Sentenza N. 2 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
21/01/1999
Data deposito/pubblicazione
21/01/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/01/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere
e perito commerciale), promosso con ordinanza emessa il 29 settembre
1997 dal Tribunale di Prato nel procedimento civile vertente tra
Colombari Daniele Stefano ed il Consiglio nazionale dei ragionieri e
periti commerciali, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima
serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
Daniele Colombari contro il Consiglio nazionale dei ragionieri e
periti commerciali, il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 29
settembre 1997, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione,
dell’art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della
professione di ragioniere e perito commerciale), nella parte in cui
prevede la radiazione di diritto dall’albo dei ragionieri e periti
commerciali degli iscritti che abbiano riportato condanna penale per
alcuni tipi di reato (come appropriazione indebita e bancarotta
fraudolenta, per i quali è stato condannato il rag. Colombari).
Secondo il Tribunale la questione è rilevante, in quanto il
giudizio a quo non può prescindere dall’applicazione della norma
impugnata: l’attore lamenta, infatti, che dapprima il Consiglio del
Collegio di Prato e poi il Consiglio nazionale dei ragionieri abbiano
adottato il provvedimento di radiazione senza aprire un procedimento
disciplinare, conformemente a quanto previsto dall’art. 38 del citato
d.P.R. n. 1068. Se tale norma fosse dichiarata incostituzionale,
rimarrebbero travolte le decisioni dei due collegi professionali.
Inoltre, il giudice rimettente ritiene la questione non
manifestamente infondata, considerato che la Corte costituzionale ha
già dichiarato l’illegittimità di norme analoghe, che disponevano
la destituzione di diritto per i pubblici impiegati (sentenza n. 971
del 1988) e per i notai (sentenza n. 40 del 1990) e la radiazione di
diritto per i dottori commercialisti (sentenza n. 158 del 1990).
Infine, l’eliminazione della destituzione di diritto nel campo del
pubblico impiego, ad opera della legge n. 19 del 1990, comporterebbe
un ulteriore motivo di illegittimità della norma impugnata, essendo
contrario al principio di uguaglianza che tale sanzione permanga
soltanto nei confronti dei liberi professionisti, come rilevato dalla
stessa Corte costituzionale nella citata sentenza n. 158 del 1990.
2. – Nel giudizio avanti la Corte costituzionale non si è
costituita la parte privata, né è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068
(Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale)
per contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Il suddetto art. 38 contiene tre distinte proposizioni normative:
nel primo comma indica i motivi che, in generale, giustificano
l’irrogazione della sanzione della radiazione dall’albo; nel secondo
comma dispone la radiazione di diritto nel caso di condanna per una
serie di delitti; nel terzo comma, infine, prevede la radiazione di
diritto come conseguenza della condanna a pene accessorie ovvero del
ricovero in manicomio giudiziario o dell’assegnazione ad una colonia
agricola o ad una casa di lavoro.
Benché il dispositivo dell’ordinanza di rimessione si riferisca
all’intero articolo, dalla motivazione della stessa emerge come il
giudice a quo censuri la norma nella parte in cui prevede la
radiazione di diritto dall’albo dei ragionieri e periti commerciali
che abbiano riportato condanna penale per alcuni tipi di reato:
pertanto l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale deve
ritenersi limitato al secondo comma.
2. – La questione è fondata.
La giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario che le
sanzioni destitutive, sia nel campo del pubblico impiego che in
quello delle professioni inquadrate in ordini o collegi
professionali, non siano disposte in modo automatico dalla legge, ma
siano irrogate solo a seguito di un procedimento disciplinare che
consenta di adeguare la sanzione al caso concreto secondo il
principio di proporzione (v. la sentenza n. 40 del 1990).
Sulla base di tale principio sono state dichiarate
costituzionalmente illegittime le norme che prevedevano la
destituzione di diritto del notaio (con la citata sentenza n. 40 del
1990) e la radiazione di diritto del dottore commercialista, sancita
da una disposizione identica a quella ora impugnata e contenuta in un
decreto legislativo emanato nella stessa data (con la sentenza n. 158
del 1990).
nel settore del pubblico impiego, poi, sono state dichiarate
contrarie alla Costituzione la destituzione di diritto
dell’impiegato, prevista dall’art. 85 del testo unico n. 3 del 1957
(con la sentenza n. 971 del 1988), e l’analoga sanzione della
decadenza dal servizio introdotta dall’art. 15, comma 4-octies, della
legge n. 55 del 1990 come misura per prevenire e contrastare la
delinquenza di tipo mafioso (con la sentenza n. 197 del 1993); la
sospensione automatica dall’impiego e dall’abilitazione degli
ufficiali di riscossione dei tributi nei cui confronti siano pendenti
procedimenti penali per taluni reati (con la sentenza n. 239 del
1996); la cessazione automatica dal servizio continuativo dei
carabinieri per perdita del grado, a seguito dell’irrogazione della
pena accessoria della rimozione (sentenza n. 363 del 1996).
Questa Corte ha, invece, ritenuto che tali principi non sono
invocabili nei casi in cui la legge preveda la decadenza automatica
da ruoli o da autorizzazioni all’esercizio di determinate attività
come conseguenza della perdita di un requisito soggettivo necessario
per l’accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del
rapporto autorizzatorio (sentenze n. 297 del 1993 e n. 226 del 1997).
Anche nel campo del pubblico impiego l’automatica esclusione
dall’accesso ai pubblici uffici non è stata giudicata contraria alla
Costituzione, precisandosi che non è invocabile un parallelismo tra
l’ipotesi dell’assunzione e quella della destituzione del pubblico
dipendente, dal momento che la prima attiene ai requisiti soggettivi
indicati dal legislatore per la scelta dei più idonei aspiranti
all’accesso, mentre la seconda comporta la rimozione di uno status
già acquisito (sentenze n. 203 del 1995 e n. 249 del 1997).
3. – La professione di ragioniere e perito commerciale è
inquadrata in un collegio professionale, ai sensi del d.P.R. n. 1068
del 1953. Tale normativa prevede che gli iscritti all’albo possano
essere sottoposti a procedimento disciplinare e, all’art. 36,
qualifica espressamente come sanzione disciplinare la radiazione
dall’albo, regolata specificamente dal successivo art. 38, impugnato
nel presente giudizio.
In base ai precedenti di questa Corte, il Tribunale di Prato
censura fondatamente la norma nella parte in cui stabilisce
l’automatica radiazione di diritto dall’albo dei ragionieri e periti
commerciali degli iscritti che abbiano riportato condanna penale per
alcuni tipi di reato. Ed invero – come già rilevato nella sentenza
n. 158 del 1990, che ha dichiarato illegittima una norma del tutto
identica a quella oggetto del presente giudizio, relativa ai dottori
commercialisti – l’automatismo della sanzione disciplinare è
irragionevole, contrastando con il principio di proporzione, che è
alla base della razionalità che informa il principio di eguaglianza.
– Inoltre come è stato già affermato (sentenza n. 40 del 1990) –
dopo la soppressione dell’istituto della destituzione di diritto nel
campo del pubblico impiego risulterebbe contrario al principio di
uguaglianza che tale tipo di sanzione rimanesse fermo soltanto per le
libere professioni.
Risulta dunque violato, sotto entrambi i suddetti profili, l’art.
3 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R.
27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere
e perito commerciale), nella parte in cui prevede la radiazione di
diritto dall’albo dei ragionieri e periti commerciali che abbiano
riportato condanna penale per i reati indicati nel secondo comma
dello stesso articolo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
Il cancelliere: Fruscella