Sentenza N. 227 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1982
Data deposito/pubblicazione
22/12/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1982
MICHELE ROSSANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI –
Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO,
Giudici,
terzo, della legge 15 novembre 1973, n. 734 (Concessione di un assegno
perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di
indennità particolari) promosso con ordinanza emessa il 1 marzo 1978
dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sul ricorso proposto
da D’Ascenzo Anna Maria ed altri contro il Ministero dell’Interno,
iscritta al n. 399 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 dell’8 novembre 1978.
Visti l’atto di costituzione di D’Ascenzo Anna Maria e l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 1982 il Giudice
relatore Guglielmo Roehrssen;
udito l’avvocato dello Stato Carlo Carbone, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Con ricorso notificato il 29 settembre 1977 al Ministero
dell’Interno, taluni dipendenti di detto Ministero chiesero che il TAR
del Lazio dichiarasse il loro diritto a che il lavoro straordinario
prestato fosse retribuito non sulla base del solo stipendio previsto
dalla legge 15 novembre 1973, n. 734; chiesero altresì che fosse
riconosciuto il loro diritto a che tale assegno fosse aumentato degli
aumenti periodici maturati e maturandi e computato ai fini della
tredicesima mensilità. Dedussero, a tal fine, la illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma terzo, della legge 15 novembre 1973,
n. 734, nella parte in cui statuiva che l’assegno perequativo non è
suscettibile di aumenti periodici e non è computabile ai fini della
tredicesima mensilità e dei compensi per lavoro straordinario.
Con ordinanza 1 marzo 1978 il TAR del Lazio riteneva rilevante e
non manifestamente infondata tale questione di legittimità
costituzionale in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
A sostegno della non manifesta infondatezza della questione,
nell’ordinanza di rimessione si afferma che l’assegno perequativo è
soggetto, per molti aspetti, alla stessa disciplina dello stipendio:
come lo stipendio, infatti, è pensionabile ed utile ai fini della
indennità di buona uscita e di licenziamento (art. 1, primo comma); è
ridotto nella stessa proporzione dello stipendio nei casi (aspettativa,
disponibilità, punizione disciplinare, ecc.) che importano riduzione
dello stipendio; è sospeso nei casi di sospensione dello stipendio
(art. 1, comma terzo); nei casi di passaggio di carriera, è soggetto
al beneficio della non decurtabilità ed è conservato come assegno ad
personam riassorbibile (art. 1, comma terzo).
Esso fu istituito allo scopo di generalizzare il principio della
onnicomprensività dello stipendio (già sancito per i dirigenti
dall’art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748): infatti, come ai
dirigenti è fatto divieto di corrispondere, oltre alla indennità di
funzione, ulteriori indennità, proventi o compensi dovuti a qualsiasi
titolo in connessione con la carica o per prestazioni comunque rese in
rappresentanza dell’Amministrazione di appartenenza (salvo che abbiano
carattere di generalità per tutti gli impiegati civili dello Stato)
così, l’art. 2 della legge n. 734 vieta al personale che fruisce
dell’assegno perequativo pensionabile la corresponsione di indennità,
compensi, premi, gettoni di presenza, soprassoldi, assegni ed
emolumenti comunque denominati, a carico del bilancio dello Stato, di
contabilità speciali o di gestioni fuori bilancio, per l’opera svolta
quale dipendente dello Stato o in rappresentanza dell’Amministrazione
statale, fatta eccezione del compenso per il lavoro straordinario
autorizzato ed effettivamente reso, del trattamento di missione, della
indennità o degli assegni per il servizio all’estero, dell’indennità
integrativa speciale, dell’aggiunta di famiglia, della tredicesima
mensilità e degli altri specifici trattamenti previsti dalla legge
stessa.
Da ciò deriverebbe la conseguenza che il legislatore ha distinto
la retribuzione per i dipendenti dello Stato, in retribuzione ordinaria
(comprensiva dello stipendio e dell’assegno perequativo, la quale ha
natura di corrispettivo per le prestazioni ordinarie del dipendente) ed
in retribuzione straordinaria, nella quale rientrano tutte le altre
voci, espressamente indicate nella disposizione di legge (compensi per
lavoro straordinario, ecc.), che trovano altrove la loro causa,
tendendo a compensare l’impiegato per attività, disagi, spese e rischi
non connaturali alle ordinarie prestazioni di servizio.
Ne deriverebbe ancora che, essendo l’assegno perequativo
assimilabile alla indennità di funzione – considerata parte integrante
della retribuzione ordinaria, e pertanto suscettibile di aumenti
periodici e computabile ai fini della tredicesima e dei compensi per
lavoro straordinario – dovrebbe essere assoggettato alla stessa
disciplina. Con la conseguenza che l’art. 1 terzo comma, della legge n.
734 del 1973, dichiarando non suscettibile di aumenti periodici e non
computabile ai fini della tredicesima e dei compensi per lavoro
straordinario, l’assegno perequativo, che pur è disciplinato dalla
legge stessa in tutto il resto allo stesso modo della retribuzione
ordinaria e dello stipendio dei dipendenti civili dello Stato,
contrasterebbe con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
Infatti, esso porrebbe in essere una irragionevole disparità di
trattamento fra i dirigenti ed altri dipendenti civili dello Stato, in
violazione dell’art. 3 della Costituzione; comporterebbe una
retribuzione del lavoro straordinario inferiore a quella per il lavoro
prestato nell’orario di servizio, in violazione dell’art. 36 ed
altererebbe il principio della onnicomprensività, in violazione
dell’art. 97.
Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Nell’atto di intervento si osserva che indennità di funzione e
assegno perequativo non sono assimilabili, tenuto conto che la prima –
e non l’assegno perequativo – era connessa con il divieto per i
dirigenti di percepire compensi per il lavoro straordinario e quindi
con l’onnicomprensività, stabilita per essi e non per i dipendenti
civili dello Stato. Da ciò la legittimità del differente trattamento.
La non computabilità dell’assegno perequativo, ai fini della
tredicesima mensilità, del lavoro straordinario e degli aumenti
biennali fu sancita per ragioni di bilancio, in alternativa alla
determinazione di un assegno perequativo più basso, ma computabile ai
suddetti effetti. L’art. 97 della Costituzione è male invocato, non
potendosi in alcun modo ad esso ricollegare l’obbligo per il
legislatore di computare taluni emolumenti ai fini della tredicesima,
dello straordinario e degli aumenti periodici.
Neppure sarebbe stato esattamente richiamato l’art. 36 della
Costituzione, il quale, riferendosi ad una retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del lavoro, non impone di compensare in
maggior misura le prestazioni rese per lavoro straordinario.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita una parte
privata chiedendo la declaratoria d’illegittimità costituzionale della
norma impugnata.
1. – La Corte è chiamata a giudicare se l’art. 1 terzo comma,
della legge 15 novembre 1973, n. 734 (“Concessione di un assegno
perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di
indennità particolari”), nella parte in cui statuisce che l’assegno
perequativo ivi previsto non è suscettibile di aumenti periodici e non
è computabile ai fini della tredicesima mensilità e dei compensi per
lavoro straordinario, sia in contrasto:
a) con l’art. 3 Cost., per il diverso trattamento fatto ai
dipendenti dello Stato che lo percepiscono, rispetto ai dirigenti, ai
quali è attribuita una indennità di funzione suscettibile di aumenti
periodici e computabile ai fini della tredicesima mensilità e dei
compensi per lavoro straordinario;
b) con l’art. 36 Cost., in quanto per il lavoro straordinario
sarebbe prevista una retribuzione inferiore a quella accordata per il
lavoro ordinario;
c) con l’art. 97 Cost.
2. – La questione non è fondata.
Come risulta anche dai lavori preparatori, la legge 15 novembre
1973, n. 734, ha voluto dare un diverso assetto al trattamento
economico dei dipendenti civili dello Stato non aventi funzioni
dirigenziali, al fine di introdurre anche per costoro i principi della
c.d. onnicomprensività e della chiarezza retributiva.
In questa prospettiva l’art. 2 della citata legge ha soppresso
tutti i compensi, le indennità, i premi (comunque denominati)
spettanti ai predetti dipendenti civili, escludendo dalla soppressione
soltanto gli assegni tassativamente elencati nel primo comma, fra i
quali è compreso anche il compenso per lavoro straordinario.
Tuttavia, allo scopo di non arrecare danni economici e cioè di
evitare una soverchia diminuzione della complessiva retribuzione dei
dipendenti stessi, l’art. 1 della medesima legge ha accordato a costoro
un assegno denominato “perequativo”, perché inteso (come del resto
dice la stessa denominazione) ad evitare i cennati danni.
Nel disporre in tal senso, il legislatore ha ritenuto di dovere
anche dettare la disciplina di questo nuovo emolumento, disciplina la
quale in parte richiama quella propria dello stipendio (primo comma),
in parte, invece, se ne discosta, in quanto (terzo comma: ed è questa
la parte che interessa ai fini del presente giudizio) si è stabilito
che l’assegno perequativo non è suscettibile di aumenti periodici e
non è computabile ai fini della determinazione del compenso per lavoro
straordinario e della tredicesima mensilità.
In tal modo, come risulta evidente, il legislatore ha operato una
equiparazione soltanto parziale dell’assegno perequativo allo
stipendio.
Vale la pena di aggiungere, peraltro, che questa disciplina ha
subito in un primo momento, per effetto dell’art. 3, secondo comma, del
d.P.R. 21 novembre 1978, n. 718 (“Corresponsione di miglioramenti
economici ai dipendenti dello Stato”), modifica nel senso che a partire
dall’anno 1978 nella tredicesima mensilità va computata anche una
mensilità dell’assegno perequativo predetto. Questo è stato poi
totalmente assorbito, per effetto dell’art. 25 della legge 11 luglio
1980, n. 312 (“Nuovo assetto retributivo funzionale del personale
civile e militare dello Stato”), negli stipendi con tale legge
determinati.
3. – Ciò premesso, nessuna delle censure mosse alla norma in
questione ha pregio.
Non è fondata la prima in quanto, come questa Corte ha già avuto
modo di osservare (sentenza n. 12/1982), la posizione dei funzionari
direttivi è notevolmente diversa da quella propria degli altri
dipendenti statali appartenenti alla dirigenza, dato che la legge ha
affidato ai dirigenti compiti ed attribuzioni di più alto rilievo,
accollando ad essi incombenze e responsabilità maggiori. La indennità
di funzione, pertanto, appare connessa a questa particolare posizione
dei dirigenti ed ha, quindi, un presupposto diverso da quello che sta a
base dell’indennità perequativa, intesa solo ad evitare la
decurtazione della retribuzione.
Tale mancanza di omogeneità fra le due categorie di dipendenti è
sufficiente, in conformità alla costante giurisprudenza di questa
Corte in tema di applicazione del principio di eguaglianza, a fornire
spiegazione della diversità di regime giuridico delle due indennità
in questione.
D’altro canto questa Corte ha anche affermato (fra le altre vedasi
la sentenza n. 138/1979) che il legislatore, allorquando accorda
miglioramenti economici ai pubblici impiegati, ben può graduarli nel
tempo, come appunto è avvenuto nella specie, se si tiene conto della
successione delle tre norme già ricordate: art. 1 in questione; art.
3, secondo comma d.P.R. n. 718 del 1978, e art. 25 legge n. 312 del
1980, che ha operato il definitivo e completo conglobamento del
compenso perequativo nella retribuzione di base dei dipendenti
appartenenti alla carriera direttiva.
Neppure fondata è la seconda censura, poiché, come questa Corte
ha già affermato (sentenza n. 141/1979), al fine di accertare la
legittimità della retribuzione dei lavoratori dipendenti in relazione
al disposto dell’art. 36 Cost., occorre fare riferimento non già alle
singole componenti, ma al complesso della retribuzione.
Quanto, infine, all’ultima censura, a parte che il giudice a quo
non ne ha specificato affatto il contenuto, la Corte non riesce a
vedere in qual modo sia stato violato l’art. 97, primo comma, Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, terzo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734
(“Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello
Stato e soppressione di indennità particolari”), sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, con l’ordinanza
del TAR del Lazio di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE
– BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ANTONIO LA PERGOLA – VIRGILIO
ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere