Sentenza N. 202 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1971
Data deposito/pubblicazione
16/12/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
capoverso, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
emessa il 3 maggio 1971 dal tribunale di Taranto nel procedimento
penale a carico di D’Antona Simeone ed altro, iscritta al n. 229 del
registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971.
Udito nella camera di consiglio del 28 ottobre 1971 il Giudice
relatore Costantino Mortati.
Nel corso del procedimento penale contro D’Antona Simeone e Santoro
Alessandro, il tribunale di Taranto ha sollevato, con ordinanza in data
3 maggio 1971, questione di legittimità costituzionale dell’art. 152,
capoverso, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce
al giudice, una volta intervenuta la prescrizione del reato, di
prosciogliere l’imputato perché il fatto non sussiste o perché egli
non lo ha commesso o perché non è preveduto dalla legge come reato,
se di ciò non è stata già acquisita la prova evidente, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della
Costituzione.
La norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 24, secondo
comma, in quanto, precludendo al giudice, in caso di compiuta
prescrizione, l’indagine in merito alla mancanza di prove di
responsabilità dell’imputato verrebbe a ledere il diritto di difesa di
quest’ultimo per il fatto di rendergli impossibile la presentazione di
altri elementi di prova eventualmente idonei a dimostrare
l’infondatezza dell’accusa.
Sussisterebbe inoltre ingiustificata differenza di trattamento fra
l’ipotesi dell’imputato giudicato prima del compimento del termine di
prescrizione del reato, cui è riconosciuta piena possibilità di
difesa, e quella dell’imputato giudicato dopo il decorso del termine di
prescrizione, cui tale possibilità viene invece negata per effetto
della norma di cui trattasi.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata e la causa è stata discussa in camera di consiglio, ai
sensi degli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e 9, delle Norme integrative, non essendovi stata costituzione di
parti.
1. – Le censure dedotte nell’ordinanza non sono da ritenere
fondate.
Non lo è quella relativa alla violazione dell’art. 24 della
Costituzione. Infatti è vero che, secondo dedotto dall’ordinanza, può
sussistere l’interesse del prevenuto ad ottenere dal giudice una
sentenza di piena assoluzione da cui risulti l’insussistenza o la non
commissione del fatto-reato, ma tale interesse nel caso di prescrizione
non può non cedere di fronte all’interesse generale di non più
perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la
loro commissione abbia fatto venire meno, o notevolmente attenuato,
insieme al loro ricordo, anche l’allarme della coscienza comune, ed
altresì reso difficile, a volte, l’acquisizione del materiale
probatorio.
Non contrasta con l’esigenza ora prospettata l’art. 152, secondo
comma, c.p.p. secondo cui deve farsi luogo ad una pronuncia in merito
quando, pur risultando una causa di estinzione del reato, esistano
prove evidenti dell’insussistenza del fatto, della sua non previsione
come reato, o dell’estraneità ad esso dell’imputato, poiché in tali
casi la pronuncia stessa assume carattere puramente dichiarativo di una
situazione già concretata al momento della sopravvenienza della
prescrizione. Mentre è chiaro che contrasto si verificherebbe ove per
giungere a quel risultato si rendesse necessario il compimento di nuovi
atti istruttori, e cioè la prosecuzione dell’istruttoria per un reato
ormai estinto.
Non potrebbe condurre a contrario avviso la considerazione che la
Corte, con la sua sentenza n. 175 del corrente anno, ha affermato il
diritto dell’imputato ad ottenere una sentenza di merito allorché
l’estinzione del reato consegua all’intervento di un’amnistia, perché
a tale statuizione si è giunti in quanto si è ritenuto
costituzionalmente garantito il diritto di rinunciare all’amnistia,
diritto il cui esercizio, facendo venir meno l’effetto estintivo ad
essa proprio, rende possibile l’ulteriore svolgimento dell’istruttoria
in corso. E appare chiaro che a soluzione analoga non può giungersi
allorché l’effetto estintivo si faccia discendere, non già, come nel
caso dell’amnistia, da statuizioni di volta in volta emesse dal
legislatore, sotto l’influsso di considerazioni politiche, ma da un
evento come il decorso del termine, sottratto ad ogni discrezionalità.
2. – Le considerazioni per ultimo prospettate rendono ragione
dell’infondatezza anche della seconda denuncia, di violazione dell’art.
3 della Costituzione. Invero la diseguaglianza di trattamento che si
verifica, secondo che si sia giudicati prima o dopo il sopravvenire del
termine di prescrizione, appare conseguenza di una mera disparità di
fatto, che non si può evitare se non facendo venire meno lo stesso
istituto della prescrizione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 152, capoverso, del codice di procedura penale, proposta, con
l’ordinanza del tribunale di Taranto del 3 maggio 1971, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.