Sentenza N. 210 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1971
Data deposito/pubblicazione
28/12/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
9 maggio 1950, n. 203 (testo unico delle disposizioni riguardanti le
imposte straordinarie sul patrimonio), promosso con ordinanza emessa il
23 dicembre 1969 dal tribunale di Varese nel procedimento civile
vertente tra Abbiati Renato ed altri e Olivari Biagio e Caterina,
iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.
Visti gli atti di costituzione di Olivari Biagio e Caterina e
d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 novembre 1971 il Giudice
relatore Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
L’esattore delle imposte di Binago – agendo per delega di quello di
Milano ed avvalendosi del disposto dell’art. 65 del d.P.R. 9 maggio
1950, n. 203 – intimava ai coeredi Abbiati il pagamento della somma di
lire 64.106.363, importo della imposta straordinaria sul patrimonio
dovuta da Tondani Gian Luca, al quale apparteneva alla data del 29
marzo 1947 – insieme con altri immobili – l’opificio in Binago venduto
dal Tondani ai signori Biagio e Caterina Olivari, i quali a loro volta
lo avevano rivenduto ad Abbiati Anacleto.
Gli Abbiati proponevano, quindi, avanti al tribunale di Varese,
l’azione di garanzia per evizione, prevista dagli articoli 1483 e 1479
del codice civile nei confronti degli Olivari, chiedendo che questi
fossero condannati a “rilevarli dalla pretesa dell’erario”.
Il tribunale, con ordinanza 23 dicembre 1969, accogliendo la
eccezione dei convenuti e disattendendo quella di mancanza di
rilevanza, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del
suddetto art. 65, in riferimento agli artt. 23, 3, secondo comma, 4,
35, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.
Nel presente giudizio si sono costituiti Biagio e Caterina Olivari,
ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che nessun precetto
costituzionale sia violato dalla norma impugnata. Non l’art. 23 della
Costituzione perché quanto lamentato dalla ordinanza di rimessione
(che cioè l’art. 65 legittimerebbe l’Amministrazione ad esigere il
pagamento di un tributo agendo a scelta, senza limiti di tempo, contro
uno qualsiasi dei proprietari succedutisi nella titolarità
dell’immobile) non costituisce altro che l’individuazione degli effetti
propri dell’istituto del privilegio speciale immobiliare.
Né sarebbe violato l’art. 3 Cost., in quanto il fondamentale
diritto di libertà del cittadino deve realizzarsi nell’ambito
dell’ordinamento giuridico dello Stato, che, nella fattispecie, ha
predisposto legittime garanzie a tutela dell’imposizione tributaria; ed
in quanto il privilegio speciale colpisce indistintamente tutti i beni
immobili appartenenti il 29 marzo 1947 a quello come a tutti gli altri
debitori di imposta straordinaria sul patrimonio, sicché tutti i
successivi proprietari degli immobili stessi sono soggetti ad identico
trattamento.
Nella previsione legislativa del ripetuto privilegio non sono poi
ravvisabili né una compressione del diritto al lavoro, né una
diminuzione della tutela di esso, giacché la norma impugnata non è
rivolta ad impedire l’esercizio di eventuale attività lavorativa
esplicata dal terzo proprietario. Né sussiste, infine, contrasto col
diritto di proprietà, che può subire, nell’interesse pubblico,
limitazioni e vincoli allo scopo di assicurarne la funzione sociale.
Sicché è da escludere qualsiasi violazione degli artt. 4, 35 e 42
della Costituzione.
1. – L’ordinanza del tribunale di Varese denunzia l’illegittimità
costituzionale dell’art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203, perché –
disponendo che il credito dello Stato per l’intero ammontare della
imposta straordinaria sul patrimonio ha privilegio speciale su tutti
gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data
del 29 marzo 1947; e concedendo inoltre alla Intendenza di finanza la
facoltà di rinunziare, dietro idonea garanzia, in tutto o in parte a
tale privilegio – questa norma omette di indicare i criteri idonei a
limitare la discrezionalità della pubblica Amministrazione, sicché si
verifica che questa possa procedere esecutivamente, senza limiti di
tempo, non soltanto contro l’effettivo obbligato alla prestazione, ma
anche contro uno qualsiasi, a sua scelta, fra i successivi proprietari
dei vari immobili sui quali, per quel tributo, grava il privilegio
speciale. La norma violerebbe pertanto l’art. 23 della Costituzione;
contrasterebbe inoltre col principio della certezza del diritto, in
quanto il privilegio non deve essere trascritto sui registri
immobiliari e non è in alcun modo rilevabile dagli acquirenti degli
immobili; creerebbe ingiustificata disuguaglianza (art. 3 Cost.)
perché l’esecuzione fiscale contro un qualsiasi terzo, sol perché
proprietario di un immobile, specie se questo è destinato alla
produzione, costituirebbe un limite alla libertà ed alla possibilità
dei cittadini di partecipare all’organizzazione economica del Paese;
comprometterebbe il diritto al lavoro sancito dagli artt. 4 e 35 della
Costituzione, disattendendo il dovere dello Stato di tutelare tale
diritto; e verrebbe a ledere la funzione sociale della proprietà
garantita dall’art. 42, secondo comma, della Costituzione, menomando a
causa dell’illimitato potere concesso alla pubblica Amministrazione, il
libero godimento dei beni.
2. – La questione non è fondata.
Nella specie, non appare violato l’art. 23 della Costituzione
secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge, la quale, come ha affermato questa Corte,
deve tuttavia indicare i criteri idonei a delimitare la
discrezionalità della pubblica Amministrazione per ciò che attiene al
quantum ed ai soggetti passivi del tributo.
È bene precisare che le censure mosse sia dalla ordinanza di
rimessione, sia dalle parti private, si riferiscono non già
all’imposizione tributaria, ma alla garanzia – privilegio speciale
immobiliare – per essa prevista dal legislatore. Questo, nel concedere
detto diritto di garanzia avrebbe lasciato alla pubblica
Amministrazione un’ampia discrezionalità nel correlativo esercizio.
Sta di fatto però che l’art. 65 impugnato, lungi dal conferire
particolari poteri discrezionali alla Finanza, non ha fatto altro che
concedere il privilegio speciale immobiliare, rinviando implicitamente,
per la relativa disciplina, alle norme del codice civile.
Ed invero, in detto codice, tale privilegio è accordato dalla
legge in considerazione della causa del credito (che, per le
obbligazioni tributarie, dipende dal favore per le esigenze finanziarie
dello Stato) ed assolve una funzione di garanzia, che si concreta in un
rapporto diretto fra il creditore e l’immobile, prescindendo dalla
persona del debitore.
La garanzia segue, per sua natura, le sorti del credito al quale è
legata e perdura fino a quando l’obbligazione non sia estinta o per
adempimento o per prescrizione. I termini di questa sono stabiliti,
talvolta, per le singole imposte, dalle leggi speciali, ma, in mancanza
di espressa disposizione – come nel caso della imposta straordinaria
sul patrimonio – devono ritenersi applicabili le norme sulla
prescrizione ordinaria come per qualsiasi altro diritto di credito del
privato. Con ciò, risulta dimostrata l’inesattezza della affermazione
che la pretesa del Fisco potrebbe essere fatta valere illimitatamente
nel tempo.
È contemplato altresì dal codice civile – in virtù del principio
della solidarietà passiva nella obbligazione – il diritto che il
creditore ha di scegliere, fra i vari immobili gravati dal privilegio
speciale, quello sul quale ritiene opportuno, o più vantaggioso,
procedere esecutivamente per realizzare il suo credito. Nella specie,
poi, il campo di scelta risulta circoscritto agli immobili di
proprietà del contribuente alla data del 29 marzo 1947, ed il terzo,
al quale l’immobile è pervenuto, risponde nei limiti del valore del
bene stesso.
Rientra nell’ambito di tali scelte anche il potere concesso
all’Intendente di finanza di rinunziare in tutto od in parte al
privilegio speciale su un determinato immobile, contro prestazione di
adeguata garanzia riconosciuta idonea dall’Amministrazione ove il resto
del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione
del credito erariale.
Pertanto, anche sotto questo profilo, la censura di
incostituzionalità risulta infondata.
3. – Rileva infine l’ordinanza che la norma impugnata contrasta con
il principio della certezza del diritto, in quanto il privilegio in
argomento non deve essere trascritto nei registri immobiliari e non è
in alcun modo rilevabile dai privati anche perché i funzionari
dell’Amministrazione delle imposte non possono dare notizie al terzo
acquirente per il preciso divieto posto dall’art. 68 del d.P.R. n. 203
del 1950.
Orbene, sta di fatto che per il codice civile il privilegio, di
regola, non va trascritto, ma soltanto può essere dalla legge
subordinato a particolari forme di pubblicità. E ciò perché non
possono essere ignorate le disposizioni del codice civile, che
concedono sugli immobili il privilegio speciale ai crediti dello Stato
per il tributo fondiario e per altri tributi diretti ed indiretti. Né
può dirsi che dalla norma dell’art. 68 sopra indicato derivi
l’occultamento del privilegio speciale, perché, anche a non volere
tener conto di altre possibilità di assumere legittimamente
informazioni, anche il segreto di ufficio disposto per i funzionari
dell’Amministrazione delle imposte, per i componenti dei collegi
giudicanti, e per altri, non ha ragion di essere quando la notizia è
richiesta da coloro che dimostrino di avere interesse a conoscerla.
Le altre questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo
comma, 4, 35, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione,
rimangono assorbite.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203 (approvazione del testo
unico delle disposizioni riguardanti le imposte straordinarie sul
patrimonio), sollevata dall’ordinanza del tribunale di Varese del 23
dicembre 1969 in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4, 23, 35,
primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1971.
GIUSEPPE CHIARELLI – MICHELE FRAGALI
– COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.