Sentenza N. 205 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
28/07/1976
Data deposito/pubblicazione
28/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
secondo comma, lett. a, 3, primo comma, 4, primo, terzo e quarto comma,
del d.l. 21 novembre 1967, n. 1051, convertito in legge 18 gennaio
1968, n. 10, e degli artt. 9 e 10 del d.l. 20 febbraio 1968, n. 59,
convertito in legge 18 marzo 1968, n. 224, (norme disciplinanti materie
oggetto di regolamenti CEE), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 giugno 1975 dalla Corte suprema di
cassazione – sezioni unite civili – nel procedimento civile vertente
tra l’Amministrazione delle finanze dello Stato e la ditta fratelli
Grassi, iscritta al n. 476 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 26 novembre 1975;
2) ordinanza emessa il 18 dicembre 1975 dalla Corte suprema di
cassazione – sezioni unite civili – nel procedimento civile vertente
tra l’Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (AIMA) e
Greco Rocco Michele, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 1976 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 72 del 17 marzo
1976.
Visti gli atti di costituzione di Greco Rocco Michele,
dell’Amministrazione delle finanze dello Stato e dell’AIMA;
udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 1976 il Giudice relatore
Guido Astuti;
uditi l’avv. Nicola Catalano, per Greco Rocco Michele, il vice
Avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per l’AIMA, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
l’Amministrazione delle finanze dello Stato.
Nel corso di un procedimento civile vertente tra l’Amministrazione
finanze dello Stato e la ditta fratelli Grassi, le sezioni unite civili
della Corte di cassazione, accogliendo l’eccezione proposta dal
Procuratore generale, hanno sollevato questione di legittimità degli
artt. 9 e 10 d.l. 20 febbraio 1968, n. 59, convertito in legge 18 marzo
1968, n. 224, in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 11 della
Costituzione.
Si afferma nell’ordinanza di rinvio che le norme impugnate,
relative alla disciplina delle restituzioni all’esportazione nel
settore dei cereali, avrebbero recepito le norme comunitarie esistenti
in materia, contenute nell’art. 16 del regolamento 13 giugno 1967, n.
120, del Consiglio della CEE e nell’art. 3 del regolamento 21 dicembre
1967, n. 1041, della Commissione CEE. Avendo i citati regolamenti
comunitari compiutezza di contenuto dispositivo, con conseguente
efficacia automatica nell’ordinamento giuridico italiano, le norme
interne, di carattere riproduttivo, sarebbero in contrasto con gli
articoli 10, primo comma, e 11 della Costituzione.
Ancora le sezioni unite civili della Corte di cassazione, nel corso
di un procedimento civile vertente tra l’Azienda di Stato per gli
interventi sul mercato agricolo e Greco Rocco Michele, hanno sollevato,
in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 11 Cost., la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 2, comma secondo, lettera a),
3, comma primo, 4, commi primo, terzo e quarto, del d.l. 21 novembre
1967, n. 1051, convertito nella legge 18 gennaio 1968, n. 10, così
accogliendo l’eccezione proposta dal Procuratore generale.
Le norme impugnate, secondo l’ordinanza di rinvio, nel prevedere
una integrazione di prezzo a favore dei produttori di olive, anziché
dei produttori di olio, come previsto dall’art. 10, paragrafo 1, del
regolamento 22 settembre 1966, n. 136, del Consiglio della CEE, e dal
regolamento n. 754/67 ancora del Consiglio CEE, si porrebbero in
contrasto con gli artt. 10, primo comma, e 11 della Costituzione.
Si è costituito in giudizio Greco Rocco Michele, deducendo la
fondatezza della questione proposta con argomenti analoghi a quelli
indicati nella relativa ordinanza di rimessione.
Si sono altresì costituite in giudizio l’Amministrazione finanze
dello Stato e l’Azienda di Stato per gli interventi sul mercato
agricolo, entrambe a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.
Questa in ordine alla questione sollevata nel giudizio vertente tra
l’Amministrazione finanze dello Stato e la ditta fratelli Grassi, ha
dedotto la irrilevanza della questione medesima, atteso il carattere
riproduttivo delle norme nazionali, che, quindi, avrebbero uguale
contenuto e uguale portata precettiva rispetto alle norme comunitarie a
cui fanno riferimento.
Irrilevante sarebbe anche la questione proposta nel giudizio
vertente tra l’AIMA e Greco Rocco Michele, atteso che nel giudizio a
quo dovrebbe essere preliminarmente risolto il problema della
qualificazione giuridica (interesse o diritto soggettivo) della pretesa
all’integrazione e, quindi, il problema della giurisdizione, autonomo
ed indipendente rispetto a quello di merito attinente alla titolarità
della pretesa stessa.
La questione sarebbe, comunque, infondata. La disciplina denunziata
non sostituirebbe affatto alla norma comunitaria una autonoma
concessione della integrazione, ma si limiterebbe a dettare la
necessaria normativa attinente alle modalità esecutive ed alla
organizzazione amministrativa e procedimentale della concessione
dell’integrazione di prezzo, indiscutibilmente rientrante nella
competenza del legislatore nazionale.
1. – Con la prima ordinanza le sezioni unite civili della Corte di
cassazione sollevano, in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 11
della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli
artt. 9 e 10 del decreto-legge 20 febbraio 1968, n. 59, convertito in
legge 18 marzo 1968, n. 224, nella parte in cui riproducono le
disposizioni relative alle cosiddette restituzioni all’esportazione nel
settore dei cereali contenute nell’art. 16 del regolamento 13 giugno
1967, n. 120, del Consiglio della CEE, e nell’art. 3 del regolamento 21
dicembre 1967, n. 1041, della Commissione della CEE; le quali,
presentando compiutezza di contenuto dispositivo, hanno piena efficacia
obbligatoria e diretta applicabilità nell’ordinamento interno ai sensi
dell’art. 189 del Trattato di Roma.
Con la seconda ordinanza, le sezioni unite civili sollevano, in
riferimento alle stesse disposizioni della Costituzione, la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 2, secondo comma, lett. a;
3, primo comma; 4, primo, terzo e quarto comma, del decreto-legge 21
novembre 1967, n. 1051, convertito con modificazioni nella legge 18
gennaio 1968, n. 10, “nella parte in cui accordano il diritto
all’integrazione di prezzo per l’olio di oliva di produzione 1967/68 ai
produttori di olive anziché ai produttori di olio di oliva”;
osservando che le disposizioni denunciate riproducono, modificandola,
la disciplina stabilita dall’art. 10, paragrafo 1, del regolamento 22
settembre 1966, n. 136, del Consiglio della CEE, con cui è accordata
una integrazione del prezzo “ai produttori di olio di oliva prodotto
nella Comunità con olive raccolte nella Comunità”, disciplina avente
anch’essa piena ed automatica efficacia obbligatoria nell’ordinamento
italiano.
Avendo per oggetto la medesima questione di costituzionalità, i
due giudizi possono essere riuniti, e definiti con unica sentenza.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato, nelle deduzioni prodotte
nel primo giudizio per l’Amministrazione delle finanze, e nel secondo
per l’Azienda per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), ha
prospettato, pur senza sollevare formale eccezione, il dubbio sulla
rilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini della
decisione dei due giudizi, osservando che nel primo, dato il carattere
meramente riproduttivo delle norme nazionali rispetto alle norme
comunitarie, non dovrebbe avere rilievo lo stabilire quale sia la fonte
giuridica di quella unica e medesima disciplina; e che anche nel
secondo, essendo la Corte di cassazione chiamata anzitutto a decidere
la questione di giurisdizione, pronunciandosi sulla qualificazione
giuridica della pretesa all’integrazione come diritto soggettivo o
interesse legittimo, tale questione dovrebbe considerarsi del tutto
autonoma e indipendente dalle questioni di legittimazione sostanziale,
ossia di titolarità dell’interesse dedotto in giudizio, rilevanti solo
per la definizione delle cause di merito.
Ma il dubbio non ha ragion d’essere, di fronte alla chiara
motivazione di entrambe le ordinanze, in cui si osserva come
l’individuazione della fonte normativa applicabile incida, sotto vari
profili, sulla definizione dei giudizi, poiché la decisione
pregiudiziale circa l’applicabilità delle norme comunitarie o delle
successive norme interne è influente sia per la soluzione della
questione di giurisdizione, sia per altre questioni proposte con
diversi motivi di ricorso. Ancora sul punto della rilevanza della
questione di legittimità costituzionale, le ordinanze della Cassazione
osservano che “in tanto la Corte potrebbe porre quesiti interpretativi
dei regolamenti comunitari alla Corte di giustizia delle Comunità
europee (art. 177 del Trattato CEE), in quanto avesse risolto il
preliminare problema sull’alternativa delle fonti normative
applicabili, a favore dei regolamenti comunitari, il che postula
necessariamente la decisione in senso affermativo sull’inapplicabilità
delle norme interne, perché costituzionalmente illegittime”.
3. – La dedotta questione di costituzionalità è fondata, e in
ordine ad essa questa Corte non può che richiamarsi ai principi già
enunciati nelle sue decisioni 27 dicembre 1973, n. 183, e 30 ottobre
1975, n. 232. I regolamenti emanati dal Consiglio e dalla Commissione
delle Comunità europee hanno, a norma dell’art. 189 del Trattato di
Roma, piena efficacia obbligatoria in tutti i loro elementi e sono
direttamente applicabili in tutti gli Stati membri; pertanto,
sempreché essi presentino completezza di contenuto dispositivo, non
debbono essere oggetto di successivi provvedimenti statali a carattere
riproduttivo, integrativo o esecutivo, che possano comunque differirne
o condizionarne l’entrata in vigore, e tanto meno sostituirsi ad essi,
derogarvi o abrogarli anche parzialmente. E principio fondamentale del
sistema comunitario che questi regolamenti entrino contemporaneamente
in vigore nei diversi Paesi della Comunità, e vi conseguano
applicazione puntuale, uguale ed uniforme nei confronti della
generalità dei destinatari. Gli Stati membri hanno soltanto il
potere-dovere di emanare le norme esecutive di organizzazione interna o
concernenti modalità di attuazione, che possano essere richieste dagli
stessi regolamenti comunitari, o risultino comunque indispensabili per
la loro effettiva applicazione; e sono altresì tenuti, ove occorra, a
provvedere alla copertura finanziaria delle spese eventualmente
occorrenti.
Consegue a questi principi che la successiva emanazione di norme
legislative interne, anche di contenuto puramente riproduttivo, integra
violazione delle disposizioni degli artt. 189 e 177 del Trattato di
Roma, in quanto la trasformazione del diritto comunitario in diritto
interno ne disconosce la diretta efficacia obbligatoria ed automatica
applicabilità, e ne sottrae l’interpretazione in via definitiva alla
Corte di giustizia delle Comunità, necessaria e fondamentale garanzia
di uniformità di applicazione in tutti gli Stati membri. Delle norme
legislative italiane che abbiano recepito e trasformato in legge
interna disposizioni dei regolamenti comunitari direttamente
applicabili deve pertanto essere dichiarata la illegittimità
costituzionale, per il rilevato contrasto con il disposto degli artt.
189 e 177 del Trattato di Roma e con i principi fondamentali del
sistema comunitario, che comporta violazione dell’art. 11 della
Costituzione.
4. – Le disposizioni degli artt. 9 e 10 del decreto-legge 20
febbraio 1968, n. 59, convertito in legge 18 marzo 1968, n. 224,
denunciate con la prima ordinanza della Corte di cassazione,
riproducono la disciplina delle restituzioni all’esportazione nel
settore dei cereali, stabilita dall’art. 16 del regolamento n. 120/1967
del Consiglio della CEE relativo alla organizzazione comune dei mercati
nel settore dei cereali, e dall’art. 3 del regolamento n. 1041/1967
della Commissione della CEE, che fissa le modalità di applicazione
delle restituzioni alla esportazione nel settore dei prodotti
sottoposti ad un regime di prezzo unico. L’ordinanza di rimessione
rileva che queste disposizioni dei regolamenti comunitari hanno
compiutezza di contenuto dispositivo, in quanto racchiudono un precetto
completo, di per sé attuabile, e sono state “integralmente recepite,
nella parte che viene in considerazione agli effetti della
controversia, negli artt. 9 e 10”, dianzi citati. Si deve qui
aggiungere che entrambi i regolamenti comunitari recano la clausola
finale “il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi
elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati
membri”, e che sulla corrispondenza tra le norme comunitarie e quelle
interne non può sussistere dubbio: anche la difesa del Ministero delle
finanze ha espressamente ammesso che le successive norme nazionali “in
sostanza hanno uguale contenuto e uguale portata rispetto alle norme
comunitarie cui esse fanno riferimento”. Si impone di conseguenza la
declaratoria della loro illegittimità costituzionale.
5. – Le disposizioni degli artt. 2, secondo comma, lett. a; 3,
primo comma; 4, primo, terzo e quarto comma, del decreto-legge 21
novembre 1967, n. 1051, convertito con modificazioni nella legge 18
gennaio 1968, n. 10, “Norme per l’erogazione della integrazione di
prezzo per l’olio di oliva di produzione 1967-68”, denunciate con la
seconda ordinanza della Corte di cassazione, sono espressamente dirette
all’attuazione delle disposizioni del regolamento n. 136/1966 del
Consiglio della CEE, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel
settore dei grassi; il quale stabilisce all’art. 10, paragrafo 1, che
quando il prezzo indicativo alla produzione sia superiore al prezzo
indicativo di mercato d’inizio campagna, viene accordata una
integrazione, pari alla differenza esistente tra questi due prezzi, “ai
produttori di olio d’oliva prodotto nella Comunità con olive raccolte
nella Comunità”. Tale disciplina è confermata dai successivi
regolamenti comunitari n. 165/1966, n.168/1966, n. 186/1966, n.
754/1967, n. 830/ 1967, tutti in materia di integrazione di prezzo
dell’olio di oliva, e contenenti la rituale clausola di obbligatorietà
e diretta applicabilità in ciascuno degli Stati membri.
L’ordinanza di rimessione rileva che il regolamento comunitario n.
136/1966 “ha compiutezza di contenuto dispositivo, racchiudendo un
precetto di per sé attuabile”, ed osserva come le successive
disposizioni di diritto interno, pur richiamandosi alla normativa
comunitaria, prevedano in deroga ad essa la concessione
dell’integrazione di prezzo a favore dei produttori di olive anziché
dei produttori di olio.
Secondo l’ordinanza, “che la norma interna di attuazione contrasti
con quella comunitaria non può formare oggetto di dubbio”; su questo
punto, anche davanti a questa Corte le parti hanno ampiamente discusso,
sostenendosi dall’Azienda di Stato la corrispondenza della legge
italiana allo spirito ed alle finalità delle disposizioni comunitarie,
le quali sarebbero state dettate a sostegno degli olivicultori ed
avrebbero rimesso al legislatore nazionale la identificazione dei
destinatari dell’integrazione; e replicandosi dalla parte privata che
il denunciato contrasto effettivamente sussiste, ma in questa sede
viene contestata non tanto la difformità delle norme interne quanto
l’illecita riproduzione e sostituzione con esse delle corrispondenti
norme comunitarie, direttamente applicabili, che accordano
l’integrazione di prezzo ai produttori di olio d’oliva.
Non sfugge a questa Corte la gravità ed importanza del problema
interpretativo, che dovrà essere risolto nelle competenti sedi
giurisdizionali, salva in ultima istanza la pronuncia della Corte di
giustizia delle Comunità, cui l’art. 177 del Trattato di Roma riserva
la definitiva decisione sulla validità ed interpretazione dei
regolamenti comunitari. Ma tale problema esorbita manifestamente e
sicuramente dall’ambito del presente giudizio di costituzionalità, nel
quale la Corte non è chiamata a stabilire quali debbano essere i
beneficiari delle provvidenze comunitarie, bensì esclusivamente ad
accertare che le disposizioni dei regolamenti CEE n. 136/1966 e 754/
1967, aventi piena efficacia obbligatoria e diretta applicabilità
nell’ordinamento interno di tutti gli Stati membri, sono state
indebitamente sostituite dalle corrispondenti norme della successiva
legge italiana, emanata per dare attuazione ai detti regolamenti, norme
di cui pertanto deve essere qui dichiarata la illegittimità. Eliminate
queste norme, sarà compito dei giudici chiamati a decidere la causa
che ha dato luogo al giudizio di costituzionalità, di pronunciarsi
sull’interpretazione ed applicazione dell’art. 10, paragrafo 1, del
regolamento n. 136/1966 e delle altre disposizioni comunitarie relative
alla integrazione di prezzo per l’olio di oliva, ferma la competenza
riservata alla Corte di giustizia delle Comunità dal già ricordato
art. 177 del Trattato di Roma.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 del
decreto-legge 20 febbraio 1968, n. 59, convertito in legge 18 marzo
1968, n. 224, “Organizzazione comune dei mercati nei settori dei
cereali, ecc.”, nella parte in cui hanno sostituito le corrispondenti
disposizioni, direttamente applicabili, dei regolamenti CEE 13 giugno
1967, n. 120, e 21 dicembre 1967, n. 1041;
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, secondo
comma, lett. a; 3, primo comma; 4, primo, terzo e quarto comma, del
decreto-legge 21 novembre 1967, n. 1051, convertito con modificazioni
nella legge 18 gennaio 1968, n. 10, “Norme per l’erogazione della
integrazione di prezzo per l’olio di oliva di produzione 1967-68”,
nella parte in cui hanno sostituito le corrispondenti disposizioni,
direttamente applicabili, dei regolamenti CEE 22 settembre 1966, n.
136, e 26 ottobre 1967, n. 754.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere