Sentenza N. 198 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1971
Data deposito/pubblicazione
16/12/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
relazione all’art. 2152, del codice civile, promosso con ordinanza
emessa il 31 ottobre 1969 dal tribunale di Spoleto nel procedimento
civile vertente tra Fabi Azelio e Sordini Maria e Agostino, iscritta al
n. 34 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore
Luigi Oggioni;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel giudizio civile promosso davanti al tribunale di Spoleto dal
mezzadro Fabi Azelio contro la concedente Sordini Maria per ottenere,
tra l’altro, il pagamento di lire 844.100 quale corrispettivo di lavori
straordinari effettuati nel podere condotto a mezzadria, la convenuta
eccepiva la inammissibilità della domanda perché concernente annate
agrarie (1954 e 1955) i cui conti erano stati chiusi e non impugnati
nei termini sanciti dall’art. 2162 del codice civile, secondo cui il
mancato accredito delle competenze spettanti al mezzadro può essere da
lui impugnato non oltre il 90 giorno dalla consegna del libretto
colonico, conformemente al principio fissato al riguardo dall’art. 71
del Patto generale di mezzadria.
Il tribunale, con ordinanza del 31 ottobre 1969, dopo aver
ricordato che a norma dell’art. 2152 del codice civile il concedente
che intende compiere miglioramenti sul podere deve valersi del lavoro
dei componenti della famiglia colonica che siano forniti della
necessaria capacità lavorativa, e che questi sono tenuti a prestare
tale opera dietro compenso commisurato alle locali tariffe
bracciantili, ridotte del 20% (art. 70 del citato Patto mezzadrile),
osserva che la decadenza sancita dall’art. 2162 in relazione all’art.
2152 cod. civ. sarebbe in contrasto con gli artt. 35 e 36 della
Costituzione in quanto il diritto alla retribuzione del lavoro
straordinario del mezzadro, sia che si voglia assimilarlo a quello
subordinato o a quello autonomo, sia che “lo si veda nella cornice del
rapporto di mezzadria”, dovrebbe essere comunque garantito come ogni
altra forma di lavoro, ai sensi delle citate disposizioni
costituzionali, mentre la norma in questione verrebbe a rendere
eccessivamente difficile al mezzadro l’esercizio del diritto stesso. La
sua particolare posizione di socio nel rapporto mezzadrile potrebbe,
invero, facilmente indurlo a non richiedere l’accredito alla fine di
ogni annata agraria delle proprie competenze per lavoro straordinario,
per non turbare le relazioni col concedente.
I diritti del mezzadro troverebbero invece adeguata tutela ove il
termine per l’impugnazione cominciasse a decorrere dalla cessazione del
rapporto mezzadrile, analogamente a quanto ritenuto da questa Corte nel
dichiarare l’illegittimità degli artt. 2948, n. 5, 2955, n. 2, e
2956, n. 1, cod. civ., che stabilivano termini di prescrizione in
materia di diritti alla retribuzione dei lavoratori subordinati con
decorrenza nel corso del rapporto di lavoro.
L’ordinanza, notificata e comunicata come per legge, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 57 del 4 marzo 1970. Avanti
alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
depositato nei termini le proprie deduzioni difensive.
L’Avvocatura osserva anzitutto che il breve termine di decadenza
previsto dalla disposizione impugnata risponde ad ovvie esigenze di
certezza dei bilanci annuali nei rapporti fra mezzadro e concedente, ai
fini di garantire l’equilibrio della conduzione economica dell’azienda.
Comunque, secondo l’Avvocatura, sarebbe fuor di luogo il richiamo
alla giurisprudenza della Corte in materia di prescrizione del diritto
alla retribuzione dei lavoratori subordinati. Invero il rapporto di
mezzadria non rivestirebbe i caratteri del lavoro subordinato, ma si
identificherebbe in un rapporto paritario fra concedente e mezzadro, il
quale ultimo sarebbe un vero e proprio coimprenditore, così come
sarebbe confermato dalla legge 15 settembre 1964, n. 756, che oltre ad
abolire praticamente per l’avvenire il contratto di mezzadria, ha
introdotto profonde modificazioni ai rapporti in corso stabilendo, in
deroga alle precedenti disposizioni, che il mezzadro “collabora col
concedente nella direzione dell’impresa” (art. 6), ed accentuando così
la struttura associativa del rapporto.
In ogni modo, prosegue l’Avvocatura, la dichiarazione di
illegittimità cui si richiama l’ordinanza di rinvio sarebbe stata
pronunciata dalla Corte in vista di ostacoli materiali, se non
giuridici, a far valere il diritto al salario, identificati nella
situazione psicologica del lavoratore che può essere indotto a non
agire per timore del licenziamento, con conseguente violazione
dell’art. 36 Cost., che garantisce il diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto. E che
soltanto la presenza di tali ostacoli abbia costituito la base della
citata decisione della Corte sarebbe confermato dalla successiva
pronunzia con cui è stata, invece, ritenuta infondata la questione
sollevata contro la norma che stabilisce la prescrizione biennale degli
stipendi degli impiegati dello Stato, in vista della forza di
resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico impiego, e dei
rimedi giurisdizionali apprestati dall’ordinamento, che escludono che
il timore del licenziamento possa indurre l’impiegato a rinunziare ai
propri diritti.
Orbene, secondo l’Avvocatura, dovrebbe pure escludersi, per quanto
riguarda il rapporto di mezzadria, la sussistenza di quel timore del
recesso che costituisce l’ostacolo ritenuto rilevante dalla citata
giurisprudenza della Corte ai fini del giudizio di legittimità delle
norme in materia di prescrizione, poiché dopo le numerose leggi che
stabilirono la proroga legale, anno per anno, dei rapporti in corso, fu
emanata la legge 11 luglio 1952, n. 765, che conteneva una proroga
legale fino all’entrata in vigore della riforma generale dei contratti
agrari e, da ultimo la legge 15 settembre 1964, n. 756, con cui la
proroga sarebbe stata disposta a tempo indeterminato conservando al
solo mezzadro i poteri di disdetta, per cui le cause di estinzione del
rapporto resterebbero limitate a quelle previste dall’art. 2159 cod.
civ., ed il rapporto di mezzadria sarebbe così caratterizzato da una
particolare resistenza e stabilità.
Conclude, pertanto, chiedendo dichiararsi infondata la sollevata
questione di legittimità costituzionale.
1. – L’ordinanza di rinvio sottopone la questione di legittimità
dell’art. 2162 del codice civile, basandola sul motivo che il termine
di novanta giorni dalla consegna del libretto colonico a chiusura
annuale dei conti, termine entro cui, a pena di decadenza, il mezzadro
deve reclamare contro la omissione di un suo credito, costituito dal
compenso di lavoro compiuto per miglioramenti arrecati al podere
secondo all’articolo 2152 del codice civile, contrasterebbe con gli
artt. 35 e 36 della Costituzione, posti a tutela del lavoro e della sua
retribuzione. Ciò in quanto l’imposizione di un termine pel reclamo,
decorrente non dalla cessazione del rapporto mezzadrile ma nella sua
pendenza, porrebbe il mezzadro in posizione di soggezione, per timore
di recesso da parte del concedente, tale da indurlo alla rinuncia del
credito. Non diversamente, secondo l’ordinanza, da analoga questione
già sollevata davanti a questa Corte, riguardante la prescrizione dei
diritti alle prestazioni salariali, prescrizione dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 63 del 1966 nella
parte degli artt. 2948, 2955 e 2956 in cui ne era consentita la
decorrenza durante il rapporto di lavoro.
2. – La questione non è fondata.
Senza ravvisare necessario, agli effetti della decisione,
premettere l’analisi degli elementi differenziali e di quelli comuni,
che, nel quadro del lavoro nell’impresa, caratterizzano,
rispettivamente, la prestazione lavorativa nell’impresa in generale ed
in quella agricola in particolare, la Corte osserva che la questione
proposta manca di fondamento per motivi che attengono alla speciale
normativa del rapporto di mezzadria, quale è venuta a consolidarsi nel
tempo sul punto concernente la durata del rapporto stesso.
È da porre nel dovuto rilievo che, con inizio dal d.l.l. 5 aprile
1945, n. 157, una serie ininterrotta di provvedimenti ha posto i
contratti di mezzadria in regime di proroga legale. Infatti, a quel
decreto hanno fatto seguito il decreto legislativo n. 273 del 1947: le
leggi n. 1094 del 1948, n. 353 del 1949, n. 505 del 1950, n. 435 del
1951, n. 765 del 1952, e l’ultima legge 15 settembre 1964, n. 756, che,
al divieto di stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, ha aggiunto
la proroga “fino a nuova disposizione” di quelli esistenti.
La constatazione di tale perdurante proroga legale, vale, di per
sé, ad escludere una valida prospettabilità dell’argomento su cui si
basa l’ordinanza di rinvio.
L’ipotesi di una temuta interruzione del rapporto, quale mezzo a
disposizione del concedente per porre in essere una coazione
psicologica sul mezzadro tale da ostacolare indirettamente una
richiesta di compensi che il mezzadro ritenga a sé dovuti, viene a
cadere in forza delle succitate leggi protettive della durata del
rapporto.
Questa forza di resistenza assegnata al rapporto non può ritenersi
sminuita dalla previsione legislativa di situazioni ostative alla
proroga.
Trattasi, invero, di situazioni oggettive, tassativamente
determinate ovvero di situazioni soggettive, da comprovarsi,
consistenti in colposi e gravi inadempimenti contrattuali da parte del
mezzadro (art. 4 d.l.l. n. 157 del 1945, art. 1 decr. legisl. n. 273
del 1947, art. 1 legge n. 1094 del 1948, art. 15 legge n. 756 del
1964).
La precedente sentenza di questa Corte, dalla quale l’ordinanza di
rinvio ha ritenuto desumere l’affermazione di un principio generale
valevole anche per il caso in esame, si è svolta su di un piano
diverso, riguardante ipotesi diversa, senza coincidenza di situazioni.
3. – Di conseguenza, dovendosi escludere la presunzione che il
mancato tempestivo reclamo del mezzadro, a rapporto in atto, contro
omissioni nel libretto colonico di partite a suo credito, costituisca
indice di volontà viziata dal timore di rappresaglia, il termine di
decadenza stabilito dall’art. 2162 del codice civile va ritenuto immune
dalle proposte censure di illegittimità.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2162 del codice civile in relazione all’art. 2152 dello
stesso codice, proposta con l’ordinanza 31 ottobre 1969 del tribunale
di Spoleto in riferimento agli artt. 35 e 36 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.