Sentenza N. 201 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
15/07/1985
Data deposito/pubblicazione
15/07/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/07/1985
ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO – Dott. FRANCESCO GRECO, Giudici,
Veneto, notificato il 22 marzo 1983, depositato in cancelleria il 30
successivo ed iscritto al n. 12 del registro 1983 per conflitto di
attribuzione sorto a seguito del provvedimento dell’Ingegnere Capo del
Distretto Minerario di Padova nn. 381/382 del 22 gennaio 1983 avente ad
oggetto “concessione mineraria Malga Ofra in comune di Recoaro Terme
(VI) s.p.a. Valdol – dichiarazione 12 novembre 1982 per la tutela del
vincolo idrogeologico”.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 marzo 1985 il Giudice relatore
Guglielmo Roehrssen;
uditi gli avv.ti Giangiacomo Pancino e Guido Viola per la Regione
Veneto e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
La Regione Veneto ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione
avverso il provvedimento dell’Ingegnere Capo del distretto minerario di
Padova comunicatole il 26 gennaio 1983, avente ad oggetto “concessione
mineraria Malga Ofra comune di Recoaro Terme”.
Nel ricorso si espone che – trascorsi senza risposta della Regione,
trenta giorni dalla comunicazione da parte della ditta interessata
dell’intenzione di iniziare i lavori di sfruttamento di una miniera –
ritenendo verificata la previsione dell’art. 20 del r.d. 16 maggio
1926, n. 1126 con l’atto impugnato l’ingegnere capo aveva invitato la
ditta ad iniziare i lavori di sfruttamento non ostante che la Regione
avesse invitato la ditta a munirsi di autorizzazione ai sensi dell’art.
4 l. reg. 13 settembre 1978, n. 52, essendo la concessione ubicata in
zona sottoposta a vincolo idrogeologico e la ditta non vi avesse ancora
ottemperato.
Lamentando l’invasione della propria sfera di competenze, la
Regione chiede che, previa sospensione dell’atto impugnato, questa
Corte voglia dichiarare illegittimo e annullare l’atto impugnato,
nonché dichiarare il difetto di attribuzione dello Stato in ordine
all’autorizzazione allo sfruttamento di miniere ed “affermare
l’appartenenza alla sfera di attribuzioni regionali del potere
autorizzatorio del vincolo idrogeologico anche per lo sfruttamento
delle miniere”.
A sostegno del ricorso, la Regione deduce la violazione dell’art. 1
d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, dell’art. 1 l. 22 luglio 1975, n. 382,
degli artt. 66, 68 e 69 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, dell’art. 4 l.
reg. 13 settembre 1978, n. 52, dell’art. 7 r.d.l. 30 dicembre 1923, n.
3267, degli artt. 19, 20 e 21 r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, in
relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché la
violazione dell’art. 55 delle prescrizioni di massima e di polizia
forestale approvate dal Consiglio Regionale Veneto con provvedimento n.
83 del 18 dicembre 1980.
Davanti a questa Corte si è costituito il Presidente del Consiglio
dei ministri, difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che il
ricorso sia respinto perché infondato.
Secondo quanto esposto nelle deduzioni depositate, prima
dell’instaurazione dell’ordinamento regionale, in base al r.d. 30
dicembre 1923, n. 3267 e al r.d. 16 maggio 1926, n. 1126 “la gestione
del vincolo idrogeologico” era articolata su tre livelli di intervento,
consistente:
a) nell’obbligo della preventiva autorizzazione per la
trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la
trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica
lavorazione (art. 7 r.d.l. n. 3267 del 1923);
b) nell’obbligo di osservanza delle “prescrizioni di massima e di
polizia forestale” (artt. 8, 9 e 10 r.d.l. n. 3267 del 1923; art. 19
r.d. n. 1126 del 1926);
c) per tutti i lavori comportanti movimenti di terreno, diversi da
quelli contemplati dall’art. 7, nell’obbligo di darne preventiva
comunicazione all’Ufficio Forestale e di attenersi, nella loro
esecuzione, alle modalità prescritte (art. 20 r.d. n. 1126 del 1926).
Fra le disposizioni dei su detti rr.dd., un riferimento specifico
al campo minerario si rinveniva soltanto nell’art. 19 del r.d.
1126/1926 dove erano elencati gli oggetti che dovevano essere regolati
dalle “prescrizioni di massima e di polizia forestale”: tra questi,
alla lettera m), figurano gli scavi e l’estrazione di minerali.
Da ciò, secondo l’Avvocatura dello Stato, deriverebbe che
l’attività mineraria ricadeva sotto l’ipotesi di cui alla precedente
lettera b), mentre quanto agli altri due livelli di intervento,
rispettivamente previsti dall’art. 7 r.d.l. n. 3267 del 1923 e
dall’art. 20 r.d. n. 1126 del 1926, queste due norme si porrebbero in
un rapporto di genere a specie, dove la norma generale appare essere
l’art. 20 che riguarda tutti i movimenti di terreno che non siano
diretti alla trasformazione a coltura agraria dei boschi e dei terreni
saldi, eccettuando così la fattispecie contemplata dall’art. 7.
Vero sarebbe che, secondo alcune pronunce del Consiglio di Stato,
l’applicazione dell’art. 7 è stata contrassegnata da una estensione
dell’impiego del controllo autorizzatorio oltre i casi testualmente
previsti da quella norma, essenzialmente centrata, nella sua
formulazione, sulle vicende connesse ad una utilizzazione agricola del
territorio. Ma questo fenomeno espansivo ha essenzialmente riguardato
l’attività edilizia e l’urbanizzazione del territorio, mentre non si
è rivolta verso le attività di sfruttamento minerario, riguardo alle
quali non vi è stata mai nessuna decisione del Consiglio di Stato che
non si è pronunciato ex professo su alcun caso di autorizzazione
idrogeologica, o diniego della stessa, alla coltivazione di una
miniera.
Di fatto, comunque, prima del passaggio delle competenze alle
regioni, il controllo idrogeologico sulle attività minerarie si
svolgeva, sul piano procedurale, attraverso consultazione
dell’Autorità Forestale da parte del Distretto Minerario; sul piano
sostanziale, attraverso prescrizioni che non debordavano dai limiti di
cui all’art. 20 r.d. n. 1126 del 1926.
Da ciò deriverebbe che la Regione non può pretendere di
esercitare le sue funzioni inerenti al vincolo idrogeologico in forme e
modi che comportino un potere di assenso – con il suo logico risvolto
negativo – sulle attività di apertura e coltivazione delle miniere,
giacché una simile latitudine ed intensità del controllo
idrogeologico non è sostenibile in base all’assetto dei poteri
amministrativi vigente nel periodo anteriore all’attuazione
dell’ordinamento regionale.
Inoltre, le miniere costituiscono beni pubblici di pertinenza
statale cosicché, da un lato è logico che competano allo Stato tutti
i poteri inerenti alla garanzia di destinazione pubblica di questi
beni, nel quadro di una razionale utilizzazione delle risorse minerarie
nel generale interesse dell’economia nazionale, d’altro lato non appare
compatibile con queste attribuzioni dello Stato una competenza
regionale in materia di tutela idrogeologica che si esprima attraverso
una incondizionata potestà autorizzatoria, trattandosi di una forma
così penetrante di controllo che potrebbe estrinsecarsi in una
completa preclusione alla coltivazione della miniera e quindi in una
sostanziale pianificazione della concessione statale, attuativa della
destinazione pubblica del bene.
1. – Il ricorso della regione Veneto è fondato e deve, quindi,
essere accolto.
2. – Con l’impugnato provvedimento del 22 gennaio 1983 l’ingegnere
capo del distretto minerario di Padova ha ordinato al titolare di una
concessione mineraria sita in zona sottoposta a vincolo idrogeologico
di dare inizio ai lavori minerari conseguenti alla detta concessione,
nel presupposto che la zona medesima fosse ormai esente dal vincolo
stesso in quanto i competenti uffici della Regione Veneto non si erano
espressi su una richiesta all’uopo presentata dal concessionario nei
termini di legge.
3. – Ciò premesso, il collegio deve ricordare che l’art. 1 del
r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 (“Riordinamento e riforma della
legislazione in materia di boschi e terreni montani”), stabilisce che
sono soggetti a vincolo idrogeologico i terreni di qualsiasi natura e
destinazione che per effetto di forma di utilizzazione contrastante con
il disposto dei successivi artt. 7, 8 e 9 possono, con danno pubblico,
subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle
acque.
L’art. 7 (che maggiormente interessa nel caso di specie), a sua
volta, stabilisce che nei terreni vincolati a norma dell’art. 1 la
trasformazione dei boschi in altra qualità di coltura o la
trasformazione dei terreni solidi in terreni soggetti a periodica
lavorazione sono subordinati ad autorizzazione della Camera di
commercio… ed alle modalità da questa prescritte per prevenire i
danni dei quali è cenno nell’art. 1.
Come è noto, si tratta di una legislazione di particolare
importanza data la configurazione idrogeologica del nostro Paese: essa
ha lo scopo di prevenire i gravi danni che possono agevolmente
verificarsi come conseguenza di utilizzazioni indiscriminate e non
controllate di terreni che si trovino in particolari condizioni
naturali. Per questo motivo la legge da un lato ha imposto la
individuazione delle zone nelle quali è possibile il verificarsi di
gravi conseguenze per effetto delle loro utilizzazioni e dall’altro,
pur non vietando totalmente la utilizzazione, l’ha sottoposta al
controllo tecnico della autorità competente, che ormai, per effetto
del disposto dell’art. 69, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
616 è la Regione.
Sulla base di quest’ultima disposizione la Regione Veneto ha
promulgato la legge regionale 13 settembre 1978, n. 52, la quale
nell’art. 2 stabilisce che nel suo territorio si applica senz’altro il
titolo I del predetto r.d. del 1923, n. 3267.
D’altro canto la giurisprudenza amministrativa ha avuto più volte
modo di affermare che nelle zone nelle quali opera il vincolo
idrogeologico l’autorizzazione di cui al citato art. 7 occorre per
qualsiasi trasformazione del suolo (ivi compresi la edificazione ed i
lavori conseguenti alla attuazione delle concessioni minerarie), dato
che si tratta di lavori i quali per la loro natura sono capaci di
arrecare ai terreni danni analoghi o peggiori di quelli conseguenti
alle modifiche colturali alle quali le norme in esame espressamente si
riferiscono.
Nello spirito di questa giurisprudenza si muove ora l’art. 4 della
citata legge regionale veneta n. 52 del 1978, la quale ha precisato che
nell’ambito del disposto dell’art. 7 del r.d. n. 3267 rientrano non
soltanto le trasformazioni indicate nello stesso art. 7, ma più in
generale “il mutamento permanente di destinazione dei terreni
vincolati”. E perciò nessun dubbio può sussistere, per il caso di
specie, dopo l’intervento di detta legge regionale.
La stessa giurisprudenza ha altresì precisato, per quel che
attiene ai rapporti fra l’atto amministrativo che ha ad oggetto i
lavori che comportano trasformazione (licenza o concessione edilizia,
concessione mineraria, ecc.) e la autorizzazione delle autorità
forestali, che questa seconda non incide sulla legittimità della
concessione mineraria (la quale, quindi, è legittima anche se quella
autorizzazione manchi), ma incide sulla liceità della utilizzazione
della miniera: nei territori soggetti a vincolo idrogeologico, cioè, i
lavori conseguenti alla concessione mineraria non possono essere
eseguiti ove manchi l’autorizzazione dell’autorità forestale, alla
quale, ovviamente, non può sostituirsi quella mineraria.
Questa giurisprudenza, ad avviso della Corte, appare del tutto
rispondente alla finalità delle disposizioni legislative che sono
state ricordate, anche se merita osservare che sarebbe opportuno,
soprattutto dopo che le attribuzioni della materia forestale sono state
trasferite alle Regioni (per cui si pongono in essere, oggi, rapporti
non più fra organi del medesimo soggetto ma fra lo Stato e le Regioni)
un intervento del legislatore atto a porre in essere le norme
occorrenti per raccordare le diverse competenze ed evitare
inconvenienti del genere di quello verificatosi nel caso che ha dato
luogo al presente conflitto di attribuzioni e cioè nello spirito delle
sentenze di questa Corte n. 223 del 1984 e n. 239 del 1982.
Da queste premesse si è sicuramente discostato il capo del
distretto minerario di Padova con il provvedimento impugnato, da un
lato dando preminente rilievo all’interesse minerario (mentre invece è
preminente l’interesse connesso alla situazione dei luoghi ed al
mantenimento del loro assetto, che può essere anche gravemente turbato
dai lavori che incidono profondamente sulla situazione stessa) e
dall’altro – il che maggiormente conta ai fini del presente giudizio –
negando qualsiasi valore all’intervento dell’autorità forestale
regionale, da manifestarsi nella forma dell’autorizzazione: in tal modo
quell’organo ha disconosciuto i poteri spettanti alla Regione e questa
in realtà esercita una vera vindicatio potestatis.
L’Avvocatura dello Stato, nel tentativo di salvare la legittimità
del provvedimento impugnato, afferma che nel caso di specie,
trattandosi di attività mineraria, non occorrerebbe l’autorizzazione
ex art. 7 del r.d. n. 3267, ma solo osservanza delle prescrizioni di
massima e di polizia forestale di cui è cenno negli artt. 8, 9 e 10
dello stesso r.d.. Ma l’affermazione della difesa erariale è
palesemente smentita dalla ricordata giurisprudenza amministrativa che,
dinanzi alla lettera ed allo spirito delle norme statali e regionali
applicabili, ha ritenuto necessaria l’autorizzazione ex art. 7, più
volte citato, e ciò, ovviamente, in considerazione dei gravi danni
che, come pur si è detto, possono essere provocati da lavori di
carattere minerario.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che spetta alla regione Veneto il potere di
autorizzazione alla esecuzione dei lavori per lo sfruttamento delle
miniere esistenti nella Regione laddove già sia stato imposto il
vincolo idrogeologico;
2) annulla, per l’effetto, il provvedimento dell’ingegnere capo del
distretto minerario di Padova, n. 381/382 del 22 gennaio 1983, avente
ad oggetto “Concessione mineraria Malga Ofra” in Comune di Recoaro
Terme (Vicenza) S.p.a. Valdol – Dichiarazione 12 novembre 1982 per la
tutela del vincolo idrogeologico.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1985.
F.to: GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO
REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ANTONIO LA PERGOLA – VIRGILIO
ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO – FRANCESCO
GRECO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere