Sentenza N. 20 del 1978
Corte Costituzionale
Data generale
20/03/1978
Data deposito/pubblicazione
20/03/1978
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/03/1978
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof.
LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in
materia di brevetti per invenzioni industriali), promossi con le
ordinanze emesse l’11 aprile 1975 dalla Commissione ricorsi contro i
provvedimenti dell’Ufficio centrale brevetti, sui ricorsi della ditta
Dr. Madaus & Co., della United States Borax and Chemical Corporation,
della Rohm & Haas G.m.b.H., della Fisons Pharmaceutical Ltd., della
Lovens Kemiske Fabrik Productionsaktienselkab, della Kyowa Hakko Kogyo
Co. Ltd., della I.S.F. spa., della Farbwerke Hoechst
Aktiengesellschaft, della Ciba Societé anonyme, della Astra
Pharmaceutical Products Inc., della Smith Kline & French Laboratories,
della The Upjohn Company, della Beecham Group Limited, della Ugine
Kuhlmann, della Rhone-Poulenc s.a., iscritte ai nn. 549, 550, 551, 552,
553, 554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 565 e 566
dell’anno 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25 del 28 gennaio 1976.
Visti gli atti di costituzione della ditta Dr. Madaus, della Fisons
Pharmaceutical, della Lovens Kemiske, della I.S.F., della Farbwerke
Hoechst, della Ciba, della Astra Pharmaceutical, della Smith Kline,
della The Upjohn Company, della Beecham Group Limited, della
Rhone-Poulenc, nonché gli interventi della società Farmaceutica
Italia s.p.a. e Soc. Carlo Erba, e dell’Associazione Industrie Chimiche
e Farmaceutiche (Assofarma);
udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore
Leopoldo Elia;
uditi gli avvocati Arturo Carlo Jemolo per l’Astra Pharmaceutical;
Remo Franceschelli per la Ciba Société anonyme; Enzo Capaccioli per
la ditta Dr. Madaus, per la Fisons Pharmaceutical, per la Lovens
Kemiske, per la I.S.F., per la Farbwerke Hoechst, per la Smith Kline e
per la The Upjohn Company.
1. – La Commissione ricorsi contro i provvedimenti dell’Ufficio
centrale brevetti, adita separatamente da ditte di varia nazionalità
(Ciba Societé anonyme, Dr. Madaus & Co., Lovens Kemiske
Productionsaktienselkab, Rohm & Haas G.m.b.H., Smith Kline & French
Laboratories, Ugine Kuhlmann, due volte ricorrente, The Upjohn Company,
United States Borax and Chemical Corporation, Beecham Group Limited,
Farbwerke Hoechst Aktiengesellschaft, due volte ricorrente, Kyowa Hakko
Kogyo Co. Ltd., Fisons Pharmaceutical Ltd., Rhone Poulenc s.a., I.S.F.
s.p.a., due volte ricorrente, Astra Pharmaceutical Products Inc.), le
quali chiedevano riforma di decisione negativa circa la brevettazione
di prodotti considerati di uso farmaceutico, sollevava, con diciotto
analoghe ordinanze emesse l’11 aprile 1975, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, che appunto
fa divieto di brevettare i medicamenti ed i processi diretti a
produrli, con riferimento agli artt. 3, 9, 41, 42 e 43 della
Costituzione.
Osservava la Commissione che il sistema legislativo (articoli 7,
23, 27, comma secondo, 35, 38, comma secondo, 39 del regio decreto
citato) fa dipendere il pieno riconoscimento dei diritti dell’inventore
dal positivo esito del procedimento di brevettazione; prospettava
quindi il dubbio di un contrasto fra l’art. 14, il quale appunto
esclude la possibilità di brevettare i processi ed i prodotti
medicamentosi, e l’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificato
sacrificio di diritti anche di particolare valore morale che
determinerebbe.
Ritenendo poi fondamento del diritto patrimoniale dell’inventore il
compenso per il progresso tecnico apportato, secondo un indirizzo
largamente accolto, sarebbe evidente il contrasto fra il detto art. 14
e l’art. 9 della Costituzione, attesoché il divieto che il primo
stabilisce intralcerebbe la ricerca scientifica e tecnica nel campo dei
medicamenti, dissuadendo l’industria farmaceutica dall’effettuarvi i
necessari investimenti.
Considerando invece il brevetto come strumento necessario per
l’individuazione di un bene immateriale e per l’attribuzione di esso
all’ideatore o ad altri aventi diritto, si dovrebbe concludere che il
divieto di brevettare viene ad impedire un conveniente regime giuridico
dell’idea innovativa relegandola fra le cose di nessuno, in contrasto
con quanto prescrive l’art. 42 della Costituzione, secondo cui i beni
aventi rilevanza economica sono pubblici o privati.
Sarebbe inoltre ravvisabile un contrasto con gli artt. 41 e 43
della Costituzione in quanto il sistema legislativo sottrarrebbe
all’iniziativa economica privata (da cui sarebbe indissociabile la
pertinente attività di ricerca) un intero settore senza devolverlo
alla iniziativa pubblica.
Né la normativa impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art. 32
della Costituzione medesima attesoché la tutela della salute non
potrebbe comportare mancata remunerazione dell’inventore di processi o
prodotti medicinali, sia costui lavoratore indipendente o dipendente,
ed ancor meno il sacrificio della ricerca scientifica che ne è
condizione indispensabile.
2. – Si costituivano in giudizio la ditta Dr. Madaus & Co., la
Lovens Kemiske Fabrik Productionsaktienselkab, la Smith Kline & French
Laboratories, la Upjohn Company, la Beecham Group limited, la Farbwerke
Hoechts Aktiengesellschaft, la Fisons Pharmaceutical Ltd., la I.S.F.
s.p.a., presentando analoghe deduzioni. Nel ribadire i motivi di dubbio
prospettati nell’ordinanza del giudice a quo, richiamavano i precedenti
storici dell’attuale normativa e le proposte di riforma provenienti dal
Governo e da singoli parlamentari. Il sistema attuale contrasterebbe
con le esigenze della Comunità europea, con molteplici trattati
conclusi recentemente dall’Italia ed inoltre con le indicazioni della
stessa legge che ha approvato il programma economico nazionale per il
quinquennio 1966-1970 e del c.d. “Progetto 80”; creerebbe
un’ingiustificata discriminazione ai danni dell’inventore di prodotti e
processi produttivi farmaceutici, violando il diritto di scegliere
un’attività lavorativa socialmente utile garantita dall’art. 4,
secondo comma, della Costituzione.
Si costituiva altresì la S.A. Rhone-Poulenc che, sviluppando gli
argomenti già evidenziati nell’ordinanza introduttiva del giudizio, li
suffragava con indicazioni storiche, comparatistiche, desunte dal
diritto comunitario e dai trattati conclusi dal nostro paese, analoghe
a quelle svolte dalle ditte poc’anzi menzionate.
Si soffermava, fra l’altro, sull’esigenza di ritenere la proprietà
sul bene immateriale garantita dalla Costituzione, nell’interpretare la
quale non si potrebbe prescindere dal sistema legislativo, dai concetti
pacificamente accolti nella giurisprudenza e nella dottrina italiana ed
europea al momento in cui venne elaborata ed approvata.
Si costituiva anche la ditta Astra Pharmaceutical Products Inc., la
quale svolgeva argomentazioni strettamente analoghe a quelle della
Rhone-Poulenc, aggiungendo alcuni rilievi sull’inattendibilità della
tesi secondo cui la concessione del brevetto comporterebbe un aumento
dei costi oltre che sulle distorsioni strettamente connesse al regime
attuale.
Il sistema brevettuale sarebbe idoneo a determinare una equa
distribuzione dei costi medesimi fra gli imprenditori. Dispiegherebbe
ulteriori effetti benefici, stimolando una riduzione delle spese
pubblicitarie, attualmente esorbitanti data l’impossibilità di
distinguere diversamente che attraverso il marchio il proprio prodotto
da quello altrui; consentendo alle imprese che svolgono proficuamente
ricerca scientifica di ampliare la produzione e di ridurre quindi
l’incidenza delle spese generali.
Tenuto conto del fatto che una certa invenzione può avere diversi
impieghi si verificherebbe attualmente, almeno nella prassi, l’assurdo
di considerarla brevettabile o non a seconda se viene presentata da una
ditta farmaceutica o di altra natura.
Si costituiva infine la Ciba Societé anonyme aderendo alle censure
prospettate nell’ordinanza introduttiva del giudizio; rilevando
segnatamente che il divieto di brevettare invenzioni attinenti ai
medicinali venne introdotto per la prima volta in legge piemontese del
1855 per motivi del tutto estranei alla presente realtà storica: per
il timore cioè che da una eventuale brevettazione (non idonea di per
sé a garantire l’effettiva bontà del farmaco) potessero trarre
illecito vantaggio i ciarlatani, i segretisti, all’epoca a quel che
sembra ancora numerosi ed in grado di nuocere. Non sussistendo ancora
tale pericolo non si vedrebbe perché il divieto dovrebbe essere
mantenuto; tanto più che le ulteriori giustificazioni addotte (in
seguito) a suo sostegno sarebbero contrarie alla realtà. La
eliminazione del brevetto non precluderebbe la possibilità di
utilizzare in segreto una scoperta e dunque non escluderebbe il
monopolio di fatto, tanto più nocivo in quanto non razionalizzato e
limitato da norme giuridiche.
Sosteneva, inoltre, che il principio di eguaglianza sarebbe violato
non solo per la carente tutela del diritto ad essere riconosciuto
inventore, ma anche per il diverso trattamento economico riservato
all’inventore di medicinali rispetto a qualsiasi altro; ed inoltre
perché lo stesso ritrovato (idoneo a più di un impiego) potrebbe
essere o non materia di brevetto anche in base a valutazioni relative
alla natura del soggetto richiedente ed alla attività che svolge, con
ingiustificato vantaggio per quelle ditte che svolgono attività in
settori diversi da quello farmaccutico.
3. – Intervenivano la Società farmaceutica Italia s.p.a. e la Soc.
Carlo Erba, estranee ai procedimenti innanzi alla Commissione ricorsi,
le quali illustravano e corroboravano con nuovi argomenti i dubbi di
incostituzionalità prospettati nell’ordinanza introduttiva del
giudizio, evidenziando anche profili e termini ulteriori della
questione. Un contrasto fra diritto di sfruttamento esclusivo ed
interesse generale potrebbe essere affermato solo fraintendendo la
funzione del brevetto, che non si limita a garantire un diritto al
singolo ma è innanzi tutto strumento di ripartizione e distribuzione
dei costi della ricerca.
L’inventore di processi o prodotti farmaceutici verrebbe inoltre ad
essere svantaggiato ingiustificatamente rispetto a colui che esplica le
sue capacità di ricerca in settori diversi e privato del frutto del
suo lavoro in evidente contrasto con quanto dispongono gli artt. 4, 35,
primo comma, 36, primo comma, della Costituzione. Ne risulterebbe
violato anche l’art. 42 della Costituzione medesima secondo cui la
proprietà privata è “riconosciuta e garantita” ed alla cui stregua
quindi dovrebbero essere tutelate innanzi tutto le sue manifestazioni
più naturali fra cui dovrebbe annoverarsi l’appropriazione del frutto
del proprio ingegno e della propria attività di ricerca. Interveniva
inoltre l’Associazione Industrie Chimiche e Fermaceutiche (Assofarma),
anch’essa estranea ai procedimenti innanzi alla Commissione ricorsi,
che, aderendo ai rilievi già contenuti nella ordinanza di rimessione,
criticava, fra l’altro, alcuni fra gli argomenti più di frequente
addotti a sostegno della vigente normativa. Il costo della ricerca
inevitabilmente si ripercuoterebbe sul prezzo, pur in regime di non
brevettabilità. Per eliminare la rendita del monopolista sarebbe a
disposizione dello Stato un preciso e specifico strumento – del resto
già in opera – e cioè appunto il controllo dei prezzi. Il sistema
attuale, d’altra parte, svantaggerebbe senza motivo valido i
ricercatori farmaceutici rispetto agli altri.
4. – Con successive memorie e nella discussione orale – nel corso
della quale non predevano la parola gli interventori – le parti
costituite ribadivano i rilievi già svolti e le conclusioni prese.
1. – Le diciotto ordinanze propongono questioni attinenti alla
stessa normativa. Pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi
con un’unica sentenza.
2. – Deve essere preliminarmente dichiarata – in conformità alla
costante giurisprudenza di questa Corte – l’inammissibilità degli
interventi proposti per la Società Farmaceutica Italia s.p.a.
(Farmitalia), per la Società Carlo Erba s.p.a. e per la Associazione
tra Industrie Chimiche e Farmaceutiche (Assofarma).
3. – È poi da chiedersi se l’oggetto della questione di
legittimità costituzionale, proposta nei confronti dell’art. 14 del
r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (ma che deve intendersi diretta al primo
comma di questa disposizione), includa anche il divieto di
brevettazione dei procedimenti per la fabbricazione di medicinali.
Com’è noto, infatti, l’art. 16 del r.d. 13 settembre 1934, n. 1602,
ammetteva la concessione delle privative industriali per i processi
usati nella produzione dei medicamenti. Peraltro l’art. 16 e le altre
disposizioni di questo regio decreto non entrarono mai in vigore,
giacché non fu emanato il regolamento alla cui pubblicazione l’art.
134 del predetto decreto condizionava l’entrata in vigore delle
disposizioni in esso contenute. D’altra parte sopravveniva il r.d.l. 24
febbraio 1939, n. 317, che, mentre delegava il governo ad emanare una
disciplina organica, tra le altre, in materia di brevetti per
invenzioni industriali “integrando, modificando, sopprimendo” le
disposizioni del r.d. n. 1602 del 1934, disponeva nell’art. 2 che
“fosse differita” l’attuazione dell’art. 16, comma secondo,
riguardante le invenzioni dei processi per medicamenti. Questa Corte,
chiamata a giudicare della illegittimità costituzionale dell’art. 14,
comma primo, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, per eccesso di delega,
dichiarava non fondata la questione con sent. n. 37 del 1957, ritenendo
che il divieto di brevettazione previsto dall’art. 14, comma primo,
anche per i procedimenti di fabbricazione, costituisse l’immediata e
doverosa conseguenza del differimento di attuazione dell’art. 16, comma
secondo, del r.d. n. 1602 del 1934 (come è confermato dalla sent. n.
42 del 1958, al punto 4 del considerato in diritto). Tuttavia, secondo
la motivazione della sent. n. 37 del 1957, il principio della
brevettabilità dei procedimenti industriali per la produzione dei
medicamenti (“legislativamente accolto, ma in una legge mai entrata in
vigore”) non era negato nemmeno dal divieto di brevettazione ex art.
14, comma primo, del r.d. n. 1127 del 1939: e si concludeva che “dato
il rinvio di una disciplina definitiva ad un tempo successivo, in base
alla riserva contenuta nel più volte citato art. 5 del r.d. 24
febbraio 1939, n. 317 – e riannodandosi appunto a tale riserva – il
legislatore potrà riprendere eventualmente in esame l’intera materia”.
Si deve ora constatare che malgrado diversi tentativi effettuati
nel ventennio trascorso con la presentazione di vari disegni di legge
alle Camere, la situazione normativa del settore è rimasta invariata:
e che al principio legislativamente accolto nel 1934, e la cui
attuazione fu sospesa “sine die” con la legge delega del 1939, n. 317,
non può riconoscersi alcuna operatività, nemmeno a livello
interpretativo, trattandosi, appunto, di un “principio” rimasto privo
dell’atto, che, entrando in vigore, avrebbe potuto immetterlo, sia pure
con efficacia differita, nell’ordinamento giuridico italiano.
4. – Nel merito la questione è fondata.
È utile ricordare che l’origine del divieto di brevettazione dei
prodotti farmaceutici si trova nelle deliberazioni del Parlamento
subalpino sul progetto legislativo in tema di privative industriali,
divenuto poi legge 12 marzo 1855, n. 782, più conosciuta attraverso il
provvedimento con cui fu estesa alla Lombardia (r.d. 30 ottobre 1859,
n. 3731). L’art. 6 di questo testo conteneva una esclusione, introdotta
su proposta del deputato Luigi Carlo Farini, secondo la quale non
potevano costituire “argomento di privativa… i medicamenti di
qualunque specie”. Veramente, già nel dibattito della Camera dei
deputati, appare difficile cogliere una univoca ratio legis di questa
disposizione, che contrastava con la linea del progetto governativo e
con quella difesa dalla Commissione parlamentare. I due motivi fatti
valere più direttamente dal Farini si fondavano sulla opportunità di
evitare che ciarlatani, speziali e “segretisti” profittassero
dell’attestato di privativa per smerciare prodotti non utili alla
salute, e, meno coerentemente, sulla intenzione di rinviare la
disciplina della materia ad un “codice sanitario ed igienico” che già
si stava approntando.
Peraltro, sia negli interventi del Farini che in quelli dei
deputati consenzienti con la sua proposta, emergeva anche la
preoccupazione per il “rincarimento cagionato dalla privativa” e l’idea
che allo scopritore – inventore – filantropo, il quale dispensa a tutti
gli uomini il frutto delle sue ricerche a rimedio della fisica
fragilità, non spetti nessuna forma di remunerazione economica, salvo
quei premi che i corpi rappresentativi avrebbero immancabilmente
deliberato a favore di chi arrecasse davvero “un segnalato benefizio”
in questo campo.
Si sono rievocati i molteplici e, per così dire, giustapposti
motivi del voto che ebbe luogo il 5 dicembre 1854 nella Camera dei
deputati del regno sardo (ed ebbero qualche peso anche i timori dei
farmacisti torinesi per la preparazione dei medicamenti nelle
farmacie), perché le incertezze circa la ratio legis, se fino alla
entrata in vigore della Costituzione repubblicana ed in particolare del
suo art. 3, primo comma, facevano sorgere più di un dubbio circa la
saggezza della via prescelta dal legislatore (ed erano perciò
argomento di politica legislativa), a partire dal 1 gennaio 1948
potevano dar luogo ad una questione di legittimità costituzionale,
risultando inadeguati ad offrire un idoneo fondamento giustificativo
alla deroga che la disposizione dell’art. 14, primo comma, del r.d. n.
1127 del 1939 dispone nei confronti della disciplina generale in tema
di brevetti per invenzioni industriali. La possibilità di prospettare
in termini di costituzionalità, nell’ambito dell’art. 3, primo comma,
Cost., la questione che prima si poneva in termini di opportunità, è
confermata dal modo come Antonio Scialoja, commissario regio per il
dibattito alla Camera, riassumeva nella sua relazione al progetto
governativo l’essenza del problema: “…se egli è vero che
l’inventore di un processo acconcio a guarentire dal deperimento una
materia qualunque ha diritto a conseguire una privativa, per qual
motivo dovrebbe essere spogliato di simil diritto l’inventore di una
medicina atta a conservare la vita dell’uomo?”.
5. – Nell’ordinanza della Commissione dei ricorsi contro i
provvedimenti dell’Ufficio centrale brevetti la prima anomalia, che
darebbe luogo a violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.,
consisterebbe nella impossibilità per l’inventore di medicamenti nuovi
o di nuovi procedimenti per la fabbricazione di medicinali di vedere
formalmente e pienamente riconosciuta “erga omnes” la paternità della
sua invenzione ove gli fosse precluso l’ottenimento del brevetto,
residuando a vantaggio suo e degli altri aventi diritto forme di tutela
di certo meno piene ed appaganti.
In realtà, anche da altri passi dell’ordinanza (vedi nel penultimo
periodo il confronto tra gli inventori nel campo farmacologico ed ogni
altro operatore economico, dipendento o indipendente) si trae che la
violazione del principio del pari trattamento viene eccepita partendo
da un profilo più comprensivo, e cioè in rapporto sia alla tutela del
diritto personale dell’inventore sia alle situazioni economiche di
vantaggio cui dà luogo la esclusiva derivante dal brevetto.
Ammessa come pacifica l’esistenza del tertium comparationis
riguardo alle invenzioni nel settore farmaceutico, consistente nel più
vasto genere delle invenzioni industriali di cui al r.d. n. 1127 del
1939 ed agli artt. 2584 – 2591 del codice civile, deve dirsi che il
motivo di deroga per le invenzioni in materia farmaceutica (carattere
ulteriore della specie rispetto al genere, e cioè, in ipotesi,
finalizzazione alla tutela sanitaria) non presenta la nota necessaria
della esclusività. Non si vede perché, in effetti, avendo presenti le
stesse finalità, il legislatore non si sia dato cura di escludere
dalla brevettabilità le invenzioni in materia alimentare o, più
ancora, quelle relative a presidi medico-chirurgici (dalle incubatrici
pediatriche ai pace-maker). In secondo luogo, non appaiono ormai
corrispondenti a realtà i motivi più specificamente addotti per la
deroga. Non il timore di agevolare ciarlatani, speziali e segretisti da
quando la produzione dei medicinali ha superato le arcaiche condizioni
che potevano (in ipotesi) facilitare quel tipo di sfruttamento della
credulità popolare (senza che si possa escludere l’odierno uso di
mezzi più sottili per sviare la pubblica opinione con la pubblicità,
uso, tuttavia, favorito, anziché ostacolato, dal divieto di
brevettazione).
Né corrisponde a realtà la preoccupazione di favorire (o di non
impedire) il “rincarimento” dei prezzi dei medicinali come conseguenza
dei diritti di esclusiva a profitto di chi detiene il brevetto, perché
i prezzi dei prodotti farmaceutici sono determinati e modificati di
imperio sia in base alle leggi sanitarie sia per effetto della
normativa sul Comitato interministeriale prezzi (cfr. da ultimo per il
C.I.P. art. 33 d.l. 26 ottobre 1970, n. 745). Del resto, l’esperienza
degli altri paesi, nei quali è ammessa la brevettabilità dei prodotti
farmaceutici (o quanto meno dei procedimenti di fabbricazione),
dimostra come non sia possibile stabilire un legame di causa-effetto
tra brevettabilità e livello dei prezzi, risultando ovunque il mercato
dei medicinali largamente corretto da interventi autoritativi, che
debbono tener conto non solo del costo delle materie prime e della mano
d’opera, del normale profitto e della spesa di confezionamento, ma pure
della possibile diffusione del farmaco, dell’incidenza della ricerca,
nonché di altri fattori più peculiari.
Quanto alla rarefazione del prodotto, derivante dal calcolo
speculativo del titolare della esclusiva, soccorrerebbe comunque l’art.
52 della legge sui brevetti (che prevede un onere di attuazione nel
territorio dello Stato “in misura tale da non risultare in grave
sproporzione con i bisogni del paese”) nonché l’art. 54 della stessa
legge nel nuovo testo disposto dall’art. 1 del d.P.R. 26 febbraio 1968,
n. 849.
Ma è da chiedersi, da vari punti di vista, se la disciplina
derogativa sia congrua rispetto all’interesse generale quale emerge a
questo proposito dalla normativa della Costituzione.
Tale interesse deve ravvisarsi nella tutela della salute (art. 32,
primo comma) e ad esso devono coordinarsi, quali mezzi al fine, la
disciplina del prezzo dei medicinali, la loro presenza sul mercato in
quantità sufficiente, ed infine, ma non certo come ultimo fattore, la
ricerca scientifica e tecnica organizzata nell’ambito dell’industria
farmaceutica. Naturalmente, il coordinamento di questi fattori, perché
sia raggiungibile l’obbiettivo di interesse generale rappresentato
dalla tutela della salute pubblica, deve risultare equilibrato, non
sacrificandosi dunque in misura grave nessuno di essi. Ma la disciplina
attuale sacrifica appunto la componente della ricerca scientifica e
tecnica, essenziale ormai per assicurare l’ulteriore progesso nel
settore della produzione farmaceutica.
La necessità di “promuovere” la ricerca (art.9 Cost.), cioè di
predisporre per l’avvenire le condizioni idonee alla sua esplicazione
ed al suo sviluppo, è in contrasto radicale con la deroga dell’art.
14, primo comma, della legge n. 1127 del 1939.
E ciò per almeno due ragioni, che sarebbero superabili soltanto se
si conservasse una concezione non aggiornata della funzione del
brevetto. In effetti si è fin qui contrapposto l’interesse
dell’inventore a sfruttare in regime di esclusiva il suo ritrovato
all’interesse della collettività ad una libera utilizzazione di
questo: ma si dimentica con ciò che una delle finalità del
conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione è
quella di incentivare la ricerca, coprendo innanzitutto le ingenti
spese che comporta la sua organizzazione ed il suo svolgimento.
Spetterà poi all’autorità che stabilisce i prezzi valutare quale
margine di guadagno, al di là della copertura di questi e di altri
costi, debba spettare al titolare del brevetto. In altre parole, una
volta superata dal progresso tecnico la fase “individualistica”
dell’attività inventiva, è chiaro che o la ricerca è finanziata da
organismi pubblici (come tendenzialmente avviene nel campo della
ricerca pura), o il finanziamento della ricerca scientifico-tecnica si
realizza anche mediante i diritti di brevetto, peraltro di temporanea
durata. Inoltre, da un secondo punto di vista, il contrasto con l’art.
9 Cost. viene a coincidere con una specifica violazione dell’art. 3,
primo comma, della Costituzione: in realtà l’art. 14, primo comma, non
solo non concorre a promuovere la ricerca, ma pone in condizione di
svantaggio le imprese che organizzano la ricerca stessa rispetto a
quelle che si avvalgono, puramente e semplicemente, della possibilità
di imitare le invenzioni altrui, realizzate in Italia ed all’estero. In
definitiva, nell’ambito del nostro ordinamento, si verificano insieme
la disincentivazione della ricerca e la violazione dell’art.3, primo
comma, Cost., giacché vengono trattate in modo eguale situazioni
profondamente diverse. Né si può riparare al trattamento eguale di
situazioni diseguali con la fissazione autoritativa dei prezzi, perché
questi, per intrinseca necessità, non possono certo essere
differenziati a vantaggio dell’impresa che ha organizzato la ricerca da
cui è derivata l’invenzione del prodotto farmaceutico o del processo
di fabbricazione.
Infine la non congruità con l’interesse generale alla tutela della
salute viene in evidenza ove si consideri la sproporzione tra il mezzo
prescelto (divieto di brevettazione) e la possibilità di soddisfare
quell’interesse con mezzi più rispettosi del principio di eguaglianza.
In effetti l’ordinamento italiano non ignora l’espropriazione dei
diritti di brevetto per ragioni di pubblica utilità (art. 60, primo
comma) nonché il sistema delle licenze obbligatorie (artt. 54 e ss.
r.d. n. 1127 del 1939, modificato dal d.P.R. 26 febbraio 1968, n. 849),
soluzioni che presuppongono entrambe la brevettabilità
dell’invenzione: in ogni caso, specie con riguardo a quest’ultimo
istituto, il legislatore ben potrà introdurre i necessari adattamenti,
prevedendo, a simiglianza di quanto è disposto in altri paesi europei,
forme speciali di licenza obbligatoria non esclusiva, indipendentemente
dallo stato di attuazione della invenzione brevettata; e ciò appunto
per conseguire, anche con procedure particolarmente celeri, l’interesse
primario consistente nella tutela della salute pubblica.
Si potrebbe osservare a questo punto che solo con il divieto
stabilito dall’art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 si può
anticipare quella situazione di generale utilizzabilità del prodotto
farmaceutico o del processo di fabbricazione (c.d. dominio pubblico
del bene immateriale) che normalmente segue all’esaurimento del periodo
di durata del brevetto. Ma si può replicare che questo è solo un
altro modo di porre il problema più generale cui si è fatto cenno: se
l’istituto del brevetto è ritenuto socialmente utile in settori assai
delicati della vita collettiva, è necessario che risultino ragionevoli
motivi di differenziazione per escludere tale utilità nel settore
farmaceutico. Al contrario, si è dovuto constatare il venir meno di
ogni motivo specifico a tale riguardo; l’attuale normativa anzi, oltre
alle disparità segnalate, solleva anche la difficoltà pratica di
rendere rapidamente noti (in assenza di pubblicità collegata al
brevetto) taluni più delicati procedimenti di fabbricazione.
Va poi precisato che la obsolescenza dei motivi di trattamento
derogatorio con riflessi di ordine propriamente costituzionale in
relazione al criterio della “corrispondenza a realtà” (giustamente
accolto ai fini del controllo del rispetto del principio di
eguaglianza), si è verificata ben più tardi della entrata in vigore
della Costituzione repubblicana, specie per quanto riguarda la
giustificatezza della deroga in ordine ai prodotti medicinali (mentre
per i processi di fabbricazione, oltre alle oscillazioni
giurisprudenziali in tema di brevettabilità in periodi precedenti la
sent. n. 37 del 1957 di questa Corte, si era da tempo rafforzata, anche
a livello di iniziativa legislativa, la tendenza ad un allineamento con
la soluzione accolta nelle legislazioni di quasi tutti i paesi
dell’ONU). In realtà, negli ultimi anni la presa di coscienza della
sopravvenuta mancanza di ogni fondamento razionale della deroga è
cresciuta di pari passo con l’affermarsi del valore della ricerca
scientifico-tecnica e del dovere della Repubblica di promuoverla; con
la più elevata capacità dell’industria farmaceutica italiana di
organizzare la ricerca, anche in rapporto alle condizioni di
competitività con quella degli altri paesi; ed infine con le più
intense relazioni con i mercati esteri, particolarmente nell’ambito
degli stati appartenenti alla organizzazione del Consiglio d’Europa ed
a quella della Comunità economica europea (come è attestato dalle
convenzioni stipulate dal governo italiano, tutte orientate a
restringere o a eliminare radicalmente la possibilità di vietare la
brevettazione in singoli settori).
6. – A quelle già esaminate, l’ordinanza aggiunge un’altra censura
concernente l’art. 14, primo comma, r.d. n. 1127 del 1939 per
violazione degli artt. 42 e 43, Cost. In particolare, le invenzioni
farmaceutiche formalmente non sarebbero in proprieta di alcuno,
contravvenendosi così al sistema chiuso ex art. 42, primo comma,
Cost., secondo il quale i beni economici sono di proprietà pubblica o
privata. Secondo altra interpretazione dell’ordinanza, poi, la
violazione dell’art. 42 si riferirebbe alla generale utilizzabilità
delle invenzioni non brevettabili ex art. 14, primo comma, r.d. n. 1127
del 1939 (uso indifferenziato da parte di ognuno), perché ciò
presupporrebbe in ogni caso la precedente attribuzione del diritto di
proprietà ad un soggetto di diritto pubblico.
Ma la peculiarità della categoria dei beni immateriali,
suscettibili di simultaneo e plurimo godimento (del resto lo stato di
res communis omnium è quello definitivo di tutte le invenzioni, siano
esse brevettabili o meno) sconsiglia ogni meccanica inserzione negli
schemi della proprietà privata o pubblica ex art. 42, primo comma,
Cost. anche se per taluni aspetti l’assimilazione è possibile: così
per l’espropriazione dei diritti di brevetto, prevista dagli artt. 60 e
ss. del r.d. n. 1127 del 1939.
Ciò premesso, le censure motivate da violazione degli articoli 42
e 43 Cost, debbono comunque considerarsi assorbite.
7. – Dalle considerazioni che precedono emerge pertanto il
contrasto tra l’art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 per
quanto riguarda la par condicio degli autori di invenzioni industriali,
in ordine alla piena tutela del diritto personale al riconoscimento
della paternità dell’invenzione; e risulta pure, in parallelo, che la
precitata norma viola il combinato disposto degli artt. 3 e 41, Cost.,
in quanto svantaggia gli imprenditori del settore produttivo
farmaceutico (nonché alcuni imprenditori di questo nei confronti dei
loro concorrenti) rispetto agli imprenditori di altri comparti,
impedendo che operino a loro favore le previsioni normative contenute
negli artt. 23, secondo comma, e 24 del r.d. n. 1127 del 1939. Di
riflesso sono posti in condizione deteriore gli autori di invenzioni
industriali dipendenti dai datori di lavoro nel settore farmaceutico,
non potendo essi, a seguito del divieto di brevettazione, acquisire
l’equo premio o il corrispettivo che la normativa vigente ricollega
all’ottenimento del brevetto.
Resta altresì confermato il contrasto tra l’art. 14, primo comma,
del testo unico sui brevetti e l’art. 9 della Costituzione, nella parte
in cui prevede il dovere della Repubblica di promuovere la ricerca
scientifica e tecnica.
Non spetta, com’è ovvio, a questa Corte suggerire provvedimenti
conseguenziali a questa pronunzia; sarà il legislatore a valutare se
si renda necessario assicurare in via transitoria una tutela a quegli
inventori che, vigendo il divieto di brevettazione, non abbiano nemmeno
presentato la relativa domanda, sicché si sia verificata una
situazione ammissibile per certi aspetti a quella del preuso; e se
occorra, sempre in via transitoria, tutelare in qualche misura coloro
che, vigendo la normativa di non brevettabilita, abbiano operato
investimenti in strutture dell’industria farmaceutica, sulla base
dell’affidamento che nasceva dalla esistenza stessa di quella
normativa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del comma primo dell’art.
14 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127: “Testo delle disposizioni
legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali”.
Così deciso, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 9 marzo 1978.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere