Sentenza N. 205 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1981
Data deposito/pubblicazione
29/12/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA, Giudici,
primo, e 5 del d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192 (Norme per la
disciplina dell’impiego della mano d’opera negli appalti concessi dalle
amministrazioni autonome delle ferrovie dello Stato, dei monopoli di
Stato e delle poste e telecomunicazioni) in relazione all’art. 8 della
legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed
interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina
dell’impiego di mano d’opera negli appalti di opere e di servizi)
promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1975 dal Pretore di Torino
nel procedimento civile vertente tra Casciato Maria e Coppo Eraldo
nonché Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 423
del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975.
Visti l’atto di costituzione del Ministro dei Trasporti e l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 novembre 1981 il Giudice
relatore Virgilio Andrioli;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Ministro dei
Trasporti e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con ricorso depositato il 10 dicembre 1974 e notificato il 12
successivo, Casciato Maria, già dipendente di Coppo Eraldo, chiese che
il Pretore di Torino, quale giudice del lavoro, ne accertasse il
diritto all’inquadramento nel III anziché nel IV livello
riconosciutole dal Coppo, titolare dell’omonima Impresa esercente
servizi di appalto per conto delle Ferrovie dello Stato, e ne
pronunciasse condanna al pagamento, a titolo di differenza salario e
mancata corresponsione dell’assegno mensile, di lire 763.700 con gli
accessori di legge. Il Coppo, ritualmente costituitosi, chiese in linea
preliminare che, trattandosi di causa comune e inscindibile, fosse
disposto, a sensi dell’art. 107 c.p.c., l’intervento dell’Azienda
autonoma delle Ferrovie dello Stato e nel merito chiese, previa
assunzione di prova per testi, il rigetto delle domande attrici.
Con ordinanza 15 aprile 1975 l’adito Pretore, ai sensi degli artt.
106 e 420, comma secondo c.p.c., autorizzò il Coppo a chiamare in
causa l’Azienda delle Ferrovie, che si costituì in persona di Cacciola
Mario addetto ai contratti di appalto, e, tramite l’Avvocatura
distrettuale dello Stato di Torino, che depositò memoria datata 21
maggio 1975 per il Ministero dei Trasporti, Azienda autonoma FF.SS.,
dedusse disporsi che per la lite Coppo-FF.SS. fosse seguito il rito
ordinario e nel merito concluse per la improponibilità o infondatezza
della domanda dell’Impresa nei confronti dell’Azienda FF.SS.
Con sentenza 24 giugno 1975 il Pretore accolse la domanda della
Casciato nei confronti del Coppo e, con ordinanza di pari data resa
sull’altra controversia tra il Coppo e l’Azienda, giudicò non
manifestamente infondata la eccezione di illegittimità costituzionale
del combinato disposto degli artt. 2, comma primo e 3 d.P.R. 22
novembre 1961 n. 1192, in relazione all’art. 76 Cost. e 8 della legge
23 ottobre 1960 n. 1369, nonché in relazione agli artt. 3, 4 e 35,
comma primo Cost.
2. – Nella ordinanza di rimessione (notificata il 2 luglio 1975 e
comunicata l’8 agosto 1975, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306
del 19 novembre 1975 e iscritta al n. 423 R.O. 1975), il Pretore,
premesso che la materia degli appalti di mano d’opera conferiti
dall’Azienda delle Ferrovie a ditte private è disciplinata dal d.P.R.
22 novembre 1961 n. 1192, e, per quel che concerne le retribuzioni del
personale ferroviario da assumere a parametro di raffronto per le
retribuzioni del personale dipendente da imprese appaltatrici, dagli
artt. 3 l. 6 febbraio 1963 n. 45, 21 d.P.R. 21 aprile 1965 n. 373, e 32
d.P.R. 5 giugno 1965 n. 749, e che l’art. 6 l. 29 ottobre 1971 n. 880
disponeva per l’assunzione, in gestione diretta delle Ferrovie, di
taluni servizi ivi compreso quello cui era addetta la Casciato (n. 19
allegato) e per la conseguente assunzione del personale già dipendente
delle ditte appaltatrici (artt. 6 a 11), considero a) che in ogni caso
il testo normativo fondamentale per la disciplina degli appalti in
esame rimaneva il d.P.R. del 1961, b) che l’art. 8 l. 1369/1960
conferiva al Governo la delega ad emanare un decreto presidenziale
contenente norme relative alla disciplina dell’impiego di mano d’opera
negli appalti concessi fra l’altro dall’Amministrazione delle Ferrovie
“in conformità con le disposizioni di cui ai precedenti articoli,
tenendo conto delle esigenze tecniche delle amministrazioni stesse, e
salvaguardando gli interessi del personale dipendente delle imprese
fornitrici di mano d’opera” (direttiva applicabile anche al rapporto de
quo), c) che il rispetto delle esigenze tecniche, di cui l’art. 8
faceva parola, operava per le sole modalità operative con cui la
prestazione specificamente richiesta al dipendente dell’impresa
appaltatrice doveva concretamente svolgersi, e non anche per esoneri da
responsabilità delle amministrazioni appaltanti, d) che, invece,
l’art. 2 d.P.R. 1192/1961 escludeva le amministrazioni autonome dello
Stato dalla responsabilità solidale con gli imprenditori appaltatori
di cui all’art. 3 comma primo l.1369/1960, prevedendo l’obbligo di
inserzione nei contratti di appalto di “clausole che assicurino al
personale delle imprese il trattamento normativo ed economico previsto
dal contratto collettivo di lavoro vigente per la categoria durante
l’esecuzione dell’appalto” correlativamente dichiarando all’art. 3
d.P.R. 1192/1961 l’inapplicabilità dell’art. 6 u.c. l. 1369/1960 alle
amministrazioni medesime.
Nella duplice esclusione il Pretore ravvisò eccesso dalla delega
per ciò che il decreto presidenziale da un lato non rispettava
principi e i criteri direttivi della delega e dall’altro lato provocava
discriminazione di trattamento in ragione di un fatto occasionale
(qualità dell’appaltante) ed estraneo al rapporto di lavoro
considerato indebolendo e ingiustamente differenziando la pari tutela
del lavoratore che non cessava di essere dipendente subordinato. Di
qui, sempre a giudizio del Pretore, la rilevanza, ai fini della
risoluzione della controversia tra il Coppo e l’Azienda delle Ferrovie
e della individuazione del rito – se speciale del lavoro o ordinario –
da osservarsi, della questione di costituzionalità come sopra
prospettata.
3. – Avanti la Corte, non si è costituito il Coppo; hanno invece
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri e il
Ministro per i trasporti con unico atto depositato il 5 dicembre 1975,
nel quale l’Avvocatura generale dello Stato ha concluso per la
infondatezza della questione sul riflesso che I) nell’art. 8 l.
1369/1960 è da ravvisare la volontà del legislatore di consentire
l’adattamento del tutto razionale della legge delegante alle esigenze
di ordine strutturale in senso tecnico proprie delle Amministrazioni
autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato ecc., senza
ledere gli interessi dei dipendenti delle imprese appaltanti, II) più
incisivamente, la mancata ipotizzazione della responsabilità solidale
delle Amministrazioni con gli appaltatori non esonda dai limiti di
delega perché prevista per un limitatissimo numero di appalti di opere
e di servizi, III) l’art. 2 comma primo d.P.R. 1192/1961, ad ulteriore
salvaguardia degli interessi dei lavoratori, ha introdotto all’ultimo
comma l’obbligo per le Amministrazioni autonome di dare comunicazione
dei contratti di appalto ai competenti ispettorati del lavoro per la
vigilanza sugli adempimenti delle imprese appaltatrici nei confronti
dei loro dipendenti. Infine l’Avvocatura ha escluso il contrasto tra le
norme impugnate e gli artt. 3 per la diversità di situazioni
contemplate, 4 e 35 della Costituzione perché non viene inferta al
diritto al lavoro offesa.
4. – La discussione fissata per l’udienza del 20 maggio 1981 è
stata rinviata alla udienza dell’11 novembre 1981, nel corso della
quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione e l’avvocato dello
Stato Azzariti ha insistito nelle già prese conclusioni.
5. – Sebbene il giudice a quo e l’Avvocatura generale dello Stato,
intervenuta per il Presidente del Consiglio dei ministri e costituitasi
per il Ministro per i trasporti, non siansi fatti carico del problema,
non può la Corte esimersi dal verificare se le Camere abbiano
conferito con l’art. 8 l. 1369/1960 al Governo delega ad emanare
decreto avente valore di legge ordinaria, perché, sol se il dubbio sia
affermativamente sciolto, la questione prospettata dal Pretore è
ammissibile in questa sede (in tali sensi sent. 47/1963, 72, 73, 91 e
118/1968).
6. – Per l’art. 8 l. 23 ottobre 1960 n. 1369 “con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta congiunta dei Ministri per le
finanze, per i trasporti, per le poste e le telecomunicazioni e per il
lavoro e la previdenza sociale, entro sei mesi dall’entrata in vigore
della presente legge, saranno emanate le norme per la disciplina
dell’impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Amministrazioni
autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato e delle
poste e telecomunicazioni, in conformità con le disposizioni di cui ai
precedenti articoli, tenendo conto delle esigenze tecniche delle
Amministrazioni stesse e salvaguardando gli interessi del personale
dipendente delle imprese fornitrici di manodopera” (comma primo) e
“qualora non vengano emanate le norme di cui al precedente comma nel
termine ivi previsto, la presente legge troverà applicazione anche nei
confronti delle predette Amministrazioni autonome dello Stato” (comma
secondo).
L’art. 8 in una con non poche modifiche fu inserito, nella proposta
di legge approvata dalla Camera dei Deputati nella seduta del 15
ottobre 1959, dal Senato della Repubblica nella seduta del 14 luglio
1960 e le Commissioni permanenti IV e XIII della Camera così
giustificarono l’inserzione nella Relazione presentata alla Presidenza
il 6 ottobre 1960 (Atti parlamentari – Camera dei Deputati, n.
130-134-C): “Riteniamo che la delega data al Governo con l’art. 8
costituisca un notevole perfezionamento della legge e auspichiamo che,
nei termini previsti dalla delega stessa, avvenga la sistemazione delle
numerosissime situazioni difformi dal dettato della presente legge”.
Nondimeno i due commi dell’art. 8 convincono che la norma non
conferì al Governo delega ad emanare decreto avente valore di legge
ordinaria: da un lato, nel tessuto verbale della disposizione non si
avvertono verba che esprimano siffatta volontà perché le Camere si
sono limitate a conferire il potere di emanare norme senza far parola
della forza di legge che avrebbe dovuto in ipotesi rivestirle, e, per
altro verso, non hanno additato al Governo principi ma gli han fatto
obbligo di emanare norme conformi alle precedenti disposizioni –
nessuna esclusa – della legge tenendo conto delle esigenze tecniche
delle Amministrazioni e salvaguardando gli interessi del personale
dipendente dalle imprese fornitrici della manodopera. Né la
intitolazione della legge (divieto di intermediazione ed interposizione
nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di mano
d’opera negli appalti di opere e di servizi) fa verbo della delega di
cui all’art. 8.
In perfetta armonia con i dati ricavati del primo comma sta il
secondo comma dell’art. 8, il quale condiziona l’applicazione di tutta
la legge alle Amministrazioni autonome alla emanazione, da parte del
Governo, delle norme di cui al primo comma nel teimine di sei mesi
dalla entrata in vigore della legge.
In disparte il mancato richiamo degli artt. 76 e 77 Cost. nel
preambolo del d.P.R., la fissazione di termini per la prolazione di
questo e la carenza del parere del Consiglio di Stato per la
equivocità degli indizi a favore della natura di decreto legislativo
delegato del d.P.R. medesimo potrebbero gettar luce sulla frase della
Relazione delle Commissioni referenti della Camera, che si è
riportata, e, soprattutto, la procedura di approvazione diretta
adottata nel caso dalla Camera, che è richiesta dall’art. 72 ultimo
comma Cost. Peraltro è lecito replicare che tale procedura ben può
essere seguita anche per disegni di legge attrubutiva di potestà
regolamentare e che la frase della relazione per investire l’intera
materia della proposta ha carattere polisenso.
In tale guisa giudicando, la Corte rimane fedele all’orientamento
interpretativo manifestato con la sentenza 13 marzo 1974 n. 63 con cui
la dichiarazione di parziale illegittimità, per contrasto con l’art. 3
Cost., dell’art. 21 d.P.R. 21 aprile 1975 n. 373 sul conglobamento
dell’assegno temporaneo nello stipendio del personale statale fu tra
l’altro motivata con l’affermata natura regolamentare delle norme
contenute nell’art. 2 d.P.R. 1192/1961.
Risultato esegetico che non vincola ovviamente i giudici
competenti che saranno chiamati a scrutinare se i materiali normativi
che si sono passati in rassegna valgano a costruire un valido
regolamento pur privo di forza di legge.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità del combinato
disposto degli artt. 2 comma primo e 3 d.P.R. 22 novembre 1961 n. 1192
sollevata, in relazione all’art. 76 Cost. e 8 legge 23 ottobre 1960 n.
1369, nonché in relazione agli artt. 3, 4, 35 comma primo Cost., con
ordinanza 24 giugno 1975 del Pretore di Torino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1981.
F.to: LEOPOLDO ELIA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – FRANCESCO SAJA.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere