Sentenza N. 201 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1970
Data deposito/pubblicazione
28/12/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme integrative della legge
11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), e dell’art.
109, lett. c, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. delle leggi
sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 21 febbraio
1969 dal tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra la
società “Rita” e l’Amministrazione delle finanze dello Stato,
iscritta al n. 159 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.
Visti gli atti di costituzione della società “Rita” e
dell’Amministrazione delle finanze dello Stato, e l’atto d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 novembre 1970 il Giudice
relatore Giovanni Battista Benedetti;
uditi l’avv. Antonio Astorri, per la società “Rita”, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il
Presidente del Consiglio dei ministri e per l’Amministrazione
finanziaria.
Con ordinanza 21 febbraio 1969 – emessa dal tribunale di Ancona
nel procedimento civile vertente tra la società a r.l. “Rita”,
esercente la casa di cura “Villa Verde” e l’Amministrazione delle
finanze dello Stato – è stata sollevata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 8, ultima parte, della legge 5 gennaio 1956,
n. 1, e dell’art. 109, lettera c del testo unico delle leggi sulle
imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, in riferimento agli artt. 3 e
53 della Costituzione.
L’eccezione di incostituzionalità era stata formulata dinanzi al
tribunale dalla società “Rita” alla quale il competente ufficio delle
imposte dirette aveva negato la detraibilità sui bilanci degli anni
1957, 1958 e 1959, ai fini dell’imposta di ricchezza mobile categoria
B, dei compensi da essa corrisposti ai sanitari che avevano prestato la
loro opera nella casa di cura, sul rilievo che la relativa spesa non
risultava dalla registrazione cronologica delle somme pagate.
Il tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione proposta in base alla
considerazione che le citate disposizioni di legge, allorché
dichiarano indetraibili determinate spese, ancorché effettivamente
sostenute ed il loro pagamento risulti da altre registrazioni
debitamente verificate dagli uffici finanziari (come appunto accaduto
nel caso di specie), violerebbero i principi di uguaglianza e della
capacità contributiva sanciti dagli articoli 53, primo comma, e 3
della Costituzione. Presupposto dell’imposta di ricchezza mobile è
infatti la produzione di un reddito netto il quale a sua volta è
costituito dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi che compongono
il reddito soggetto all’imposta e l’ammontare delle spese e passività
inerenti alla produzione di tale reddito. Orbene, malgrado che tra
contribuenti i quali abbiano tenuto la prescritta registrazione
cronologica e quelli che non l’abbiano tenuta sia riscontrabile la
produzione di uno stesso reddito, l’imposta finirebbe per essere
applicata in misura diversa.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la società
attrice, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Astorri, mediante
deposito di deduzioni in cancelleria in data 19 aprile 1969.
È pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri e si
è costituito il Ministro delle finanze, entrambi rappresentati e
difesi dall’Avvocatura generale dello Stato che ha depositato atto di
intervento e deduzioni l’8 maggio 1969.
Osserva preliminarmente la difesa della società che la casa di
cura Villa Verde negli anni 1957, 1958 e 1959 aveva provveduto a
trascrivere nel libro giornale mastro, prescritto dal codice civile e
regolarmente tenuto anche agli effetti fiscali, tutte le somme di
danaro ad essa versate dai vari enti mutualistici, comprensive sia del
rimborso spese di degenza, sia delle quote spettanti ai singoli
sanitari per le prestazioni dagli stessi effettuate.
A ben considerare perciò la registrazione cronologica dei
compensi a terzi prescritta dal comma primo dell’art. 8 della legge 5
gennaio 1956, n. 1 non costituisce altro che un doppione del libro
giornale mastro che per legge dev’essere tenuto dalla società e nel
quale devono essere registrati tutti i movimenti di dare ed avere.
Lo scopo previsto dall’art. 8 di consentire la individuazione delle
somme erogate ai professionisti da assoggettare all’imposta di
ricchezza mobile viene pertanto ad essere parimenti assolto mediante le
annotazioni fatte sul libro mastro.
Non si giustifica, quindi, ed è anzi palesemente in contrasto con
i principi di eguaglianza e della capacità contributiva sanciti dagli
artt. 3 e 53 della Costituzione, la norma contenuta nell’ultima parte
dell’art. 8 citato, la quale dispone che non sono ammesse in detrazione
le spese non risultanti dalla registrazione cronologica prevista dallo
stesso articolo.
L’applicazione di siffatta norma dà luogo ad una sperequazione
gravante unicamente sul contribuente tassato in base a bilancio, il
quale, oltre a tutte le altre scritture imposte dalle leggi, è
costretto a tenere per comodità degli uffici finanziari appositi
registri dai quali risultino i compensi corrisposti a terzi. Può
così accadere che un contribuente tassabile in base a bilancio, pur
avendo dimostrato e documentato mediante il libro giornale mastro e
con altre scritturazioni le somme pagate a terzi, si veda tassato per
un reddito di ricchezza mobile non conseguito sol perché non ha
provveduto a registrare dette somme nel modo previsto dalla norma
censurata.
Nei propri scritti difensivi l’Avvocatura sostiene che in base al
contenuto e alle finalità delle norme impugnate la questione deve
ritenersi non fondata.
L’art. 8 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (ora art. 43 del t.u.
sulle imposte dirette) prescrive, tra l’altro, per i soggetti tassabili
in base a bilancio, la tenuta obbligatoria di apposite registrazioni
cronologiche, contenenti l’indicazione nominativa dei percipienti, del
loro domicilio fiscale e delle somme a ciascuno pagate a titolo di
compenso, rimborso spese od altro in dipendenza di prestazioni d’opera
professionale ecc.
Queste registrazioni si pongono accanto ai libri e alle scritture
contabili obbligatorie prescritti dal codice civile (articolo 2214,
secondo comma) ed hanno una particolare rilevanza sia perché offrono
la possibilità di un rapido ed esauriente controllo dei compensi
corrisposti a terzi, sia perché, attraverso l’indicazione delle
generalità e del domicilio fiscale dei percipienti, consentono la loro
pronta individuazione e conseguente tassazione dei compensi da essi
percepiti. Senza le registrazioni cronologiche in parola – che trovano
giustificazione nella esigenza di assicurare una sollecita riscossione
dell’imposta – gli uffici finanziari incontrerebbero maggiori
difficoltà a ricercare in altri libri e scritture gli elementi
analitici necessari ai fini della tassazione.
Discende da ciò che la norma secondo la quale non sono detraibili
le spese non risultanti dalla prescritta registrazione cronologica
s’inquadra in un sistema di prove legali diretto a proteggere
l’interesse generale alla riscossione contro ogni tentativo di
evasione.
Nega pertanto l’Avvocatura che le norme impugnate siano in
contrasto con i precetti costituzionali invocati e ricorda che la
Corte, con la sentenza n. 50 del 1965, ha già avuto occasione di
statuire che la esistenza e l’entità dell’obbligazione tributaria
possono essere ancorati dalla legge ad un sistema di prove legali senza
che con ciò si dia una base fittizia all’imposizione.
Nessuna disparità di trattamento è data ravvisare tra i
contribuenti che abbiano tenuto la prescritta registrazione contabile e
quelli che non l’abbiano tenuta; anzi la disparità sussisterebbe, se
si seguisse la tesi del giudice a quo, proprio in danno di chi ha
adempiuto alle prescrizioni delle norme in esame.
1. – Con l’ordinanza del tribunale di Ancona viene denunciata
l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 53
della Costituzione, dell’art. 8, ultima parte, della legge 5 gennaio
1956, n. 1, e dell’art. 109 lett. c del testo unico delle leggi sulle
imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645. Si assume
nell’ordinanza che le disposizioni contenute negli anzidetti articoli
relative alla non detraibilità dal reddito dei soggetti tassabili in
base al bilancio di determinate spese non risultanti da apposita
registrazione cronologica violerebbero gli indicati precetti
costituzionali dando luogo ad una disparità di trattamento tra i
soggetti in questione. L’imposta infatti finirebbe per essere applicata
in misura diversa a seconda che i contribuenti abbiano o meno tenuto la
prescritta registrazione cronologica, sebbene sia per essi
riscontrabile la produzione di uno stesso reddito.
2. – La questione non è fondata.
Per quanto riguarda il preteso contrasto con l’art. 3 della
Costituzione è agevole rilevare che non sussiste identità di
situazioni tra il soggetto tassabile in base al bilancio che, in
ottemperanza alla prescrizione della norma impugnata e per conseguire
l’effetto della detrazione da essa assicurato, abbia regolarmente
tenuto la registrazione cronologica delle somme corrisposte a terzi e
il soggetto tassabile in base al bilancio al quale viene negata la
deduzione di tali somme per non avere osservato l’adempimento
richiesto.
La norma in esame, dovuta alla necessità di tutelare l’interesse
fiscale, ha subordinato la detraibilità di determinate spese alla
condizione che esse risultino cronologicamente registrate nei modi e
con le indicazioni all’uopo richieste. Tutti i soggetti tassabili in
base al bilancio si trovano quindi in posizione identica dinanzi alla
predetta prescrizione normativa essendo a tutti riconosciuto uguale
diritto alla detraibilità dal reddito delle somme pagate a terzi.
Vi è pertanto nella norma una identità di effetti per tutti i
destinatari che ne osservino il precetto. Non possono per contro
invocare identico trattamento, proprio in virtù del principio di
uguaglianza, coloro i quali tale precetto non intendono osservare.
L’indeducibilità delle spese sancita dalla norma come conseguenza
dell’inadempimento dell’obbligo imposto non può ritenersi perciò in
contrasto col principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della
Costituzione.
3. – Del pari insussistente è la lamentata violazione del
principio della capacità contributiva enunciato dall’art. 53 della
Costituzione.
La determinazione della quantità del tributo che il contribuente
è tenuto a corrispondere può ben essere dalla legge subordinata alla
osservanza di un dato obbligo. Questa è appunto l’ipotesi che ricorre
nelle disposizioni in esame nelle quali l’accertamento di un minor
reddito imponibile, conseguente alla deducibilità delle somme pagate a
terzi, dipende dalla regolare tenuta di apposite registrazioni
cronologiche di tali spese nelle forme prescritte dal codice civile per
i libri e le altre scritture contabili obbligatorie. Adempimento questo
che si appalesa di facile attuazione per le società ed enti tassabili
in base al bilancio e, in pari tempo, di notevole interesse per gli
uffici finanziari che vengono così posti in condizione di rilevare
agevolmente, con precisione e rapidità, dalle prescritte registrazioni
i nominativi dei soggetti, estranei all’impresa, ai quali sono stati a
qualsiasi titolo corrisposti dei compensi, il domicilio fiscale dei
percipienti ed i singoli importi agli stessi pagati.
Si realizza in tale modo lo scopo della norma – fatto palese del
resto dalle sue prescrizioni e dalle chiare indicazioni contenute nei
lavori preparatori – che è quello di dare alla finanza non soltanto la
dimostrazione di spese che, essendo state sostenute per la produzione
di un reddito, debbono dedursi dal medesimo, ma di consentire altresì
l’esatta individuazione e conseguente tassazione dei soggetti operanti
al di fuori delle società a favore dei quali sono state erogate le
somme chieste in detrazione, soggetti che diversamente potrebbero con
molta facilità sfuggire alla imposizione. Dal che si desume che la
norma, tendendo ad impedire possibili evasioni fiscali, appare
direttamente giustificata dalla esigenza di tutelare l’interesse
pubblico alla riscossione dei tributi.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 8, ultimo comma, della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme
integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione
tributaria), e dell’art. 109, lett. c, del testo unico delle leggi
sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645,
sollevata con l’ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli
artt. 3 e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.