Sentenza N. 209 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
03/08/1976
Data deposito/pubblicazione
03/08/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
1942, n. 907 e successive modifiche contenute nella legge 3 gennaio
1951, n. 27, relativa al monopolio di Stato sui tabacchi, promosso con
ordinanza emessa il 13 febbraio 1974 dalla Corte d’appello di Catanzaro
nel procedimento penale a carico di Di Masi Giuseppe ed altri, iscritta
al n. 466 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 3 del 3 gennaio 1975.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 1976 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel procedimento penale a carico di Giuseppe Di Masi, Antonio
Serugli, Giuseppe Mesiano, Pasquale Calabria ed Elisabetta Mancari, su
eccezione della difesa degli imputati, la Corte d’appello di Catanzaro,
con ordinanza del 13 febbraio 1974, ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 45 e segg. della legge 17
luglio 1942, n. 907, modificata con la legge 3 gennaio 1951, n. 27, in
riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione.
Posto che “l’art. 41 della Costituzione sancisce la libera
iniziativa privata nel campo economico, con limiti stabiliti dal
successivo art. 43, alla cui stregua la legge, ai fini di utilità
generale, può riservare originariamente o trasferire allo Stato
servizi pubblici essenziali o fonti di energia o situazione di
monopolio aventi carattere di preminente interesse generale”, il
giudice a quo ha ritenuto “rilevante per l’esito del processo” e non
manifestamente infondata la questione, perché la produzione e la
vendita dei tabacchi “esercitata dallo Stato in regime di monopolio non
possono considerarsi un servizio pubblico essenziale, né una fonte di
energia, né sono dirette a soddisfare una situazione di preminente
interesse generale, avente finalità meramente fiscali, che possono
essere altrimenti raggiunte”.
2. – Comunicata, notificata e pubblicata l’ordinanza, davanti a
questa Corte non si è costituita alcuna delle parti.
Ha invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri che, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto
che la questione sia dichiarata non fondata.
Con l’atto di intervento la difesa dello Stato ha preliminarmente
dedotto che nell’ordinanza non sarebbe sufficientemente specificato
l’oggetto del giudizio di costituzionalità, perché il giudice a quo
non avrebbe indicato in relazione a quale delle riserve monopolistiche
impugnate la questione potesse dirsi rilevante; e che perciò
apparirebbe necessaria una più puntuale specificazione dell’oggetto.
Ha poi sostenuto, passando all’esame del merito:
– che il monopolio dei tabacchi costituisce l’esempio tipico dei
monopoli fiscali cioè dei monopoli di diritto, creati per legge allo
scopo di conseguire entrate finanziarie per un ente pubblico (nella
specie, lo Stato), da destinare al soddisfacimento di pubblici bisogni;
– che le finalità essenzialmente fiscali dell’istituzione del
monopolio dei tabacchi si desumono in base a canoni della scienza
economica e finanziaria e sono espressamente affermate da varie leggi;
– che ai monopoli fiscali è inoltre attribuito particolare rilievo
giuridico dall’art. 90 del Trattato istitutivo della Comunità
economica europea;
– che a detti monopoli fiscali, secondo la prevalente dottrina, non
sono applicabili le limitazioni poste dagli artt. 41 e 43 della
Costituzione in favore dell’iniziativa economica privata, e che la
legittimità costituzionale di tali monopoli vada piuttosto verificata
in relazione ai precetti posti dagli articoli 23 e 53 della
Costituzione: l’obbligo di astenersi dall’esercitare una data
attività economica, quando sia imposto allo scopo di permettere allo
Stato, con l’esercizio del monopolio, il conseguimento di una entrata,
è un obbligo tributario, ed il divieto, da canto suo, viene imposto
dallo Stato nell’esercizio della potestà di imposizione tributaria;
diverso è il potere (dello Stato) di riforma dei rapporti economici
che con l’articolo 43 si è voluto disciplinare e non rileva che per il
suo esercizio possono anche essere utilizzati strumenti già creati per
l’esercizio della potestà tributaria.
A sostegno della sua tesi l’Avvocatura generale dello Stato ha
svolto anche considerazioni di carattere storico, osservando che il
monopolio fiscale, ed in particolare quello fondamentale del tabacco,
costituisce uno dei più antichi esempi di imprese pubbliche
considerate un tempo strumento di carattere essenzialmente tributario,
e da tempo ha acquistato particolarissima importanza dal punto di vista
economico; che non è quindi pensabile che il costituente abbia potuto
obliterare il problema della legittimità, nel nuovo ordine
costituzionale, del monopolio dei tabacchi, né tanto meno che ne abbia
voluto decretare l’eliminazione dal nostro ordinamento; e che il
dibattito circa la formulazione dell’art. 43 è stato molto ampio ed
approfondito e per ciò la mancanza di qualsiasi accenno, nei lavori
parlamentari, al problema dei monopoli fiscali è chiara manifestazione
che il costituente non volle affrontare, né comunque pregiudicare, in
quella sede, il problema stesso.
Si è poi preoccupata di contestare la validità della tesi secondo
cui nella sentenza n. 78 del 1970 di questa Corte sarebbero contenute
affermazioni contrarie alla legittimità costituzionale dei monopoli
fiscali, ed ha sostenuto che da quella sentenza possa anzi desumersi il
principio che l’esistenza di valide ragioni fiscali giustifica la
limitazione per legge della libertà di iniziativa economica.
La difesa dello Stato ha ancora osservato che nella specie non è
consentito vagliare la congruità dello strumento monopolistico
adottato rispetto al fine tributario perseguito dalla legge,
trattandosi di problema di politica tributaria; e in subordine, che il
monopolio dei tabacchi costituisce una delle fondamentali fonti della
pubblica entrata, e che a fronte della particolarissima importanza
economica del tributo sta la grande diffusione, facilitata dalla natura
stessa del prodotto, dell’evasione tributaria.
Ed infine, ferma rimanendo la natura fiscale del monopolio dei
tabacchi, ha rilevato che la gestione monopolistica da parte dello
Stato permette il perseguimento anche di fini di interesse generale,
sicché la limitazione imposta alla libera iniziativa può dirsi ora
giustificata anche in base ai canoni stabiliti dall’art. 43. Con il
monopolio, a tutela della salute, si sottraggono la produzione e la
vendita del tabacco all’incontrollata speculazione; si evita la
formazione inevitabile di monopoli o quanto meno di oligopoli privati;
la produzione non è concentrata in pochi stabilimenti; è assicurata
la protezione della tabacchicoltura nazionale e si è potuto
organizzare la vendita del prodotto in base a criteri rispondenti ad
esigenze di utilità generale piuttosto che al perseguimento del
massimo profitto.
Con la memoria (unica, per questo giudizio e per altri fissati per
la stessa udienza del 28 gennaio 1976), l’Avvocatura generale dello
Stato, in punto di rilevanza, ha eccepito che dopo l’entrata in vigore
della legge 10 dicembre 1975, n. 724, qualunque possa essere la
sentenza di questa Corte sulla legittimità costituzionale del
monopolio dei tabacchi, gli imputati nel processo a quo, se saranno
riconosciuti colpevoli, dovranno essere puniti con le pene previste
dalla legge doganale e non con quelle, più gravi, già previste dalla
legge n. 27 del 1951. E nel merito ha richiamato e svolto le ragioni a
sostegno della non fondatezza della questione.
3. – All’udienza del 28 gennaio 1976 la causa è stata trattata
unitamente a tutte le altre sopra ricordate, e per il Presidente del
Consiglio dei ministri il sostituto avvocato generale dello Stato
Giorgio Azzariti ha insistito nelle precedenti conclusioni.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di
Catanzaro solleva, in riferimento agli artt. 41 e 43 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt.
45 e seguenti della legge 17 luglio 1942, n. 907, modificata con la
legge 3 gennaio 1951, n. 27.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del
Consiglio dei ministri, eccepisce l’inammissibilità della questione
per difetto di rilevanza. Assume nell’atto di intervento che l’oggetto
del giudizio di costituzionalità non sia sufficientemente specificato
e che ciò non consenta l’individuazione della riserva monopolistica e
della normativa (denunciata) che la riguardi. E con la memoria insisté
nella tesi ed esclude in generale che la rilevanza sussista dopo
l’entrata in vigore della legge 10 dicembre 1975, n. 724.
In contrario è però possibile notare, solo che si tenga presente
l’imputazione di cui al procedimento penale a quo (violazione: degli
artt. 624 e 625, n. 2 e 5, e 61, n. 7 del codice penale; dell’art. 73
della legge 907 del 1942, e degli artt. 1 e 4 della legge n. 27 del
1951) e cioè si consideri che la Corte d’appello di Catanzaro è
chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità penale dei prevenuti per
avere “sottratto al monopolio dei tabacchi le entrate relative ad un
quantitativo di sigarette nazionali di cui si erano impossessati”, che,
se da un canto rimangono fuori dal campo di incidenza dell’emittenda
pronuncia da parte di questa Corte le norme relative alle riserve
attinenti all’importazione o introduzione di tabacchi lavorati nel
territorio soggetto a monopolio ed alla fabbricazione e preparazione
dei tabacchi in detto territorio, vi rientrano certamente le norme di
cui agli artt. 45 e seguenti della legge n. 907 del 1942 ed alla legge
n. 27 del 1951 che riservano allo Stato la vendita dei tabacchi.
D’altra parte va constatato che sulla sopra richiamata imputazione
non può influire la legge n. 724 del 1975 e segnatamente il disposto
dell’art. 7 di essa, dato che nella specie, in ordine al reato
contestato, non sono ipotizzate né sulla base degli atti sono
ipotizzabili, violazioni della legge doganale (legge 25 settembre 1940,
n.1424 e d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43).
Deve per ciò, concludersi per la rilevanza della questione.
3. – Si assume dal giudice a quo che “la produzione e la vendita
dei tabacchi… non possono considerarsi un servizio pubblico
essenziale, né una fonte di energia, né sono dirette a soddisfare una
situazione di preminente interesse generale, avendo finalità meramente
fiscali, che possono essere altrimenti raggiunte”; e si deduce da ciò
il contrasto delle norme denunciate con gli artt. 41 e 43 della
Costituzione.
La questione, valutata nei limiti in cui è rilevante e nei sensi
in cui è proposta, non appare fondata.
4. – La riserva allo Stato della vendita dei tabacchi (entro
l’ambito segnato dal disposto degli artt. 1 e segg. della legge n. 724
del 1975 e della loro concreta applicazione), come ogni altra riserva
vigente ed operante nel settore, trova la sua fonte e base in una
legislazione che, tranne per il quindicennio 1869-1883, si è
sviluppata sostanzialmente su una medesima linea nell’arco di oltre un
secolo. Durante tale lungo periodo, infatti, a cominciare dalla legge
13 luglio 1862, n.710, con la quale le diverse discipline di legge sul
monopolio e sulle gabelle dei tabacchi furono fuse ed unificate ed allo
Stato italiano vennero riservati la fabbricazione e lo spaccio dei
tabacchi, e fino ai provvedimenti legislativi (decreto legge 30
novembre 1970, n. 870 e legge – di conversione con modifiche – 27
gennaio 1971, n. 3) con cui è stato liberalizzato il settore del
tabacco greggio, ed alla recente legge n. 724 del 1975, con cui è
implicitamente dichiarata cessata la riserva di importazione nel
territorio della Repubblica dei tabacchi lavorati di provenienza dai
paesi delle Comunità economiche europee, l’istituzione e la
conservazione del monopolio statale dei tabacchi hanno avuto luogo per
il perseguimento di fini pubblici, di vario e complesso contenuto e
caratteristicamente consistenti nell’assicurazione di entrate
tributarie, nella salvaguardia della salute pubblica e nell’occupazione
dei lavoratori, di date categorie e in date zone del territorio
nazionale.
E tali fini sono in atto esistenti.
La riserva allo Stato della distribuzione e vendita dei tabacchi,
infatti, si risolve in servizi che sono disimpegnati dagli ispettorati
compartimentali dei monopoli di Stato, dai depositi, dai magazzini di
vendita e dalle rivendite di Stato, ordinarie e speciali (e dai
concessionari a mezzo di patentini) (legge 22 dicembre 1957, n. 1293 e
d.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074), e l’attività relativa è diretta al
conseguimento di un’entrata tributaria, per un importo pari, in
relazione all’unità di prodotto, alla differenza tra il prezzo di
vendita e l’ammontare delle quote spettanti al fornitore (che può
essere la stessa azienda di Stato o un esportatore straniero),
all’amministrazione dei monopoli di Stato (per le spese di
distribuzione) e al rivenditore (a titolo di aggio), e nel complesso,
di un provento maggiore di quello che lo Stato stesso avrebbe potuto e
potrebbe conseguire in regime di libera concorrenza.
In secondo luogo, posto che il consumo del tabacco, nonostante che
ripetutamente e sistematicamente ne sia stata e ne venga messa in
evidenza la nocività all’organismo umano, risulta essere un fatto
permanente ed in aumento, lo Stato considera realisticamente il
fenomeno, preoccupandosi di non favorirne l’incremento (ed a tal fine
imponendo nel settore il divieto di pubblicità); e, dopo avere
previsto ed attuato accorgimenti e metodi perché il prodotto abbia il
più basso tasso nicotinico (compatibile con la domanda) e sia
confezionato con filtri a sempre più elevato potere di assorbimento,
lo custodisce e distribuisce all’ingrosso e al dettaglio nelle più
favorevoli ed igieniche condizioni (soggettive ed oggettive) e d’altra
parte dispone che il consumo avvenga con il minor danno per la
collettività (non consentendo, con la legge 12 marzo 1968, la vendita
di sigarette sciolte e imponendo, con la recente legge 11 novembre
1975, n. 584, il divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di
trasporto pubblico).
Ed infine, attraverso il compimento della detta attività di
impresa, trovano tutela esigenze di ordine sociale, oltre che nella
fase della produzione (con la specializzazione, a vario livello, di
numeroso personale e con il mantenimento e la creazione delle
condizioni di gestione richiedenti un elevato impiego di mano d’opera),
in quella della distribuzione (come risulta sin dalla legge 12 luglio
1908, n. 441, sulle rivendite di generi di privativa, ed ancor meglio,
ed in atto, dalla citata legge n. 1293 del 1957, sull’organizzazione
dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio, e dal
relativo regolamento di esecuzione, e successive modificazioni).
5. – La riserva allo Stato della distribuzione e vendita dei
tabacchi trova nella legge n. 724 del 1975 un notevole condizionamento
ed una sostanziale limitazione. È, infatti. ammessa l’importazione nel
territorio della Repubblica di tabacchi lavorati di provenienza dai
paesi delle Comunità economiche europee, destinati ad essere
introdotti in depositi di distribuzione all’ingrosso, diversi da quelli
dell’amministrazione dei monopoli di Stato (e da istituirsi su
autorizzazione dell’amministrazione finanziaria), e però la vendita al
pubblico dei tabacchi lavorati, così importati, deve essere effettuata
con i sistemi di cui all’art. 16 della citata legge n. 1293 del 1957, e
successive modificazioni.
E l’attuale disciplina della specifica materia è soggetta a
modifiche. In base al Trattato che istituisce la Comunità economica
europea gli Stati membri avrebbero dovuto procedere ad un progressivo
riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, al fine
della realizzazione di un effettivo mercato comune in tutti i settori
produttivi; e per quel che riguarda i tabacchi manifatturati, l’Italia,
come la Francia. avrebbe dovuto modificarne il regime di monopolio
anche con riferimento alla fase della distribuzione e della vendita,
entro i limiti in cui l’applicazione delle norme comunitarie non fosse
stata d’ostacolo all’adempimento in via di diritto e di fatto delle
specifiche missioni ad essi monopoli affidate ed in particolare di
quella (di solito non isolata) di carattere fiscale.
Ora la normativa vigente in materia di distribuzione e vendita dei
tabacchi non appare in contrasto con gli artt. 43 e 41 della
Costituzione.
Per il passaggio dalla situazione di totale monopolio del settore a
quella di totale liberalizzazione dello stesso, è inevitabile una fase
intermedia e provvisoria in cui si possano modificare le strutture
della rete di distribuzione e vendita per adeguarle alle nuove esigenze
ed in cui l’attività relativa risulta rivolta in modo essenziale al
perseguimento di rilevanti fini pubblici.
È consentito, quindi, ravvisare nella specie presupposti, mezzi e
fini propri di un servizio pubblico essenziale.
D’altra parte, per quanto sopra detto, non mancano fini di utilità
generale e l’impresa che tende a conseguirli ha preminente interesse
generale.
Riconosciuta la mancanza di un contrasto con l’art. 43 della
Costituzione, della normativa in questione, la stessa non risulta posta
in violazione del precedente art. 41: la questione relativa è
sostanzialmente superata, dato che, ammessa, per la sua transitorietà,
la possibilità che permanga l’impresa di distribuzione e vendita dei
tabacchi, rimane assorbito e comunque giustificato ogni limite, in
quanto temporaneo, alla iniziativa economica privata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 45 e seguenti della legge 17 luglio 1942, numero 907 (legge
sul monopolio del sale e dei tabacchi), modificata con la legge 3
gennaio 1951, n. 27 (modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907
sul monopolio del sale e dei tabacchi), questione sollevata, in
riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Catanzaro con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere