, concorrono al rispetto del principio
di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione
(ordinanza n. 11 del 2002).
Con ciò non si esclude – sul piano costituzionale – che il
legislatore possa prevedere come misura sanzionatoria della condotta
dirigenziale anche la rimozione dall’impiego nei casi di maggiore
gravità; questa deve avvenire in base a previsione normativa e con
le relative proprie garanzie procedimentali.
4. – Il dettaglio dei principi e criteri direttivi sul punto
specifico delle conseguenze derivanti dalla responsabilità
dirigenziale, soprattutto se si considera la precisa indicazione di
peculiari istituti e tipici provvedimenti incidenti sullo status dei
dirigenti, raffrontati anche con la precedente e più ampia
situazione normativa, certamente non poteva consentire al Governo
delegato di prevedere ulteriori misure e conseguenze dirette ed
immediate della accertata responsabilità dirigenziale, nei confronti
dei dirigenti generali ed equiparati, al di fuori di quelle
specificamente previste in detti principi e criteri direttivi.
In altri termini, il legislatore delegato manteneva sempre una
discrezionalità, non potendo essere eliminato ogni margine di scelta
nell’esercizio della delega. Tuttavia questa discrezionalità doveva
essere esercitata, anche nel caso in esame, riempiendo gli spazi
lasciati dalla legge di delegazione (v. sentenza n. 198 del 1998) ed
entro i limiti in cui è circoscritta dalla stessa legge (ordinanza
n. 21 del 1998) ancorché considerando le diverse gravità delle
ipotesi di responsabilità, esclusivamente, come già detto, nei
limiti della delega, cioè entro la previsione di:
a) “mobilità”, anche semplicemente temporanea e con
passaggio ad altro ufficio, quindi compresa la facoltà di prevedere
la mobilità definitiva;
b) “rimozione dalle funzioni”, cioè come privazione della
preposizione ad ufficio dirigenziale, senza tuttavia comprendere la
rimozione dal servizio o il recesso dal rapporto di impiego;
c) “collocamento a disposizione”, con facoltà di fissare o
meno un periodo minimo o massimo anche diverso da quello ordinario,
desumibile da analoghe previsioni normative, periodo di “a
disposizione” – si noti – che avrebbe consentito la possibilità di
richiamo in servizio, anche presso altra amministrazione o altro
ufficio, ritenuti confacenti alle dimostrate capacità dirigenziali.
5. – Infine non può avere rilevanza sui limiti della delega
legislativa e sulla sua interpretazione un successivo decreto
legislativo – richiamato dalla difesa dello Stato – emanato sulla
base di altra successiva legge di delega (anche se in parte
coincidente per contenuto) estranea, insieme al suddetto decreto
legislativo, all’oggetto su cui questa Corte è chiamata a
pronunciarsi in base all’ordinanza di rimessione.
6. – Sulla base delle suesposte considerazioni deve ritenersi che
il Governo non era abilitato dalla delega a prevedere la facoltà di
immediato collocamento a riposo senza il previo passaggio attraverso
il periodo di messa “a disposizione”, che costituisce – secondo i
principi della delega – una garanzia per il dipendente di essere
posto nella possibilità di cercare ed ottenere una diversa
utilizzazione, anche in differente posizione di ufficio e di
amministrazione.
Risulta pertanto una violazione dei limiti della delega
legislativa da parte del legislatore delegato, che la ha esercitata,
per la parte oggetto dei presenti giudizi di legittimità
costituzionale (collocamento a riposo per ragioni di servizio, anche
se non sia mai stato in precedenza disposto il collocamento a
disposizione in caso di responsabilità particolarmente grave e
reiterata), in modo divergente dalle finalità che determinarono la
delega e in contrasto con i prefissati principi e criteri direttivi
(cfr. sentenza n. 3 del 1957).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma
9, ultimo periodo, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico
impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) nel
testo sostituito dall’art. 6 del decreto legislativo 18 novembre
1993, n. 470 (Disposizioni correttive del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell’organizzazione
delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in
materia di pubblico impiego).
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 maggio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola