Sentenza N. 194 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1981
Data deposito/pubblicazione
17/12/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
della Regione Friuli-Venezia Giulia 3 febbraio 1964, n. 3 (Norme per la
elezione e la convocazione del primo consiglio regionale del
Friuli-Venezia Giulia e disciplina delle cause di ineleggibilità ed
incompatibilità e del contenzioso elettorale) e dell’art. 5 della
legge 12 dicembre 1966, n. 1078 (Posizione e trattamento dei dipendenti
dello Stato e degli Enti pubblici, eletti a cariche presso Enti
autonomi territoriali) promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1976
dal Pretore di Udine, nel procedimento civile vertente tra Berzanti
Alfredo e l’istituto di Mediocredito, iscritta al n. 280 del registro
ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 198 del 1977.
Visti gli atti di costituzione di Berzanti Alfredo e dell’Istituto
di Mediocredito, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore
Edoardo Volterra;
uditi l’avv. Gaspare Pacia per Berzanti Alfredo, l’avv. Cesare
Meineri per l’Istituto di Mediocredito e l’avvocato dello Stato Renato
Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso del procedimento del lavoro, promosso dal signor
Alfredo Berzanti nei confronti dell’Istituto di Mediocredito, il
pretore di Udine, con ordinanza emessa il 3 dicembre 1976, sollevava
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge che il
giudice a quo erroneamente ritiene della regione Friuli-Venezia Giulia
3 febbraio 1964, n. 3, e dell’art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n.
1078, in riferimento, rispettivamente agli artt. 5, comma primo, n. 1,
dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, 3, 42 e 51
della Costituzione.
Il pretore premetteva che il ricorrente, già consigliere regionale
e Presidente della Giunta Friuli-Venezia Giulia, era stato per un lungo
periodo in posizione di aspettativa nell’Istituto di mediocredito a
causa della carica assunta e che lo stesso lamentava che tale periodo
non gli era stato riconosciuto né in ordine all’attribuzione della
pensione aziendale integrativa né in ordine alla liquidazione
dell’indennità di anzianità. Osservava quindi che nella specie
trovava applicazione la legge 3 febbraio 1964, n. 3, che regola la
posizione degli eletti al consiglio regionale nei confronti del
rapporto di pubblico impiego di cui fossero parti e la legge 12
dicembre 1966, n. 1078, che stabilisce, all’art. 5 che i periodi di
aspettativa per elezione alla carica di consigliere regionale sono da
considerarsi come periodi di servizio effettivamente prestato presso
l’amministrazione di provenienza, a tutti i fini, anche economici.
Nell’erroneo presupposto che la legge n. 3 del 1964 fosse
regionale, il giudice a quo dubitava della sua legittimità
costituzionale, ipotizzando un contrasto con l’art. 5, comma primo, n.
1, dello Statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia, il quale,
conferendo competenza legislativa esclusiva alla Regione ad emanare
norme in materia di elezione al Consiglio regionale, sembra tuttavia
riservare al legislatore nazionale la materia del rapporto di lavoro
degli eletti al consiglio.
Quanto all’art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, il pretore
deduceva il contrasto con l’art. 51 della Costituzione, in quanto la
disposizione denunziata, prevedendo la conservazione del trattamento
economico e di carriera, va ben oltre la misura della “conservazione
del posto di lavoro” garantita dal principio costituzionale.
Il contrasto con il principio di eguaglianza, visto in relazione ai
soggetti beneficiari, riguarderebbe la disparità di trattamento tra
pubblici dipendenti e dipendenti privati per i quali ultimi l’art. 31
della legge 20 maggio 1970, n. 300, assicura soltanto la computabilità
del periodo di aspettativa ai soli fini del riconoscimento e della
misura della pensione obbligatoria e del diritto all’assistenza di
malattia. A base di tale differenza non vi sarebbero ragioni oggettive,
ma solo la circostanza che al legislatore sarebbe stato politicamente
più facile addossare ad enti pubblici il relativo onere finanziario.
Visto in relazione ai soggetti cui impone aggravio, il giudice a
quo ritiene che il costo della remunerazione degli amministratori
pubblici dovrebbe, in un ordinamento ideale, gravare sull’ente
amministrato e quello delle prestazioni previdenziali sugli enti di
previdenza. Deroghe esistenti nell’ordinamento (artt. 2110 e 2111,
secondo comma, cod. civ., 52, secondo comma, Cost. ecc.)
rispetterebbero tuttavia in senso lato il principio della
corrispettività, in quanto costituirebbero pur sempre un costo
sostenuto dal datore di lavoro per assicurarsi l’apporto lavorativo del
dipendente. Nella specie però la sproporzione tra costo ed attività
lavorativa sarebbe tale da potersi parlare di imposizione patrimoniale
non giustificata, con violazione del principio di eguaglianza e del
diritto alla libertà patrimoniale dei soggetti diversi dallo Stato,
che il giudice a quo ricava, nei suoi aspetti sostanziali, dall’art.
42 della Costituzione.
2. – L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte si sono
costituiti il signor Alfredo Berzanti rappresentato e difeso dall’avv.
Gaspare Pacia e l’Istituto di mediocredito per le piccole e medie
imprese del Friuli-Venezia Giulia, rappresentato e difeso dall’avv.
Roberto Tonazzi. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’avvocato generale dello Stato.
3. – Tutte le parti chiedono che la Corte dichiari manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della
legge 3 febbraio 1964, n. 3.
Quanto all’art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, la difesa
dell’Istituto di mediocredito, dopo aver accennato ad una sua possibile
implicita abrogazione da parte dell’art. 40, primo comma, della legge
20 maggio 1970, n. 300, con conseguente irrilevanza della questione,
sostiene in merito l’illegittimità costituzionale della norma
denunziata riportandosi alle argomentazioni del giudice a quo.
4. – La difesa del signor Berzanti, richiamando le argomentazioni
contenute nella sentenza n. 194/1976 di questa Corte esclude il
contrasto tra l’art. 3 Cost. e l’art. 5 della legge n. 1078/1966,
prospettato sotto il profilo della disparità di trattamento tra
dipendenti pubblici e privati.
Rispetto agli altri profili, osserva che chi opera come
amministratore pubblico rende un servizio alla comunità come chi è
pubblico dipendente presso una pubblica amministrazione, sarebbe
pertanto indifferente addossare a questo o a quel soggetto pubblico il
relativo onere finanziario. Simile problema comunque atterrebbe ai
canali di erogazione della pubblica spesa cui sarebbero estranei i
principi invocati dal giudice a quo.
1. – Nell’errato presupposto che sia stata emanata e sia in vigore
una legge della regione Friuli-Venezia Giulia, 3 febbraio 1964, n. 3,
recante norme per l’elezione e la prima convocazione del consiglio
regionale, il pretore di Udine denuncia il contrasto del relativo art.
3 con l’art. 5 n. 1 dello Statuto Friuli-Venezia Giulia, per aver
regolato materia di competenza dello Stato. La questione va dichiarata
manifestamente inammissibile per mancanza dell’oggetto, non risultando
l’esistenza di una legge della regione Friuli-Venezia Giulia 3 febbraio
1964, n. 3, bensì di una legge dello Stato di pari data e numero, in
materia d’elezione di convocazione del consiglio regionale, la quale,
in quanto dello Stato, non potrebbe nemmeno in ipotesi essere inficiata
dal vizio dedotto.
2. – Nella stessa ordinanza il pretore solleva anche questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5 legge 12 dicembre 1966, n.
1078, il quale, nello stabilire che i periodi di aspettativa e di
assenza autorizzati dei dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici
eletti alle cariche di consiglieri regionali sono considerati a tutti i
fini come effettivamente prestati, contrasterebbe con gli artt. 3, 42 e
51 della Costituzione. La norma denunziata, infatti, andando ben oltre
la garanzia della conservazione del posto di lavoro creerebbe
un’ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e
dipendenti privati nonché tra enti pubblici ed enti privati, violando
altresì la “libertà patrimoniale” dei soggetti cui è imposto
l’onere.
3. – Vanno respinte le eccezioni di inammissibilità per
irrilevanza della questione proposta, sollevata rispettivamente
nell’atto di costituzione e nella pubblica udienza, dalle difese delle
parti private e fondate l’una sull’avvenuta abrogazione della norma
impugnata da parte dell’art. 40 dello Statuto dei lavoratori, l’altra
sulla ininfluenza che avrebbe nel giudizio a quo un’estensione dei
benefici previsti dall’art. 5 ai dipendenti privati.
Quanto alla prima eccezione, l’art. 9, secondo comma, della legge
26 aprile 1974, n. 169, suppone la vigenza dell’art. 5 della legge n.
1078/1966, che pertanto non è stato implicitamente abrogato dallo
Statuto dei lavoratori.
Quanto alla seconda eccezione, la difesa del Berzanti male
interpreta l’ordinanza di rimessione perché essa è volta non ad
estendere i benefici dei pubblici impiegati al settore privato, bensì
a far dichiarare illegittimi i benefici stessi.
4. – La questione peraltro non è fondata.
La formula usata nell’art. 51 Cost. “diritto di conservare il posto
di lavoro” non intende certo diminuire le garanzie del dipendente, ma
assicurare un trattamento minimo che il legislatore, nella sua
discrezionalità e ove questa sia legittimamente esercitata, può
migliorare con riguardo alle peculiarità del caso, allo scopo di
rendere sempre più agevole la partecipazione dei lavoratori
all’organizzazione politica del Paese (cfr. al riguardo le sentenze nn.
35, 40 e 92/1981).
E nella specie, trattandosi di dipendenti di enti pubblici chiamati
a svolgere funzioni pubbliche di primario rilievo, appare razionale e
di immediata evidenza il collegamento tra imposizione dell’onere
all’ente pubblico e la finalità da conseguire, costituendone causa
adeguata la comunanza di interessi pubblici tra gli enti di cui il
lavoratore è rispettivamente dipendente e amministratore.
Analoga comunanza di interessi non può invece riscontrarsi
nell’impiego privato, restando così fondata su un’obbiettiva e
razionale valutazione della disparità di situazioni, la diversa
disciplina prevista per questo settore dagli artt. 31 e 32 dello
Statuto dei lavoratori (su cui vedi anche la sentenza n. 193/1981).
Non sussiste pertanto contrasto tra l’art. 5 della legge n.
1078/1966 ed il principio di eguaglianza nel duplice profilo
prospettato dal giudice a quo di disparità di trattamento tra
dipendenti pubblici e privati e tra enti pubblici, mentre la Corte non
ritiene pertinente alla specie il richiamo all’art. 42 della
Costituzione, che, riguardando la proprietà pubblica e privata, non
influisce in alcun modo su problemi, quali quelli in esame, relativi
all’imposizione ed all’erogazione di una pubblica spesa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
1) manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3, della
Regione Friuli-Venezia Giulia;
2) non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, questioni promosse,
con l’ordinanza in epigrafe, in riferimento, rispettivamente, all’art.
5 n. 1 dello Statuto per la Regione Friuli-Venezia Giulia ed agli artt.
3, 42 e 51 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1981.
F.to: LEOPOLDO ELIA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – ORONZO REALE – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere