Sentenza N. 227 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
06/07/2001
Data deposito/pubblicazione
06/07/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/07/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA,Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI,Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di
lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza
obbligatorie), promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 2000 dal
tribunale di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra
Moubarak Brahim e il Ministero delle finanze, iscritta al n. 473 del
registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 38, 1ª serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2001 il giudice
relatore Franco Bile;
corso di tre giudizi civili riuniti, proposti da M. B. contro il
Ministero delle finanze, in opposizione avverso atti di accertamento
di violazioni e di irrogazione delle correlate sanzioni per l’omesso
versamento di imposte di bollo in atti giudiziari – ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli
articoli 3 e 24 della Costituzione, dell’articolo 10 della legge
11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di
lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza
obbligatorie), che ha sostituito l’articolo unico della legge
2 aprile 1958, n. 319 (Esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di
lavoro), nella parte in cui “esclude, ovvero non contempla” il regime
di gratuità e di esenzione, senza limite di valore o di competenza,
dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa, o diritto
di qualsiasi specie e natura, per i giudizi aventi ad oggetto azioni
surrogatorie (art. 2900 del codice civile) o revocatorie (art. 2901
del codice civile), nonché per il procedimento di sequestro
conservativo funzionale all’esercizio della revocatoria (art. 2905,
secondo comma, del codice civile), qualora il loro esperimento
avvenga per conservare la garanzia patrimoniale di un credito di
lavoro.
Il rimettente dà atto che l’opponente, dopo avere ottenuto dal
pretore di Torino, in funzione di giudice del lavoro, sentenza di
condanna del suo datore di lavoro al pagamento di lire 35.035.286,
aveva provveduto ad instaurare nei confronti del medesimo e di altri
due soggetti, azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., in relazione
ad atti di disposizione patrimoniale compiuti in loro favore dal suo
datore di lavoro. Rileva, quindi, che l’opponente non aveva assolto
l’imposta di bollo nel relativo giudizio e che da ciò erano stati
originati gli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni
oggetto dell’opposizione.
Il rimettente osserva che lo stesso opponente ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale e ne fa propri i motivi di
non manifesta infondatezza, rilevando che l’esclusione dalle
esenzioni e dalla gratuità previste dalla norma impugnata dei
giudizi instaurati dal “creditore di lavoro” con le azioni di
conservazione della garanzia patrimoniale, determinerebbe
un’ingiustificata disparità di trattamento tra il creditore
costretto da atti di disposizione pregiudizievoli ad esercitare
quelle azioni per ottenere la realizzazione del proprio credito ed il
creditore che agisca esecutivamente, eventualmente procedendo ad
espropriazione immobiliare. La disparità di trattamento sarebbe
ingiustificata, data l’omogeneità delle situazioni “sotto il profilo
funzionale del ricorso alla tutela giurisdizionale del diritto
nascente dal rapporto di lavoro”.
Inoltre, la mancata estensione dell’esenzione alle azioni in
esame violerebbe anche il diritto di azione e di difesa ex art. 24
Cost., “risultando certamente più oneroso e difficile per il
lavoratore instaurare un giudizio diretto a ricostituire la garanzia
patrimoniale pregiudicata dal proprio debitore”.
Quanto alla rilevanza, il rimettente assume che i giudizi non
possono essere definiti indipendentemente dalla soluzione della
questione “avendo i medesimi ad oggetto l’accertamento della debenza
dell’imposta di bollo in un giudizio di revocatoria introdotto per
far valere un credito di lavoro”.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza
della questione.
Quanto all’art. 3, le azioni di cui agli artt. 2900, 2901 e 2905
cod. civ. non sarebbero assimilabili ai mezzi esperibili direttamente
per l’accertamento e la realizzazione concreta del credito di lavoro.
In particolare, sarebbe da escludere l’assimilabilità fra azione
revocatoria e azione esecutiva, in quanto la prima dà luogo ad un
giudizio trilatero, cui partecipa un terzo estraneo al rapporto di
lavoro dal quale nasce il credito. Si giustificherebbe quindi la
diversità di trattamento rispetto all’azione esecutiva, “che
interessa in via immediata, ed esclusiva, creditore e debitore della
retribuzione o di altra prestazione pecuniaria originata dal rapporto
di lavoro”. Inoltre, mentre il giudizio di cognizione od esecutivo
direttamente attinente al credito di lavoro meriterebbe “particolare
e distinta attenzione da parte del legislatore, siccome rappresentato
da un bene di fondamentale rilievo individuale e sociale” viceversa i
mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, pur quando fatti
valere strumentalmente ad un credito di lavoro, resterebbero rimedi
di diritto comune, sottoposti cioè “quanto a presupposti,
condizioni, competenza giudiziaria ecc. alla stessa disciplina
generale che lo governa senza riguardo alla natura del credito a
tutela del quale sia esperito”.
Infondata sarebbe anche la lesione dell’art. 24, in quanto il
diritto di azione non sarebbe precluso o menomato dalla soggezione al
normale regime fiscale degli atti processuali.
costituzionale dell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533,
recante “Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle
controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie”,
(che ha sostituito l’articolo unico della legge 2 aprile 1958,
n. 319, sull’esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro),
nella parte in cui “esclude ovvero non contempla” l’applicabilità
del regime di gratuità ed esenzione dall’imposta di bollo, di
registro e da ogni spesa, tassa, o diritto di qualsiasi specie e
natura, ai giudizi concernenti azioni surrogatorie o azioni
revocatorie o sequestri conservativi a queste ultime funzionali
(artt. 2900, 2901, 2905, secondo comma, cod. civ.), promossi per
conservare la garanzia patrimoniale di crediti di lavoro.
Secondo l’ordinanza la norma lederebbe:
a) l’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di
trattamento tra chi agisca in via esecutiva per realizzare un credito
di lavoro e chi invece eserciti le azioni indicate per conservare la
garanzia patrimoniale dello stesso credito, in quanto solo il primo e
non anche il secondo fruirebbe dell’esenzione, pur essendo entrambe
le azioni funzionali alla tutela del diritto nascente dal rapporto di
lavoro;
b) l’art. 24 Cost., sotto il profilo che la mancata esenzione
dei giudizi volti a tutelare la garanzia patrimoniale renderebbe più
oneroso l’esercizio del diritto di azione e di difesa in giudizio da
parte del creditore di lavoro.
2. – La questione è rilevante solo per l’azione revocatoria,
esercitata nel giudizio cui si riferisce l’imposta controversa.
3. – Essa non è fondata, perché la norma impugnata – della
quale il rimettente, pur in assenza di “diritto vivente” non ha
ricercato un’interpretazione adeguatrice – deve essere interpretata
in modo da escludere la prospettata incostituzionalità.
Il primo comma dell’art. 10 dichiara esenti dall’imposta di
bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi
specie e natura, tra gli altri, gli atti relativi alle “controversie
individuali di lavoro” (da identificare in quelle di cui all’art. 409
del codice di procedura civile) ed “ai provvedimenti di conciliazione
dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti
da contratti o accordi collettivi di lavoro”.
Il secondo comma dispone che “sono allo stesso modo esenti gli
atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che
mobiliare delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi,
nonché quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di
lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di
liquidazione coatta amministrativa”.
L’ultimo comma recita infine che “le disposizioni di cui al primo
comma si applicano alle procedure di cui agli artt. 618-bis 825 e 826
cod. proc. civ.”.
4. – L’art. 10 è suscettibile di interpretazione estensiva – in
principîo non vietata dal carattere eccezionale delle norme di
esenzione, preclusivo solo di quella analogica (art. 14 delle
disposizioni preliminari al codice civile) – nel senso di ritenere
compresi nell’ambito dell’esenzione anche procedimenti non
formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del
credito di lavoro.
Una diversa lettura dell’art. 10 rivelerebbe del resto una
radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli
disparità di trattamento, e condurrebbe a negare l’esenzione a una
serie di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente
e irragionevole discriminazione rispetto a quelli esplicitamente
esentati. Così non sarebbero esenti l’esecuzione promossa sulla base
di verbali di conciliazione sottoscritti nel procedimento avanti al
giudice del lavoro (art. 420 cod. proc. civ.), mentre lo è
l’esecuzione in virtù di sentenze o ordinanze pronunciate da quel
giudice in quel procedimento; l’esecuzione promossa in base a verbali
di conciliazione formati avanti agli uffici del lavoro o previsti da
contratti collettivi (artt. 410 ss. cod. proc. civ.), mentre lo sono
gli atti dei procedimenti conclusi da quei verbali; e ancora
l’esecuzione iniziata in base a titolo esecutivo stragiudiziale
(art. 474, secondo comma, n. 3, cod. proc. civ.) che accerti crediti
di lavoro, mentre lo è l’opposizione all’esecuzione promossa sulla
base dello stesso titolo (e quella avverso i relativi atti
esecutivi).
5. – In siffatto quadro si colloca il problema del riconoscimento
o meno dell’esenzione all’azione revocatoria proposta dal creditore
di lavoro, per assicurare la garanzia patrimoniale del proprio
credito.
Tale azione – ma il problema interpretativo è comune alla
surrogatoria ed al sequestro ex art. 2905, secondo comma, cod. civ. –
mira evidentemente a tutelare, sia pure con modalità peculiari, lo
stesso credito nascente dal rapporto di lavoro che la norma impugnata
ritiene di esentare dal normale trattamento tributario, per agevolare
il ricorso del creditore alla tutela giurisdizionale.
Il rilievo vale da solo ad escludere la ragionevolezza di
eventuali disparità di trattamento.
Soccorre poi l’argomento che – dopo il positivo esperimento
dell’azione revocatoria – la successiva espropriazione contro il
terzo proprietario, acquirente in virtù dell’atto revocato, avviene
pur sempre in base al titolo esecutivo ottenuto nella controversia di
lavoro, e quindi sicuramente si avvale dell’esenzione.
Ne risulta quindi confermata l’irrazionalità di un ipotetico
sistema che – pur riconoscendo l’esenzione alla fase cognitiva che
conduce al titolo esecutivo contro il debitore, ed alla fase
esecutiva contro il terzo dopo l’esito vittorioso della revocatoria –
la negasse invece all’eventuale fase intermedia, da questa
rappresentata, volta ad assicurare l’esercizio del diritto
riconosciuto in un giudizio esente da imposte, in vista di una
successiva esecuzione parimenti esentata.
L’irragionevolezza è ulteriormente avvalorata dalla sicura
spettanza dell’esenzione alla revocatoria che il creditore di lavoro
proponga contestualmente all’azione per l’accertamento del credito.
Il terzo comma dell’art. 40 cod. proc. civ. impone infatti la
trattazione congiunta delle due cause (con il rito del lavoro), e
l’unità del giudizio comporta l’esenzione per entrambe le azioni.
6. – Non rileva invece, ai fini dell’esenzione, che l’azione
revocatoria a tutela di un credito di lavoro – se esercitata
separatamente dall’azione relativa a quel credito – non rientri nella
competenza del giudice del lavoro, né sia soggetta al rito speciale.
Invero l’esenzione si coordina alla situazione sostanziale
dedotta in giudizio e non al rito. Ne è prova la sua applicazione a
procedimenti di sicuro estranei al rito del lavoro, come le
opposizioni in tema di ammissione dei crediti al passivo fallimentare
e i giudizi di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 cod.
proc. civ., certamente esentati dal secondo comma della norma
impugnata, in quanto rispettivamente inquadrabili nel “recupero dei
crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento” e
nell’esecuzione in genere.
7. – Interpretata nel senso che l’esenzione si applica anche
all’azione revocatoria esercitata per conservare la garanzia
patrimoniale del credito di lavoro, la norma impugnata si sottrae
alle prospettate censure di incostituzionalità, e la relativa
questione – alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa
Corte – deve essere dichiarata non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle
controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
previdenza e di assistenza obbligatorie), sollevata dal tribunale di
Torino, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Bile
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 6 luglio 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola