Sentenza N. 211 del 1972
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1972
Data deposito/pubblicazione
30/12/1972
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1972
COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI –
Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. GIULIO
GIONFRIDA, Giudici,
Friuli-Venezia Giulia, notificato il 17 gennaio 1972, depositato in
cancelleria il 5 febbraio successivo ed iscritto al n. 3 del registro
conflitti 1972, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell’atto
di citazione 24 settembre 1971 della Procura generale della Corte dei
conti (e dei relativi decreti di fissazione di sezione e di udienza)
con cui sono stati convenuti in giudizio, per responsabilità
amministrativa, il Presidente e otto componenti della Giunta regionale.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 ottobre 1972 il Giudice relatore
Ercole Rocchetti;
uditi gli avvocati Gaspare Pacia, Stefano Varvesi e Feliciano
Benvenuti, per la Regione, ed il sostituto avvocato generale dello
Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con ricorso notificato il 17 gennaio 1972, il Presidente della
Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia ha proposto conflitto di
attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,
in riferimento all’atto di citazione del 24 settembre 1971 (e ai
relativi decreti di fissazione di sezione e di udienza) con cui la
Procura generale della Corte dei conti aveva convenuto in giudizio, per
responsabilità amministrativa, oltre a un dipendente della Regione, il
Presidente e otto componenti della Giunta regionale, responsabili di
aver omesso di denunciare al Procuratore generale della stessa Corte il
fatto dannoso cagionato dal dipendente; e ciò in ottemperanza alla
deliberazione di massima n. 2861 del 6 agosto 1969, da essi adottata.
Tale deliberazione disponeva che, per quanto atteneva ai danni
procurati alla Regione dai propri dipendenti in occasione della
circolazione dei veicoli affidati alla loro guida, non si dovesse
presentare denuncia al Procuratore generale della Corte dei conti
perché la competenza a decidere in materia era della magistratura
ordinaria.
Nel contestare la legittimità dei provvedimenti emessi dalla Corte
dei conti, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1, 4, primo
comma, 37, 38, secondo comma, 45, secondo comma, e 46 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, nonché dei principi generali di
autonomia e di responsabilità collegiale contenuti negli artt. 5 e 95,
secondo comma, della Costituzione e 33 e 34 della legge 10 febbraio
1953, n. 62. Al riguardo la difesa della Regione rileva che il
provvedimento della Corte dei conti diretto a sottoporre a giudizio di
responsabilità il Presidente e i componenti della Giunta, per
l’attività da essi svolta nell’esercizio delle loro funzioni, lede
l’autonomia della Regione, perché trasforma la responsabilità dei
componenti della Giunta, che è collegiale e politica, in
responsabilità individuale e amministrativa e considera la loro
attività di alta amministrazione, a contenuto meramente direttivo,
alla stregua di una attività esecutiva ed applicativa delle direttive
emanate ai singoli casi correnti.
Inoltre, secondo il ricorrente, le norme (artt. 53 r.d. n. 1214
del 1934; 83 r.d. n. 2440 del 1923; 20 d.P.R. n. 3 del 1951) che
stabiliscono a carico dei funzionari statali e dei Ministri, per
l’omessa denunzia del fatto dannoso, una sanzione patrimoniale di
importo corrispondente al danno da altri cagionato allo Stato, non
sarebbero applicabili a soggetti diversi da quelli espressamente
indicati dalla legge (quali ad esempio, i capi servizio, i direttori
generali e gli assessori dell’Amministrazione regionale).
E con riferimento alla dedotta estensione di tali disposizioni, che
prevedono sanzioni di natura disciplinare e di contenuto patrimoniale,
il ricorrente deduce la loro illegittimità costituzionale, da
accertarsi in via incidentale dalla Corte, sotto il profilo della
violazione delle riserve di legge poste dagli artt. 23 e 25, secondo
comma, della Costituzione.
Rileva poi che l’estensione della responsabilità a tutti i
componenti della Giunta, individualmente considerati, aggrava comunque
l’invasione da parte dello Stato della sfera di competenza riservata
all’autonomia della Regione, perché l’eventuale dichiarazione di
responsabilità degli amministratori regionali, determinerebbe la
decadenza e la ineleggibilità per cinque anni di tutto il Governo
regionale, con indubbie conseguenze di carattere politico in ordine al
funzionamento degli organi regionali.
Da ultimo, il ricorrente propone in via incidentale questione di
legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 5, 24, 25, 33,
42, 97, 102 e 103 della Costituzione, degli artt. 44 e segg. del testo
unico sull’ordinamento della Corte dei conti; degli artt. 43 e segg.
del regolamento di procedura dinanzi alla stessa Corte; degli artt. 82
e 83 della legge di contabilità dello Stato e degli artt. 18 e 19 del
testo unico sugli impiegati civili dello Stato, limitatamente a quanto
attiene alla loro applicazione nei confronti della Regione
Friuli-Venezia Giulia. Ciò perché tale applicazione contrasterebbe
con le norme costituzionali che garantiscono l’autonomia regionale, in
quanto, nei confronti degli enti territoriali costituiti
dall’ordinamento regionale, dovrebbe farsi riferimento, in ordine ai
giudizi di responsabilità, al sistema legislativo in vigore per gli
enti territoriali minori che li sottopone alla competenza del giudice
ordinario.
Il ricorrente conclude chiedendo che la Corte dichiari la
incompetenza dello Stato ad emanare gli atti impugnati e, ove occorra,
la illegittimità costituzionale delle norme denunciate.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in
giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni
depositate il 4 febbraio 1972, chiede che la Corte dichiari
inammissibile o comunque infondato il ricorso proposto dalla Regione.
Secondo la difesa dello Stato, il ricorso è inammissibile: invero,
con gli atti impugnati, non si sarebbe verificata alcuna invasione
delle competenze attribuite alla Regione, perché il conflitto in esame
si pone in realtà come un problema di giurisdizione, da risolvere
secondo le norme vigenti nell’ordinamento giuridico dello Stato.
Comunque, anche ammettendo che gli atti impugnati siano idonei a ledere
la competenza regionale, l’Avvocatura deduce un ulteriore profilo di
inammissibilità del ricorso, sostenendo che, allo stato, si
tratterebbe di una lesione meramente eventuale, potendo un attentato
alle prerogative della Giunta derivare soltanto da una sentenza della
Corte dei conti, confermata dalle sezioni unite della Corte di
cassazione.
Anche nel merito il ricorso sarebbe infondato, in quanto
l’Avvocatura ritiene che il problema della responsabilità solidale dei
componenti della Giunta regionale consista in una questione di merito
da affrontare nella sede giurisdizionale competente e cioè nel
giudizio davanti alla Corte dei conti.
Nel giudizio di costituzionalità, invece, occorre esaminare solo
il problema della assoggettabilità degli amministratori regionali alla
giurisdizione della Corte dei conti: ma, poiché su questo problema la
Corte costituzionale ha già espresso la sua opinione con le sentenze
nn. 110 del 1970 e 68 del 1971, deve essere dichiarata manifestamente
infondata la questione di legittimità sollevata dalla difesa regionale
in via incidentale.
1. – Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia è proposto in riferimento alla citazione (e
successivi decreti di fissazione di udienza) intimata dal Procuratore
generale della Corte dei conti nei confronti di un autista dipendente
della Regione per danni arrecati ad una autovettura affidata alla sua
guida, e nei confronti del Presidente della Giunta e degli Assessori
regionali che, con la deliberazione in data 6 agosto 1969, n. 2861,
avrebbero impedito che la denunzia del danno venisse sporta da chi di
dovere allo stesso Procuratore generale, e sarebbero perciò a tal
titolo responsabili.
Tale deliberazione disponeva infatti che non dovessero essere
presentate a quel Procuratore generale, che le sollecitava, denuncie
per danni procurati da autisti dipendenti dalla Regione per effetto
della circolazione dei veicoli, perché doveva ritenersi in materia
competente l’autorità giudiziaria ordinaria, avanti la quale la Giunta
regionale si riservava, dopo l’esame del caso, di decidere in merito
alla proposizione dell’azione. Trattavasi quindi di una deliberazione
di massima che la Giunta aveva creduto di adottare per segnare la
condotta da tenersi in materia dai dipendenti uffici e che si ispirava
ai principi allora ammessi, e ritenuti anche da questa Corte nella
sentenza n. 17 del 1965, circa la necessità che, per sottoporre
settori, prima non compresi, alla giurisdizione della Corte dei conti
in materia di contabilità pubblica, occorressero apposite norme
legislative da emanarsi in ottemperanza all’art. 103, comma secondo,
della Costituzione, ma non emanate.
Quella deliberazione venne poi revocata con altra in data 3 maggio
1971, n. 1611, dopo che la Corte di cassazione prima e questa stessa
Corte poi (sentenza n. 110 del 1970), andarono in contrario avviso,
ritenendo la immediata precettività in materia del richiamato art.
103.
Ciò precisato, devesi, prima di affrontare l’esame del merito,
risolvere un duplice ordine di questioni: quelle attinenti alle
eccezioni di inammissibilità del ricorso, proposte dall’Avvocatura
dello Stato, e quelle di legittimità costituzionale, prospettate dalla
Regione.
2. – Sostiene l’Avvocatura che il ricorso sarebbe “inammissibile
perché diretto contro atti di natura giurisdizionale dello Stato,
relativamente ai quali né la Regione ha titolo a una vindicatio
potestatis, né essa, come Ente fornito di autonomia e svincolato dalle
persone fisiche dei suoi organi rappresentativi, ha titolo a lamentare
una lesione della sua competenza”.
Ma la duplice eccezione proposta non ha fondamento. Nulla vieta
che un conflitto di attribuzione possa trarre origine da un atto
giurisdizionale, se ed in quanto, come è nel caso, si deduca derivarne
una invasione della competenza costituzionale garantita alla Regione
(sentenza n. 110 del 1970). Né occorre che, per dar luogo a un
conflitto di attribuzione, vi sia una contestazione sull’appartenenza
di un medesimo potere, essendo sufficiente che dall’illegittimo
esercizio del potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto (stessa
sentenza).
Come pure è certo che un attentato ai poteri spettanti ai
rappresentanti di un Ente fornito di autonomia costituzionalmente
protetta non può, in tesi, non offendere l’autonomia dell’Ente.
Deduce ancora l’Avvocatura che, nel caso, mancherebbe l’attualità
di una lesione, in quanto si è in presenza soltanto di un atto
introduttivo di un giudizio che potrebbe, in tesi, determinare la
lesione che la Regione lamenta, solo se e quando le domande contenute
nell’atto venissero accolte.
Ma la Corte, poiché non vengono dedotte nuove e convincenti
ragioni contrarie, non ritiene vi sia motivo per rivedere sul punto la
propria giurisprudenza, secondo la quale qualsiasi atto, anche
preparatorio, può dar luogo a conflitto purché sia idoneo ad
affermare una competenza ed a negare, o menomare, l’altrui (sent. n.
171 del 1971). Tanto più che, nel caso, la Regione, oltre che la
competenza della Corte dei conti, contesta sopratutto il potere, ed
impugna l’atto, del suo Procuratore generale volto a promuovere
d’ufficio l’instaurazione di un’azione giudiziaria, in merito alla cui
proposizione essa rivendica l’esercizio di una sua autonoma facoltà di
decidere.
Pertanto nessuna delle proposte eccezioni di inammissibilità ha
fondamento e può essere accolta.
3. – La Regione solleva due gruppi di questioni di legittimità
costituzionale che vanno qui distintamente esaminate ai fini di
accertarne, con la rilevanza, che non è dubbia, la non manifesta
infondatezza.
Col primo gruppo si denunciano gli articoli:
a) 53 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, contenente il testo unico
sulla Corte dei conti (emanato in virtù della delega di cui all’art.
35 della legge 3 aprile 1933, n. 255); b) 83 del r.d. 18 novembre 1923,
n. 2440, contenente norme sull’amministrazione del patrimonio e la
contabilità generale dello Stato (emanato in virtù della delega
contenuta nella legge 3 dicembre 1922, n. 1601);
c) 20 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, contenente il testo unico
delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati dello Stato
(emanato in virtù della delega contenuta nell’art. 4 della legge 20
dicembre 1954, n. 1181); i quali sarebbero illegittimi nella parte in
cui dispongono la responsabilità per omessa denunzia da parte dei
direttori generali, capi servizio e, in determinati casi, dei singoli
ministri, relativamente a danni da altri arrecati allo Stato. Le citate
norme non sarebbero illegittime di per sé, ma in quanto se ne faccia
applicazione estensiva a soggetti non contemplati in quelle norme,
quali appunto, nel caso, i direttori generali, i capi servizi e gli
assessori delle Regioni. In tal caso quelle stesse norme, applicate in
via interpretativa, poiché contengono sanzioni di natura disciplinare
e di contenuto patrimoniale, violerebbero gli artt. 23 e 25 della
Costituzione, i quali dispongono che tali sanzioni possano essere
imposte soltanto con legge.
La questione è manifestamente infondata, perché l’art. 25 (commi
secondo e terzo), riguardando unicamente la materia penale, non ha
attinenza con l’argomento di causa; mentre non può parlarsi, a
proposito dell’art. 23, di una violazione della riserva di legge in
esso contenuta solo perché, utilizzando legittimamente lo strumento
della interpretazione, si estendono le ipotesi di cui alle norme
impugnate ad altre prima non previste, in quanto non prevedibili, ma
identiche nei presupposti.
Col secondo gruppo di questioni, la Regione denuncia poi altri
articoli dei già citati provvedimenti legislativi, e cioè 44 e
seguenti del r.d. n. 1214 del 1934, 82 e 83 del r.d. n. 2440 del 1923,
18 e 19 del d.P.R. n. 3 del 1957 e denuncia altresì gli artt. 43 e
seguenti del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, contenente il Regolamento
per la procedura innanzi alla Corte dei conti, sul cui valore di atto
avente o no forza di legge non è qui il caso di indugiare.
Queste norme sono denunziate in riferimento agli artt. 5, 24, 25,
33, 42, 97, 102 e 103 della Costituzione, ma limitatamente a quanto
attiene alla loro applicazione nei confronti della Regione
Friuli-Venezia Giulia.
Con tale ampio raggio di impugnative, la Regione sostanzialmente
sostiene che essa ed i suoi amministratori e i suoi dipendenti, non
sono assoggettabili alla giurisdizione della Corte dei conti in materia
di responsabilità amministrativa, né, tanto meno, essa è tenuta a
sottostare alla iniziativa del Procuratore generale di detta Corte
nella proposizione delle relative azioni, perché tutto il sistema
predisposto per lo Stato e altri enti pubblici non si attaglierebbe a
essa Regione in quanto lesivo della sua autonomia.
Anche tale questione è manifestamente infondata, essendo già
stata ampiamente esaminata dalla Corte, e risolta nel senso della non
fondatezza, nella sentenza n. 110 del 1970 quanto all’ambito di
applicazione della norma dell’art. 103, comma secondo, della
Costituzione; ed essendo già stata ritenuta la competenza della Corte
dei conti, in materia di contabilità pubblica, anche nei confronti
delle Regioni, sia a Statuto ordinario che a Statuto speciale, e senza
che occorrano particolari norme legislative di applicazione.
Essendo superfluo ripetere le ragioni esposte nella sentenza
richiamata, qui conviene soltanto aggiungere qualche parola sul nuovo
rilievo proposto, e cioè che, ammessa pure la competenza in materia
della Corte dei conti, non dovrebbe però riconoscersi il potere del
suo Procuratore generale ad agire d’ufficio nei confronti della
Regione, cui spetterebbe autonomia di decisione nella proposizione
delle azioni.
Ma nemmeno entro questi più ristretti limiti la questione può non
essere ritenuta manifestamente infondata, essendo ovvio che l’art. 103,
comma secondo, della Costituzione, allorché ha riconfermata, e,
secondo si ritiene da molti, anche ampliata, la giurisdizione della
Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, ha richiamato
tutto l’istituto così come esso era ed è regolato dalle norme
relative, e nel quadro delle quali l’iniziativa del Procuratore
generale si colloca come ovviamente necessaria per evitare lassismi e
contrasti di posizioni e di interessi: relativamente ai quali, anche
sul piano giuridico, ricorrerebbero notevoli difficoltà per una
diversa regolamentazione.
4. – Venendo infine all’esame del merito, deve osservarsi che, pur
ritenendosi corretto il comportamento della Giunta regionale riguardo
all’adozione della deliberazione n. 2861 del 1969, che ora viene
assunta come fonte di responsabilità per i componenti della stessa,
non può accogliersi il ricorso della Regione, in quanto nell’azione
del Procuratore generale della Corte dei conti non si rinviene alcun
aspetto di illegittimità, dovendosi riconoscere che egli ha agito
nell’ambito dei poteri a lui segnati dalle leggi e nell’esercizio degli
stessi. Mentre è ovvio che solo da un atto illegittimo può derivare
una invasione di competenza.
Se l’azione da lui proposta è o no fondata, dirà la Corte adita,
la cui competenza a decidere in proposito, per quanto si è detto, non
può essere posta in dubbio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta alla Procura generale della Corte dei conti
promuovere l’azione di responsabilità, sia nei confronti dei
dipendenti della Regione del Friuli-Venezia Giulia per i danni causati
alla Regione nell’esercizio delle loro attribuzioni, sia nei confronti
dei Componenti la Giunta della stessa Regione per omissione della
denunzia di tali danni.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1972.
GIUSEPPE CHIARELLI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE
MARCO – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI
– GIULIO GIONFRIDA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere