Sentenza N. 199 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
28/07/1976
Data deposito/pubblicazione
28/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
febbraio 1965, n. 14 (regolamentazione delle assuntorie nelle
ferrotranvie esercitate in regime di concessione), promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 maggio 1973 dal tribunale di Lecce nel
procedimento civile vertente tra Rizzo Gaetano e la società Ferrovie
Sud-Est, iscritta al n. 163 del reg. ord. 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 146 del 5 giugno 1974;
2) ordinanza emessa il 21 dicembre 1973 dalla Corte d’appello di
Roma nel procedimento civile vertente tra l’Istituto nazionale per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e la società Romana
per le Ferrovie del Nord, iscritta al n. 262 del reg. ord. 1974 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 231 del 4
settembre 1974.
Visti gli atti di costituzione dell’INAIL, della società Ferrovie
Sud-Est e della società Romana per le Ferrovie del Nord, nonché gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 1976 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l’avv. Tommaso Fontana, per l’INAIL, l’avv. Salvatore
Sambiagio per la Società Romana per le Ferrovie del Nord, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Il tribunale di Lecce, nel procedimento civile vertente tra
Gaetano Rizzo e la società per azioni Ferrovie del Sud-Est, con
ordinanza del 22 maggio 1973, ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale della legge 3 febbraio 1965, n. 14 (regolamentazione
delle assuntorie nelle ferrotranvie esercitate in regime di
concessione), in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
Chiamato a “decidere se il corrispettivo dell’opera prestata da un
assuntore debba essere o no proporzionato alla quantità e alla
qualità del lavoro prestato, e debba altresì rispondere all’esigenza
di assicurare allo stesso assuntore, ed alla sua famiglia, un’esistenza
libera e dignitosa” ed a “stabilire se il canone previsto dalla legge
del 1965, e di fatto percepito dal Rizzo, risponda ai criteri dettati
appunto dall’art. 36 della Costituzione”, ha ritenuto essere di
ostacolo, a tale esame, il complesso delle norme contenute nella legge
n. 14 del 1965, che, disciplinando il lavoro degli assuntori come se
fosse locatio operis, non consente al giudice ordinario di applicare
l’art. 36 della Costituzione soprattutto perché la giurisprudenza ha
tradizionalmente riservato tale applicazione all’area della locatio
operarum.
Ha però rilevato che, “pur potendosi in astratto parlare di
contratto misto, quello di assuntoria, è in maniera determinante, un
contratto di locatio operarum”, e che pertanto dalle norme denunciate
“derivi una condizione di diseguaglianza tra lavoratori subordinati”,
ad una parte di essi essendo applicabile l’art. 36 e ad altra parte,
sia pure esigua, e cioè agli assuntori, la stessa disposizione
costituzionale non sarebbe applicabile.
Ed ha infine ritenuto che “la sovranità del potere legislativo
nell’assoggettare un certo tipo di rapporto ad una determinata
disciplina, diversa da quella accordata ad altri rapporti aventi
identica struttura economica e sociale” “debba trovare il suo limite
nelle norme costituzionali che garantiscono pari dignità sociale a
tutti i cittadini, e che ai cittadini lavoratori subordinati,
assicurano la realizzazione concreta di tale dignità, mercé
l’applicazione dei criteri sanciti nell’art. 36 della Costituzione”.
2. – Davanti a questa Corte si sono costituiti il Rizzo (fuori del
termine di legge) e le Ferrovie del Sud-Est s.p.a. ed ha spiegato
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
a) La difesa delle Ferrovie del Sud-Est s.p.a. (avv. Giulio
Pacelli), ritenuta fondamentale per la risoluzione della questione
sottoposta all’esame di questa Corte la definizione della natura del
contratto di assuntoria, ha ricordato che prima della legge n. 14 del
1965 il rapporto, caratterizzato dall’espletamento di un servizio e
dalla corresponsione di un compenso pattuito contrattualmente, era
considerato di lavoro autonomo regolato da una convenzione e da un
capitolato approvati dal ministero, e che con la citata legge il
legislatore ha voluto conservare al rapporto di assuntoria le
caratteristiche di lavoro autonomo ed in effetti il contratto de quo
rientra “nello schema del contratto d’opera, in quanto l’assuntore si
obbliga, verso un corrispettivo, a prestare un servizio, quale
risultato della sua autonoma attività organizzativa”.
Si appalesa quindi privo di fondamento il presupposto base della
tesi del tribunale di Lecce.
Il legislatore, quindi, non ha oltrepassato il limite delle norme
costituzionali, con l’assoggettamento del rapporto in oggetto alla
disciplina del lavoro autonomo, proprio per la diversità della
struttura economica e sociale del rapporto stesso.
D’altra parte il legislatore, pur confermando le caratteristiche
dei rapporto di lavoro autonomo, si è esplicitamente preoccupato, in
osservanza delle norme costituzionali a tutela del lavoro, che il
trattamento economico del personale fosse adeguato alla reale portata
delle mansioni.
Tutto ciò considerato, la difesa delle Ferrovie del Sud-Est s.p.a.
ha concluso per la non fondatezza della questione.
b) Secondo la difesa dello Stato le conclusioni a cui perviene il
tribunale, sono viziate da una non del tutto chiara impostazione
metodologica da esso data al proprio ragionamento.
Anzitutto occorre osservare che la legge n. 14 del 1965 non
contiene alcuna specifica qualificazione o classificazione giuridica
del rapporto di assuntoria nelle ferrotranvie esercitate in regime di
concessione e che pertanto una tale qualificazione giuridica rientra
nel compito dell’interprete e conseguentemeute del giudice.
In secondo luogo, va considerato che la questione prospettata
nell’ordinanza nasce solo da una visione puramente formalistica della
disciplina normativa di un rapporto giuridico che, secondo il
tribunale, si limiterebbe a rivestire un contenuto sostanziale
preesistente e, in certo modo, indipendente dalla norma positiva. È
invece evidente che la natura giuridica del rapporto di assuntoria non
puo essere misurata che in base alla disciplina normativa positiva.
Ed in terzo luogo – si dice – è appena da osservare che, neppure
nel caso di una ipotizzata dialettica tra la forma normativa e la
sostanza giuridica del rapporto sarebbe configurabile una questione di
legittimità costituzionale della norma, in quanto non sarebbe al
giudice precluso di accertare la reale natura del rapporto e di
decidere di conseguenza.
La difesa dello Stato, in subordine, ha rilevato che anche ad una
valutazione sostanziale, la disciplina legislativa de qua appare del
tutto conforme ai principi costituzionali invocati nell’ordinanza di
rinvio. Trattasi nella specie di un rapporto di lavoro autonomo, al
quale sono estesi, e senza che la natura di esso venga modificata,
istituti tipici dei lavoro subordinato (assistenza, previdenza,
assicurazione infortuni), quali accessori del rapporto base. E gli
artt. 36, 35 e 3 non risultano violati.
3. – Con ordinanza del 21 dicembre 1973 la Corte d’appello di Roma
– Sezione Lavoro, nel procedimento civile vertente tra l’INAIL e la
Società Romana per le Ferrovie del Nord ha denunciato per contrasto
con l’art. 38, comma quarto, della Costituzione, l’art. 9 della legge
n. 14 del 1965.
Premesso che il rapporto di assuntoria è un “rapporto misto di
lavoro subordinato e lavoro autonomo” e che per tali tipi di rapporto
“devono garantirsi tutti i vantaggi spettanti ai lavoratori subordinati
e quindi applicarsi tutte le relative norme costituzionali”, il giudice
a quo ha ravvisato esistente la dedotta violazione dell’art. 38 della
Costituzione nel fatto che l’art. 9 non prevede, in relazione agli
infortuni sul lavoro, l’assicurazione obbligatoria degli assuntori
presso l’INAIL.
Davanti a questa Corte si sono costituite entrambe le parti ed ha
spiegato intervento il Presidente del consiglio dei ministri.
a) La società Romana per le Ferrovie del Nord, a mezzo dell’avv.
Salvatore Sambiagio, ha chiesto alla Corte di voler dichiarare la non
fondatezza della questione. La tutela infortunistica, infatti, non ha
carattere generale e può svolgersi al di fuori degli istituti all’uopo
predisposti o integrati dallo Stato; e ciò implicitamente è
riconosciuto dall’art. 204 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. In
memoria, ha precisato che la ordinanza si basa sull’errata
configurazione del rapporto di assuntoria che viene assimilato ai
normali rapporti di lavoro subordinato, e sull’altrettanto errato
assunto che la tutela antiinfortunistica sia sempre ed in ogni caso
affidata all’INAIL; e concluso nel senso che ben poteva l’obbligo
assicurativo contro gli infortuni sul lavoro, per la categoria di cui
trattasi, svolgersi al di fuori del monopolio attribuito all’INAIL, il
cui ambito resta pur sempre delimitato dalle norme di cui al d.P.R. n.
1124 del 1965, e conseguentemente non contraddice affatto al precetto
costituzionale la operata distinzione della tutela infortunistica
rispetto al beneficio delle assicurazioni sociali obbligatorie per le
quali soltanto la norma contestata ha indicato la legge regolatrice.
b) Per l’INAIL, rappresentato e difeso dagli avv.ti Valerio Flamini
e Tommaso Fontana, la soluzione della questione deve essere positiva
proprio in base all’interpretazione della legge.
Premesso che, ove avesse statuito il contrario, l’art. 9 dovrebbe
ritenersi viziato di incostituzionalità perché in contrasto con
l’art. 38, comma quarto, della Costituzione, l’Istituto ha osservato
che tra i diritti connessi agli oneri tipici del lavoro subordinato che
gravano sugli assuntori, è anche quello dell’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni, e che la tesi avanzata dalla
controparte secondo cui, nella specie, esisterebbe un obbligo
assicurativo, ma esso non deve essere necessariamente assolto tramite
l’INAIL, è palesemente infondata. In primo luogo, perché è evidente
che il richiamo (nell’art. 9 cit.) a contributi percentuali sulla
retribuzione fatto in relazione anche all’assicurazione infortuni ha un
senso solo se riferito all’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni gestita dall’Istituto, mentre sarebbe inconferente ed inutile
se riferito ad eventuali assicurazioni private. D’altronde sarebbe
assurdo ritenere che, mentre l’assuntore è tenuto (art. 8 della citata
legge n. 14 del 1965) ad assicurare contro gli infortuni tramite
l’INAIL i coadiutori e comunque i suoi dipendenti, lo stesso diritto
venisse negato agli assuntori che svolgono lo stesso lavoro e che sono
da considerarsi, almeno sotto alcuni aspetti, lavoratori subordinati. E
poi tra i diritti connessi agli oneri tipici del lavoro subordinato
garantiti agli assuntori dalla legge n. 14 del 1965 rientra
indubbiamente quello della tutela obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro, la quale, salvo una diversa statuizione del legislatore, che
nella specie manca, viene normalmente attuata tramite l’INAIL.
L’Istituto ha concluso chiedendo a questa Corte, qualora si ritenga
che l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro degli assuntori
vada attuata presso imprese assicuratrici private, di voler dichiarare
l’illegittimità costituzionale della norma denunciata.
Con la memoria, l’Istituto ha eccepito, sempre che la norma
denunciata venga interpretata nel senso sopraddetto, la non rilevanza
della questione. In subordine ha precisato, in aggiunta a quanto già
sostenuto, che questa Corte, ispirandosi all’art. 38 della
Costituzione, potrebbe affermare espressamente che la tutela
assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro nei confronti
degli assuntori non può che essere quella prevista, nella forma e nei
contenuti, dal testo unico n. 1124 del 1965 e quindi, e di conseguenza,
che debba essere attuata dall’INAIL e non da private società di
assicurazione.
c) Per la difesa dello Stato la situazione prospettata dalla Corte
d’appello di Roma non comporta – a stretto rigore – una vera e propria
questione di legittimità costituzionale della norma denunciata; in
subordine, la questione non è fondata, perché l’art. 9 citato si
presenta come estensivo e non comprensivo della posizione
dell’assuntoria e come tale non esclude l’applicabilità di altre norme
cogenti che l’ordinamento prevede per il tipo di rapporto di
assuntoria.
L’Avvocatura ha, infine, concluso per la non fondatezza della
questione.
4. – All’udienza del 19 maggio 1976 i difensori hanno confermato le
rispettive tesi e conclusioni.
1. – Con l’ordinanza emessa il 22 maggio 1973 dal tribunale di
Lecce nel procedimento civile vertente tra Gaetano Rizzo e la società
Ferrovie del Sud-Est e con l’ordinanza emessa il 21 dicembre 1973 dalla
Corte d’appello di Roma – sezione lavoro – nel procedimento civile
vertente tra l’INAIL e la società Romana per le Ferrovie del Nord sono
rispettivamente sollevate la questione di legittimità costituzionale
della legge 3 febbraio 1965, n. 14 (regolamentazione delle assuntorie
nelle ferrotranvie esercitate in regime di concessione) in riferimento
agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione e la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9 della stessa legge nella parte in cui non
prevede, in relazione agli infortuni sul lavoro, l’obbligatorietà
dell’assicurazione presso l’INAIL.
Le questioni così sollevate risultano strettamente connesse. I
due procedimenti, pertanto, vanno riuniti e le relative cause sono
decise con unica sentenza.
2. – Secondo il tribunale di Lecce è il complesso delle norme
della legge n. 14 del 1965 ad essere in contrasto con le indicate
disposizioni costituzionali. Con tali norme un certo tipo di rapporto
sarebbe assoggettato “ad una determinata disciplina, diversa da quella
accordata ad altri rapporti aventi identica struttura economica e
sociale”, ed in particolare da esse sarebbe derivata “una condizione di
diseguaglianza tra lavoratori subordinati” per ciò che ad una parte di
questi “sarebbe applicabile l’art. 36 della Costituzione, e ad una
parte, sia pure esigua, e cioè agli assuntori, la stessa norma non
sarebbe applicabile”. Nella specie il legislatore nel dettare quella
disciplina sarebbe andato al di là del limite posto dalle disposizioni
costituzionali “che garantiscono pari dignità sociale a tutti i
cittadini, e che ai cittadini lavoratori subordinati, assicurano la
realizzazione concreta di tale dignità, mercé l’applicazione dei
criteri sanciti nell’art. 36 della Costituzione”.
Da codesta impostazione della questione risulta l’assenza di
qualsiasi motivo specifico che si riferisca all’art. 35 della
Costituzione: e per ciò non è dato di controllare l’asserito
contrasto.
Resta essenzialmente la dedotta violazione degli artt. 3 e 36: con
le norme denunciate si assume l’esistenza di una ingiustificata e
irrazionale discriminazione in danno degli assuntori nelle ferrotranvie
esercitate in regime di concessione in quanto, in particolare, a tali
lavoratori è negata la tutela garantita dall’art. 36.
Ma ad avviso di questa Corte non ricorre la denunciata
illegittimità costituzionale.
Posto che in base al principio di cui all’art. 3 a situazioni
eguali deve corrispondere una eguale disciplina di legge e che per le
situazioni diverse deve essere dettata una differente disciplina e
posto che nella concreta valutazione del fatto assunto a contenuto
dell’ipotesi e nella concreta regolamentazione giuridica di essa la
discrezionalità del legislatore trova un limite nella razionalità
delle scelte, va rilevato un evidente vizio nella prospettazione del
dubbio di costituzionalità da parte del giudice a quo e nelle
conclusioni a cui questi ritiene di poter pervenire.
Secondo il tribunale di Lecce il rapporto di assuntoria,
considerato nella sua struttura economica e sociale, sarebbe un
rapporto di lavoro subordinato; a tale qualificazione corrisponderebbe
quella che sarebbe agevole trarre dalla considerazione della normativa
in oggetto: “pur potendosi parlare di contratto misto, quello di
assuntoria è in maniera determinante un contratto di locatio
operarum”; ed invece la legge n. 14 del 1965 avrebbe disciplinato “il
lavoro degli assuntori come se fosse locatio operis”.
Il giudice a quo mentre si sofferma, sia pure brevemente,
sull’esame della normativa e sulla qualificazione che in base ad essa
deve darsi al rapporto, omette qualsiasi considerazione, limitandosi a
fare, al riguardo, apodittiche affermazioni, circa la struttura
economica e sociale del rapporto e circa il modo in cui il legislatore
lo avrebbe considerato o qualificato.
Stando così le cose, un discorso in termini di violazione del
principio di eguaglianza appare nella specie privo di qualsiasi serio
fondamento.
Il giudice a quo, ritenendo di dover sollevare davanti a questa
Corte una questione di legittimità costituzionale di codesto tipo,
avrebbe dovuto dimostrare o almeno prospettare, di fronte ad una data
situazione di fatto, una disparità di trattamento giuridico nei
confronti di altre situazioni di fatto eguali o assimilabili a quella
considerata. E ciò, invece, non ha fatto. Secondo esso giudice a quo
infatti l’assuntoria, sia che ci si riferisca alla sua struttura
economica e sociale, sia che si tenga presente la relativa disciplina
giuridica, integrerebbe una ipotesi di locatio operarum.
E sostanzialmente, quindi, la ingiustificata disparità di
trattamento, almeno secondo l’ordinanza di rimessione, non sussiste
ché anzi ci sarebbe coincidenza tra fatto e qualificazione normativa.
Resta, è vero, l’affermazione che il legislatore, con il complesso
delle norme denunciate, ha disciplinato il lavoro degli assuntori come
se fosse locatio operis, ma ad essa non fa riscontro alcuna
dimostrazione e neppure un qualsiasi riferimento di carattere testuale.
E comunque il pensiero del giudice a quo sul punto si presenta
perplesso.
La Corte, perciò, prescindendo dalla qualificazione del rapporto
giuridico di assuntoria che non appare necessaria, non può non
rilevare la non fondatezza della anzidetta questione.
E del pari non fondata risulta la denuncia circa la violazione
dell’art. 36 della Costituzione, essendo la relativa questione del
tutto accessoria o conseguenziale nei confronti di quella fin qui
considerata.
3. – Con l’ordinanza della Corte d’appello di Roma sezione lavoro
– si denuncia, come si è sopra ricordato, la contrarietà dell’art. 9
in parte qua con l’art. 38, comma quarto, della Costituzione.
La questione non è fondata.
La Corte non ritiene di poter condividere la tesi interpretativa
dell’art. 9 citato, sostenuta dal giudice a quo.
Se ci si fermasse alla lettera della legge, potrebbe anche pensarsi
che il legislatore avesse voluto prevedere che fosse obbligatoria
l’assicurazione degli assuntori in relazione agli infortuni sul lavoro
e non anche che tale assicurazione avesse luogo presso l’apposito ente
pubblico (INAIL). E ciò perché il legislatore dopo avere disposto che
“gli assuntori sono obbligatoriamente iscritti a cura delle aziende,
alle assicurazioni sociali di cui al regio decreto 4 ottobre 1935, n.
1827, e successive modifiche e integrazioni, limitatamente
all’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia, e i superstiti e
all’assicurazione contro la tubercolosi” si limita a dire che “essi
sono inoltre assicurati contro gli infortuni sul lavoro”, non parla di
iscrizione obbligatoria a quest’ultima assicurazione e non indica
l’organo o l’istituto presso cui effettuare tale assicurazione.
Ulteriori argomenti a favore della tesi che l’impresa concessionaria
debba assicurare l’assuntore contro gli infortuni sul lavoro ma non
necessariamente presso l’INAIL, potrebbero desumersi dal fatto che nel
testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con il
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 gli assuntori non sono stati
espressamente compresi nell’assicurazione (art. 4) e dei contratti di
assicurazione che li avessero riguardati non è stata prevista la
risoluzione, come si è disposto per altri contratti relativi a
soggetti compresi per la prima volta tra gli assicurati.
Ma in contrario è possibile rilevare che la diversità della
espressione adoperata per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e per le altre assicurazioni si spiega perché l’introduzione
nella nuova disciplina della materia, dell’obbligo de quo è avvenuta a
mezzo di apposito emendamento; che il riferimento alle leggi
regolatrici delle assicurazioni sociali appariva necessario per esse
dato che le stesse non venivano a trovare integrale applicazione; che
la mancanza di uno specifico riferimento agli assuntori nel testo unico
n. 1124 del 1965 può essere derivata da difetto di coordinamento tra
l’attività legislativa e quella delegata, ragionevolmente spiegabile
stante la brevità del tempo intercorso tra la pubblicazione della
legge n. 14 del 1965 e quella del d.P.R. n. 1124 dello stesso anno;
che dagli artt. 126 e 256 del testo unico è dato di dedurre quanto
meno una conferma in ordine all’esistenza di una competenza esclusiva
dell’INAIL a gestire l’assicurazione de qua; che in base al riferimento
contenuto nel secondo comma dell’art. 9 della legge n. 14 del 1965 c’è
da ritenere che le forme di previdenza di cui al primo comma (e tra
esse dovrebbe dirsi rientrante quella che ci occupa) sono
complessivamente ed unitariamente trattate e per esse si parla di
contribuzioni con implicito riferimento al sistema di assicurazione
obbligatoria proprio degli organi o istituti predisposti o integrati
dallo Stato che provvedono ai compiti previsti nell’art. 38 della
Costituzione e tra i quali rientra l’INAIL.
E si può, per ciò, ritenere che il legislatore, con l’inciso
sopra riportato, abbia voluto prevedere e disporre che gli assuntori
fossero assicurati contro gli infortuni sul lavoro presso l’INAIL.
D’altronde va tenuto presente che codesta interpretazione della
norma è ammissibile sia che si ritenga di poter qualificare il
contratto di assuntoria come contratto di locatio operis o di locatio
operarum e sia che si prescinda, come si è fatto a proposito della
prima questione in esame ed in passato con la sentenza n. 51 del 1967,
da ogni e qualsiasi qualificazione: è infatti certa la volontà del
legislatore nel senso sopra espresso e la natura del contratto e del
rapporto, qualunque essa sia, è pienamente compatibile con codesta
volontà.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate: la questione di legittimità costituzionale
della legge 3 febbraio 1965, n. 14 (regolamentazione delle assuntorie
nelle ferrovie esercitate in regime di concessione) e nei sensi di cui
in motivazione, quella dell’art. 9 di detta legge nella parte in cui
non prevede, in relazione agli infortuni sul lavoro, l’obbligatorietà
dell’assicurazione presso l’INAIL, questioni sollevate con le ordinanze
indicate in epigrafe rispettivamene dal tribunale di Lecce in
riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione e dalla Corte
d’appello di Roma – sezione lavoro – in riferimento all’art. 38, comma
quarto, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO
ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere