Sentenza N. 212 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
03/08/1976
Data deposito/pubblicazione
03/08/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
Regione Lombardia 26 marzo 1975, riapprovata il 20 novembre 1975,
recante “Norme sui consorzi B.I.M.” (Bacini imbriferi montani),
promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,
notificato il 10 dicembre 1975, depositato in cancelleria il 16
successivo ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 1975.
Visto l’atto di costituzione del Presidente della Regione
Lombardia;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1976 il Giudice relatore
Antonino De Stefano;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l’avv. Umberto
Pototschnig, per la Regione Lombardia.
1. – Con ricorso notificato il 10 dicembre 1975, il Presidente del
Consiglio dei ministri – rappresentato e difeso dall’Avvocato generale
dello Stato – ha sollevato questione di legittimità costituzionale
della legge approvata il 26 marzo 1975 e riapprovata il 20 novembre
successivo dal Consiglio regionale della Lombardia, recante “norme sui
Consorzi B.I.M.” (Bacini imbriferi montani).
Si deduce in primo luogo nel ricorso che la legge impugnata avrebbe
valicato i limiti posti al potere normativo regionale dalla VIII
disposizione transitoria e finale della Costituzione, nonché dall’art.
3 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 e dall’art.3 del d.P.R. n. 11
stessa data, concernenti, rispettivamente, il trasferimento alle
Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in
materia di lavori pubblici e di agricoltura e foreste. In violazione
delle indicate norme, e invadendo la competenza esclusiva dello Stato
in materia di distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti
locali, il legislatore regionale avrebbe disposto il trasferimento dai
Consorzi B.I.M. – previsti dalla legge nazionale 27 dicembre 1953, n.
959 – alle Comunità montane – previste dalla successiva legge 3
dicembre 1971, n. 1102 – delle attribuzioni ai primi spettanti in
ordine alla disponibilità e alla gestione dei sovracanoni che i
concessionari di grandi derivazioni per forza motrice devono
corrispondere ai Comuni, nei cui bacini imbriferi sono situati gli
impianti di presa. La modifica dei compiti istituzionali dei Consorzi
B.I.M. risulterebbe dall’obbligo ad essi imposto con la legge
denunciata “di ripartire annualmente nei propri bilanci il fondo comune
fra le Comunità montane comprese in tutto o in parte nell’ambito dei
rispettivi bacini” e di destinare la quota spettante a ciascuna
Comunità “al finanziamento di interventi ed opere indicati dalle
Comunità stesse tra quelli compresi nei loro piani zonali di sviluppo
e programmi annuali”.
Una seconda censura d’incostituzionalità viene prospettata in
riferimento all’art. 117 Cost. – Dopo aver posto in evidenza che i
confini territoriali dei Consorzi B.I.M. e delle Comunità montane non
coincidono, e dopo aver ricordato che i Consorzi erano stati istituiti
per operare esclusivamente in favore del progresso economico e sociale
delle popolazioni dell’intero bacino imbrifero, l’Avvocatura sostiene
che la legge denunciata ha inciso sulle indicate funzioni dei Consorzi,
ne ha infranto l’esclusività ed unitarietà di organizzazione,
indirizzando la loro attività all’attuazione dei piani di sviluppo che
le Comunità formulano in considerazione delle rispettive particolari
esigenze e non di quelle unitarie dell’intero bacino.
Il legislatore regionale avrebbe in tal modo operato anche una
oggettiva modificazione della destinazione del sovracanone
idroelettrico, quale era prima stabilita dalla legge 959 del 1953,
eccedendo dai limiti della competenza normativa della Regione, poiché
il sovracanone (per la sua natura di corrispettivo e di indennizzo
della concessione di derivazione) si configura come diritto relativo
alla utilizzazione di acque pubbliche, materia questa non trasferita
alle Regioni, ma riservata agli organi dello Stato (art. 8, comma
secondo, d.P.R. n. 8 del 1972, in relazione all’art. 117 Cost.).
Riguardo alla non coincidenza tra confini territoriali dei Consorzi
e delle Comunità il ricorso prospetta, infine, una terza censura
d’incostituzionalità per violazione dell’art. 3 della Costituzione. I
Comuni non consorziati nell’ambito di uno stesso bacino imbrifero
montano, a differenza di quelli consorziati, conservano la piena
gestione e la disponibilità della quota dei sovracanoni ad essi
attribuita, pur fruendo dei benefici derivanti dalla attuazione dei
piani della Comunità. Si sarebbe così creata una disparità di
trattamento, prima insussistente, in quanto la legge nazionale
riconosceva poteri di gestione e disponibilità dei sovracanoni
spettanti ai Comuni non consorziati solo perché ed in quanto questi
non usufruiscono di una organizzazione consortile.
Conclude, pertanto, l’Avvocatura chiedendo che la Corte voglia
dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge impugnata.
2. – Nel giudizio si è costituita la Regione Lombardia, in persona
del suo Presidente, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto
Pototschnig e Vitaliano Lorenzoni, i quali, nelle deduzioni depositate
in cancelleria il 31 dicembre 1975, concludono per l’infondatezza e per
l’inammissibilità dei motivi di incostituzionalità svolti nel
ricorso.
L’infondatezza viene sostenuta in relazione all’asserita violazione
della VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione e degli
articoli 3 dei d.P.R. n. 8 e n. 11 del 1972, rilevandosi che la legge
impugnata non opera affatto l’asserito “trasferimento” di poteri o di
attribuzioni, né sottrae o modifica in alcun modo i compiti
istituzionali dei Consorzi B.I.M. Il legislatore regionale ha inteso
soltanto introdurre alcune modalità per assicurare nella gestione ed
erogazione dei fondi a disposizione dei Consorzi l’adeguamento dei loro
programmi ai piani di sviluppo economico e sociale predisposti dalle
Comunità montane; adeguamento, questo, voluto ed imposto non dalla
legge regionale, bensì dalla legge statale n. 1102 del 1971 (artt. 1,
2, n. 2, e 5, comma quinto). La Regione ha legiferato in base al
preciso rinvio contenuto nello art. 4, comma quarto, n. 6 della legge
n. 1102 del 1971, secondo cui spetta alla Regione “regolare i rapporti
tra Comunità e altri enti operanti nel territorio”.
Priva di fondamento sarebbe altresì la doglianza secondo la quale,
per effetto della legge denunciata, i Consorzi avrebbero perduto la
piena disponibilità del sovracanone. In realtà i Consorzi B.I.M. non
avevano avuto neppure in passato tale disponibilità, giacché, in base
all’art. 1 della legge n. 959 del 1953, ad essi spettava soltanto
“predisporre” annualmente il programma di investimenti che doveva poi
essere approvato dal Ministero per i lavori pubblici, allora
competente. Orbene, poiché questa approvazione concerne essenzialmente
lavori pubblici di interesse locale (opere di sistemazione montana) si
deve concludere che essa sia oggi trasferita alla competenza della
Regione, in base all’art. 7 del d.P.R. n. 8 e dell’art. 3 del d.P.R.
n. 11 del 1972.
Riguardo al secondo motivo d’incostituzionalità, con cui è
denunciata la violazione dell’art. 117 Cost. (anche in relazione
all’art. 8, comma secondo, del d.P.R. n. 8 del 1972), sul rilievo che
la legge impugnata avrebbe operato una oggettiva modificazione della
destinazione del sovracanone, quale era precedentemente stabilita dalla
legge statale, la difesa della Regione solleva eccezione di
inammissibilità, osservando che siffatta censura non può trovare
ingresso nel presente giudizio in quanto non figura tra i motivi
invocati dal Governo nell’atto di rinvio al Consiglio regionale della
legge in esame.
In ogni caso la censura sarebbe infondata nel merito poiché la
legge regionale non ha mutato la destinazione del sovracanone, né le
funzioni dei Consorzi B.I.M., ma ha solo dettato norme per assicurare
il coordinamento dei programmi dei Consorzi con quelli delle Comunità,
in puntuale attuazione di una disposizione di legge statale (art. 5
legge n. 1102 cit.).
Chiarita così la natura e la portata della legge in esame appare
anche infondato il richiamo fatto nel ricorso alla riserva di
competenza statale in materia di tutela, disciplina e utilizzazione
delle acque pubbliche (art. 8, comma secondo, lett. a) d.P.R. n. 8 del
1972).
Del pari inammissibile sarebbe, infine, il terzo motivo del
ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 3 Cost. asserendosi
che la legge regionale avrebbe posto in essere una disparità di
trattamento tra Comuni consorziati e Comuni non consorziati, in quanto
anche questa censura non figura tra i motivi enunciati nell’atto di
rinvio della legge al Consiglio regionale.
L’inammissibilità della censura in esame discenderebbe, inoltre,
dal fatto che essa attiene esclusivamente al merito della legge
impugnata. Non vi è disparità di trattamento, non solo perché
neppure per i Comuni costituiti in Consorzio vi è stato un
trasferimento del potere di gestione del sovracanone, ma soprattutto
perché la diversa situazione dei Comuni consorziati e di quelli non
consorziati discende direttamente dalla legge nazionale n. 959 del
1953.
Conclude, pertanto, la difesa della Regione chiedendo che la Corte
voglia respingere il ricorso proposto.
1. – Con il ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei
ministri chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per
violazione degli artt. 3, 117 ed VIII disp. trans. e finale della
Costituzione e degli artt. 3 ed 8 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, e 3
del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (che dispongono il trasferimento alle
Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali,
rispettivamente in materia di urbanistica, viabilità, acquedotti e
lavori pubblici di interesse regionale, ed in materia di agricoltura e
foreste, caccia e pesca nelle acque interne), della legge approvata il
26 marzo 1975 e riapprovata il 20 novembre successivo dal Consiglio
regionale della Lombardia, recante “norme sui Consorzi B.I.M.” (Bacini
imbriferi montani).
2. – Con l’art. 1 della legge impugnata si dispone che i Consorzi
B.I.M., istituiti ai sensi dell’art. 1, comma secondo, della legge 27
dicembre 1953, n. 959, ripartiscano annualmente nel proprio bilancio il
loro “fondo comune” fra le Comunità montane comprese in tutto od in
parte nell’ambito dei rispettivi bacini imbriferi, salva la quota
spettante ai Comuni non montani compresi nei bacini medesimi; che il
riparto venga effettuato, tenendo conto dei diritti dei Comuni in
relazione alla posizione geografica degli impianti idroelettrici
nell’ambito del bacino imbrifero, e degli altri criteri seguiti dal
Ministero dei lavori pubblici per ripartire i sovracanoni tra i Comuni
di diverse province compresi in un bacino; che gli stessi Consorzi, a
norma dell’art. 5 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102 e dell’art. 11
della legge regionale lombarda 16 aprile 1973, n. 23, destinino la
quota del fondo comune spettante a ciascuna Comunità montana, al
finanziamento di interventi ed opere indicati dalle Comunità medesime
tra quelli compresi nei loro piani zonali di sviluppo e programmi
annuali.
L’art. 2 della stessa legge prevede, per i fini di cui al
precedente articolo, che gli anzidetti Consorzi, entro quindici giorni
dall’approvazione del proprio bilancio preventivo, comunichino ogni
anno alle Comunità montane interessate l’entità della quota del fondo
comune spettante a ciascuna di esse; e che, dal canto opposto, le
Comunità montane comunichino i loro programmi annuali, formulati ai
sensi degli artt. 5 della citata legge n. 1102 del 1971, ed 11 della
citata legge regionale n. 23 del 1973, subito dopo l’approvazione, ai
Consorzi interessati, i quali sono tenuti a predisporre, distintamente
per ciascuna Comunità, programmi operativi per l’impiego delle quote
del fondo comune, in conformità al disposto del precedente articolo.
3. – Con la prima censura il ricorrente Presidente del Consiglio
deduce – come esposto in narrativa – che il legislatore regionale
avrebbe violato il limite posto al suo potere dalla VIII disp. trans. e
fin. della Costituzione, nonché dagli artt. 3 dei due decreti n. 8 e
n. 11 del 1972: norme tutte che escludono la competenza regionale in
materia di distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti
locali, tra i quali devono ricomprendersi i Consorzi B.I.M. – La legge
impugnata ne modificherebbe, infatti, i compiti istituzionali,
sottraendo loro la disponibilità e la gestione dei sovracanoni
corrisposti dai concessionari di grandi derivazioni d’acqua, con
l’obbligare i Consorzi a ripartire il fondo comune fra le Comunità
montane e a destinare la quota spettante a ciascuna Comunità al
finanziamento di interventi ed opere dalla stessa indicati. Il fondo
comune perderebbe così il suo carattere unitario, ed i Consorzi,
chiamati dalla loro legge istitutiva ad operare in favore del progresso
economico e sociale delle popolazioni dell’intero bacino imbrifero,
sarebbero invece tenuti a dare esecuzione ai piani di sviluppo
formulati dalle diverse Comunità in considerazione delle rispettive
particolari esigenze, e non di quelle globali di tutto il bacino.
4. – Prima di passare all’esame del dedotto motivo
d’incostituzionalità, va, innanzi tutto, rettificato il richiamo
operato dal ricorso, a proposito della riferita censura, all’art. 3 del
d.P.R. n. 8 del 1972; articolo questo che, disponendo in materia di
espropriazione per pubblica utilità e di occupazione temporanea e di
urgenza, appare chiaramente estraneo allo svolgimento
dell’argomentazione. Da tutto il contesto, e dal concomitante richiamo
fatto all’art. 3 del d.P.R. n. 11 del 1972, si desume che la norma
posta a riferimento è, invece, l’art. 7 dello stesso decreto n. 8:
infatti, sia detto art. 7, sia il citato art. 3 del decreto n. 11,
dispongono, con espressioni pressoché identiche, che, fino a quando
con legge dello Stato non sia provveduto al riordinamento ed alla
distribuzione delle funzioni amministrative tra gli enti locali, sono
conservate alle province, ai comuni ed agli altri enti locali le
funzioni amministrative d’interesse esclusivamente locale, attualmente
esercitate nelle materie di cui ai rispettivi decreti. Può, dunque,
procedersi alla correzione di quello che appare un mero errore
materiale di indicazione, in conformità con la giurisprudenza di
questa Corte, a tenore della quale, anche in sede di questione di
legittimità costituzionale sollevata in via principale, l’esame può
essere condotto sulla base di norma, diversa da quella specificamente
indicata nel ricorso, se il contenuto ed i motivi dell’impugnazione ad
essa, e non all’altra, chiaramente si riferiscano (sentenza n. 93 del
1968).
5. – Tanto precisato, va subito detto che la esposta censura non è
fondata.
Giova ricordare che i Consorzi B.I.M. traggono origine e disciplina
dalla citata legge n. 959 del 1953, con la quale sono state dettate
norme, riguardanti l’economia montana, modificative del testo unico
delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con r.d.
11 dicembre 1933, n. 1775. L’art. 52 di detto testo unico riconosceva
ai Comuni rivieraschi di grandi derivazioni, il diritto alla riserva di
una quota dell’energia prodotta. In sostituzione di tale onere, la
legge n. 959 del 1953 (come interpretata dalla legge 30 dicembre 1959,
n. 1254) obbliga tutti i concessionari di grandi derivazioni di acqua
per produzione di forza motrice, al pagamento di un sovracanone annuo
per ogni Kw di potenza nominale media concessa, a vantaggio non
soltanto dei Comuni rivieraschi, ma di tutti i Comuni compresi nel
bacino imbrifero montano del corso d’acqua interessato alla
derivazione, e stabilisce la costituzione in Consorzio obbligatorio,
retto dalle disposizioni di cui al titolo IV del testo unico della
legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383,
dei Comuni in tutto o in parte compresi in ciascun bacino, qualora ne
facciano domanda non meno di tre quinti di essi. ogni Consorzio dispone
di un “fondo comune”, alimentato dal gettito del sovracanone; fondo che
deve essere “impiegato esclusivamente a favore del progresso economico
e sociale delle popolazioni, nonché ad opere di sistemazione montana
che non siano di competenza dello Stato”, secondo un programma
d’investimenti, predisposto annualmente dal Consorzio ed approvato
dall’autorità competente (art. 1, 14° e 15° comma).
Nel 1971, con la legge n. 1102 del 3 dicembre, sono state dettate
nuove norme per lo sviluppo della montagna, per “promuovere, in
attuazione degli artt. 44, ultimo comma, e 129 della Costituzione, la
valorizzazione delle zone montane, favorendo la partecipazione delle
popolazioni, attraverso le Comunità montane, alla predisposizione ed
all’attuazione dei programmi di sviluppo e dei piani territoriali dei
rispettivi comprensori montani ai fini di una politica generale di
riequilibrio economico e sociale nel quadro delle indicazioni del
programma economico nazionale e dei programmi regionali” (art. 1).
All’uopo si è disposta la ripartizione, con legge regionale, dei
territori montani in zone omogenee, in base a criteri di unità
territoriale economica e sociale (art. 3); e la costituzione tra i
Comuni ricadenti in ciascuna zona, sempre con legge regionale, di una
Comunità montana, ente di diritto pubblico. Spetta, inoltre, alla
Regione stabilire con sua legge le norme cui le Comunità devono
attenersi nella formulazione degli statuti (che devono essere approvati
dalla Regione), nell’articolazione e composizione dei propri organi,
nella preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali, nei
rapporti con gli altri enti operanti nel territorio (art. 4). ogni
Comunità è tenuta ad approntare un piano pluriennale per lo sviluppo
economico-sociale della propria zona, al quale debbono adeguarsi i
piani degli altri enti operanti nel territorio della Comunità, delle
cui indicazioni, tuttavia, devesi tener conto nella preparazione del
piano di zona, mediante opportuni coordinamenti (art. 5). La
realizzazione del piano generale di sviluppo e dei piani annuali
d’intervento è affidata alla Comunità, la quale, nell’espletamento
dei propri fini istituzionali, predispone, coordina ed attua i
programmi d’intervento (art. 6).
Le linee generali della richiamata disciplina consentono di
sottolineare alcuni aspetti di peculiare rilievo: l’ampio potere
normativo demandato alla Regione per la sua attuazione; la competenza
programmatoria di carattere generale, a livello zonale, e nel quadro
della programmazione regionale, attribuita alla Comunità montana,
quale strumento partecipativo della popolazione di un territorio
delimitato anche con criteri socio-economici e non meramente
geografici; la conseguenziale subordinazione all’attività
programmatica della Comunità, degli interventi settoriali predisposti
dagli altri enti operanti nel suo territorio.
In attuazione di quanto previsto dall’art. 4 della citata legge n.
1102 del 1971, la Regione Lombardia ha emanato la legge regionale 16
aprile 1973, n. 23, avente ad oggetto la costituzione delle Comunità
montane e la formulazione dei loro statuti, il cui art. 11 disciplina i
rapporti con gli altri enti, disponendo che, nella fase di preparazione
del piano di sviluppo economico-sociale, la Comunità mantenga gli
opportuni collegamenti con gli enti operanti nello stesso territorio,
nel settore della bonifica o delle attività consorziali tendenti allo
sviluppo economico della zona; e che, dal loro canto, gli enti medesimi
trasmettano i propri piani e programmi alla Comunità e li adeguino al
piano di sviluppo da questa elaborato, dopo la sua definitiva
approvazione.
6. – Nel quadro della preesistente normativa statale e regionale si
colloca, costituendone un ulteriore sviluppo attuativo, la impugnata
legge, deliberata dalla Regione in base ai poteri ad essa derivanti
dalla legge n. 1102, che al ricordato art. 4, ne afferma la competenza
a regolare i rapporti tra Comunità ed altri enti operanti nel loro
territorio. La Regione ha, cioè, legiferato, esercitando una
competenza che non va ricondotta a quella radicata nelle materie
indicate nel primo comma dell’art. 117 della Costituzione, ma rientra,
invece, nell’ambito del secondo comma dello stesso articolo, a tenore
del quale le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il
potere di emanare norme per la loro attuazione.
In tale contesto, va riconosciuto che, con la impugnata legge, è
stato apprestato un meccanismo di coordinamento e di adeguamento, senza
operare alcuno spostamento di funzioni dai Consorzi alle Comunità, e
senza sottrarre ai Consorzi medesimi alcuno dei loro compiti
istituzionali. Invero, il previsto riparto annuale in bilancio del
fondo comune – riparto che, secondo il ricorrente, lascerebbe ai
Consorzi la mera funzione esattoriale del sovracanone – non comporta
alcun trasferimento di somme dall’uno all’altro ente, ma si concreta in
una preordinazione, mediante una sorta di articolazione contabile,
dell’attività gestionale degli stessi Consorzi, tenuti dalla legge
dello Stato ad adeguare i loro interventi ai piani zonali di sviluppo
ed ai programmi annuali delle Comunità. Né va taciuto che al
successivo impiego delle risultanti “quote” del fondo comune provvedono
pur sempre i Consorzi, mediante programmi operativi da essi predisposti
distintamente per ciascuna Comunità.
Non v’ha dubbio che la discrezionalità dei Consorzi nelle loro
scelte programmatiche ed operative risulti contenuta, ma ciò appare
aderente proprio alla ratio della legge statale, che ha voluto a
vantaggio dei territori montani e delle loro popolazioni una
programmazione di globale apertura, superando il preesistente sistema
d’interventi settoriali non coordinati e non convenientemente
finalizzati. D’altra parte, la responsabile autonomia dei Consorzi, nei
limiti derivanti dal voluto adeguamento, resta pur sempre garantita
dall’imprescindibile rispetto delle loro competenze istituzionali,
essendo pacifico che le quote del fondo comune, risanate, secondo
quanto previsto dalla impugnata legge, al finanziamento di interventi
ed opere indicati dalle Comunità tra quelli compresi nei loro piani e
programmi, devono comunque essere impiegate con l’osservanza della
destinazione prescritta dall’art. 1, comma 14, della legge n. 959 del
1953. Che se poi i piani e i programmi delle Comunità fossero
strutturati in modo così analitico da individuare singolarmente e
tassativamente le opere e gl’interventi da eseguirsi a carico dei
Consorzi, rendendo così meramente ripetitivi i programmi operativi
riservati a questi ultimi, a tutelare la loro autonomia gestionale
soccorrerebbero – come riconosce la stessa Regione resistente – idonei
strumenti in sede di riesame da parte della Regione, oltre che nella
definitiva sede giurisdizionale.
Conclusivamente, la impugnata legge non viola gl’indicati parametri
(VIII disp. trans. e fin. della Costituzione, art. 3 (recte 7) del
d.P.R. n. 8 del 1972, art. 3 del d.P.R. n. 11 del 1972), in quanto non
altera l’attuale distribuzione di funzioni amministrative tra gli enti
locali.
7. – La seconda censura dedotta nel ricorso concerne – come esposto
in narrativa – l’asserita modificazione, ad opera della impugnata
legge, della destinazione del sovracanone, quale stabilita dalla legge
n. 959 del 1953. Operando questo mutamento di destinazione, la Regione
avrebbe oltrepassato i limiti della sua competenza normativa, atteso
che il sovracanone si configura come diritto relativo alla
utilizzazione di acque pubbliche, materia questa riservata agli organi
dello Stato (art. 8, comma secondo, d.P.R. n. 8 del 1972, in relazione
all’art. 117 della Costituzione).
La difesa della Regione ha sollevato eccezione d’inammissibilità,
affermando che siffatta censura non figura tra i motivi invocati dal
Governo nel rinviare al Consiglio regionale la legge in esame.
L’eccezione non può essere accolta: nell’esibito atto di rinvio si fa
autonomo riferimento allo scopo della costituzione dei Consorzi e alla
loro operatività “in una gamma di settori che non esauriscesi ambito
materie competenza regionale”; e ciò concreta quella “sintetica”
enunciazione dei motivi di rinvio e quella loro coincidenza “almeno
nelle linee essenziali” con le censure poste a base della successiva
impugnativa, che la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 8 del
1967, n. 123, n. 132 e n. 221 del 1975) ha ritenuto sufficiente ai fini
dell’osservanza dell’art. 127 della Costituzione.
Nel merito, la censura non è fondata.
Come si è già osservato, la legge impugnata non muta le funzioni
assegnate ai Consorzi né la destinazione del fondo alimentato dal
gettito del sovracanone. Essa intende dare attuazione alla normativa
dettata dalla legge n. 1102 del 1971, stabilendo le modalità ritenute
più idonee per assicurare il voluto coordinamento dei programmi dei
Consorzi con i preminenti piani e programmi delle Comunità. La
sostituzione della articolazione del fondo comune alla sua originaria
unitarietà, ai fini dell’impiego, è razionale conseguenza sia della
ripartizione, prevista dalla stessa legge n. 1102, del territorio
montano in zone omogenee, determinate sulla base di criteri unitari
socio-economici, e non necessariamente coincidenti con l’ambito
territoriale dei bacini imbriferi, sia della concomitante
subordinazione, anch’essa voluta dal legislatore statale, all’attività
programmatoria globale, demandata alle Comunità, degl’interventi
settoriali predisposti dagli altri enti (tra cui i Consorzi) operanti
nel loro territorio. La impugnata legge non incide, dunque, nella
materia della “tutela, disciplina ed utilizzazione delle acque
pubbliche”, per la quale, ai sensi dell’art. 8 del citato d.P.R. n. 8
del 1972, resta ferma la competenza degli organi statali.
11. – Inammissibile, infine, come giustamente eccepito dalla
resistente Regione, è la terza censura enunciata nel ricorso per
violazione dell’art. 3 della Costituzione, in ragione dell’asserita
disparità di trattamento tra Comuni consorziati e Comuni non
consorziati, tutti ricadenti nell’ambito di uno stesso bacino
imbrifero montano.
L’atto di rinvio al Consiglio regionale, dopo aver elencato,
contraddistinguendoli con i nn. 1 e 2, i motivi di rinvio, posti di poi
a base delle due censure già esaminate, conclude con la frase “Per
tali motivi Governo habet rinviato legge at nuovo esame Consiglio
regionale sensi articolo 127 Costituzione”. Si prosegue poi con
l’espressione “Nella occasione Governo habet inoltre osservato che
provvedimento in esame sarebbe lungi conseguire prefissato intento
disciplina più semplice et razionale di coordinamento fra enti
subregionali”, aggiungendosi delle considerazioni a proposito dei
Comuni rivieraschi non montani e dei Comuni montani non consorziati,
senza, peraltro, alcun riferimento, esplicito o implicito, allo art. 3
della Costituzione. In tal guisa esposte, siffatte osservazioni non
possono essere ricondotte ai motivi di legittimità posti a base del
rinvio; inammissibile è, dunque, la dedotta censura, mancando quella
corrispondenza, sia pure sintetica e nelle linee essenziali, che deve
intercorrere tra motivi di rinvio e censure esposte nel successivo
ricorso.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
della legge della Regione Lombardia approvata il 26 marzo 1975,
riapprovata il 20 novembre successivo, recante “norme sui Consorzi
B.I.M.”, proposta in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con il
ricorso di cui in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
della legge sopra indicata, proposte, con lo stesso ricorso, in
riferimento agli artt. 117 e VIII disp. trans. e fin. della
Costituzione, ed agli artt. 3 (recte 7) ed 8 del d.P.R. 15 gennaio
1972, n. 8, e 3 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, contenenti “norme
sul trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni
amministrative statali”, rispettivamente in materia di urbanistica e di
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale ed in
materia di agricoltura e foreste, caccia e pesca nelle acque interne.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO ERCOLE ROCCHETTI ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI Cancelliere