Sentenza N. 21 del 1978
Corte Costituzionale
Data generale
20/03/1978
Data deposito/pubblicazione
20/03/1978
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/03/1978
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof.
LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
il 7 luglio 1977 dall’Assemblea regionale siciliana recante “Norme
sullo stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione
regionale”, promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la
Regione Sicilia, notificato il 15 luglio 1977, depositato in
cancelleria il 22 successivo ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi
1977.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sicilia;
udito nell’udienza pubblica del 20 dicembre 1977 il Giudice
relatore Leopoldo Elia;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il ricorrente, e l’avv. Salvatore Villari, per la Regione.
Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugnava con
ricorso in data 15 luglio 1977, notificato lo stesso giorno, la legge
approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta pomeridiana
del 7 luglio 1977 contenente norme sullo stato giuridico ed economico
del personale dell’amministrazione regionale. Tale legge, prevedendo
aumenti nello stipendio, nella pensione e negli assegni vitalizi,
avrebbe accresciuto ulteriormente ed oltre ogni ragionevole limite il
divario rispetto al personale dello Stato, con ciò violando il
principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) ed il principio di
proporzionalità fra lavoro e trattamento retributivo (art. 36 Cost.).
Osservava infatti il ricorrente che la Regione ha concesso un
aumento di lire 23.000 mensili al personale che da essa dipende ed
ulteriori agevolazioni nel computo di servizi in precedenza prestati su
retribuzioni già di gran lunga superiori a quelle del corrispondente
personale dello Stato ed indicava alcuni esempi di diverso livello
retributivo (il consigliere dell’amministrazione statale gode di uno
stipendio annuo di lire 4.292.124, mentre il dirigente regionale –
grado iniziale della carriera direttiva – percepisce uno stipendio
annuo di lire 5.423.244; il direttore di sezione statale percepisce,
dopo cinque anni di anzianità, uno stipendio annuo di lire 5.342.118,
mentre il dirigente regionale con eguale anzianità di servizio
percepisce uno stipendio annuo di lire 7.009.392, etc.).
Osservava inoltre che l’aumento di lire 23.000 mensili al personale
regionale in stato di quiescenza accresceva il divario rispetto
all’analogo trattamento del personale statale: il primo gode infatti di
un assegno superiore al 100% dell’ultima retribuzione dopo 35 anni di
servizio, mentre il secondo di un assegno pari al 94,40 % dell’ultima
retribuzione dopo 40 anni di servizio.
Vero è che alla Regione siciliana è riconosciuta in materia di
stato giuridico ed economico dei propri impiegati e funzionari una
competenza legislativa primaria (art. 14, lett. q, dello Statuto
regionale); ma ciò non permette – ad avviso del ricorrente – di
ritenere che la Regione possa riservare ad libitum ai propri dipendenti
un trattamento di gran lunga sovrastante la piattaforma retributiva
riservata al personale dello Stato. Il perseguimento di una
perequazione retributiva di tutti i dipendenti pubblici, a parità di
qualifiche ed a prescindere dall’amministrazione di appartenenza,
sarebbe infatti uno dei principi fondamentali affermati dalla più
recente legislazione statale (artt. 25 e 35 legge n. 70 del 1975; art.
9 legge n. 382 del 1975).
La normativa impugnata conterrebbe ulteriori e più specifici vizi
di costituzionalità. L’art. 3, innanzi tutto, stabilendo nel primo
comma che non si applica, con decorrenza dal 1 gennaio 1976, al
personale regionale di ruolo la riduzione di anzianità prevista dai
primi tre periodi dell’art. 75, secondo comma, legge regionale
siciliana n. 7 del 1971 e dall’art. 5 legge regionale siciliana n. 34
del 1974 e stabilendo nel terzo comma che tale riduzione non si applica
al personale transitato in qualifiche superiori in virtù di
provvedimento avente efficacia anteriore al 1 gennaio 1976, con
decorrenza dal giorno precedente la data del provvedimento,
introdurrebbe una differenza normativa del tutto carente di
giustificazione e, dunque, violerebbe il principio di eguaglianza; la
norma medesima violerebbe anche i principi di imparzialità e buon
andamento della pubblica amministrazione perseguendo un obiettivo di
soddisfacimento degli interessi individuali di determinati funzionari e
non un fine di utilità generale.
L’art. 4 della legge impugnata poi, nel riconoscere il servizio
prestato ai sensi dell’art. 4 legge regionale 14 aprile 1967, n. 47 e
della legge regionale 25 luglio 1969, n. 25 ed il servizio prestato a
qualsiasi titolo presso uffici centrali e periferici
dell’amministrazione regionale ma non il servizio prestato presso
amministrazioni statali, creerebbe una irragionevole differenza
normativa e, dunque, violerebbe sotto questo ulteriore profilo il
principio di eguaglianza.
2. – Si costituiva la Regione chiedendo il rigetto del ricorso.
Assumeva essere inconferenti le norme invocate da controparte, dato che
la legge n. 70 del 1975 espressamente farebbe salva la competenza
primaria delle regioni in materia di stato giuridico ed economico del
proprio personale e la legge n. 382 del 1975 sarebbe applicabile
unicamente alle regioni a statuto ordinario.
Solo obliterando il senso della competenza esclusiva riconosciuta
in materia alla Regione siciliana e dimenticando l’entità delle
sperequazioni retributive contenute nella stessa normativa statale,
così come recenti inchieste sulla c.d. “giungla retributiva”
avrebbero dimostrato, si potrebbe concludere per l’incostituzionalità
della legge impugnata.
La legge n. 7 del 1971 avrebbe d’altra parte così profondamente
ristrutturato secondo criteri nuovi l’ordinamento del personale
regionale da rendere impossibile un raffronto con le posizioni del
personale statale.
L’aumento di lire 23.000 mensili per il personale della Regione
troverebbe poi esatta corrispondenza nell’aumento di lire 25.000
disposto con d.P.R. 16 aprile 1977, n. 116, per il personale dello
Stato.
Il migliore trattamento riservato a chi ha conseguito promozione
anteriormente al 1 gennaio 1976 dall’art. 3, terzo comma, della legge
regionale sarebbe solo apparente: tale norma infatti avrebbe l’unico
effetto di rimuovere restrizioni apportate da leggi anteriori,
consentendo con efficacia retroattiva l’integrale utilizzazione del
servizio già prestato. La indicata incidenza della norma escluderebbe
anche un contrasto con l’art. 97 della Costituzione.
Neppure sussisterebbe il lamentato contrasto dell’art. 4 della
legge regionale con il principio di eguaglianza: diverse infatti
sarebbero le situazioni di coloro che hanno prestato servizio presso lo
Stato e di coloro che hanno prestato servizio alle dipendenze della
Regione, essendo solo l’attività di questi ultimi diretta al
soddisfacimento dei fini istituzionali dell’ente che eroga i compensi.
3. – La Regione siciliana con successiva memoria, entrambe le parti
nella discussione orale ribadivano e sviluppavano le rispettive tesi.
La questione di maggior rilievo sottoposta al giudizio di
legittimità costituzionale di questa Corte riguarda l’intera legge
regionale siciliana approvata il 7 luglio 1977 recante “Norme sullo
stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione
regionale”, per il motivo che essa, direttamente ed indirettamente,
stabilisce aumenti degli stipendi, pensioni ed assegni vitalizi dei
dipendenti della regione, e così accresce il divario tra il
trattamento economico di questo personale ed i corrispondenti compensi
di quello dello Stato, in violazione degli artt. 3 e 36 della
Costituzione.
La questione non è fondata.
Come è noto, in corrispondenza della diversa disciplina normativa
che regola la materia per le regioni a statuto speciale e per quelle a
statuto ordinario, si è sviluppata una giurisprudenza di questa Corte,
la quale ha tenuto ben conto di tali differenze, con particolare
riguardo alla regione siciliana (si vedano per le regioni del primo
tipo sentt. n. 47 del 1959, n. 124 del 1968, nn. 19 e 77 del 1970 e
112 del 1973; per le altre n. 8 del 1967 e nn. 40 e 147 del 1972).
Nella presente fattispecie l’art. 14 lett. q) dello Statuto
speciale non consente, in concreto, di accogliere l’impugnativa del
Commissario dello Stato. Mentre, di per sé considerata, la norma
dell’art. 14, lett. q), non impedirebbe di procedere ad un raffronto
tra la disciplina della regione siciliana in tema di retribuzione dei
suoi dipendenti ed un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato
od una norma fondamentale delle riforme economico-sociali della
Repubblica. Va da sé che non possa trovare applicazione in questo
caso l’ultima parte dell’art. 67 della legge n. 62 del 1953, in cui si
vieta alle regioni a statuto ordinario di disporre un trattamento
economico più favorevole di quello spettante al personale statale.
D’altra parte l’ovvio principio della perequazione retributiva dei
dipendenti pubblici, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 3
e 36 Cost., non è munito nel nostro ordinamento dei necessari presidi
normativi, né è possibile ravvisare l’esistenza di essi in
disposizioni legislative pur sempre parziali (come gli artt. 26 e 35
della legge 20 marzo 1975, n. 70, che escludono espressamente dalla
loro disciplina i dipendenti degli enti pubblici sottoposti al
controllo o alla vigilanza delle regioni dotate di competenza
legislativa primaria nella materia; o come l’art. 9 della legge 22
luglio 1975, n. 382, che concerne il trattamento economico di attività
dei dipendenti civili dello Stato, con notevoli esclusioni, nonché dei
dipendenti delle aziende autonome statali). Del resto, una recente
inchiesta parlamentare ha messo in luce una serie assai significativa
di disparità nel trattamento economico dei pubblici dipendenti.
In altre parole non esiste una disciplina statale generale in tema
di retribuzioni del pubblico impiego, da cui possa trarsi un limite che
sia in grado di operare nei confronti della competenza legislativa
primaria delle regioni a statuto speciale; sia poi che il limite debba
essere configurato come principio dell’ordinamento dello Stato o come
grande riforma economico-sociale. Pertanto la situazione normativa
sottoposta all’esame di questa Corte è ben diversa da quella che si
presenta per la disciplina della indennità integrativa speciale,
recentemente regolata dal d.l. n. 12 del 1977 (convertito, con
modifiche, in legge 31 marzo 1977, n. 91).
Non vale dunque richiamarsi agli artt. 3 e 36 della Costituzione
(nonché all’art. 97 di questa), perché queste disposizioni, a parte
la possibilità di essere derogate dalla normativa regionale (si veda
il n. 8 della motivazione della sent. n. 47 del 1959), non sono in
grado, di per sé, di surrogare i termini concreti di riferimento
enucleabili da una desiderabile disciplina statale in subiecta materia.
Questa Corte non può non auspicare che con i mezzi consentiti dal
nostro ordinamento si giunga al più presto ad una determinazione dei
livelli massimi di trattamento non superabili da alcuna legge regionale
o provinciale. E ciò nel quadro di una disciplina generale che
presuppone evidentemente la possibilità di definire una corrispondenza
abbastanza precisa tra qualifiche, mansioni e trattamenti economici. In
questo modo si realizzerebbe, nel rispetto delle autonomie regionali e
provinciali, quel contenuto essenziale di eguaglianza (in relazione
agli artt. 3 e 36 Cost.) che è richiesto dall’assetto unitario della
Repubblica e dal principio del buon andamento della pubblica
amministrazione.
Quanto alle violazioni dell’art. 3 Cost., eccepite a proposito
dell’art. 3 della legge siciliana per disparità di trattamento
prodotte all’interno della stessa categoria degli impiegati regionali,
esse non risultano dimostrate e pertanto le relative questioni non
possono essere accolte. In effetti le nuove norme tendono a
riequilibrare situazioni analoghe trattate diversamente per il
succedersi di alcune leggi non coordinate tra loro.
Al contrario è fondata l’eccezione di legittimità rivolta contro
l’art. 4 della legge, giacché non è dato scorgere alcun plausibile
motivo, che giustifichi la esclusione dal beneficio previsto nello
stesso articolo di coloro che abbiano in precedenza prestato servizio
presso l’amministrazione statale od altri enti pubblici diversi dalla
regione (inquadrati nei ruoli istituiti con legge regionale 23 marzo
1971, n. 7, e successive aggiunte e modifiche, od ai sensi dell’art. 4
della legge regionale 14 aprile 1967, n. 47, e successive modifiche, ai
sensi della legge 6 marzo 1968, n. 219, e della legge regionale 25
luglio 1969, n. 25).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge
approvata dall’assemblea regionale siciliana in data 7 luglio 1977,
recante “Norme sullo stato giuridico ed economico del personale
dell’Amministrazione regionale”;
dichiara non fondate le questioni di costituzionalità sollevate
contro le altre disposizioni della stessa legge con il ricorso indicato
in epigrafe per violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1978.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere