Sentenza N. 200 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1970
Data deposito/pubblicazione
28/12/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
D.L.Lgt. 27 luglio 1945, n. 475 (divieto di abbattimento di alberi di
olivo), promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1969 dal pretore
di Gela nel procedimento penale a carico di Savignano Antonino,
iscritta al n. 183 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 novembre 1970 il Giudice
relatore Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso del procedimento penale a carico di Savignano Antonino,
imputato della contravvenzione di cui agli artt. 1 e 4 del D.L. Lgt. 27
luglio 1945, n. 475, per avere abbattuto 450 piante di olivo senza
l’autorizzazione preventiva del Prefetto, la difesa ha eccepito il
contrasto con l’art. 24 della Costituzione del suddetto art. 4, nella
parte in cui demanda allo Ispettorato provinciale dell’agricoltura la
determinazione del valore delle piante abbattute.
Con ordinanza del 22 febbraio 1969, il pretore di Gela, accogliendo
l’eccezione, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
di tale articolo, in riferimento sia all’articolo 24, sia all’art. 102
della Costituzione.
Nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Secondo l’ordinanza, poiché l’abbattimento degli alberi di olivo
senza la prescritta autorizzazione, è punito con l’ammenda uguale al
decuplo del valore delle piante abbattute, considerate in piena
produttività, e poiché tale valore è stabilito dall’Ispettorato
provinciale dell’agricoltura, la misura della pena dipenderebbe da una
valutazione discrezionale ed insindacabile dell’autorità
amministrativa, vincolante per il giudice. Ciò contrasterebbe col
principio sancito nell’art. 102 della Costituzione, atteso che, in
materia penale, la funzione giurisdizionale si esplica
nell’accertamento non soltanto della violazione, ma altresì della
correlativa sanzione comminata dalla legge, e nella concreta
determinazione di essa.
Inoltre, poiché è esclusa qualsiasi possibilità di intervento
dell’imputato durante il procedimento di accertamento del valore delle
piante e qualsiasi possibilità di critica, anche nella fase
dibattimentale, delle conclusioni formulate dall’Ispettorato
dell’agricoltura, risulta violato l’art. 24 della Costituzione, atteso
che il diritto di difesa è garantito anche nella fase delle indagini
preliminari all’istruzione – quali debbono ritenersi gli atti
dell’Ispettorato – e va esercitato anche in ordine a quegli elementi di
fatto rilevanti sulla misura della pena.
Per l’Avvocatura generale dello Stato, anche secondo la
giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 12 del 1962) non è in
contrasto con il principio di legalità della pena di cui all’art. 25,
secondo comma, della Costituzione l’uso dell’ammenda e della multa
proporzionale, anche quando la determinazione in concreto del
parametro, moltiplicando il quale, viene stabilita la proporzione, sia
demandata all’organo amministrativo. Siffatta determinazione, invero,
è essenzialmente vincolata a regole tecniche, e non già del tutto
discrezionale od arbitraria; ed è altresì sempre sindacabile dal
giudice, atteso che questo, nel nostro ordinamento, non deve applicare
gli atti amministrativi illegittimi, anche in mancanza della specifica
impugnazione dell’interessato.
Consegue che è da escludere la violazione dell’art. 102 della
Costituzione.
Ed è da escludere, altresì, la violazione dell’art. 24 della
Costituzione. Innanzi tutto perché l’interessato può sempre impugnare
l’atto dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura nei modi previsti
dalla Costituzione e dalle leggi per i provvedimenti amministrativi.
Inoltre, perché, nella specie, trattandosi di contravvenzione punibile
soltanto con la pena dell’ammenda, il relativo procedimento è di
competenza del pretore e può essere definito con decreto penale. E per
siffatti procedimenti, la idoneità delle garanzie difensive non può
essere valutata astraendo dalla struttura e dalla funzione dei
medesimi, rispondenti ad esigenze di rapidità e semplicità,
connaturali alla categoria dei reati, di lieve entità, ma
particolarmente numerosi, demandati alla cognizione del pretore.
1. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del
d.l.lgt. 27 luglio 1945, n. 475, viene sollevata dal pretore di Gela
soltanto per quanto riguarda la misura della pena dell’ammenda, fissata
nel decuplo del valore delle piante di olivo abbattute, considerate in
piena attività, da stabilirsi dall’Ispettorato dell’agricoltura.
Secondo la ordinanza di rimessione, dipendendo siffatta penalità da
una valutazione discrezionale dell’autorità amministrativa vincolante
per il giudice, verrebbe sottratto al giudice stesso il potere di
determinare in concreto la pena, con violazione del principio sancito
dall’art. 102 della Costituzione per cui la funzione giurisdizionale è
esercitata da magistrati ordinari. E sarebbe altresì violato l’art. 24
della Costituzione, non essendo consentita all’imputato la possibilità
di difendersi durante il procedimento di accertamento del valore delle
piante abbattute, e non essendo neppure ammissibile, nel corso del
dibattimento, alcuna critica alle conclusioni formulate dal suindicato
Ispettorato.
2. – La questione non è fondata.
Non sussiste la denunziata violazione dell’art. 102 della
Costituzione, il quale, affermando che la giurisdizione è esercitata
da magistrati ordinari, vuol soltanto proclamare il principio della
unità della giurisdizione. E se poi il pretore ha inteso riferirsi
alla riserva di giurisdizione di cui all’art. 101 della Costituzione,
è da rilevare che, quando il processo si svolge in sede giudiziaria,
con l’intervento e sotto la direzione del magistrato, e si conclude con
una sentenza, non si può sostenere che la giurisdizione non sia
esercitata dallo stesso, neppure nel caso in cui altri organi
intervengano nel processo per fornire elementi tecnici, che si
intendono sempre sottoposti al vaglio del giudice. La circostanza che
la norma impugnata affidi il potere di determinare il valore delle
piante di olivo abbattute all’Ispettorato provinciale dell’agricoltura,
che è un organo tecnicamente specializzato e chiamato, fra l’altro, a
sopraintendere al progresso dell’agricoltura nella propria
circoscrizione, non significa che il giudice non possa sindacare le
conclusioni dell’organo amministrativo ed eventualmente disattenderle
quando abbia fondate ragioni di pervenire a diverso convincimento.
Così come avviene, secondo i principi generali, per le perizie, per i
pareri, o per qualsiasi altro apprezzamento fatto da organi ausiliari
della giustizia, tutto il materiale di indagine e di discussione
acquisito al processo viene apprestato allo scopo di convincere il
giudice, al quale spetta il potere di pronunciare la parola definitiva.
Pertanto la norma impugnata non limita i poteri del pretore in merito
al valore delle piante abbattute. Peraltro – a prescindere dai poteri
di indagine e di giudizio spettanti al magistrato sul numero delle
piante abbattute e sulle condizioni di esse (per la esclusione di
quelle non riconducibili a produttività: art. 1 della legge),
circostanze queste direttamente connesse con la sanzione da irrogare in
concreto – la possibilità di applicare aggravanti ed attenuanti
comuni, le quali consentono di spaziare nel computo della pena, fa sì
che l’uso del potere discrezionale nel determinare la sanzione da
infliggere non subisca concrete limitazioni per effetto della norma
impugnata.
3. – Non appare fondata neppure la denunzia di illegittimità della
stessa norma in riferimento all’art. 24 della Costituzione.
Con le sentenze n. 86 del 1968 e n. 149 del 1969, questa Corte ha
chiarito che la difesa dell’imputato deve essere assicurata per quegli
atti che si risolvono in veri e propri atti istruttori (ispezioni non
facilmente ripetibili, ricognizioni, interrogatori, ecc.) non dissimili
da quelli esperiti nella fase della istruzione sommaria del P.M.; e che
tali garanzie non riguardano la fase delle indagini che il codice di
procedura penale prevede nell’art. 219 per l’accertamento dei fatti e
per la ricerca di indizi. Orbene, nella specie l’Ispettorato
dell’agricoltura esercita funzioni connesse ad una generale competenza
di carattere amministrativo e che non rientrano nel quadro di un
procedimento istruttorio. Nel corso del processo penale, al quale i
risultati di tale attività possono dar luogo, non risulta poi alcuna
limitazione nei diritti della difesa, sussistendo – per le ragioni
suesposte – e libertà di critica e potere del giudice di dissentire
dalle conclusioni dell’organo amministrativo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4 del d.l.lgt. 27 luglio 1945, n. 475 (divieto di
abbattimento di alberi di olivo), sollevata in riferimento agli artt.
24 e 102 della Costituzione, con ordinanza del 22 febbraio 1969, del
pretore di Gela.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.