Sentenza N. 216 del 1974
Corte Costituzionale
Data generale
09/07/1974
Data deposito/pubblicazione
09/07/1974
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/06/1974
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO –
Avv. ERCOEE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott.
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI,
Giudici,
comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno
1972 dal pretore di Siracusa nel procedimento penale a carico di Sirugo
Paolo, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1972 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 13 settembre 1972.
Udito nella camera di consiglio del 30 maggio 1974 il Giudice
relatore Ercole Rocchetti.
Con ordinanza emessa il 6 giugno 1972, nel procedimento penale a
carico di Sirugo Paolo, imputato dei delitti di corruzione di minorenni
e sottrazione consensuale di minori, il pretore di Siracusa ha ritenuto
rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3
della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 542, secondo comma del codice penale che, per i delitti
contro la libertà sessuale e per il reato di corruzione di minorenni,
stabilisce che la querela proposta dall’offeso è irrevocabile.
Secondo il giudice a quo la norma impugnata, che costituisce
eccezione al principio generale della remissibilità della querela, si
pone in contrasto “non solo con il principio di eguaglianza, sancito
dall’art. 3 della Costituzione, ma anche con il principio di
ragionevolezza che del primo costituisce l’evidente corollario”.
Al riguardo il pretore di Siracusa ritiene che i reati contro la
libertà sessuale non presentino assolutamente caratteristiche tali da
giustificare un trattamento differenziato in ordine all’istituto della
remissione della querela, perché la pretesa immoralità del principio
della revocabilità della querela e la pubblicità inerente al processo
verificatasi dopo la presentazione della querela, non costituiscono un
razionale e solido fondamento della speciale regolamentazione sancita
dal secondo comma dell’art. 542 del codice penale.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuna delle parti si è
costituita né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri:
la causa pertanto viene decisa in camera di consiglio, ai sensi degli
artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, primo
comma, delle Norme integrative.
1. – Viene proposta alla Corte questione di legittimità
costituzionale dell’art. 542, secondo comma, del codice penale, il
quale dispone che la querela proposta per i delitti contro la libertà
sessuale (artt. 519 – 526 c.p.) è irrevocabile. Secondo il giudice a
quo, la norma in esame violerebbe l’art. 3 della Costituzione perché
distinguerebbe tali delitti dagli altri reati punibili a querela di
parte, sulla base di ragioni prive di intrinseca consistenza. In
particolare, lo stesso giudice ritiene che l’attribuzione alla persona
offesa del potere di condizionare il promovimento dell’azione penale
non possa non implicare l’attribuzione alla stessa persona del potere
di decidere, “dopo una più matura e ponderata riflessione”, se sia
opportuno revocare la querela o quanto meno di valutare quando la
pubblicità inerente al processo cominci a nuocerle. Più razionale, al
riguardo, dovrebbe perciò considerarsi la disciplina del codice penale
del 1889, che all’art. 336 consentiva la remissione della querela sino
all’apertura del dibattimento.
2. – La questione non è fondata.
Osserva la Corte, in via preliminare, che l’istituto della querela,
nel vigente ordinamento, non è stato disciplinato dal legislatore per
tutelare situazioni e interessi omogenei noto, infatti, che la deroga
al principio generale della perseguibilità d’ufficio dei reati
risponde a differenti esigenze e a diversi criteri di politica
criminale: nella maggior parte dei casi, la perseguibilità a querela
della persona offesa è stata prevista per reati di lieve entità, in
considerazione della tenuità dell’interesse pubblico all’esercizio
dell’azione penale; in altri casi, invece, come nei delitti contro la
libertà sessuale, che, di regola, sono reati particolarmente gravi, il
legislatore, nonostante la sussistenza di un rilevante interesse
pubblico, ha ritenuto di lasciare al soggetto passivo, in ordine a
fatti che lo toccano profondamente nella vita privata, la valutazione
della opportunità del procedimento giurisdizionale.
Sulla base della differente gravità dei reati, il contemperamento
fra interesse pubblico e interesse privato comporta, per i reati
previsti nella norma impugnata, la perseguibilità a querela e il
divieto di remissione della querela stessa.
3. – Alla stregua delle considerazioni che precedono, risultano
prive di consistenza le censure rivolte dal giudice a quo alla norma
impugnata.
E opportuno innanzi tutto precisare che i rilievi contenuti nella
Relazione ministeriale secondo cui “la irrevocabilità fu stabilita
allo scopo di evitare turpi accomodamenti e ripugnanti estorsioni” si
spiegano proprio in relazione alla gravità dei reati, richiamati
nell’art. 542, con la conseguenza che la disposizione del secondo
comma, lungi dall’apparire una deroga al c.d. principio della
remissione della querela, risulta aderente alle esigenze tutelate dalla
norma e trova la sua giustificazione nell’interesse pubblico di evitare
che il promovimento della azione penale possa essere strumentalizzato,
o comunque subordinato, ai fini diversi da quelli perseguiti
dall’ordinamento.
4. – Neppure risulta fondata la critica all’ulteriore
giustificazione, posta comunemente a fondamento della irrevocabilità,
relativa alla pubblicità inerente al processo. Ed invero, se il
fondamento dell’istituto della querela, per i reati previsti dall’art.
542 c.p., va ravvisato nella opportunità di lasciare all’interessato
la facoltà di evitare la pubblicità derivante dal processo, è
evidente che la ragione di riservatezza, alla cui tutela è stata
sacrificata l’iniziativa pubblica dell’azione punitiva, viene meno
quando, in seguito alla proposizione della querela, il fatto acquista
un carattere di pubblicità che prima non aveva.
Né può avere rilevanza la circostanza che la pubblicità di cui
si tratta si verifica per gradi e con intensità variabile, perché
ciò che conta è il contributo alla conoscenza del fatto che la parte
offesa è costretta a fornire se non vuole rinunciare alla punizione
del colpevole.
Ora, è evidente che, anche da questo punto di vista, la gravità
dei reati, cui fa riferimento la norma impugnata, ha indotto il
legislatore a limitare la rilevanza dell’interesse privato al momento
della scelta tra l’interesse alla riservatezza e l’interesse alla
punizione del colpevole.
Pertanto, la soluzione accolta dal legislatore, nella sua
discrezionalità, non contrasta con il principio di eguaglianza sia
perché, come si è detto, la fattispecie legislativa risulta
oggettivamente differenziata dai casi in cui la remissione della
querela è ordinariamente ammessa, sia perché la irrevocabilità trova
una adeguata e logica giustificazione nel rilevante interesse pubblico
alla repressione di questo tipo di reato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 542, secondo comma, del codice penale, sollevata con
ordinanza del 6 giugno 1972 dal pretore di Siracusa, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – GIUSEPPE
VERZÌ – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE
MARCO – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI
– GIULIO GIONFRIDA EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere