Sentenza N. 225 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
18/11/1976
Data deposito/pubblicazione
18/11/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1976
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO
VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO
DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
della legge 26 novembre 1969, n. 833; dell’art. 56 del d.l. 26 ottobre
1970, n. 745; dell’art. 1 del d.l. 24 luglio 1973, n. 426, convertito
in legge 4 agosto 1973, n. 495; dell’art. 1 della legge 22 dicembre
1973, n. 841; dell’art. 1 del decreto-legge 19 giugno 1974, n. 236,
convertito nella legge 12 agosto 1974, n. 351; dell’art. 1 del
decreto-legge 25 giugno 1975, n. 255, convertito nella legge 31 luglio
1975, n. 363 (norme relative alle locazioni degli immobili urbani),
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 12 marzo 1974 dal pretore di Foggia nel
procedimento civile vertente tra Rossetti Angelo e Di Gioia Mario,
iscritta al n. 200 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;
2) ordinanza emessa il 7 gennaio 1974 dal pretore di Taranto nel
procedimento civile vertente tra Vinci Carmela e Guarnieri Leonardo,
iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;
3) ordinanza emessa il 30 ottobre 1974 dal tribunale di Ancona nel
procedimento civile vertente tra Serena Vincenzo e Londei Ferruccio,
iscritta al n. 526 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 del 12 febbraio 1975;
4) ordinanza emessa il 19 settembre 1974 dal pretore di Gallarate
nel procedimento civile vertente tra Pironti Cosimo e Colleoni Pietro,
iscritta al n. 534 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 del 12 febbraio 1975;
5) ordinanza emessa il 19 ottobre 1974 dal pretore di Firenze nel
procedimento civile vertente tra la società officine Cipriani e
Baccani, e Gallai Gaetano, iscritta al n. 39 del registro ordinanze
1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del
26 febbraio 1975;
6) ordinanza emessa il 24 marzo 1975 dal pretore di Riva del Garda
nel procedimento civile vertente tra Leone Mario e Andreis Bruno,
iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 18 giugno 1975;
7) ordinanza emessa il 28 marzo 1975 dal pretore di Napoli nel
procedimento civile vertente tra Del Sordo Claudia ed altra e
Martorelli Rossana ed altra, iscritta al n. 180 del registro ordinanze
1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del
2 luglio 1975;
8) ordinanza emessa il 24 aprile 1975 dal pretore di Ancona nel
procedimento civile vertente tra Graziosi Umberto ed altra e Marconi
Marino, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 188 del 16 luglio 1975;
9) ordinanza emessa il 13 dicembre 1974 dal pretore di Modena nel
procedimento civile vertente tra Ferrari Maria e Pelati Roberto,
iscritta al n. 273 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975;
10) ordinanza emessa il 12 febbraio 1975 dal pretore di Roma nel
procedimento civile vertente tra la società Casa Via Buonarroti e Gera
Fabio, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 10 settembre 1975;
11) ordinanza emessa il 15 aprile 1975 dal pretore di Roma nel
procedimento civile vertente tra la società Universale Costruzioni e
la società Internazional Auto, iscritta al n. 341 del registro
ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 268 dell’8 ottobre 1975;
12) ordinanza emessa il 9 dicembre 1974 dal pretore di Piombino nel
procedimento civile vertente tra Riggio Francesco e Campioni Liberio,
iscritta al n. 354 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell’8 ottobre 1975;
13) ordinanza emessa il 10 giugno-9 luglio 1975 dal pretore di Roma
nel procedimento civile vertente tra l’Istituto nazionale di previdenza
per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI) e Scuto Angelo,
iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281 del 22 ottobre 1975;
14) ordinanza emessa il 18 giugno 1975 dal pretore di Firenze nel
procedimento civile vertente tra Bacciotti Andrea e Rizzi Giuseppe,
iscritta al n. 418 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 del 5 novembre 1975;
15) ordinanza emessa il 25 ottobre 1975 dal tribunale di Rovereto
nel procedimento civile vertente tra Bossi Fedrigotti Federico e Lucca
Paolo, iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.
Visti gli atti di costituzione di Ferrari Maria, della società
Universale Costruzioni e della società Internazional Auto, nonché gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 1976 il Giudice relatore
Antonino De Stefano;
uditi l’avv. Carlo Carlevaris, per la società Universale
Costruzioni, ed il vice Avvocato generale dello Stato Giovanni
Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Le quindici ordinanze all’esame della Corte si riferiscono
tutte alla disciplina vincolistica della locazione d’immobili urbani:
di esse, tredici concernono immobili ad uso di abitazione, due immobili
ad uso diverso dall’abitazione.
Nel primo gruppo si possono suddistinguere quattro questioni
rispettivamente proposte:
la prima con un’ordinanza, che denuncia la illegittimità
costituzionale dell’art. l, comma primo, della legge 26 novembre 1969,
n. 833, come modificato dall’art. 56 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745,
convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034; la seconda con cinque
ordinanze, che denunciano l’art. 1 del d.l. 24 luglio 1973, n. 426,
convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495; la terza con un’ordinanza,
che denuncia l’art. 1, comma quarto, della legge 22 dicembre 1973, n.
841, nella parte in cui si richiama al primo comma dell’art. 1 del d.l.
n. 426 del 1973; la quarta con sei ordinanze, che denunciano l’art. 1
del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, come modificato dalla legge di
conversione 12 agosto 1974, n. 351.
2. – La prima questione di legittimità costituzionale è quella
sollevata dal tribunale di Ancona, con ordinanza del 30 ottobre 1974,
in riferimento all’art. 1, comma primo, della legge n. 833 del 1969,
come modificato dall’art. 56 del d.l. n. 745 del 1970, nella parte in
cui viene negata rilevanza alle variazioni del reddito del conduttore
eventualmente sopravvenute al 1969.
Il giudice a quo ravvisa contrasto con l’art. 3 della Costituzione
e trae conferma della non manifesta infondatezza della questione
proposta dal collegamento tra il capo b) del dispositivo e l’ultimo
periodo della parte motiva della sentenza n. 132 del 1972, con la quale
la Corte dichiarò l’incostituzionalità delle norme che negano
rilevanza alle variazioni di reddito sopravvenute dopo il 1969 onde
evitare “irrazionali differenze qualora le condizioni economiche del
conduttore siano mutate al momento in cui si decide del diritto di
proroga”. Si afferma nell’ordinanza che le variazioni sopravvenute,
positive o negative che siano, non possono non essere determinanti,
giacché è fuori di dubbio che il legislatore ha inteso negare o
concedere la proroga non già ad un conduttore che nel 1969 avesse un
certo reddito, ma a quel conduttore che, nel momento in cui gli veniva
intimata la licenza, fosse in condizioni tali da non potersi procurare
altro alloggio, senza gravi sacrifici economici.
La questione viene sollevata dal tribunale sul rilievo che nella
citata sentenza la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità del comma
secondo dell’art. 1 della legge n. 833 del 1969 (che proroga i
contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge), ma non
avrebbe preso in esame, nemmeno in rapporto all’art. 24 della
Costituzione, il comma primo dello stesso articolo (che dispone la
ulteriore proroga dei contratti già prorogati con legge 12 febbraio
1969, n. 4).
In tale giudizio nessuno si è costituito.
3. – La seconda questione di legittimità costituzionale, relativa
all’art. 1 del d.l. 24 luglio 1973, n. 426, è sollevata da cinque
ordinanze emesse, rispettivamente, il 7 gennaio 1974 dal pretore di
Taranto, il 12 marzo 1974 dal pretore di Foggia, il 19 ottobre 1974 dal
pretore di Firenze, il 28 marzo 1975 dal pretore di Napoli, ed il 9
luglio 1975 dal pretore di Roma.
In sintesi, secondo i giudici a quibus, alcuni dei quali si
richiamano esplicitamente alla sentenza di questa Corte n. 132 del
1972, la norma in questione sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24
della Costituzione:
a) perché non riconosce al locatore il diritto di provare, nelle
forme previste dall’ordinamento processuale, che il conduttore gode di
un reddito superiore a quello risultante dall’iscrizione nei ruoli
dell’imposta complementare per l’anno 1973 ;
b) perché non attribuisce rilevanza alle variazioni di detto
reddito eventualmente sopravvenute fino al momento in cui si decide del
diritto alla proroga;
c) perché limita la prova dei redditi da lavoro dipendente
esclusivamente alle attestazioni del datore di lavoro.
Inoltre, secondo il pretore di Taranto, l’avere attribuito
efficacia probatoria assoluta alle certificazioni del datore di lavoro
relativamente ai redditi percepiti dal suo dipendente, creerebbe una
disparità di trattamento in danno di chi svolge lavoro autonomo (per
il quale, pur se sulla base del reddito risultante dall’iscrizione a
ruolo, si tiene conto di ogni cespite patrimoniale sia proprio che dei
componenti la famiglia), ed in favore di chi presta attività
subordinata (per il quale non deve considerarsi che il solo reddito
derivante dal rapporto di lavoro con esclusione di ogni altro eventuale
cespite sia proprio che della famiglia anagrafica). Invece, secondo il
pretore di Napoli, la sperequazione sussisterebbe in favore di chi
svolge lavoro autonomo e in danno del lavoratore dipendente, perché il
primo viene iscritto a ruolo sulla base della sua dichiarazione
generalmente infedele, mentre il secondo è vincolato dall’attestazione
rilasciata dal datore di lavoro.
4. – La terza questione concernente la legittimità costituzionale,
per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, dell’art. 1, comma
quarto, della legge 22 dicembre 1973, n. 841, è sollevata dal pretore
di Roma con ordinanza del 12 febbraio 1975, nella parte in cui, facendo
richiamo al reddito indicato nel primo comma dell’art. 1 del d.l. n.
426 del 1973, non riconosce al locatore il diritto di provare che il
nuovo conduttore gode di un reddito superiore a quello risultante
dall’iscrizione a ruolo ai fini dell’imposta complementare per l’anno
1973.
5. – La quarta questione di legittimità costituzionale relativa
all’art. 1 del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, come modificato dalla legge
di conversione n. 351 del 1974, è sollevata con sei ordinanze, emesse,
rispettivamente, dal pretore di Gallarate, in data 19 settembre 1974,
dal pretore di Piombino, in data 9 dicembre 1974, dal pretore di
Modena, in data 13 dicembre 1974, dal pretore di Riva del Garda, in
data 24 marzo 1975, dal pretore di Ancona, in data 24 aprile 1975 e dal
pretore di Firenze in data 18 giugno 1975.
Secondo i giudici a quibus, alcuni dei quali si richiamano
anch’essi esplicitamente alla sentenza di questa Corte n. 132 del 1972,
la norma denunciata contrasterebbe con gli artt. 3, 24, 41 e 42 della
Costituzione, nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto
di provare che il conduttore gode di un reddito superiore a quello
emergente dalla iscrizione a ruolo per il 1972, nonché nella parte in
cui nega rilevanza alle variazioni di reddito del conduttore
sopravvenute rispetto al 1972 Per il pretore di Gallarate la stessa
norma contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione nella parte in
cui, facendo riferimento alla condizione patrimoniale del solo
conduttore, esclude che possa venire in considerazione anche quella del
locatore che può essere identica o addirittura inferiore a quella del
conduttore. L’escludere, così, che il proprietario possa godere
dell’immobile del quale abbia necessità si risolve in una chiara
discriminazione in suo danno.
Nei giudizi relativi alle dodici ordinanze da ultimo indicate è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocato generale dello Stato, che ha concluso per
l’infondatezza delle questioni proposte.
Sostiene l’Avvocatura che l’art. 1 del d.l. n. 426 del 1973 è
sostanzialmente conforme alle statuizioni enunciate da questa Corte
nella sentenza n. 132 del 1972. E, invero, nel primo comma sono
alternativamente indicate le modalità di accertamento del reddito del
conduttore: iscrizione a ruolo per l’anno 1973 di un reddito
complessivo netto non superiore a quattro milioni, oppure l’aver
percepito nel 1972 un reddito di pari misura determinabile ai sensi
degli artt. 133, 135, 136, 138 del testo unico delle leggi sulle
imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645. Col
riferimento al dato obiettivo del reddito imponibile del 1973 il
legislatore ha voluto, in linea di massima, evitare difficoltà di
accertamento e rendere così facile e spedita la risoluzione delle
controversie; ha rimesso, tuttavia, tale accertamento all’apprezzamento
del giudice quando la parte voglia dimostrare l’esistenza di un reddito
superiore.
Le disposizioni del secondo e terzo comma sono applicabili soltanto
al caso in cui il conduttore fruisca esclusivamente di un reddito di
lavoro dipendente o di pensione; se lo stesso goda, invece, anche di
altri redditi la controparte può avvalersi di tutti i mezzi di prova
per fornire la dimostrazione del reddito complessivo, fermo restando
l’importo del reddito di lavoro o di pensione sulla base delle relative
attestazioni.
In ordine, poi, alla censura secondo la quale l’avere ancorato la
proroga al reddito prodotto nel 1972, escluderebbe la rilevanza delle
variazioni di reddito sopravvenute sino alla decisione della causa,
l’Avvocatura rileva che l’agganciamento operato dalla norma si
giustifica sia in relazione al carattere temporaneo della proroga, sia
in relazione al carattere straordinario del decreto legge impugnato,
adottato dal legislatore – unitamente al decreto legge 24 luglio 1973,
n. 427 – per contrastare col blocco delle pigioni e dei prezzi
l’eccezionale situazione dell’inflazione monetaria.
Nega, poi, l’Avvocatura, rispondendo ai rilievi formulati nelle
ordinanze dei pretori di Taranto e di Napoli che sussista disparità di
trattamento tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo sotto il
profilo della dimostrazione dei rispettivi redditi, potendo ora il
locatore provare pienamente il reddito complessivo dei soggetti in
questione.
Analoghe considerazioni svolge l’Avvocatura in tutti gli atti di
intervento relativi alla identica questione sollevata nei riguardi del
decreto legge n. 236 del 1974, ribadendo che anche questa successiva
normativa di proroga delle locazioni, che non disconosce al locatore la
possibilità di dimostrare che il conduttore abbia goduto nel 1972 di
un reddito effettivo superiore a quello emergente dall’iscrizione a
ruolo, ragionevolmente nega che possa tenersi conto delle variazioni di
reddito successivamente intervenute.
In ordine alla particolare censura formulata dal pretore di
Gallarate, l’Avvocatura precisa che tale questione è già stata
risolta, in termini, dalla Corte con la sentenza n. 132 del 1972, la
quale ha statuito che restano sempre applicabili le disposizioni che
consentono al locatore il diritto di far cessare la proroga, quando ha
necessità assoluta di riottenere l’appartamento per abitarlo. Ed in
relazione al fatto che tale richiesta era stata avanzata dal locatore
nel giudizio di merito dinanzi al giudice a quo, l’Avvocatura chiede
preliminarmente che la Corte voglia dichiarare l’inammissibilità, per
difetto di rilevanza, della proposta questione.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita soltanto
Ferrari Maria (parte attrice nel procedimento di sfratto sospeso dal
pretore di Modena), rappresentata e difesa dall’avvocato Filippo
Palmieri, il quale, nelle proprie deduzioni, conclude per
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale proposta
dal giudice a quo nei riguardi dell’art. 1 del d.l. 236 del 1974,
rilevando che sussiste il denunciato contrasto con gli artt. 3 e 24
della Costituzione in quanto la norma, consentendo al conduttore di
dimostrare le proprie condizioni sulla base delle risultanze della
denuncia dei redditi riferita al 1972 (peraltro accettata in via
provvisoria e non controllata dal fisco) e negando ogni rilevanza alle
variazioni di reddito posteriormente intervenute: a) violerebbe il
diritto di difesa del locatore precludendogli ogni possibilità di
fornire prova contraria; b) consentirebbe l’acquisizione di prove al di
fuori del processo, ledendo così il principio del contraddittorio; c)
creerebbe, infine, discriminazione tra conduttori.
6. – Le ultime due ordinanze, delle quindici in esame, concernono
le locazioni d’immobili ad uso diverso dall’abitazione.
Con ordinanza 15 aprile 1975, il pretore di Roma ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma quarto,
seconda parte, in relazione al comma primo, del d.l. 24 luglio 1973, n.
426, nella parte in cui dispone sia il blocco dei contratti e dei
canoni per la locazione di immobili ad uso diverso dall’abitazione, sia
l’inefficacia delle clausole di adeguamento dei canoni, denunciandone
il contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Ad avviso del giudice a quo la prima violazione del principio di
uguaglianza si concreta nella mancata distinzione tra le varie
categorie di conduttori (ad esempio tra piccoli commercianti ed
artigiani e grosse società conduttrici, con ben diverso potere
contrattuale).
Altro profilo di violazione del principio di uguaglianza il pretore
ravvisa nell’esclusione di ogni efficacia delle clausole di adeguamento
dei canoni all’aumento del costo della vita, osservando che se può
essere ammesso il blocco dei canoni, entro determinati limiti, al fine
di sottrarre i conduttori ad eventuali ingiustificate pretese dei
proprietari, non altrettanto logico appare il divieto di previsione di
clausole che tendano soltanto all’adeguamento del canone alla
svalutazione monetaria.
Nel giudizio dinanzi alla Corte, relativo a tale ordinanza, si sono
costituite le parti private: S.p.A. Universale Costruzioni e S.r.l.
Internazional Auto, rappresentate e difese rispettivamente dagli
avvocati Carlo Carlevaris e Nicola lelpo, ed è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocato generale dello Stato.
Sostiene la difesa della Società Universale Costruzioni che dopo
l’entrata in vigore della Costituzione il legislatore si è
legittimamente preoccupato di proteggere dalle avversità economiche le
necessità primarie dei cittadini affittuari di alloggi o di immobili
adibiti al piccolo commercio, ma non ha mai preteso di imporre
sacrifici ai proprietari di immobili locati a grandi società
produttive. Il primo intervento del genere è stato operato con il
decreto legge n. 426 del 1973, ora impugnato, con il quale sono state
indiscriminatamente prorogate tutte le locazioni di tutti gli immobili
urbani, bloccandone altresì i relativi canoni.
Il non aver discriminato le imprese affittuarie ai fini del blocco
(a seconda delle dimensioni o della natura dell’attività) porta ad un
drastico e generalizzato calmiere di uno soltanto dei costi necessari
di produzione, lasciando liberi gli altri (materie prime, trasporto,
lavoro) e di conseguenza lasciando liberi i prezzi dei beni e dei
servizi prodotti e quindi i proventi lordi delle imprese produttive.
L’avere escluso l’efficacia delle clausole di adeguamento degli
affitti di immobili produttivi determina, a sua volta, un ampliamento
forzoso dei proventi delle imprese produttrici cui corrisponde una
decurtazione del profitto del proprietario dell’immobile.
La difesa della Società Internazional Auto conclude, invece per
l’infondatezza della proposta questione, osservando che le
argomentazioni svolte nell’ordinanza di rinvio non sono idonee a porre
in luce il prospettato dubbio d’incostituzionalità, ma si risolvono in
un giudizio critico delle scelte di politica economica, spettanti
unicamente al legislatore, che hanno ispirato la norma impugnata.
Nelle proprie deduzioni l’Avvocatura dello Stato, dopo aver
affermato che il blocco delle locazioni risponde ad esigenze
antinflazionistiche, prospetta dubbi sulla rilevanza del primo profilo
d’incostituzionalità (disparità di trattamento tra conduttori).
Infondato sarebbe, poi, il secondo profilo d’incostituzionalità,
relativo all’inefficacia delle clausole di adeguamento, giustificandosi
la loro introduzione per le esigenze antinflazionistiche anzidette.
In una successiva memoria la difesa della Società Universale
Costruzioni replica alle deduzioni dell’Avvocatura dello Stato e della
controparte privata, insistendo per la fondatezza della sollevata
questione.
7. – Con ordinanza 25 ottobre 1975, il tribunale di Rovereto ha
sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento
agli artt. 3 e 42 della Costituzione – delle seguenti norme: art. 1 del
d.l. 24 luglio 1973, n. 426; art. 1 della legge 22 dicembre 1973, n.
841; art. 1 del d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (convertito in legge 12
agosto 1974, n. 351) e art. 1 del d.l. 25 giugno 1975, n. 255
(convertito in legge 31 luglio 1975, n. 363).
Ritiene il tribunale che se il regime vincolistico delle case di
abitazione trova fondamento nello scopo di garantire i conduttori dalla
speculazione e dalla svalutazione monetaria, analogo fondamento non
sembra sorreggere il regime vincolistico accordato dalle norme
denunciate ai locali destinati ad uso diverso dall’abitazione, il quale
viene a privilegiare categorie di commercianti, artigiani e
professionisti che sono perfettamente in grado di trasferire sulla
clientela il peso dei canoni. Il regime vincolistico di detti locali,
non giustificato da alcuna funzione sociale, sarebbe quindi in
contrasto con l’art. 42 della Costituzione.
Sussisterebbe, altresì, la violazione del principio di
uguaglianza: a) per aver regolato in modo eguale situazioni
profondamente dissimili: quella del locatario di abitazione e quella
del conduttore di negozio, ufficio, officina; b) per avere, senza
motivi di interesse sociale, trattato con sfavore il locatore di
immobile ad uso diverso dall’abitazione, a tutto vantaggio del
conduttore; c) per avere, infine, dettato diversa disciplina in seno
alla stessa categoria dei conduttori, riconoscendo il beneficio della
proroga al conduttore di una casa di abitazione soltanto se il suo
reddito non superi un determinato livello, e attribuendo, invece,
incondizionatamente lo stesso beneficio della proroga al conduttore di
un locale adibito a negozio, ufficio, studio.
Nel giudizio dinanzi alla Corte le parti private non si sono
costituite. Ha spiegato intervento, invece, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocato generale dello
Stato, che ha concluso per l’infondatezza di tutte le questioni
prospettate, osservando che la normativa denunciata, rispondendo ad
esigenze antinflazionistiche, ha bloccato i canoni per evitare una
lievitazione dei costi, senza con ciò determinare l’asserita
espropriazione a favore della categoria dei conduttori, dato che, nelle
ipotesi considerate, non ha luogo alcuno “svuotamento” del diritto di
proprietà, ma al più una “compressione”, peraltro limitata nel tempo,
di tale diritto.
1. – Con le ordinanze in epigrafe sono state sottoposte alla Corte
le seguenti questioni:
A) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art.
3 della Costituzione – l’art. 1, comma primo, della legge 26 novembre
1969, n. 833 (nel testo modificato dall’articolo 56 del d.l. 26 ottobre
1970, n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034), nella
parte in cui, disponendo l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 1973
dei contratti di locazione e di sublocazione di immobili ad uso di
abitazione, già prorogati con legge 12 febbraio 1969, n. 41, stipulati
da conduttori o subconduttori iscritti, ai fini dell’imposta
complementare per l’anno 1969, per un reddito non superiore ai 2
milioni e 500 mila lire, non attribuisce rilevanza alle variazioni del
reddito del conduttore o subconduttore eventualmente sopravvenute al
1969 fino al momento in cui viene intimata la licenza (ordinanza del 30
ottobre 1974 del tribunale di Ancona);
B) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione – l’art. 1 del d.l. 24 luglio 1973, n.
426 (convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495), nella parte
concernente le locazioni di immobili ad uso di abitazione, in quanto:
a) non riconosce al locatore il diritto di provare, con ogni mezzo
consentito dall’ordinamento, che il conduttore goda di reddito
superiore a quello risultante dall’iscrizione nei ruoli ai fini
dell’imposta complementare per l’anno 1973 (ordinanze del 7 gennaio
1974 del pretore di Taranto, del 12 marzo 1974 del pretore di Foggia,
del 12 febbraio e del 9 luglio 1975 del pretore di Roma);
b) non attribuisce rilevanza alle variazioni di detto reddito,
eventualmente sopravvenute fino al momento in cui si decide del diritto
alla proroga (ordinanze del 12 marzo 1974 del pretore di Foggia, del 19
ottobre 1974 del pretore di Firenze, del 9 luglio 1975 del pretore di
Roma);
c) esclude, per i redditi derivanti da lavoro dipendente e per le
pensioni, ogni prova contraria alle attestazioni del datore di lavoro o
dell’ente erogatore (ordinanze del 7 gennaio 1974 del pretore di
Taranto e del 19 ottobre 1974 del pretore di Firenze);
d) crea disparità di trattamento tra conduttore che svolge lavoro
autonomo e conduttore che svolge lavoro dipendente sotto un duplice
profilo;
1) perché il reddito del primo, ai fini dell’imposta
complementare, verrebbe calcolato tenendosi conto di ogni cespite sia
proprio che dei componenti la famiglia, mentre, per il secondo,
verrebbe considerato solo il reddito derivante dall’attività
dipendente (ordinanza del 7 gennaio 1974 del pretore di Taranto);
2) perché chi svolge lavoro autonomo, avendo redditi variabili, di
difficile accertamento, per i quali agevole è l’evasione fiscale, gode
in giudizio di ampie possibilità di difesa, delle quali non può,
invece, avvalersi il lavoratore subordinato, risultando il suo reddito
per intero e con esattezza dall’attestazione del datore di lavoro
(ordinanza del 28 marzo 1975 del pretore di Napoli);
C) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art.
24 della Costituzione – l’art. 1, comma quarto, della legge 22 dicembre
1973, n. 841, nella parte in cui, facendo richiamo al reddito indicato
nel primo comma dell’art. 1 del d.l. n. 426 del 1973, non riconosce al
locatore il diritto di provare che il nuovo conduttore gode di un
reddito superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo ai fini
dell’imposta complementare per l’anno 1973 (ordinanza del 12 febbraio
1975 del pretore di Roma);
D) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli
artt. 3, 24, 41 e 42 della Costituzione – l’art. 1 del d.l. 19 giugno
1974, n. 236, nel testo modificato con l’articolo unico della legge di
conversione 12 agosto 1974, n. 351, nella parte in cui dispone la
proroga fino alla data del 30 giugno 1975 limitatamente ai contratti di
locazione di immobili urbani ad uso abitazione, in quanto:
a) non riconosce al locatore il diritto di provare che il
conduttore goda di reddito superiore a quello emergente dall’iscrizione
a ruolo per il 1972 (ordinanza del 13 dicembre 1974 del pretore di
Modena);
b) non attribuisce rilevanza alle variazioni di reddito del
conduttore eventualmente sopravvenute dopo l’anno 1972 (ordinanze del 9
dicembre 1974 del pretore di Piombino, del 13 dicembre 1974 del pretore
di Modena, del 24 marzo 1975 del pretore di Riva del Garda, del 24
aprile 1975 del pretore di Ancona, del 18 giugno 1975 del pretore di
Firenze);
c) consentendo il beneficio della proroga anche ai conduttori
divenuti dopo il 1972 percettori di redditi superiori a 4 milioni di
lire, opera una sorta di espropriazione parziale, senza indennizzo,
della proprietà privata, in danno dei proprietari di immobili ed in
assenza di quegli interessi sociali e generali i quali soltanto possono
giustificare limitazioni del diritto di proprietà (riferimento agli
artt. 41 e 42 della Costituzione citati nella ordinanza del 24 marzo
1975 del pretore di Riva del Garda);
d) crea ingiusta discriminazione di trattamento tra conduttore e
locatore, prendendo in considerazione solo la condizione economica del
primo, che privilegia col beneficio della proroga, ed escludendo il
secondo – anche se versi in identica o, addirittura, inferiore
condizione – dalla possibilità di riottenere l’immobile per sue
necessità (ordinanza del 19 settembre 1974 del pretore di Gallarate);
E) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art.
3 della Costituzione – l’art. 1, comma quarto, seconda parte, in
relazione al primo comma dello stesso articolo, del d.l. 24 luglio
1973, n. 426 (convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495), nella parte
in cui dispone sia il blocco, fino al 31 gennaio 1974, dei contratti e
dei canoni per le locazioni di immobili urbani ad uso diverso
dall’abitazione, sia l’inefficacia, dalla data di entrata in vigore del
decreto, delle clausole di adeguamento dei canoni di locazione
(ordinanza del 15 aprile 1975 del pretore di Roma);
F) se sia costituzionalmente illegittima, in riferimento agli artt.
3 e 42 della Costituzione, la disciplina vincolistica delle locazioni
di immobili urbani ad uso diverso dall’abitazione, prevista dall’art. 1
del d.l. 24 luglio 1973, n. 426 (convertito in legge 4 agosto 1973, n.
495), dall’art. 1 della legge 22 dicembre 1973, n. 841, dall’art. 1 del
d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (convertito in legge 12 agosto 1974, n.
351) e dall’art. 1 del d.l. 25 giugno 1975, n. 255 (convertito in legge
31 luglio 1975, n. 363):
a) perché il regime vincolistico dei locali commerciali non appare
giustificato da alcuna funzione sociale, potendo il conduttore
commerciante, artigiano o professionista, trasferire sulla clientela
l’onere di più elevati canoni;
b) perché ha regolato in modo eguale situazioni diverse’,
disponendo un blocco generalizzato sia per gli immobili destinati ad
abitazione, che per gli immobili destinati ad uso commerciale;
c) per avere dettato diversa disciplina per situazioni identiche,
concedendo la proroga al conduttore di casa di abitazione, purché il
suo reddito non superi un certo livello e attribuendo, invece,
incondizionatamente la proroga al conduttore di immobile destinato a
negozio, ufficio, studio (ordinanza del 25 ottobre 1975 del tribunale
di Rovereto).
2. – Le proposte questioni, in parte identiche ed in parte
connesse, si riferiscono tutte al regime vincolistico in materia di
locazioni di immobili urbani: i relativi giudizi vengono, quindi,
riuniti, per la decisione con unica sentenza.
3. – La questione sollevata dal tribunale di Ancona, puntualizzata
alla lett. A) del precedente n. 1, è fondata.
Per effetto della sentenza di questa Corte n. 132 del 1972, le
variazioni sopravvenute al reddito imponibile del conduttore o
subconduttore, ancorato dal comma secondo dell’art. 1 della legge n.
833 del 1969 (nel testo modificato dall’art. 56 del d.l. n. 745 del
1970) alla iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per lo
stesso 1969, hanno acquistato rilevanza ai fini del riconoscimento o
meno del diritto alla proroga dei contratti di locazione e di
sublocazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, in corso
alla data di entrata in vigore della legge. Si è così data giusta
prevalenza, “allo scopo di evitare irrazionali differenze”, alla
situazione esistente “al momento in cui si decide del diritto alla
proroga”, rispetto a quella iniziale presa in considerazione dal
legislatore. Ma la illegittimità costituzionale già dichiarata dalla
Corte nei riguardi del secondo comma del citato art. 1, non può, per
la identità delle situazioni e delle ragioni, e sempre in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, non propagarsi, e venir quindi
egualmente dichiarata, rispetto al primo comma dello stesso articolo,
che dispone l’ulteriore proroga degli analoghi contratti già prorogati
con la legge 12 febbraio 1969, n. 4, nella parte in cui anche questa
norma non accorda rilevanza alle sopravvenute variazioni del reddito
imponibile del conduttore o subconduttore, che possano essere provate
dalle parti con i mezzi apprestati dal vigente ordinamento processuale.
4. – Passando alle questioni indicate alla lett. B) del n. 1, va
egualmente dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, la illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. 24
luglio 1973, n. 426 (convertito in legge 4 agosto 1973, n. 495), nella
parte in cui, disattendendo le ragioni poste a base della ricordata
sentenza di questa Corte n. 132 del 1972, già intervenuta all’epoca
della sua emanazione, omette anch’esso di considerare rilevanti ai fini
della proroga le sopravvenute variazioni del reddito imponibile del
conduttore o subconduttore.
Né può dirsi che il legislatore, con il suddetto art. 1, siasi
almeno uniformato – come sostiene l’Avvocatura dello Stato – ai
principi affermati dalla stessa sentenza per quanto concerne il
riconoscimento al locatore del diritto di provare che il conduttore o
subconduttore goda di un reddito imponibile superiore a quello
risultante dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per
l’anno preso a riferimento (1969 dagli artt. 1, secondo comma, 3, terzo
comma, e 6, secondo comma, della legge 26 novembre 1969, n. 833, come
modificata dall’art. 56 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito
in legge 18 dicembre 1970, n. 1034, norme tutte la cui illegittimità
costituzionale è stata appunto dichiarata, nella parte in cui non
riconoscono al locatore il diritto sopra cennato, dalla richiamata
sentenza; 1973 dall’art. 1, primo comma, del d.l. n. 426 del 1973, la
cui denuncia sotto questo profilo forma oggetto delle ordinanze dei
pretori di Foggia, Roma e Taranto).
Non si nega, invero, che la norma in esame, dopo aver escluso dalla
proroga i contratti stipulati con conduttori o subconduttori iscritti a
ruolo per il 1973 per un reddito complessivo netto superiore a
4.000.000 di lire, ha aggiunto, rispetto al corrispondente testo delle
precedenti norme, che la proroga stessa non opera nemmeno per i
conduttori e subconduttori “che comunque abbiano percepito nel 1972 un
reddito di pari misura determinabile ai sensi degli artt. 133, 135, 136
e 138 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645”. Ma siffatta subordinata
si ritiene, anche sulla scorta dei lavori parlamentari, che operi
soltanto in mancanza della iscrizione a ruolo e non possa, invece,
trovare applicazione contro le risultanze della iscrizione stessa;
mentre, a mente di quanto già affermato da questa Corte, il diritto
del locatore, di cui è discorso, va riconosciuto in ogni caso. E in
tali sensi va dunque dichiarata, sempre per contrasto con gli artt. 3 e
24 della Costituzione, la illegittimità costituzionale della
denunciata norma, nonché dell’art. 1, comma quarto, della legge 22
dicembre 1973, n. 841, che ad essa si richiama, e che è stato
conseguentemente denunciato con l’ordinanza del 12 febbraio 1975 del
pretore di Roma (ved. lett. C) del n. 1).
5. – Fondato è altresì l’ulteriore profilo di
incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, del citato art. 1 del d.l. n. 426 del 1973 prospettato
dai pretori di Firenze e di Taranto nei riguardi del comma secondo, il
quale, ai fini della determinazione del reddito imponibile del
conduttore o subconduttore, dispone che i redditi derivanti da lavoro
dipendente e le pensioni sono provati “esclusivamente” sulla base di
attestazioni del datore di lavoro o dell’ente erogatore della pensione.
Come questa Corte ha già affermato nella ricordata sentenza n. 132
del 1972, la tutela giurisdizionale sul diritto controverso deve essere
pienamente garantita dal regolare contraddittorio e dalla ammissione
della prova contraria, che rappresentano mezzi essenziali per la
ricerca della verità e per l’attuazione della giustizia. In armonia
con questo fondamentale principio, ed in logica concatenazione con il
diritto innanzi riconosciuto al locatore, non si può a quest’ultimo
negare, come fa invece la norma impugnata, la facoltà di fornire la
prova che il conduttore o subconduttore goda di un reddito derivante da
lavoro dipendente o fruisca di una pensione in misura superiore a
quella risultante dalla certificazione del datore di lavoro o dell’ente
erogatore. In tali sensi va dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e
24 della Costituzione, la illegittimità costituzionale della
denunciata norma.
6. – Le questioni sollevate, sempre a proposito dell’art. 1 del
d.l. n. 426 del 1973, con le ordinanze dei pretori di Napoli e di
Taranto, circa la disparità di trattamento tra lavoratore dipendente e
lavoratore autonomo, sotto il profilo della dimostrazione dei relativi
redditi, rimangono assorbite in conseguenza delle pronunce di cui
innanzi, potendo per effetto di esse il locatore provare pienamente,
quale che ne sia la fonte, il reddito complessivo dei soggetti in
questione e degli altri componenti la loro famiglia anagrafica ai sensi
del comma secondo dell’art. 1 del d.l. 25 giugno 1975, n. 255, nel
testo sostituito dall’articolo unico della legge di conversione 31
luglio 1975, n. 363.
7. – Quanto innanzi osservato, al n. 4, a proposito del primo comma
dell’art. 1 del d.l. n. 426 del 1973, può venir egualmente riferito,
stante la coincidenza di motivi e situazioni, al primo comma dell’art.
1 del successivo d.l. n. 236 del 1974, nel testo sostituito dalla legge
di conversione n. 351 del 1974. In ordine, pertanto, alle questioni
precisate alla lett. D) del n. 1, va dichiarata, per contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione, la illegittimità costituzionale della
suddetta norma, tanto nella parte in cui non riconosce al locatore il
diritto di provare che il conduttore o subconduttore goda di reddito
complessivo netto superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo
ai fini dell’imposta complementare per il 1972, quanto nella parte in
cui non attribuisce rilevanza alle variazioni del reddito complessivo
netto del conduttore o subconduttore eventualmente sopravvenute. Circa
tale ultima questione, una volta riconosciuta dalla Corte la fondatezza
del profilo di contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione della
denunciata norma, con la seguita dichiarazione di parziale
incostituzionalità, resta assorbito l’altro profilo di contrasto della
stessa con gli artt. 41 e 42 della Costituzione, dedotto nella
ordinanza del pretore di Riva del Garda.
8. – In conseguenza della dichiarazione di parziale
incostituzionalità del primo comma dell’art. 1 del d.l. 24 luglio
1973, n. 426, e del primo comma dell’art. 1 del d.l. 19 giugno 1974, n.
236, nel testo sostituito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n.
351, va dichiarata d’ufficio, ai sensi dell’art. 27 della legge 11
marzo 1953, n. 87, la illegittimità del primo e secondo comma
dell’art. 1 del successivo d.l. 25 giugno 1975, n. 255, nel testo
sostituito dalla legge di conversione 31 luglio 1975, n. 363, che
adoperano espressioni corrispondenti a quelle innanzi esaminate, tanto
nella parte in cui non si riconosce al locatore il diritto di provare
che il conduttore o subconduttore goda di reddito complessivo netto
superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo ai fini
dell’imposta complementare per il 1973, quanto nella parte in cui non
si attribuisce rilevanza alle variazioni del reddito complessivo netto
del conduttore o subconduttore eventualmente sopravvenute.
9. – In merito, poi, alla questione sollevata dal pretore di
Gallarate, per il prospettato contrasto con l’art. 3, comma primo,
della Costituzione, dello stesso comma primo dell’art. 1 del d.l. n.
236 del 1974, nel testo sostituito dalla legge di conversione n. 351
del 1974, e puntualizzata anch’essa alla lettera D) del precedente n.
1, non può preliminarmente essere accolta la eccezione di
inammissibilità per difetto di rilevanza, opposta dall’Avvocatura
dello Stato. Invero, come ha precisato il giudice a quo, palese è la
pertinenza e la rilevanza della questione, stante la sua efficacia
strumentale rispetto alla risoluzione della causa, nella quale
l’applicazione degli artt. 4, n. 1, e 7 della legge 23 maggio 1950, n.
253 (che consentono al locatore di far cessare la proroga qualora
dimostri la urgente ed improrogabile necessità di riottenere
l’immobile per destinarlo ad abitazione propria o dei propri figli o
dei propri genitori), postula, a detta sempre del giudice a quo, il
previo accertamento che il rapporto di locazione sia ricompreso nelle
previsioni di cui alla denunciata norma.
La questione, peraltro, non è fondata.
Nella sua ordinanza il pretore di Gallarate afferma che la norma in
discorso, facendo riferimento alla condizione patrimoniale del solo
conduttore e non anche a quella del locatore, precostituirebbe una
posizione di ingiustificato privilegio in favore del primo, e si
tradurrebbe in una chiara discriminazione in danno del secondo, cui
sarebbe precluso di poter godere dell’immobile in caso di necessità.
Argomenti analoghi, addotti a sostegno del dubbio
d’incostituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza,
dell’art. 1, secondo comma, della legge 26 novembre 1969, n. 833, sono
stati già con diffusa motivazione disattesi dalla più volte
menzionata sentenza di questa Corte n. 132 del 1972. In essa, non
soltanto si è ricordato che, qualora il locatore abbia necessità di
riottenere l’immobile per adibirlo ad abitazione propria o dei
familiari, può far cessare la proroga avvalendosi della disposizione
dell’art. 4 della legge n. 253 del 1950, riconosciuta di generale
applicazione nell’ambito del regime vincolistico; ma si è soprattutto
osservato che una norma, come quella allora denunciata, intesa a
creare, per fini sociali, una differenziazione fra conduttori
meritevoli di particolare tutela, ed aventi perciò diritto alla
proroga, e conduttori cui tale diritto non va riconosciuto, ben può,
senza pecca di irrazionalità, non prendere in considerazione la
posizione economica del locatore.
Valutazione allora riferita alla norma del 1969, che la Corte ora
rinnova nei confronti della corrispondente norma del 1974, della quale
egualmente non ravvisa contrasto con il principio di uguaglianza.
10. – Peraltro, occorre subito soggiungere che la pronuncia cui la
Corte perviene, va collocata nella prospettiva temporale già
evidenziata dalla sentenza n. 3 del 1976. In quest’ultima si è,
invero, osservato che l’eventuale alterazione dell’equilibrio (il quale
deve pure sussistere) tra interessi dei conduttori ed interessi dei
proprietari locatori non viene in rilievo (e la Corte si esime
dall’esaminarla) in ragione dei riconosciuti caratteri di
straordinarietà e temporaneità della disciplina, che giustificano un
intervento per fini sociali in favore delle classi meno abbienti,
realizzato senza una definitiva ed irreversibile compressione delle
facoltà di godimento del proprietario. Ma si è nel contempo
sottolineato, partendo dalla constatazione della ripetizione e
sovrapposizione nel tempo di normative di blocco, che l’ulteriore
procrastinarsi di tali normative potrebbe conferire, in linea di fatto,
al regime di blocco un carattere di ordinarietà, e indurre, quindi, la
Corte a riformulare, sotto tale diverso presupposto, il giudizio di
legittimità con riferimento ai parametri costituzionali e con
riguardo, tra l’altro, anche all’aspetto della valutazione comparativa
delle condizioni economiche del locatore.
Osservazioni e rilievi che, formulati allora a proposito del regime
di blocco dei canoni delle locazioni degl’immobili urbani adibiti ad
uso di abitazione, trovano ora non meno appropriato riferimento anche
nei confronti del contestuale regime di proroga dei relativi contratti,
nel cui ambito si colloca la denunciata norma, emanata con quella
stessa legge n. 351 del 1974, che ha già formato oggetto di esame
sotto il primo profilo nella ricordata sentenza n. 3 del 1976. La Corte
ne trae opportuna occasione per reiterare l’avvertimento allora rivolto
al legislatore, sottolineando che, in epoca successiva alla sua
sentenza, è stata ancora una volta disposta ulteriore proroga di tutte
le disposizioni speciali vigenti in materia, con il d.l. 13 maggio
1976, n. 228, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 1976, n.
349 (le cui norme, peraltro, non formano oggetto del presente
giudizio).
11. – Le questioni concernenti gl’immobili urbani adibiti ad uso
diverso da abitazione sono puntualizzate alle lettere E) ed F) del
precedente n. 1.
Giova in proposito ricordare che già per effetto della legge 11
dicembre 1971, n. 1115, le locazioni d’immobili adibiti all’esercizio
di attività di natura commerciale ed artigianale, in corso alla data
della sua entrata in vigore, erano state prorogate fino al 31 dicembre
1973, senza alcuna discriminazione tra persone fisiche e persone
giuridiche di qualsiasi tipo, e senza alcuna limitazione in base alle
dimensioni dell’impresa e al reddito dell’imprenditore, a differenza di
quanto in antecedenza previsto dall’art. 6 della legge 26 novembre
1969, n. 833. La questione di legittimità costituzionale dell’articolo
unico di detta legge n. 1115 del 1971, sollevata in riferimento
all’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, è stata da
questa Corte dichiarata non fondata con sentenza n. 30 del 1975.
Il successivo d.l. n. 426 del 1973, nel disporre la proroga di
tutte indistintamente le locazioni e sublocazioni non abitative, e il
blocco dei relativi canoni, in base all’unico requisito temporale
dell’essere “in corso” alla data della sua entrata in vigore,
s’inseriva fra gli altri provvedimenti anticongiunturali ed urgenti,
adottati in pari data dal Governo (d.l. 24 luglio 1973, n. 425, recante
disciplina dei prezzi di beni prodotti e distribuiti da imprese di
grandi dimensioni; n. 427, recante disciplina dei prezzi di beni di
largo consumo), allo scopo d’infrenare la spinta inflazionistica,
particolarmente accentuatasi nei primi mesi del 1973. Come fu osservato
in sede parlamentare, in occasione della conversione del d.l. n. 426
nella legge 4 agosto 1973, n. 495, si cercò, attraverso il blocco
generalizzato, di evitare l’aumento di una delle componenti del costo
dei prodotti, facendo appunto ricorso ad un provvedimento eccezionale e
temporaneo, la cui scadenza era fissata al 31 gennaio 1974.
La Corte, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1 e 2 del coevo d.l. n. 427 del 1973,
proposta in riferimento all’art. 41 della Costituzione, ha già avuto
modo di affermare, con la sentenza n. 200 del 1975, che il sacrificio
imposto da un blocco indiscriminato e generale può essere ritenuto
tollerabile e ragionevole, in considerazione della eccezionalità del
momento, dell’alta finalità perseguita e della relativa brevità del
periodo di blocco. Circostanze, queste, che ricorrono tutte anche per
il d.l. n. 426, e che, pertanto, inducono la Corte a ritenere non
fondate le proposte questioni, tanto per il blocco dei contratti delle
locazioni non abitative e dei relativi canoni, quanto per la disposta
inefficacia delle clausole di adeguamento dei canoni medesimi. Al quale
ultimo proposito va, infatti, osservato che, essendo le clausole
anzidette intese a compensare appunto eventuali effetti di valutazione
monetaria, frustrata sarebbe stata la finalità antinflazionistica
perseguita dal provvedimento, ove se ne fosse consentita l’operatività
nel periodo di sua vigenza.
12. – Come si è innanzi precisato, il termine del blocco era stato
fissato al 31 gennaio 1974; e nella menzionata sede parlamentare si era
precisato trattarsi di “una misura quasi interlocutoria, che deve
preludere ad una riforma generale ed organica dell’intera materia delle
locazioni, da attuarsi nel su indicato termine”.
Senonché, il termine anzidetto è stato ulteriormente prorogato:
dall’art. 1 della legge 22 dicembre 1973, n. 841, “fino alla data di
entrata in vigore della legge relativa alla disciplina organica delle
locazioni anche in materia di canoni, e comunque non oltre il 30 giugno
1974”; dall’art. 1 del d.l. 19 giugno 1974, n. 236 “fino alla data del
31 dicembre 1974”; dalla legge 12 agosto 1974, n. 351, di conversione
con modifiche di tale decreto legge, “fino alla data del 30 giugno
1975”; dal d.l. 25 giugno 1975, n. 255, “fino al 31 dicembre 1975”;
dalla legge 31 luglio 1975, n. 363, di conversione con modifiche di
tale decreto legge, “fino alla data del 30 giugno 1976” per tutti i
contratti di locazione e di sublocazione in corso alla data del 30
giugno 1975. Norme tutte denunciate, con riferimento agli artt. 3 e 42
della Costituzione, dalla ordinanza del tribunale di Rovereto. Ed una
ulteriore proroga, va soggiunto, è stata disposta “fino al 31 dicembre
1976” dal d.l. 13 maggio 1976, n. 228, convertito con modificazioni in
legge 22 maggio 1976, n. 349: norme, queste ultime, che, anche sotto
tale profilo, non formano oggetto del presente giudizio.
Costante giustificazione dei vari provvedimenti succeduti al d.l.
n. 426 del 1973, è stata quella di voler con essi evitare le
gravissime conseguenze di una repentina liberalizzazione, e consentire
al Governo di portare a conclusione gli studi per giungere ad una
sistemazione organica di tutta la materia. La Corte non può a tal
riguardo non riconoscere che sussisteva un margine di valutazione
politica, e ritiene, pertanto, non fondata la questione di legittimità
costituzionale proposta per tutte le anzidette norme di proroga.
Devesi, peraltro, rilevare che il blocco, disposto dal primo
provvedimento del 1973 per pochi mesi, si è ormai protratto, per
effetto delle intervenute ulteriori proroghe, per oltre tre anni:
eppure, in sede di conversione in legge del d.l. n. 426 del 1973, era
stato ribadito non essere nemmeno ipotizzabile una sua protrazione,
attese “le pesanti e dannose conseguenze che, per tutta l’economia del
Paese, potrebbero derivare da misure di blocco generalizzato protratte
nel tempo”.
Va ancora rilevato che i provvedimenti di blocco generalizzato dei
prezzi, adottati in concomitanza, non sono stati prorogati, ma hanno,
invece, cessato di spiegare i loro effetti con il 31 luglio 1974,
venendo sostituiti, e solo per taluni beni e servizi, da un regime di
controllo pubblicistico, mediante la determinazione di prezzi
amministrati e prezzi sorvegliati dal CIP, con una finalità di
contenimento, a tutela del consumatore, che peraltro non ne ha impedito
una lievitazione più o meno accentuata.
La iniziale ragionevolezza di un generale e indiscriminato regime
vincolistico delle locazioni degl’immobili urbani adibiti ad uso
diverso dall’abitazione, e dei relativi canoni, e la tollerabilità, in
ragione della prevista breve durata, dei conseguenti sacrifici imposti
ai locatori, si sono così andate progressivamente affievolendo e
riducendo; e la Corte non può non rendere di ciò avvertiti Parlamento
e Governo.
13. – Per quanto innanzi detto, appare ormai non più
procrastinabile la emanazione di quella organica disciplina di tutta la
complessa materia delle locazioni di immobili urbani, che è stata già
preannunciata nell’art. 1 della legge n. 841 del 1973, ed il cui
ritardo, con le conseguenti successive proroghe dell’attuale regime, è
stato in sede parlamentare più volte giustificato con il richiamo ad
approfonditi studi da tempo avviati.
La Corte auspica che l’instauranda disciplina – nel più ampio
quadro delle indilazionabili misure che si richiedono per sottrarre
l’attività edilizia ai fenomeni distorsivi della speculazione, per
incrementare adeguatamente l’offerta pubblica di abitazioni di tipo
economico, per incentivare il concorso dell’iniziativa privata e
stimolare l’afflusso del risparmio popolare nel settore edilizio –
valga, ponendo alfine rimedio ad inconvenienti e riflessi negativi,
d’ordine economico e sociale, messi in luce da una trentennale
esperienza, ad equamente conciliare, mediante soluzioni aventi
caratteri di ordinarietà e definitività, i contrapposti interessi dei
locatori e dei conduttori, al cui conflitto ed alla eventuale
soccombenza degli uni o degli altri, specie se appartenenti, tanto i
primi quanto i secondi, alle classi meno abbienti, non può certo
rimanere indifferente la collettività nazionale, chiamata, ove del
caso, ad apprestare provvidenze ristoratrici. Sarà in tal guisa
possibile attingere razionali equilibri, ottemperando al precetto
costituzionale, che vuole perseguita ed assicurata la preminente
funzione sociale della proprietà, mediante un armonico congegno di
limiti, ai quali non può esser consentito di spingersi fino al segno
di vanificarne il godimento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, primo
comma, della legge 26 novembre 1969, n. 833 (norme relative alle
locazioni degl’immobili urbani), così come modificato dall’art. 56 del
d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n.
1034, nella parte in cui non attribuisce rilevanza alle variazioni del
reddito imponibile del conduttore o subconduttore eventualmente
sopravvenute;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. 24
luglio 1973, n. 426 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti
di locazione e sublocazione degl’immobili urbani), convertito in legge
4 agosto 1973, n. 495:
a) nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di
provare che il conduttore o subconduttore gode di un reddito
complessivo netto superiore a quello risultante dalla iscrizione a
ruolo ai fini dell’imposta complementare per l’anno 1973;
b) nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di
provare che il conduttore o subconduttore gode di un reddito derivante
da lavoro dipendente o fruisce di una pensione in misura superiore a
quella risultante dalla certificazione del datore di lavoro e dell’ente
erogatore;
c) nonché nella parte in cui non attribuisce rilevanza alle
variazioni del reddito complessivo netto del conduttore o subconduttore
eventualmente sopravvenute;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, quarto
comma, dalla legge 22 dicembre 1973, n. 841 (proroga dei contratti di
locazione e di sublocazione degl’immobili urbani), nella parte in cui,
facendo richiamo al reddito indicato nel primo comma dell’art. 1 del
d.l. 24 luglio 1973, n. 426, non riconosce al locatore il diritto di
provare che il nuovo conduttore gode di un reddito complessivo netto
superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo ai fini
dell’imposta complementare per l’anno 1973;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, primo
comma, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (provvedimenti urgenti sulla
proroga dei contratti di locazione e sublocazione degl’immobili
urbani), nel testo sostituito con l’articolo unico della legge di
conversione 12 agosto 1974, n. 351:
a) nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di
provare che il conduttore o subconduttore gode di un reddito
complessivo netto superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo
ai fini dell’imposta complementare per l’anno 1972,
b) nonché nella parte in cui non attribuisce rilevanza alle
variazioni del reddito complessivo del conduttore o subconduttore
eventualmente sopravvenuto;
5) dichiara, altresì, d’ufficio, ai sensi dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale dell’art. 1,
primo e secondo comma, del d.l. 25 giugno 1975, n. 255 (provvedimenti
urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e sublocazione
degl’immobili urbani), nel testo sostituito dall’articolo unico della
legge di conversione 31 luglio 1975, n. 363:
a) nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di
provare che il conduttore e subconduttore gode di un reddito
complessivo netto superiore a quello risultante dall’iscrizione a ruolo
ai fini dell’imposta complementare per l’anno 1973;
b) nonché nella parte in cui non attribuisce rilevanza alle
variazioni del reddito complessivo netto del conduttore o subconduttore
eventualmente sopravvenute;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale:
a) dell’articolo unico, primo comma, della legge 12 agosto 1974, n.
351, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, dall’ordinanza del pretore di Gallarate del 19 settembre
1974;
b) dell’art. 1, comma quarto, seconda parte, in relazione al primo
comma dello stesso articolo, del d.l. 24 luglio 1973, n. 426,
sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dall’ordinanza
del pretore di Roma del 15 aprile 1975;
c) dell’art. 1 del d.l. 24 luglio 1973, n. 426, dell’art. 1 della
legge 22 dicembre 1973, n. 841, dell’art. 1 del d.l. 19 giugno 1974,
n. 236, convertito in legge 12 agosto 1974, n. 351, e dell’art. 1 del
d.l. 25 giugno 1975, n. 255, convertito in legge 31 luglio 1975, n.
363, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione,
dall’ordinanza del tribunale di Rovereto del 25 ottobre 1975.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – LEONETTO
AMADEI – GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere