Sentenza N. 203 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1970
Data deposito/pubblicazione
28/12/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato
con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il
21 dicembre 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile
vertente tra Furiosi Alberto, l’Esattoria civica di Milano e la
società Lucosol, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21
maggio 1969.
Visti gli atti di costituzione dell’Esattoria civica di Milano e
d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice
relatore Angelo De Marco;
uditi l’avv. Silvano Citi, per l’Esattoria, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Nel procedimento di esecuzione mobiliare promosso dall’Esattoria
comunale di Milano nei confronti della società Lucosol, il sig.
Alberto Furiosi proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 619 del
codice di procedura civile, sostenendo che parte dei mobili pignorati
erano di sua proprietà.
L’esattore eccepiva l’inammissibilità di tale opposizione,
invocando gli artt. 2759 del codice civile e 211 del testo unico 29
gennaio 1958, n. 645, in forza dei quali i crediti dello Stato per
imposta di ricchezza mobile, cat. B, dovuta per l’anno in corso ed il
precedente, in dipendenza dell’esercizio di commercio, industria, arte
o professione, hanno privilegio sopra i mobili che servono a tale
esercizio e sopra le merci che si trovano nel locale adibito
all’esercizio stesso o nell’abitazione del contribuente “ancorché
appartenenti a persona diversa dal debitore”.
Il tribunale di Milano, investito della cognizione di tale
controversia, accogliendo analoga richiesta dell’opponente, con
ordinanza 21 dicembre 1968 dichiarava rilevante e non manifestamente
infondata la questione di illegittimità costituzionale, in riferimento
all’art. 42, commi secondo e terzo, della Costituzione, dell’art. 211
del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, nell’inciso “ancorché appartenenti a
persona diversa dal debitore “, in quanto il privilegio così accordato
si risolve in un completo annullamento del diritto di proprietà (comma
secondo), per giunta senza alcun indennizzo corrispettivo (comma
terzo).
Dopo le comunicazioni, notificazioni e pubblicazioni di legge, la
questione così sollevata viene ora alla cognizione della Corte.
Nel giudizio si è costituita l’Esattoria comunale di Milano, ed è
intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Tanto il patrocinio dell’Esattoria, quanto l’Avvocatura generale
dello Stato, con memorie depositate, rispettivamente, l’11 ed il 18
aprile 1969, chiedono che la Corte dichiari infondata la sollevata
questione, in quanto il contestato privilegio costituisce semplice
limitazione e non soppressione del diritto di proprietà, dato che il
terzo proprietario sia che paghi l’imposta dovuta, sia che subisca
l’esecuzione, conserva sempre azione di regresso nei confronti del
debitore principale e, comunque, subisce le conseguenze di una
situazione nella quale volontariamente si è posto.
In data 24 ottobre 1970, l’Avvocatura generale dello Stato ha
depositato un’altra memoria con la quale, traendo argomenti anche dalla
giurisprudenza di questa Corte in casi analoghi, insiste nel chiedere
che la questione venga dichiarata infondata.
1. – Come si è rilevato in narrativa, viene denunziato a questa
Corte l’art. 211 del testo unico sulle imposte dirette, approvato con
decreto presidenziale 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all’art.
2759 del codice civile, in forza dei quali i crediti dello Stato per
l’imposta di ricchezza mobile, dovuta per l’anno in corso e per il
precedente, in dipendenza dell’esercizio di commercio, industria, arte
o professione, hanno privilegio sopra i mobili che servono a tale
esercizio e sopra le merci che si trovano nel locale adibito
all’esercizio stesso o nell’abitazione del contribuente, nella parte in
cui l’art. 211 del T.U. dispone “ancorché appartenenti a persona
diversa dal debitore”.
Secondo il giudice a quo, infatti, per effetto di quest’ultima
disposizione, il terzo proprietario di tali mobili, dato che, di
regola, un’efficace azione di regresso è praticamente impossibile, si
troverebbe esposto ad una vera e propria espropriazione, senza
indennizzo, in violazione dell’art. 42, commi secondo e terzo, della
Costituzione.
2. – Già questa Corte, in relazione all’art. 63, ultimo comma, del
R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, sulla riscossione delle imposte dirette
ed all’art. 207, lett. b) del T.U. n. 645 del 1958, che ne riproduce il
contenuto, in forza dei quali nel procedimento di espropriazione
esattoriale non può essere proposta opposizione di terzo, per
rivendicare la proprietà, da parte del coniuge o dei parenti ed
affini, fino al terzo grado, del contribuente, contro il pignoramento
dei mobili esistenti nella casa del debitore, ha affermato taluni
principi che sono indubbiamente validi anche per la soluzione della
presente controversia.
Si è così (sentenze n. 4 del 1960, n. 42 e n. 93 del 1964)
affermato che non è illegittimo, in quanto non lede il precetto della
tutela della proprietà contenuto nell’art. 42, comma secondo, della
Costituzione, l’assoggettamento di taluni beni, che si trovano in una
certa situazione, alla quale non è estranea la volontà del terzo
proprietario, ad esecuzione forzata promossa nei confronti del debitore
d’imposta.
Sia per l’interesse pubblico alla esazione delle imposte, sia per
impedire troppo facili frodi, non si può, infatti, escludere che la
difesa della proprietà, in certe situazioni, sia subordinata a
condizioni o a presupposti o ad un particolare comportamento del
proprietario.
Il che, poi, si risolve non in una espropriazione, ma in una mera
limitazione, consistente nella soggezione del bene ad un potere di
esecuzione forzata che soltanto eventualmente può portare ad una
incidenza diretta e quantitativamente rilevante sul contenuto del
diritto a tale bene.
In sostanza, in base a tali principi, l’inopponibilità
all’esattore del diritto di proprietà dei beni rinvenuti nella casa di
abitazione del debitore, di cui a detta disposizione, inquadrata nel
sistema delle garanzie patrimoniali dell’obbligazione tributaria,
giustificata da ragioni di interesse generale e fondata sul potere del
legislatore di determinare i modi di acquisto e di godimento ed i
limiti del diritto di proprietà, non contrasta con l’art. 42, secondo
comma, della Costituzione.
3. – Nella situazione disciplinata dall’art. 211 del citato T.U.,
ora in esame, la razionalità di quei principi risulta ancora più
evidente.
Infatti, il legislatore si è preoccupato di tutelare la situazione
del terzo in buona fede, escludendo dal privilegio le cose rubate o
smarrite, i depositi provvisori di merci destinate al solo fine di
lavorazione ed i depositi di merci non ancora nazionalizzate munite di
regolare bolletta doganale.
Ma al privilegio stesso ha sottoposto, anche se di proprietà di
terzi, cose che per la loro natura – mobili che servono all’esercizio
dell’attività per la quale è dovuta l’imposta – o per la loro
ubicazione – merci che si trovano nel locale ove viene esercitata
l’attività o nell’abitazione del contribuente – chiaramente denunciano
una posizione sospetta non meno di quella derivante dal vincolo di
parentela preveduta dall’articolo 207, lett. b), dello stesso T.U.
Perché il terzo, invero, affidi al titolare dell’esercizio,
debitore dell’imposta, mobili importanti e spesso molto costosi o merci
che, del pari possono essere di valore rilevante, come quelli che di
regola servono per l’attività esercitata, pur conscio dei rischi cui
può andare incontro, evidentemente deve essersi posto di propria
volontà in particolari rapporti, di certo non disinteressati, con
detto debitore.
Tali rapporti possono essere addirittura fraudolenti perché
diretti o a sottrarre i beni che ne sono oggetto all’esecuzione forzata
da parte dei creditori o a dissimulare una vera e propria
partecipazione all’attività del debitore (società di fatto); o
possono essere bensì leciti e non dissimulati, ma consistere in negozi
a titolo oneroso (nella specie noleggio), dei quali, ovviamente, quei
rischi debbono trovare adeguato corrispettivo.
In qualsiasi di tali ipotesi, il privilegio in questione, con le
limitazioni al diritto di proprietà che possono derivarne, alla
stregua dei principi sopra richiamati, risulta pienamente giustificato,
cosicché la sollevata questione si appalesa infondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 211, secondo comma, del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, sulle
imposte dirette, proposta, con l’ordinanza in epigrafe, in riferimento
all’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.