Sentenza N. 206 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1971
Data deposito/pubblicazione
28/12/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1971
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
306, 408 e 422 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze
emesse il 21 gennaio 1970 dal pretore di Napoli nel procedimento penale
a carico di Moesch Vittorio e Demata Olga ed il 14 gennaio 1970 dal
tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Merlanzoli
Carmelino, iscritte ai nn. 78 e 85 del registro ordinanze 1970 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 del 1 aprile
1970.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 1971 il Giudice
relatore Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Vittorio
Moesch e di Olga Demata, imputati, rispettivamente, di sottrazione e di
agevolazione colposa a sottrazione di beni pignorati dall’Esattoria
comunale di Napoli “Gestione Gerit”, il pretore di quella città, con
ordinanza del 21 gennaio 1970 – dopo aver precisato che l’Esattoria,
sebbene fosse da considerare danneggiata dai reati, non era stata
citata in giudizio per non avere assunto alcuna delle qualità
processuali previste dall’art. 408 del codice di procedura penale –
riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di
legittimità costituzionale dello stesso art. 408, nella parte in cui
non prevede la citazione del danneggiato dal reato che non sia,
contemporaneamente, parte civile già costituita o parte offesa o
querelante o denunziante, e, conseguentemente, del successivo art. 422,
nella parte in cui consente la sanatoria della nullità comminata
dall’art. 412 dello stesso codice.
Sulla non manifesta infondatezza della questione, il pretore
osserva che il danneggiato dal reato, il quale non abbia alcuna delle
accennate qualifiche, non è sufficientemente tutelato dall’avviso di
procedimento – la cui omissione non è sanzionata da nullità – ai fini
del tempestivo esercizio, nel processo penale, dell’azione civile. La
quale, invece, è ora, dopo la sentenza n. 132 del 1968 di questa
Corte, pienamente garantita alle persone che rivestano una delle
qualifiche su indicate. Da ciò, secondo il pretore, deriverebbe il
contrasto delle disposizioni censurate, non solo con il diritto di
difesa di cui all’art. 24 Cost., bensì pure con il principio di
uguaglianza, per la disparità di trattamento tra le anzidette
categorie di soggetti e quella degli altri danneggiati, sebbene tutti
abbiano lo stesso interesse ad essere chiamati nel processo penale, per
potervi esercitare l’azione civile.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non si sono costituite le parti
private.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto con atto
depositato il 15 aprile 1970, chiedendo che la questione sia dichiarata
non fondata.
Dopo aver richiamato la citata sentenza n. 132 del 1968 di questa
Corte ed i suoi precedenti dottrinali e giurisprudenziali, l’Avvocatura
prospetta le differenze sostanziali sussistenti, a suo avviso, tra i
concetti di offeso, di danneggiato di parte civile.
Al riguardo deduce che, secondo la prevalente dottrina, la “parte
offesa” – menzionata in parecchie disposizioni, ma non legislativamente
definita – tenderebbe ad identificarsi con il soggetto passivo del
reato, e cioè con il titolare dell’interesse specificamente tutelato
dalla relativa norma incriminatrice, e si distinguerebbe dal
danneggiato dal reato. Fa, poi, presente che, mentre nell’abrogato
codice di rito, proprio mediante la individuazione della persona offesa
si perveniva a fissare uno dei requisiti di legittimazione
all’esercizio dell’azione civile, nel codice vigente si fa, invece,
espresso riferimento, per tale legittimazione, alla “persona alla quale
il reato ha recato danno” (art. 22 cod. proc. pen.). Terminologia, per
altro, che non è stata seguita con una costanza così assoluta da far
ritenere abbandonata la disciplina tradizionale: e ciò anche perché,
sotto l’imperio dell’attuale codice, si sarebbe affermata la
separazione tra danno risarcibile ed offesa criminale.
Ciò premesso, l’Avvocatura riconosce che la tesi ora prospettata
non è inoppugnabile, data l’ampia formula che l’articolo 185 cod. pen.
adotta per sancire l’obbligo delle restituzioni e del risarcimento.
Esclude, però, che da tale obbligo e da quello dell’accertamento della
misura del danno – ove sia possibile – (art. 489, secondo comma, cod.
proc. pen.) possano desumersi argomenti che inducano ad imporre al
giudice la citazione a giudizio del danneggiato dal reato, sfornito
della qualità di persona offesa e non ancora costituitosi parte
civile, data la diversità delle rispettive situazioni giuridiche. Il
soggetto passivo – o persona offesa – sarebbe, infatti, un
contraddittore necessario dell’imputato e, quindi, parte del processo
ancor prima della costituzione di parte civile, mentre il danneggiato
acquisirebbe garanzie processuali ed acquisterebbe la qualità di parte
solo dopo l’anzidetta costituzione e condizionatamente alla validità
di questa.
D’altronde, secondo l’Avvocatura, “il principio del contraddittorio
sancito dall’art. 24 Cost. non coinvolge il danneggiato che non sia
soggetto passivo del reato né sia costituito parte civile”: il danno
da lui risentito – se non accertato ai fini penali (art. 299 cod. proc.
pen.) – resterebbe ignoto e non può essere addossato al giudice il
compito di individuarlo né di sollecitare l’iniziativa di chi lo abbia
subito.
La citazione a giudizio del danneggiato – conclude l’Avvocatura –
contrasterebbe con le regole della disponibilità dell’azione civile e
con l’accessorietà del relativo rapporto, mentre l’avviso di
procedimento sarebbe, nella specie, una misura sufficiente di garanzia.
2. – Il tribunale di Milano, nel corso di un procedimento penale
per omicidio colposo a carico di Carmelino Merlanzoli – dopo aver
rilevato che la moglie della vittima, parte offesa dal reato, a seguito
della citazione a giudizio si era ritualmente costituita parte civile,
ma non aveva potuto esercitare il suo diritto nella fase istruttoria,
per il fatto di ignorare l’esistenza del procedimento suddetto, anche a
motivo del mancato avviso di cui alla legge 5 dicembre 1969, n. 932 –
con ordinanza del 14 gennaio 1970, riteneva rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale,
in riferimento all’art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione,
dell’art. 306 cod. proc. pen., nella parte in cui, attribuendo alla
persona offesa dal reato talune facoltà, esclude ogni altro diritto
nel procedimento in fase istruttoria, ivi compreso quello alla
citazione ovvero all’avviso del procedimento penale con l’indicazione
dell’autorità procedente, e dell’art. 185 cod. proc. pen., nella parte
in cui non prevede quale nullità insanabile per la fase istruttoria
l’inosservanza di una disposizione che statuisce l’obbligo della
citazione o dell’avviso sopra indicati.
Sulla non manifesta infondatezza della questione, il tribunale si
richiama ai principi affermati con la sentenza n. 132 del 1968 di
questa Corte ed assume che la mancata previsione, per la fase
istruttoria, della citazione e dell’avviso di procedimento, si
tradurrebbe nell’impossibilità, per la parte offesa (e per il
querelante ecc.) di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, per
tutto il tempo in cui il procedimento si trova in tale fase.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di
parte.
1. – Le due ordinanze (del pretore di Napoli e del tribunale di
Milano), pur non avendo lo stesso oggetto, sollevano questioni che
attengono alle guarentigie processuali del danneggiato da reato, che
non sia costituito parte civile o non sia persona offesa o querelante o
denunziante; e, rispettivamente, a quelle della persona offesa, nella
fase istruttoria: i giudizi possono, quindi, essere riuniti e definiti
con unica sentenza.
2. – La questione proposta dal pretore di Napoli concerne gli artt.
408 e 422 (in relazione all’art. 412) del codice di procedura penale,
che si assumono illegittimi in quanto non richiedono, a pena di
nullità assoluta, la citazione in dibattimento del danneggiato che non
rivesta alcuna delle qualifiche indicate nell’art. 408.
Nei termini in cui è stata prospettata, la censura non ha
fondamento.
L’art. 185 del codice penale statuisce che ogni reato che abbia
cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga – oltreché
alle restituzioni – anche al risarcimento a carico del colpevole e
delle persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per
il fatto di lui. È da osservare, però, che trattasi di norma di
diritto sostanziale, alla quale non fa riscontro, nel codice di rito,
una coincidente normativa processuale: e ciò alla stregua delle
esigenze di concentrazione e di speditezza del processo penale, che
sarebbe gravemente appesantito dalla moltiplicazione delle parti
civili. E, altresì, alla stregua dello stesso carattere di supremazia
– per la sua funzione pubblicistica – di tale processo, già affermata
da questa Corte (da ultimo, nella sentenza n. 190 del 1971), che ha
indotto il legislatore a non richiedere, a pena di nullità, la
difficile ricerca individuale di eventuali danneggiati (per i quali il
pregiudizio può anche non essere di carattere patrimoniale: art. 185,
secondo comma, cod. pen. e art. 2059 cod. civ.) e a limitare l’obbligo
della citazione al dibattimento per l’offeso, per il querelante, per il
denunziante e, tra i danneggiati, per quelli che si siano costituiti
parte civile (art. 408, secondo comma, cod. proc. pen.).
Che l’art. 22 cod. proc. pen. attribuisca ad ogni danneggiato la
facoltà di costituirsi parte civile, non significa che chi non siasi
avvalso di tale facoltà acquisisca quei diritti che gli sarebbero
riconosciuti se gli competesse, a seguito della costituzione, il ruolo
di parte (o se si trattasse di chi, quale querelante o denunziante,
abbia dato avvio al processo, o di chi, quale direttamente offeso dal
reato, sia un contraddittore dell’imputato).
Giustificata così la diversità di trattamento, è da escludersi
la violazione dell’art. 3 della Costituzione.
La scelta legislativa ha una sua coerenza, perché è indubitabile
che, nell’economia del processo penale e per il raggiungimento degli
scopi di questo, ben diversa è l’importanza dell’offeso dal reato, del
querelante o del denunziante, e quella del semplice civilmente
danneggiato: l’offeso dal reato, il querelante e il denunziante sono
normalmente in grado di offrire un contributo all’accertamento della
verità dei fatti e al convincimento del giudice; il semplice
danneggiato lamenta il pregiudizio che ha sofferto e ne rivendica il
ristoro, al di fuori della dialettica del processo.
Né il sistema prescelto viola l’art. 24 Cost.: non il primo comma,
perché a nessuno che abbia sofferto un danno (diretto e immediato) dal
reato, è sottratto il diritto di far valere le proprie ragioni nel
processo penale (vigilantibus iura succurrunt); non il comma
successivo, perché la costituzione di parte civile consente sia la
difesa svolta personalmente, sia la difesa tecnica. Per di più,
l’efficacia riflessa del giudicato penale abilita il danneggiato ad
avvalersi, a proprio vantaggio, del dictum giudiziario (a meno che sia
risultato che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso
o che il fatto fu commesso nell’adempimento di un dovere o
nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero che non è sufficiente
la prova che il fatto sussista o che l’imputato l’abbia commesso: art.
25 cod. proc. pen.; vedi anche art. 27, primo comma, stesso codice).
Non è che il sistema sia perfetto (ad alcuni inconvenienti, per
altra via, questa Corte ha già ovviato: sentenza n. 55 del 1971), ma
ciò è conseguenza della compenetrazione dell’azione civile nel
processo penale, adottata dalla nostra legislazione, e della stessa
funzione subordinata e sussidiaria, nel rapporto processuale penale,
attribuita alla parte civile.
3. – Dalla premessa che i danneggiati, non altrimenti qualificati,
non rientrano di per sé nella nozione di parte privata (se non dopo
che siansi costituiti parte civile) discende che non può imporsi al
giudice l’individuazione di ciascuno di essi, come non può imporglisi
(tanto meno a pena di nullità) di disporne la citazione in giudizio.
4. – Per le stesse ragioni, non è essenziale al processo l’avviso
di procedimento a tutti i danneggiati: soddisfa alle esigenze volute
dall’art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, sostitutivo dell’art.
304 cod. proc. pen., e non contrasta con i precetti costituzionali, la
notificazione effettuata ai soli danneggiati cogniti: “tutti coloro che
possono assumere la qualità di parte privata” (art. 8, secondo comma,
legge su citata) sono quelli, e soltanto quelli, che tali risultano
allo stato degli atti o che successivamente vengono a risultare.
5. – Quanto al dubbio di costituzionalità degli artt. 306 e 185
cod. proc. pen., avanzato dal tribunale di Milano, per eventuale
contrasto con l’art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, è
da premettere che l’art. 306 conferisce alla persona offesa anche non
costituita parte civile delle limitate facoltà, nel corso
dell’istruzione, dirette all’accertamento della verità, senza altri
diritti nel procedimento; e, altresì, che il denunziato art. 185 cod.
proc. pen. non concerne la parte civile, bensì riguarda le nullità
attinenti alla capacità del giudice, all’iniziativa e all’intervento
del pubblico ministero e all’intervento, assistenza e rappresentanza
dell’imputato.
D’altronde, questa Corte, con sua sentenza n. 136 del 1968,
dichiarando infondata la questione relativa alla non impugnabilità
della costituzione di parte civile in sede di istruttoria sommaria, ha
già accolto il principio che il contraddittorio tra imputato e parte
civile non si instaura nella fase istruttoria, bensì nel dibattimento
(artt. 98, 99 e 100 cod. proc. pen.).
Principio non smentito dalla diversa disciplina statuita per
l’istruzione formale dall’art. 97 cod. proc. pen., che prevede la
opposizione del pubblico ministero o dell’imputato alla costituzione di
parte civile e la relativa decisione del giudice istruttore, dappoiché
per il sesto comma dello stesso art. 97, la costituzione di parte
civile può venire esclusa, pur se prima – durante l’istruzione – era
stata ammessa; e, per l’art. 99 cod. proc. pen., “la costituzione di
parte civile può essere dichiarata inammissibile dal giudice anche
d’ufficio con ordinanza in qualsiasi stato del procedimento di primo
grado, prima dell’inizio della discussione finale nel dibattimento”
(eccezioni alla cosiddetta immanenza della parte civile).
Né disdice al criterio della provvisorietà della costituzione di
parte civile (sino alle soglie della discussione finale di primo grado)
la superstite validità degli atti dell’istruzione e del giudizio, se
in qualunque stato e grado del procedimento detta costituzione venga
dichiarata nulla (art. 100, terzo comma, cod. proc. pen.), essendo tale
validità conforme alla natura del processo penale, che esige la
utilizzazione degli elementi acquisiti al processo ai fini del
soddisfacimento della pretesa punitiva, che è relativamente autonoma
rispetto alla pretesa risarcitoria (e restitutoria), siccome emerge dal
disposto dell’art. 100, secondo comma, del codice di procedura penale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 408 e 422 del codice di procedura penale, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, e degli articoli 306 e 185 dello
stesso codice, in riferimento all’art. 24 della Costituzione,
rispettivamente sollevate con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1971.
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.