Sentenza N. 196 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
28/07/1976
Data deposito/pubblicazione
28/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
del codice penale militare di pace, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 febbraio 1974 dal giudice istruttore del
tribunale di Trani nel procedimento penale a carico di Chimisso
Vincenzo, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1974 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell’8 maggio 1974;
2) ordinanza emessa l’11 ottobre 1974 dal tribunale militare
territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Bendini
Giancarlo, iscritta al n. 458 del registro ordinanze 1974 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 dell’11 dicembre 1974;
3) ordinanza emessa il 15 aprile 1975 dal giudice istruttore del
tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a
carico di Tatone Oronzo, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 1975
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 209 del 6
agosto 1975.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1976 il Giudice relatore
Ercole Rocchetti;
uditi i sostituti avvocati generali dello Stato Giorgio Azzariti e
Giuseppe Gozzi, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con le tre ordinanze indicate in epigrafe sono state sollevate
tre questioni di legittimità costituzionale dell’art. 264 del codice
penale militare pace in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma,
della Costituzione.
Nel primo dei tre giudizi conseguiti avanti questa Corte non v’è
stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri; negli altri due vi è stato solo l’intervento di
quest’ultimo.
2. – Il giudice istruttore presso il tribunale di Trani (ord. 20
febbraio 1974) rileva che l’art. 264 codice penale militare pace, nel
disciplinare la connessione fra i procedimenti di competenza,
rispettivamente, dell’autorità giudiziaria ordinaria e dell’autorità
giudiziaria militare, connessione che comporta attrazione a favore
della prima, non contempla l’ipotesi di concorso formale di reati,
ammessa, invece, dall’art. 45 del codice di procedura penale.
Siffatta normativa concreterebbe una evidente disparità di
trattamento tra imputati perché, a seconda che essi rivestano o meno
la qualità di militare, sono privati o, per converso, godono del
vantaggio di essere giudicati da un solo giudice. Disparità che si
risolverebbe in una violazione dell’art. 3 della Costituzione, non
sussistendo una obiettiva diversità di situazioni tra l’imputato
militare e quello non militare, allorché entrambi violino con una
medesima azione più disposizioni di legge.
La ripetuta disparità di trattamento si rivelerebbe, inoltre,
irragionevole perché atta a creare il pericolo della
contraddittorietà di giudicati in riferimento ad un medesimo fatto e
ad esporre l’imputato militare ad un aggravio ingiustificato di spese
processuali e defensionali.
3. – Con ordinanza 11 ottobre 1974, il tribunale militare
territoriale di Padova deduce che contro il soldato Bendini Giancarlo
pendono due procedimenti penali: uno avanti quel tribunale, per
ritenzione di effetti militari (art. 166 del codice penale militare di
pace) ed un altro avanti il pretore di Ficarolo, per la contravvenzione
di detenzione abusiva di armi (art. 697 del codice penale). Rileva,
quindi, che, per effetto dell’art. 81 del codice penale, così come
modificato dal d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con la legge 7
giugno 1974, n. 220, tra i due cennati reati, uno comune, l’altro
militare, è ora compatibile la continuazione; la quale, da ritenersi
sussistente nella specie, non comporta tuttavia alcun spostamento di
competenza e, perciò, l’unificazione dei giudizi, atteso che l’art.
264 del codice penale militare di pace prevede la connessione
devolutiva di competenza solo quando trattasi di più procedimenti
relativi a delitti e non anche a delitti e contravvenzioni; e comunque,
non contempla la continuazione come un caso di connessione. Dal che il
contrasto con l’art. 3 della Costituzione, risultando privilegiata la
situazione dell’imputato di più reati comuni, rispetto a quella
dell’imputato di reati comuni e militari, ove, in entrambi i casi, si
possa riscontrare un mezzo atto a stabilire la continuazione: il primo
sarà sottoposto soltanto alla giurisdizione del giudice ordinario, il
secondo, invece, a quest’ultimo per i reati comuni e al giudice
militare per i reati militari.
4. – Infine, il giudice istruttore presso il ripetuto tribunale
militare territoriale di Padova – con ordinanza 15 aprile 1975 – rileva
che, nella ipotesi di connessione conseguenziale, ovvero, ove si
preferisca, per correità, tra un reato militare ascritto ad un
militare (nella specie, favoreggiamento reale), ai sensi dell’art. 264
del codice penale militare di pace, è obbligatorio lo spostamento
della competenza e il cumulo di tutti i procedimenti davanti al giudice
ordinario, con conseguente sottoposizione a quest’ultimo di un
appartenente alle Forze Armate dello Stato. Siffatta disciplina,
osserva, appare in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in
quanto determina una disparità di trattamento processuale tra
l’autore di un solo reato militare commesso all’infuori di ogni altra
forma di concorso con estranei, ed il militare imputato dello stesso
reato, ma connesso conseguenzialmente o teleologicamente o, comunque,
in concorso con altri delitti realizzati con estranei. Ed appare in
contrasto altresì con l’art. 25, primo comma, della Costituzione,
perché sottrae, senza una congrua e rigorosa ragione logica, al
tribunale militare – giudice naturale validamente precostituito ex lege
– l’appartenente alle Forze Armate, coimputato con estranei, nei casi
in cui il cumulo dei procedimenti non sembra in alcun modo
giustificato.
5. – Per l’Avvocatura dello Stato, la questione sollevata dal
tribunale militare territoriale di Padova – con ordinanza 11 ottobre
1974 – è irrilevante, perché i reati ascritti all’imputato, e che si
assume unificabili nella continuazione, sono un delitto ed una
contravvenzione e perciò puniti con pene diverse e di differente
gravità. Onde la inapplicabilità, in concreto, della speciale regola
di determinazione della pena complessiva, dettata dall’art. 81 del
codice penale.
Per quanto attiene all’ordinanza del 15 aprile 1975 del giudice
istruttore presso il tribunale territoriale di Padova, l’Avvocatura
dello Stato osserva che, se per la sentenza n. 29 del 1958 di questa
Corte la giurisdizione ordinaria è da considerare “normale e
prevalente” nella ipotesi di connessione, legittimo deve ritenersi che
il giudice ordinario – chiamato a decidere del reato di favoreggiamento
a carico di due civili – abbia cognizione anche del reato militare
imputato all’appartenente alle Forze Armate.
Ed è da escludere l’asserita disparità di trattamento, perché
l’ipotesi del reato militare, commesso al di fuori di ogni forma di
concorso con estranei, dà luogo ad una situazione circoscritta
nell’ambito della legislazione penale militare, mentre, ove si
verifichi il concorso di civili nel reato militare o il concorso fra
reato militare e reato comune, realizzato l’uno dall’appartenente alle
Forze Armate e l’altro da civile, si ha una situazione obiettivamente
del tutto diversa. E, quindi, non è costituzionalmente illegittimo il
differenziato trattamento conseguentemente praticato.
Ed è da ritenere, altresì, che non sussiste neppure la eccepita
violazione dell’art. 25 della Costituzione, atteso che, come affermato
nella sentenza n. 29 del 1958, la giurisdizione ordinaria deve essere
considerata, nella ipotesi di connessione, come quella normale e
prevalente in tempo di pace.
1. – Le questioni proposte con le ordinanze indicate in epigrafe,
essendo analoghe, sono state trattate congiuntamente e vengono decise
con unica sentenza.
2. – Il giudice istruttore del Tribunale di Trani deduce
l’illegittimità costituzionale dell’art. 264 del codice penale
militare di pace nella parte in cui – a differenza di quanto previsto
nell’art. 45 del codice di procedura penale – non viene contemplata
l’ipotesi, fra le cause di connessione, del concorso formale di reati.
La illegittimità è dedotta in riferimento all’art. 3, primo
comma, della Costituzione e sarebbe determinata dalla differenza di
trattamento che, dalla diversità fra le indicate norme, deriverebbe,
fra soggetti che si trovano nella stessa situazione giuridico-penale,
di avere, con una sola azione od omissione, violato diverse
disposizioni di legge.
In tal caso – secondo il giudice a quo – mentre il militare sarebbe
costretto a subire due processi da parte di giudici diversi, il non
militare ne subirebbe uno solo da parte di un unico giudice.
La questione non è fondata.
Va innanzi tutto ritenuta inesatta l’affermazione che il militare,
quando compie più reati in concorso formale, deve sempre subire due
processi da parte di due giudici diversi. Egli, infatti, subisce
questo trattamento solo se ha, con la stessa azione od omissione,
compiuto reati militari congiuntamente a reati non militari perché se,
in concorso formale, ha compiuto più reati soltanto militari, egli
subisce un solo processo da parte del giudice militare perché, in tal
caso, per l’art. 261 del codice penale militare di pace, l’art. 45 del
codice di procedura penale si applica a lui e nella sua totalità.
In altri termini, il legislatore ha distinto secondo che la
connessione importi deroga alla normale competenza o piuttosto deroga
alla giurisdizione: nella prima ipotesi, tanto il codice di procedura
penale (art. 45) quanto il codice penale militare di pace (art. 261),
prevedono gli stessi casi di connessione.
Ben diversa situazione è quella dello spostamento di
giurisdizione, che il legislatore ha limitato ad alcuni soltanto dei
detti casi di connessione.
Le situazioni comparate sono quindi diverse, in quanto l’una
riguarda la connessione tra reati che siano tutti di competenza del
giudice ordinario o speciale, e l’altra invece reati la cui cognizione
sia devoluta ad organi di giurisdizione diverse.
Né è esatto che il non militare abbia, nella identica situazione,
un trattamento diverso.
Il vero è che la situazione in cui viene a trovarsi il militare
che, in concorso formale, compie reati militari e reati non militari,
è peculiare a lui solo, perché il non militare che, sempre in
concorso formale, e cioè con una sola azione od omissione, compie
diverse violazioni di legge, consuma soltanto più reati comuni,
essendo escluso dall’art. 103, comma terzo, della Costituzione che il
non militare possa essere soggetto attivo di reati militari.
Così posta la questione – nei suoi termini esatti – è ovvio che
tra le due situazioni giuridiche prospettate rispetto al concorso
formale di reati, non vi è affatto identità e che dalla diversità
della rispettiva normativa non può perciò indursi violazione del
principio di eguaglianza.
3. – Il tribunale militare territoriale di Padova, nel giudicare un
militare imputato di ritenzione di effetti militari, ha rilevato che,
contro lo stesso militare, pendeva presso la Pretura di Ficarolo
procedimento penale per la contravvenzione di cui all’art. 697 del
codice penale (detenzione abusiva di armi).
Lo stesso tribunale, dopo aver considerato che, per l’articolo 264
del codice penale militare di pace – che regola la connessione tra
procedimenti di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria e
procedimenti di competenza dell’autorità giudiziaria militare – non è
previsto né il caso della connessione tra delitti e contravvenzioni
né quello della connessione per il titolo della continuazione, ha
ravvisato una ingiustificata differenza di trattamento tra il militare
che non può e il non militare che invece può giovarsi dei benefici
che discendono dall’applicazione dell’art. 81 modificato, in tema di
reati continuati, e quindi una violazione dell’art. 3 della
Costituzione.
La questione non è rilevante.
Tra le questioni sorte in giurisprudenza dopo che la legge ha
modificato l’originario testo dell’art. 81, ampliandone l’applicazione
anche a chi, con un medesimo disegno criminoso, compie più violazioni
anche di diverse disposizioni di legge, si è agitata quella della
configurabilità della continuazione tra reati importanti pene
eterogenee. Tale questione è stata risolta dalla Cassazione
negativamente, sì che ne è rimasta esclusa la configurabilità della
continuazione tra delitti e contravvenzioni.
Ciò posto, e poiché lo scopo unico, che il giudice a quo si è
proposto con la questione sollevata, è quello di pervenire
all’applicazione delle norme della continuazione tra il reato militare,
che è delitto, e il reato non militare, che è invece una
contravvenzione, palese appare la irrilevanza della detta questione.
4. – Il giudice istruttore del tribunale militare territoriale di
Padova solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 264
del codice penale militare di pace in riferimento agli artt. 3 e 25
della Costituzione.
Detta norma sarebbe illegittima perché, prescrivendo in ogni caso
che tra reati militari, ovviamente compiuti da militari, e reati comuni
ad essi connessi, compiuti in correità con essi da non militari, debba
seguire sempre un solo giudizio – salvo la separazione dei giudizi
operabile dalla Corte di cassazione – avanti l’autorità giudiziaria
ordinaria, violerebbe sia il principio di uguaglianza (art. 3, comma
primo) e sia quello del giudice naturale (art. 25, comma primo).
Ciò perché tratterebbe in modo differenziato l’autore di un reato
militare, secondo che l’abbia commesso da solo ovvero in concorso con
estranei, e inoltre perché sottrarrebbe al giudice militare un
giudizio che appartiene alla sua competenza naturale. La questione non
è fondata.
Nonostante che l’ordinanza di rimessione affermi che la questione
ora sollevata sia diversa da quella decisa con la sentenza n. 29 del
1958, ed in cui le norme di riferimento erano gli artt. 103 e 25 della
Costituzione, deve in realtà affermarsi che trattasi di questione
pressoché identica e, comunque, risolubile in base agli stessi
principi allora enunciati.
Non può esser dubbio, infatti, che l’art. 103 della Costituzione,
disponendo che i tribunali militari hanno, in tempo di pace,
giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti
alle forze armate, abbia inteso di escludere sia che essi possono
giudicare di reati comuni, anche se commessi da militari, e sia che
possono sottoporre a giudizio soggetti non militari.
In materia di connessione tra reati militari e comuni e tra reati
commessi da militari e non militari in concorso fra loro, la norma
costituzionale nulla dispone e il legislatore ha creduto di risolvere
il problema articolando nell’art. 264 (nel testo risultante dalla legge
23 marzo 1956, n. 167) norme che hanno ammesso la connessione in casi
più ristretti di quelli previsti dal codice di procedura penale
nell’art. 45, deferendo i processi riuniti alla competenza del giudice
ordinario ed ammettendo un giudizio della Cassazione sulla possibile
separazione dei giudizi connessi.
Così operando il legislatore – che ha attuato, nella formulazione
della norma, un coordinamento tra principi della Costituzione e
principi generali del processo penale – ha fatto uso della sua
discrezionalità in modo che appare del tutto razionale e perciò tale
da non meritare censure.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
a) inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 264 del codice penale militare di pace, sollevata dal
tribunale militare territoriale di Padova, in riferimento all’art. 3
della Costituzione;
b) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dello
stesso art. 264 del codice penale militare di pace, sollevate in
riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione dal giudice istruttore
presso il tribunale di Trani e dal giudice istruttore presso il
tribunale militare territoriale di Padova.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere