Sentenza N. 2 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
21/01/1967
Data deposito/pubblicazione
21/01/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/01/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
1) ricorso del Presidente della Regione siciliana notificato il 9
dicembre 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale
il 29 successivo ed iscritto al n. 18 del Registro ricorsi 1964, per
conflitto di attribuzione sorto a seguito di tre decreti del Ministro
delle finanze del 9 settembre 1964 con i quali erano stati respinti i
ricorsi gerarchici presentati rispettivamente dai ricevitori
provinciali di Palermo, Agrigento e Siracusa avverso i provvedimenti
degli Intendenti di finanza che intimavano il versamento nelle casse
dello Stato del maggior provento derivante dalla applicazione della
legge 10 dicembre 1961, n. 1346;
2) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il
30 dicembre 1964, depositato nella cancelleria della Corte
costituzionale il 9 gennaio 1965 ed iscritto al n. 1 del Registro
ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della
circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale l’Assessore per le
finanze della Regione siciliana ha impartito disposizioni perché i
proventi della maggiorazione dell’addizionale di cui alla legge 10
dicembre 1961, n. 1346, limitatamente alla parte afferente ai tributi
di spettanza regionale, venissero versati nelle casse della Regione;
3) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il
6 aprile 1965, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale
il 16 successivo ed iscritto al n. 6 del Registro ricorsi 1965, per
conflitto di attribuzione sorto a seguito di tre decreti in data 14 e
22 gennaio 1965 con i quali l’Assessore per le finanze della Regione
siciliana ha accolto i ricorsi proposti dal Banco di Sicilia ed ha
conseguentemente annullato i tre decreti con i quali gli Intendenti di
finanza rispettivamente di Agrigento, Caltanissetta e Palermo avevano
affermato l’obbligo del Banco ricevitore di versare all’Erario dello
Stato i proventi dell’addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961,
n. 1346.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri e del Presidente della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 19 ottobre 1966 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
uditi gli avvocati Pietro Virga e Antonio Sorrentino, per il
Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale
dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Il presente giudizio trae origine da tre ricorsi per regolamento di
competenza.
Col primo, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale
il 29 dicembre 1964, il Presidente della Regione siciliana,
rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Pietro Virga e Antonio
Sorrentino, ha impugnato e chiesto l’annullamento di tre decreti del
Ministro delle finanze del 9 settembre 1964 con i quali erano stati
respinti i ricorsi gerarchici presentati rispettivamente dai ricevitori
provinciali di Palermo, Agrigento e Siracusa avverso i provvedimenti
degli Intendenti di finanza che intimavano il versamento nelle casse
dello Stato del maggior provento derivante dalla applicazione della
legge 10 dicembre 1961, n. 1346.
Ha sostenuto la difesa della Regione che i predetti provvedimenti,
emessi in violazione degli artt. 20 e 36 dello Statuto siciliano e
dell’art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507, sul regime provvisorio
dei rapporti finanziari fra Stato e Regione, concretano una invasione
della sfera di competenza regionale in quanto il potere di decidere dei
ricorsi gerarchici che riguardano la materia della riscossione delle
imposte, per la quale è già intervenuto il passaggio delle funzioni
dello Stato alla Regione, spetta all’Assessore per le finanze qualunque
sia l’ente titolare dell’imposta (Stato, Regione, Provincia o Comune).
Nella specie, peraltro, ad avviso della difesa, trattasi di tributo di
spettanza regionale nonostante che l’art. 4 della legge n. 1346 del
1961 disponga che il maggior provento derivante dall’aumento
dell’addizionale è riservato all'”erario”, non potendosi tale termine
identificare, né nel linguaggio comune, né in quello giuridico, col
termine “Stato”. Per erario si intende genericamente il complesso dei
mezzi finanziari di cui dispone l’amministrazione pubblica e come tale
l’erario non è esclusivo dello Stato, ma può essere anche di
pertinenza della Regione.
Il citato art. 4 non ha inteso escludere dal provento le Regioni,
nel qual caso il legislatore lo avrebbe esplicitamente precisato, ma ha
voluto escludere che il provento fosse devoluto agli enti autarchici
locali.
Con deduzioni depositate il 23 dicembre 1964 il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha chiesto il rigetto del ricorso della Regione.
Dopo aver ricordato che lo Stato conserva il potere di modificare
l’ordinamento tributario, anche se il gettito di tributi, soppressi o
modificati, è in tutto o in parte devoluto alla Regione e conserva,
altresì, il diritto di istituire nuovi tributi, senza con ciò
invadere la sfera di competenza regionale, l’Avvocatura sostiene che la
legge 10 dicembre 1961, n. 1346, non si è limitata a disporre una
semplice variazione dell’aliquota di un tributo, ma ha istituito un
nuovo tributo in forma addizionale, e, in parte, di aumento di
preesistenti addizionali, stabilendo inoltre espressamente che il
maggior provento “derivante dall’applicazione della legge è riservato
all’Erario”.
L’assunto della Regione che anch’essa ha un erario e che la riserva
all’erario mira ad escludere solo gli enti locali minori, è priva di
fondamento. Nel linguaggio giuridico comune il termine erario, senza
alcuna specificazione, indica le casse dello Stato, ed erariali sono
definiti, in contrapposto a quelli regionali o locali, i tributi
imposti dallo Stato e di spettanza del medesimo. Nessun dubbio, poi,
può sussistere se il termine è adoperato in una legge statale e
questa ha per titolo “Aumento a favore dell’Erario dell’addizionale
istituita con R. D. L. 30 novembre 1937, n. 2145 e successive
modificazioni”. L’appartenenza del tributo allo Stato trova del resto
conferma nei lavori preparatori e nella specifica destinazione data al
provento della maggiore addizionale dall’art. 7 della legge 16 dicembre
1961, n. 1308, col quale una parte di tale provento fu destinata alla
copertura dell’onere derivante allo Stato dal miglioramento del
trattamento economico dei magistrati.
Venendo quindi alla questione di competenza sollevata col ricorso,
l’Avvocatura afferma non esservi dubbio che spetti allo Stato, e per
esso al Ministro per le finanze, e non già all’Assessore regionale,
decidere i ricorsi previsti dall’art. 145 del T.U. 15 maggio 1963, n.
858, quando riguardino la riscossione o il versamento di tributi
erariali dello Stato.
Col secondo ricorso, depositato in cancelleria il 9 gennaio 1965,
il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato e chiesto
l’annullamento della circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale
l’Assessore regionale per le finanze ha impartito disposizioni perché
i proventi della maggiorazione dell’addizionale di cui alla legge 10
dicembre 1961, n. 1346, limitatamente alla parte afferente ai tributi
di spettanza regionale (con esclusione, quindi, di quella concernente
l’imposta sulle società spettante allo Stato) venissero versati nelle
casse della Regione.
Afferma l’Avvocatura che tale circolare è illegittima perché,
dirottando nelle casse regionali il provento di un tributo che la legge
istitutiva destina alle casse dello Stato, la Regione ha in sostanza
modificato una disposizione di legge statale, usurpando un potere che
spetta soltanto al Parlamento. Ai sensi del combinato disposto degli
artt. 36 dello Statuto e 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507, la Regione
può riscuotere solo i tributi di sua spettanza (che sono quelli
elencati nel bilancio di previsione 1947-48 approvato con decreto del
Presidente della Regione 5 luglio 1947, n. 14) e non anche tributi
nuovi, come quello in esame, istituiti con legge successiva, ed
espressamente riservati all’erario con uno scopo del tutto specifico di
copertura di maggiori spese esclusivamente statali.
Il Presidente della Regione siciliana, con deduzioni depositate il
18 gennaio 1965, si è costituito in giudizio sollevando in via
preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per acquiescenza
al provvedimento impugnato per non avere il Presidente del Consiglio
impugnato né la legge regionale 17 settembre 1964, n. 17, con la quale
veniva approvato il bilancio regionale per l’esercizio semestrale 1
luglio-31 dicembre 1964, nel quale, al capitolo 87, figurava il
provento derivante dall’addizionale; né una serie di altri
provvedimenti, resi noti agli organi periferici dell’amministrazione
finanziaria dello Stato, con i quali veniva disposto affinché il
provento dell’addizionale venisse versato in deposito provvisorio
presso le casse regionali.
Nel merito la difesa regionale osserva che la circolare impugnata
è legittima perché con essa l’Assessore non ha fatto altro che dare
applicazione, per la parte di competenza della Regione, alla legge 10
dicembre 1961, n. 1346, portando a conoscenza degli uffici finanziari
che le somme che sarebbero state riscosse in Sicilia in dipendenza
della citata legge avrebbero dovuto essere versate nelle casse
regionali.
L’appartenenza alla Regione del maggior gettito dell’addizionale si
basa proprio sugli artt. 36 dello Statuto e 2 del D. L. 12 aprile 1948,
n. 507, ai quali si fa richiamo ex adverso per sostenere la spettanza
del provento allo Stato. Col citato decreto legislativo che detta la
disciplina provvisoria dei rapporti finanziari fra Stato e Regione, si
è voluto, infatti, stabilire che, fino a quando non fosse stato
diversamente disposto, le entrate che la Regione avrebbe potuto
percepire per il suo fabbisogno sarebbero state solo quelle figuranti
nel bilancio 1947-48, ma non si è al tempo stesso stabilito che anche
il gettito derivante da tali entrate dovesse rimanere invariabile e
che, conseguentemente, gli aumenti di gettito dipendenti da
inasprimento di aliquote si sarebbero dovute versare alla tesoreria
dello Stato. Nel caso in esame, analogamente a quanto verificatosi per
altre imposte, la legge statale ha solo apportato delle semplici
variazioni alle aliquote di tributi preesistenti. L’opposta tesi,
sostenuta dall’Avvocatura, secondo la quale la legge n. 1346 del 1961
ha comportato l’istituzione di un nuovo tributo e non già il semplice
aumento di una addizionale di imposta già esistente, non ha fondamento
sia perché disattesa dalla stessa lettera della legge, sia perché
l’addizionale, dato il suo carattere di accessorietà a un tributo
preesistente, non può costituire un tributo nuovo.
In una memoria depositata in cancelleria il 10 marzo 1965
l’Avvocatura confuta anzitutto l’eccezione d’inammissibilità del
ricorso per acquiescenza osservando che i provvedimenti regionali
indicati nelle deduzioni della Regione, oltre a non essere stati
portati a conoscenza del Presidente del Consiglio, risultano emessi in
pendenza del ricorso proposto il 6 luglio 1962, per la risoluzione del
conflitto di attribuzione sorto per effetto della precedente circolare
n. 313 del 20 febbraio 1962 dell’Assessore al bilancio, quando cioè
tutta la questione era sub iudice. Da ciò – ad avviso dell’Avvocatura
– la inutilità di promuovere nuovi giudizi di costituzionalità contro
tali provvedimenti che del resto dovevano ritenersi superati dal D. P.
Reg. 4 febbraio 1963, n. 2/A e dalla circolare 10 giugno 1963, n. 445,
che revocavano la circolare impugnata.
Né ha rilevanza il fatto che la Regione abbia inserito nel
bilancio 1 luglio-31 dicembre 1964, approvato con legge regionale 17
settembre 1964, n. 17, un capitolo per memoria (n. 87) relativo al
provento derivante dall’aumento dell’addizionale, poiché l’istituzione
di un capitolo di bilancio non ha effetti sostanziali e, se è per
memoria, non ha neppure effetti formali attuali.
Circa poi l’appartenenza del tributo, l’Avvocatura osserva che tale
questione deve essere risolta interpretando la volontà del
legislatore, al quale nessuna norma costituzionale vieta d’introdurre
un nuovo tributo sotto forma di addizionale o di maggiorazione di
addizionale. Nella specie la volontà del legislatore risulta evidente
dato che la legge del 1961 ha introdotto una nuova addizionale (quella
relativa all’imposta sulle società) ed ha aumentato di cinque
centesimi per ogni lira le addizionali preesistenti, precisando che i
relativi proventi sono riservati allo Stato per sopperire, ai sensi
dell’art. 81 della Costituzione, a nuove sue spese.
Il terzo ed ultimo ricorso, depositato in cancelleria il 16 aprile
1965, è stato proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri per
impugnare e chiedere l’annullamento di tre decreti in data 14 e 22
gennaio 1965 con i quali l’Assessore per le finanze della Regione ha
accolto i ricorsi proposti dal Banco di Sicilia ed ha conseguentemente
annullato i tre decreti con i quali gli Intendenti di finanza
rispettivamente di Agrigento, Caltanissetta e Palermo avevano affermato
l’obbligo del Banco ricevitore di versare all’Erario dello Stato i
proventi dell’addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346.
Ritiene l’Avvocatura che i denunciati decreti, analogamente alla
circolare dell’Assessore n. 25800 del 26 ottobre 1964, oggetto del
precedente ricorso, siano in aperta violazione: dell’art. 4 della legge
10 dicembre 1961, n. 1346, che riserva espressamente allo Stato il
maggior provento dell’addizionale e degli artt. 20 e 36 dello Statuto
speciale e dell’art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507. A
dimostrazione delle anzidette violazioni l’Avvocatura svolge i motivi
già enunciati nei suoi precedenti scritti difensivi aggiungendo, per
quanto riguarda la questione relativa alla competenza del Ministro per
le finanze a decidere i ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti
intendentizi che infliggono pene pecuniarie agli esattori e ricevitori
provinciali, che tale questione, con sentenza di questa Corte n. 48 del
1965, è stata decisa nel senso della competenza dell’organo statale.
Il Presidente della Regione siciliana non si è costituito in
quest’ultimo giudizio.
La difesa della Regione in data 6 ottobre 1966 ha depositato nella
cancelleria di questa Corte ulteriori deduzioni intese a dimostrare
che, a decorrere dalla data 1 gennaio 1966 nella quale è entrato in
vigore il D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente norme di
attuazione dello Statuto in materia finanziaria, la spettanza alla
Regione dell’aumento dell’addizionale disposto dalla legge n. 1346 del
1961 non può essere più contestata. L’art. 2, comma primo, del citato
decreto riserva, infatti, alla Regione tutte le entrate tributarie
erariali riscosse nell’ambito del suo territorio dirette o indirette,
comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui
gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri
diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative
dello Stato indicate nelle leggi medesime. Tra tali eccezioni non
rientra il tributo in discussione, sia perché non può considerarsi
nuovo, per essere stato istituito in data anteriore alle norme stesse,
sia perché la legge che lo prevede non lo destina alla copertura di
particolari e specifici oneri finanziari ma, per come si desume dalla
relazione al disegno di legge, alla generica esigenza di fronteggiare
la “copertura di nuove spese portate da leggi in corso”. Mancherebbero
quindi entrambi i requisiti richiesti dalla citata norma di attuazione
per poter ritenere il tributo di spettanza dello Stato.
Le recenti norme di attuazione, ad avviso della difesa, sarebbero
inoltre idonee a confermare l’assunto sulla spettanza del tributo alla
Regione anche per il periodo anteriore al 1 gennaio 1966. Tali norme,
infatti, hanno valore di una mera esecuzione delle disposizioni dello
Statuto, e sono quindi ricognitive ed interpretative di esso; non
hanno, nel presente caso, voluto introdurre precetti nuovi, ma solo
inteso chiarire il contenuto della ripartizione provvisoria attuata con
il D. L. 12 aprile 1948, n. 507.
1. – I tre ricorsi, congiuntamente trattati, possono essere decisi
con unica sentenza stante la loro manifesta connessione.
2. – Preliminare alla comune questione di merito è l’eccezione di
inammissibilità, sollevata dalla difesa della Regione, nei riguardi
del ricorso depositato il 9 gennaio 1965, con il quale il Presidente
del Consiglio dei Ministri impugnava la circolare 26 ottobre 1964, n.
25800, dell’Assessore per le finanze, relativa al “versamento del
provento dell’addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346,
nella cassa della Regione”.
Una presunta acquiescenza a tale provvedimento viene desunta dalla
omessa impugnazione sia di alcuni atti amministrativi del maggio e
giugno 1962, riguardanti il versamento in deposito provvisorio nella
cassa regionale dell’addizionale in questione, sia della legge 17
settembre 1964, n. 17, approvativa del bilancio regionale del semestre
1 luglio-31 dicembre 1964, contenente il capitolo n. 87 relativo al
provento di detta addizionale.
L’eccezione non è fondata.
Per quanto concerne le note dell’Assessore al bilancio numero 42900
del 23 maggio 1962 e n. 42942 del 9 giugno dello stesso anno, che sono
gli atti amministrativi ai quali la difesa della Regione fa
riferimento, è evidente che un’autonoma loro impugnativa era del tutto
superflua. A parte la circostanza che tali atti non furono mai
notificati all’organo legittimato a proporre un eventuale ricorso, e
cioè al Presidente del Consiglio dei Ministri, è da tener presente
che essi figurano emessi quando la Corte era già stata investita della
questione relativa alla spettanza dell’addizionale in esame col
precedente ricorso prodotto avverso la circolare dell’Assessore n. 313
del 20 febbraio 1962, ricorso che la Corte non poté esaminare nel
merito, posto che nelle more del giudizio il provvedimento impugnato fu
revocato (sentenza n. 115 del 1963).
Del pari priva di fondamento si presenta l’eccezione di
inammissibilità in quanto basata sull’omessa impugnazione della legge
regionale di bilancio n. 17 del 1964. A parte l’ovvio rilievo che da
tale mancata impugnativa in via principale non potrebbe inferirsi la
preclusione per lo Stato di difendere in questa sede le sue posizioni
giuridiche, è evidente che, nel caso della legge di cui si discute,
l’impugnativa non era necessaria dato che l’iscrizione in bilancio di
un capitolo – per altro per memoria e cioè senza la previsione di
entrata – è fatto di per sé non produttivo di alcun effetto
sostanziale e quindi di nessuna modificazione dell’ordinamento
giuridico.
3. – I tre ricorsi implicano l’esame di una comune questione di
fondo alla cui risoluzione è subordinata la decisione della
legittimità o meno dei singoli atti che hanno formato oggetto dei
distinti gravami.
La Corte è chiamata a statuire in ordine alla spettanza del
provento derivante dall’applicazione della legge 10 dicembre 1961, n.
1346, ma, per la definizione del presente giudizio, tale questione va
risolta in base alla disciplina provvisoria dei rapporti finanziari fra
lo Stato e la Regione siciliana, contenuta nel D. L. 12 aprile 1948, n.
507, il cui art. 2 si assume essere stato violato dagli atti impugnati.
Dall’ambito così circoscritto della questione resta quindi esclusa
ogni pronuncia sulla spettanza del tributo in esame alla stregua delle
disposizioni previste dal D. P. R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante
norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia
finanziaria.
Le considerazioni ampiamente svolte dalla difesa regionale nelle
ulteriori deduzioni e nella discussione orale sul carattere
interpretativo ed integrativo e sulla conseguente efficacia retroattiva
di siffatte norme, non possono essere condivise dal momento che, per
espressa disposizione dello stesso decreto (articolo 11), esso “entra
in vigore dalla data di inizio dell’esercizio finanziario successivo
alla sua pubblicazione” (1 gennaio 1966) e solo “da tale data cessa di
avere effetto l’art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507”.
Dall’esame della legge 10 dicembre 1961, n. 1346, è facile
dedurre, ad avviso della Corte, quale sia stata la precisa volontà del
legislatore in ordine all’appartenenza del maggiore provento che si
voleva realizzare. Il titolo della legge che parla di “aumento a favore
dell’Erario dell’addizionale istituita con R.D.L. 30 novembre 1937, n.
2145, e successive modificazioni”, collegato con il disposto dell’art.
4, secondo il quale “il maggior provento, derivante dall’applicazione
della presente legge, è riservato all’Erario”, non lasciano dubbi di
sorta sul fatto che la nuova entrata dovesse affluire unicamente alle
casse dello Stato.
A disattendere tale affermazione non giova rilevare che il termine
“Erario” può essere riferito anche alla Regione, perché nella legge
il termine è stato inequivocabilmente usato per indicare il tesoro
dello Stato. La sicura conferma di ciò può trarsi dai relativi lavori
parlamentari ed in specie dalla relazione al Senato nella quale, dopo
la premessa che il ricorso alle addizionali, non nuovo nella nostra
legislazione, è stato dettato dalla necessità di sopperire ad
esigenze vuoi degli enti locali vuoi del bilancio dello Stato, leggesi
che “il maggior gettito della addizionale istituenda è tutto devoluto
all’Erario – artt. 1 e 4”, nonché dalla relazione alla Camera in cui
si precisa che “il maggior gettito è destinato all’Erario,
rinnovellando così una norma che già visse la vita di un anno (dal 1
gennaio al 31 dicembre 1952) per effetto della legge 2 gennaio 1952, n.
1”.
Del pari infondato è l’assunto secondo il quale il provento di cui
trattasi spetterebbe alla Regione dato che la legge 10 dicembre 1961,
n. 1346, non ha voluto istituire un nuovo tributo, ma ha solo inteso
maggiorare le aliquote di tributi preesistenti, quali l’imposta di
registro, successione ed altre, già appartenenti ad essa Regione.
A parte l’ovvio rilievo che l’aumento di un’addizionale è cosa
diversa dalla maggiorazione delle aliquote dei tributi sui quali viene
applicata, l’addizionale del 1961 non può considerarsi un aumento puro
e semplice di quella istituita col R. D. L. 30 novembre 1937, n. 2145,
date le profonde diversità di scopo e di destinazione delle due
addizionali. La cosiddetta addizionale E.C.A., che è compresa tra le
entrate tributarie della Regione siciliana, è destinata a sopperire
alle esigenze di enti locali poiché il suo gettito è devoluto in
parte agli enti comunali di assistenza ed in parte alle Provincie,
mentre la nuova addizionale – come chiaramente risulta dalla legge e
relativi lavori parlamentari – è stata istituita per soddisfare
esigenze che non rientrano nella competenza della Regione ma sono
esclusivamente statali. La legge del 1961 ha in sostanza inteso
assicurare allo Stato un nuovo provento, sotto forma di un aumento di
un’addizionale preesistente, da imputarsi a distinto capitolo
d’entrata.
Negli stessi termini, con titoli e disposizioni pressoché
identici, le leggi 2 gennaio 1952, n. 1, e 22 dicembre 1954, n. 1213,
avevano disposto maggiorazioni autonome dell’addizionale E. C. A. e la
spettanza dei relativi proventi allo Stato non ebbe a formare oggetto
di contestazione.
Si può quindi concludere in ordine alla questione comune ai tre
ricorsi che il provento dell’addizionale del 1961 è una entrata
tributaria erariale nuova rispetto a quelle iscritte nel bilancio di
previsione della Regione per l’esercizio 1947-48 e come tale non
spettante alla Sicilia in virtù della disciplina provvisoria di cui al
D. L. 12 aprile 1948, n. 507.
4. – Venendo ora all’esame dei singoli provvedimenti che hanno
formato oggetto dei ricorsi va presa anzitutto in considerazione la
circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale l’Assessore per le
finanze disponeva che il provento derivante dall’addizionale, eccezion
fatta per la parte relativa all’imposta sulle società, fosse versato
nella cassa della Regione.
L’illegittimità di tale provvedimento è evidente. La Regione,
attribuendosi il provento di un’entrata, che l’art. 4 della legge
riserva espressamente all’Erario dello Stato, ha unilateralmente
alterato i termini dei rapporti allora vigenti fra la finanza statale e
la finanza regionale, violando le disposizioni contenute negli artt.
36 dello Statuto e 2 del D. L. n. 507 del 1948 che delimitavano la sua
competenza alle sole entrate tributarie tassativamente indicate nel
citato bilancio 1947-48.
A tale violazione fa riscontro una correlativa invasione della
sfera di competenza riservata allo Stato, il quale, come questa Corte
ha avuto occasione di precisare (sentenze nn. 52 del 1957 e 5 del 1958)
ha conservato, in vigenza del regime provvisorio, il potere di
modificare l’ordinamento tributario e di imporre nuovi tributi, anche
nel territorio della Sicilia, riservandone a sé il gettito.
L’atto in questione va quindi annullato.
Analoga pronuncia per i medesimi motivi va poi adottata nei
riguardi dei tre decreti oggetto del ricorso depositato il 16 aprile
1965 con i quali l’Assessore per le finanze della Regione, in
accoglimento dei ricorsi proposti dal Banco di Sicilia, annullava i
decreti intendentizi che avevano affermato l’obbligo del Banco, quale
ricevitore provinciale, di versare all’Erario dello Stato il provento
della addizionale in discussione.
La competenza a decidere sui ricorsi gerarchici che riguardino la
riscossione e il versamento di tributi erariali di pertinenza dello
Stato spetta al Ministro per le finanze e non all’Assessore regionale.
La Corte ha ripetutamente affermato che il trasferimento dallo Stato
alla Regione delle funzioni concernenti la riscossione dei tributi,
nonché delle funzioni collegate al servizio esattoriale, si è
verificato per i tributi di competenza regionale e non per quelli che
lo Stato si sia originariamente riservati e, come quello di specie,
abbia in prosieguo legittimamente imposto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce i tre ricorsi indicati in epigrafe;
respinge l’eccezione di inammissibilità per acquiescenza proposta
dalla Regione siciliana;
respinge il ricorso 29 dicembre 1964 proposto dalla Regione
siciliana e in accoglimento dei ricorsi del Presidente del Consiglio
dei Ministri depositati il 9 gennaio e 16 aprile 1965:
dichiara che spetta allo Stato l’aumento dell’addizionale di cui
alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, e che spetta pertanto al
Ministro per le finanze, e non all’Assessore per le finanze della
Regione siciliana, decidere i ricorsi gerarchici proposti dai
ricevitori provinciali di Caltanissetta, Agrigento e Palermo avverso i
provvedimenti degli Intendenti di finanza, che affermavano l’obbligo di
versare all’Erario dello Stato il provento dell’addizionale;
annulla, per conseguenza, la circolare 26 ottobre 1964, numero
25800, nonché i decreti nn. 061/65, 062/65 e 0104/65 in data 14 e 22
gennaio 1965, dell’Assessore per le finanze della Regione siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.