Sentenza N. 203 del 1972
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1972
Data deposito/pubblicazione
29/12/1972
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1972
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv.
ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. GIULIO GIONFRIDA, Giudici,
comma, lett. a, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229 (testo unico delle
disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato),
modificato dall’art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale 8 giugno
1945, n. 915 (norme sulle pensioni per il personale destituito delle
ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 28 novembre
1970 dalla Corte dei conti – sezione III pensioni civili – sul ricorso
di Genese Giuseppe contro l’Amministrazione delle ferrovie dello Stato,
iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971.
Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1972 il Giudice
relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Giuseppe Genoese, dipendente dell’Azienda autonoma delle ferrovie
dello Stato, per assenza arbitraria superiore a dieci giorni veniva
dichiarato dimissionario d’ufficio dall’ottobre 1943 e conseguentemente
perdeva il titolo al trattamento di quiescenza.
Dopo avere per due volte ed inutilmente avanzato istanza di
concessione della pensione, rinnovava la richiesta, ma
l’Amministrazione insisteva nel rifiuto.
Il Genoese, allora, proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti,
sostenendo tra l’altro l’illegittimità costituzionale dell’art. 16,
comma pnmo, lett. a del testo unico delle disposizioni per le pensioni
del personale delle ferrovie dello Stato, approvato con il r.d. 2
aprile 1909, n. 229, in riferimento all’art. 36 della Costituzione,
nella parte in cui quella norma prevede la perdita del diritto al
conseguimento della pensione, da parte dell’agente cessato dal servizio
per dimissione.
L’Amministrazione resisteva alle richieste e, pregiudizialmente
eccependo l’inammissibilità del ricorso, deduceva il difetto di
rilevanza della proposta questione.
Il p.m. concludeva in via principale per l’accoglimento del
ricorso, considerando applicabile alla specie la legge 8 giugno 1966,
n. 424, che aveva abrogato le disposizioni relative alla perdita, alla
riduzione e alla sospensione del diritto al conseguimento e al
godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità
equipollente, in seguito a condanna penale o a provvedimento
disciplinare. E in via alternativa, per il caso in cui la Corte non
avesse ritenuto di natura disciplinare le dimissioni d’ufficio,
sosteneva che fosse in contrasto con l’art. 3 della Costituzione,
l’art. 1 della citata legge n. 424 del 1966 nella parte in cui non
include tra gli aventi diritto alla pensione anche gli impiegati
dimissionari d’ufficio, che abbiano compiuto il periodo minimo di
servizio prescritto ai fini del conseguimento di quel diritto.
La Corte dei conti, con ordinanza del 28 novembre 1970, giudicava
rilevanti entrambe le eccezioni.
Circa il merito, dichiarava, richiamandosi alle sentenze n. 3 del
1966 e n. 75 del 1968 della Corte costituzionale, di condividere il
dubbio che la perdita del diritto a pensione, comminata dall’art. 16,
comma primo, lett. a del citato t.u. del 1909 (modificato dall’art. 1
del d.lg.lgt. 8 giugno 1945, n. 915, contenente norme sulle pensioni
per il personale destituito delle ferrovie dello Stato), fosse in
contrasto con l’art. 36 della Costituzione; e pur non disconoscendo che
l’accoglimento di detta eccezione avrebbe risoluto in radice la
proposta questione, con effetti più favorevoli per il ricorrente,
considerava non manifestamente infondata l’eccezione relativa all’art.
1 della legge n. 424 del 1966, sollevata dal pubblico ministero senza
tener conto della prima questione ed in alternativa alla domanda
principale di accoglimento del ricorso, stimando non giustificato il
differente trattamento previsto per gli impiegati che abbiano perduto o
non abbiano potuto conseguire il diritto a pensione per effetto di
condanna penale o di sanzione disciplinare, e per quelli che abbiano
spontaneamente abbandonato l’impiego dopo aver maturato il periodo
minimo prescritto per l’acquisto del diritto medesimo.
E per tanto la Corte dei conti, con l’indicata ordinanza,
sottoponeva le due questioni all’esame di questa Corte.
L’ordinanza veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 21 luglio 1971.
Davanti a questa Corte non si costituiva alcuna delle parti, né
spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Il procedimento, stante ciò, seguiva le forme previste dall’art.
26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
1. – Con ordinanza indicata in epigrafe la Corte dei conti
sottopone a questa Corte due questioni.
Viene, anzitutto, denunciato, per contrasto con l’art. 36 della
Costituzione, l’art. 16, comma primo, lett. a), del t.u. delle
disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato,
approvato con il r.d. 22 aprile 1909, n. 229, modificato dall’art.1 del
d.lg.lgt. 8 giugno 1945, n.915 (contenente norme sulle pensioni per il
personale destituito delle ferrovie dello Stato), secondo cui “il
diritto dell’agente al conseguimento della pensione si perde per
dimissioni dal servizio”; e si assume, in secondo luogo, che violi
l’art. 3 Cost., l’art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424
(abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione o la
sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente
pubblico), nella parte in cui contempla tra i destinatari del diritto
alla pensione i pubblici dipendenti colpiti da condanna penale o da
provvedimento disciplinare e non anche gli impiegati il cui rapporto
sia cessato volontariamente.
2. – Delle due questioni così proposte va esaminata per prima
quella relativa all’art. 16 del citato t.u. del 1909, per la preminenza
che ad essa dà la Corte dei conti in sede di valutazione delle
richieste del ricorrente ed ai fini dell’eventuale più ampio
accoglimento di esse.
Di detta questione va riconosciuta la fondatezza.
Con varie pronunce (tra cui le sentenze nn. 3 del 1966, 78 del
1967, 112 del 1968 e 25 del 1972), questa Corte, a proposito del
trattamento economico previsto per il lavoratore a corrispettivo della
prestazione da lui eseguita, sia durante il corso del rapporto che a
seguito della cessazione dello stesso, ha, in riferimento all’art. 36
della Costituzione, dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme
che prevedevano ingiustificate esclusioni o limitazioni circa la
spettanza al lavoratore di quel trattamento, che invece gli era dovuto
in dipendenza della prestazione dell’attività lavorativa e come frutto
di essa.
Per la norma oggetto della presente denuncia, è dato rilevare come
l’agente ferroviario, dimissionario dal servizio per un’assenza
ingiustificata superiore a dieci giorni, venga a perdere il diritto al
conseguimento della pensione. Ma in tal modo, è evidente che non gli
è concretamente assicurata la garanzia del diritto alla retribuzione,
apprestata dall’art. 36 della Costituzione e, pertanto, tale
disposizione risulta violata.
3. – Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, primo
comma, lett. a), del citato t.u. del 1909, rimane assorbito l’esame
relativo alla seconda questione.
Infatti, anche se si dovesse constatare la fondatezza del
denunciato contrasto con l’art. 3 della Costituzione, dell’art. 1 della
legge n. 424 del 1966, nella parte in cui contempla fra i destinatari
del diritto alla pensione i pubblici dipendenti colpiti da condanna
penale o da provvedimento disciplinare e non anche quelli il cui
rapporto sia cessato volontariamente, non risulterebbero modificate le
conseguenze discendenti dal primo accertamento, atteso che, in funzione
della richiesta di riconoscimento del diritto del ricorrente,
l’eventuale seconda pronuncia di illegittimità costituzionale
svolgerebbe solo una funzione concorrente e comunque non avrebbe modo
di operare per il tempo anteriore alla data di entrata in vigore della
detta legge n. 424 del 1966.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma primo,
lett. a), del testo unico delle disposizioni per le pensioni del
personale delle ferrovie dello Stato, approvato con il r.d. 22 aprile
1909, n. 229, modificato dall’art. 1 del decreto legislativo
luogotenenziale 8 giugno 1945, n. 915, contenente norme sulle pensioni
per il personale destituito delle ferrovie dello Stato.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere