Sentenza N. 200 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1971
Data deposito/pubblicazione
16/12/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per
l’espropriazione, bonifica ed assegnazione dei terreni ai contadini,
promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1969 dal Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale – sezione V – sul ricorso di La Piccirella
Arcangela e Antonietta contro il Ministero dell’agricoltura e delle
foreste e la sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e
Lucania, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1970 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 25 febbraio 1970.
Visti gli atti di costituzione di La Piccirella Arcangela, degli
eredi di La Piccirella Antonietta e del Ministero dell’agricoltura e
delle foreste e d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 ottobre 1971 il Giudice relatore
Giovanni Battista Benedetti;
uditi l’avv. Paolo Barile, per i La Piccirella, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del
Consiglio dei ministri e per il Ministero dell’agricoltura e delle
foreste.
Con ordinanza 4 marzo 1969, il Consiglio di Stato – sezione V
giurisdizionale – ha proposto la questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all’art. 42, comma terzo, della
Costituzione, dell’art. 9, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950,
n. 841, recante disposizioni sulla espropriazione, bonifica,
trasformazione e assegnazione delle terre ai contadini, nella parte in
cui tale articolo prevede l’espropriazione senza alcun indennizzo dei
terreni costituenti il “terzo residuo” sui quali il proprietario non
abbia eseguito entro i termini di legge le opere di trasformazione
previste dall’ente espropriante.
L’ordinanza risulta pronunciata in sede di esame del ricorso
proposto dalle germane La Piccirella Arcangela e Antonietta avverso il
d.P.R. 4 maggio 1958, con il quale, rilevatasi la inadempienza da parte
delle ricorrenti proprietarie nella esecuzione delle opere di
trasformazione e miglioramento sui terreni costituiti in “terzo
residuo” entro il termine di due anni dall’adozione della deliberazione
con cui tali opere erano state autorizzate, veniva disposto il
trasferimento senza indennizzo di detti beni a favore della sezione
speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania.
Osserva il Consiglio di Stato che, ai sensi dell’art. 42, comma
terzo, della Costituzione, la proprietà privata può, in particolari
casi previsti dalla legge, essere espropriata per motivi di interesse
generale, purché ciò avvenga col pagamento di una indennità.
Nel caso in esame fondato appare il dubbio sulla
incostituzionalità della norma impugnata poiché essa aggiunge alla
decadenza dal beneficio di conservare una parte dei terreni inclusi nel
“terzo residuo” una misura di sostanziale confisca dello stesso,
disponendo che il sacrificio economico sofferto a titolo individuale da
un soggetto in conseguenza della perdita della proprietà di
determinati beni, per il soddisfacimento di interessi della
collettività, resti privo di qualsiasi forma di indennizzo.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti
private, rappresentate e difese dagli avvocati Teodoro Doria, Mario
Gambardella, Nicola Carrano e Paolo Barile i quali hanno chiesto che
sia dichiarata incostituzionale la norma denunciata.
Si è anche costituito il Ministro dell’agricoltura e foreste ed ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, entrambi
rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nei propri scritti difensivi l’Avvocatura assume che il Consiglio
di Stato, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale,
sarebbe stato tratto in inganno dalla infelice espressione usata
dall’art. 9, comma quarto, della legge n. 841 del 1950 in cui
impropriamente si parla di esproprio senza indennizzo. A ben
considerare, in tutta la disciplina del “terzo residuo” quale risulta
dagli artt. 8 e 9 della legge, mancano quei caratteri di unilateralità
e imperatività che sono le note caratteristiche e costanti
dell’istituto dell’espropriazione e ci si trova, per contro, di fronte
ad una libera manifestazione dell’autonomia privata. Al soggetto
espropriando infatti la legge concede la facoltà di chiedere o non che
un terzo dei suoi beni non siano sottoposti a immediata espropriazione
e di sottostare o non alle condizioni di trasformazione e miglioramento
di detti beni dettate dall’ente espropriante.
Il “terzo residuo” ha origine convenzionale e non imperativa e
all’inadempimento della convenzione sono collegati certi rischi
liberamente assunti dall’interessato in funzione di certi vantaggi
precalcolati.
La decadenza dall’indennizzo è pertanto la conseguenza
dell’inadempimento delle condizioni stabilite dall’ente di riforma ed
accettate dal proprietario.
L’Avvocatura chiede perciò che la questione sia dichiarata
infondata.
La difesa di parte ha presentato una memoria nella quale sostiene –
tra l’altro – che i beni costituenti il terzo residuo non possono
considerarsi nemmeno virtualmente espropriati giacché il proprietario
resta tale finché il procedimento non sia esaurito.
In ordine al terzo residuo l’espropriazione ha luogo solo in un
secondo momento e cioè dopo il compimento delle opere di
trasformazione (limitatamente alla metà) ovvero dopo l’accertamento
che tali opere non sono state compiute (in ordine a tutto il terzo).
Nel caso in esame l’ente di riforma senza tener conto che l’omesso
completamento delle opere doveva ritenersi dovuto a cause non
imputabili al proprietario ha proceduto ai sensi della norma impugnata
all’espropriazione dell’intero terzo residuo senza indennizzo.
Orbene se è lecito al legislatore disporre che nel caso di mancato
adempimento degli obblighi di trasformazione sia espropriato l’intero
terzo residuo non è più lecito aggiungere la sanzione della decadenza
dall’indennizzo in palese contrasto col disposto dell’art. 42, comma
terzo, della Costituzione.
Nell’udienza pubblica la difesa di parte e l’Avvocatura dello Stato
hanno ulteriormente svolto le proprie deduzioni e ribadito le
rispettive conclusioni.
1. – Oggetto del presente giudizio è il quarto comma dell’art. 9
della legge 21 ottobre 1950, n. 841, che l’ordinanza di rinvio denuncia
come costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 42, comma
terzo, della Costituzione, limitatamente alla parte in cui dispone
l’esproprio “senza alcun indennizzo” dei terreni costituenti il terzo
residuo sui quali il proprietario non abbia eseguito entro il termine
di due anni le opere di trasformazione previste dall’ente di riforma
fondiaria.
La tesi svolta dall’Avvocatura dello Stato a sostegno della
legittimità della norma impugnata è che nell’istituto del terzo
residuo non sarebbe dato scorgere i caratteri tipici di un rapporto
espropriativo, bensì un rapporto convenzionale tra ente ed
espropriando nel quale quest’ultimo liberamente assume determinati
obblighi di trasformazione accettando le conseguenze previste dalla
legge nel caso di inadempimento degli stessi. La decadenza dalla
indennità potrebbe essere quindi considerata come la conseguenza
dell’inadempimento di siffatta convenzione o al più essere intesa come
risarcimento del danno che l’ente riforma verrebbe a subire nella
realizzazione dei propri piani per effetto della mancata attuazione
degli obblighi di trasformazione e miglioria da parte del privato.
2. – Ad avviso della Corte questa tesi non appare giustificata né
dalla lettera né dalla disciplina delle norme concernenti il beneficio
del terzo residuo.
Il terzo residuo è istituto tipico ed esclusivo della legge 21
ottobre 1950, n. 841. Scopo di esso è stato quello di inserire
positivamente il proprietario nel processo tecnico economico e sociale
della trasformazione fondiaria consentendogli di collaborare
attivamente all’attuazione dei piani di riforma dell’ente. Gli artt. 8
e 9 che la legge dedica a tale istituto stabiliscono che qualora si
proceda all’esproprio immediato solo di due terzi dei terreni
espropriabili il restante terzo resta soggetto a vincolo di
indisponibilità da trascriversi a cura dell’ente nei registri
immobiliari (art. 8). Al proprietario che intenda conservare
definitivamente una parte dei terreni costituenti il terzo residuo è
data facoltà di chiedere di eseguire su di essi le opere di
trasformazione previste dall’ente. Con la domanda di trasformazione il
proprietario consegue l’effetto della sospensione dell’espropriazione
immediata per un terzo dei terreni espropriabili ed assume nei
confronti dell’ente obblighi precisi di condurre ad esecuzione, a
proprie spese, secondo termini e piani prestabiliti, le opere di
miglioramento e trasformazione assegnategli. All’adempimento di questi
obblighi fanno puntuale riscontro il diritto alla conservazione in
proprietà della metà dei terreni del terzo residuo, il diritto al
pagamento della indennità di espropriazione e al rimborso delle spese
di trasformazione sostenute per l’altra metà che deve essere
consegnata all’ente. Nel caso invece di inadempimento delle
obbligazioni assunte il proprietario non solo dovrà consegnare
all’amministrazione l’intero terzo residuo, ma non avrà neppure
diritto all’indennizzo.
Orbene quest’ultima parte della disposizione contenuta nel quarto
comma dell’art. 9 della legge stralcio e cioè la privazione di ogni
indennizzo si pone in contrasto con il precetto dell’art. 42, comma
terzo, della Costituzione.
Né a giustificare detta previsione normativa vale addurre che se
il proprietario non fosse privato dell’indennizzo l’inadempimento degli
obblighi da lui volontariamente assunti nei confronti dell’ente
resterebbe senza sanzione.
È naturale ed è conforme ai principi dell’ordinamento che
all’inadempimento di una obbligazione consegua una sanzione. La
privazione dell’indennizzo però non può svolgere nella specie la
funzione di sanzione sia perché essa prescinde totalmente dalle
ragioni che hanno impedito la realizzazione delle opere nel biennio,
sia perché non è in alcun modo collegata al danno che l’ente possa
aver subito.
In mancanza di tali presupposti anche per l’espropriazione del
terzo residuo deve essere corrisposta l’indennità di cui all’art. 18
della legge stralcio, fermo restando l’obbligo del proprietario di
risarcire tutti i danni secondo il diritto comune.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma quarto,
della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per
l’espropriazione, bonifica ed assegnazione dei terreni ai contadini,
limitatamente alle parole “senza alcun indennizzo”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.