Sentenza N. 228 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
24/11/1976
Data deposito/pubblicazione
24/11/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (Disciplina delle funzioni dirigenziali
nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo), e
allegate tabelle, e 16 della legge 18 marzo 1968, n. 249 (Delega al
Governo per il riordinamento dell’Amministrazione dello Stato, per il
decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle
retribuzioni dei dipendenti statali), nel testo modificato dall’art. 12
della legge 28 ottobre 1970, n. 775, promosso con ordinanza emessa il
26 febbraio 1975 dal tribunale amministrativo regionale per la
Emilia-Romagna su ricorsi Menozzi Fernando e Curti Alceste contro il
Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 433 del registro
ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 306 del 19 novembre 1975.
Visto l’atto di costituzione di Menozzi Fernando e Curti Alceste,
nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 1976 il Giudice relatore
Angelo De Marco;
uditi gli avvocati Giuseppe Abbamonte e Giuseppe Guarino, per
Menozzi Fernando e Curti Alceste, ed il vice Avvocato generale dello
Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Con ordinanza 26 febbraio 1975, emessa nei procedimenti riuniti sui
ricorsi di Menozzi Fernando e Curti Alceste contro il Ministero della
pubblica istruzione, il tribunale amministrativo regionale per
l’Emilia-Romagna ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate –
sottoponendole quindi all’esame di questa Corte – le questioni di
legittimità costituzionale:
a) dell’art. 1 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (e allegale
tabelle) in riferimento all’art. 76 della Costituzione, in quanto
contrastante con l’art. 16 della legge di delega 18 marzo 1968, n. 249
(nel testo modificato dall’art. 12 della legge 28 ottobre 1970, n.
775);
b) in via subordinata, delle stesse norme, in riferimento agli
artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
Il Menozzi ed il Curti, entrambi presidi di scuole medie superiori,
avevano chiesto al Ministero della pubblica istruzione che venisse loro
accordato il trattamento economico spettante ai primi dirigenti della
carriera direttiva delle amministrazioni statali ed il Ministero, con i
provvedimenti impugnati davanti al T.A.R., aveva respinto tali
richieste, opponendo, in sostanza, che le norme invocate dai
richiedenti non riguardavano la disciplina della funzione dei capi di
istituti scolastici.
Con l’ordinanza suddetta il T.A.R. perveniva alla decisione
enunciata, rilevando:
che dalle tabelle allegate alle norme denunziate in effetti
risultava che ai presidi delle scuole medie non era riconosciuto il
trattamento dei primi dirigenti statali e che, quindi, i ricorsi non
potevano essere accolti attraverso la semplice interpretazione delle
norme stesse;
che, pertanto, solo attraverso una dichiarazione di illegittimità
costituzionale di dette norme si sarebbe potuto pervenire a tale
accoglimento, donde la rilevanza delle questioni di legittimità
costituzionale prospettate dai patroni delle parti ricorrenti;
che tali questioni risultavano non manifestamente infondate, in
quanto: a) dalla legge di delega non risultava che al personale
dirigente degli istituti di istruzione non si dovessero applicare le
adottande norme sulla disciplina della dirigenza dei funzionari
statali, donde la violazione dell’art. 76 della Costituzione; b) che,
comunque, a parte il rilievo che, in passato, i presidi erano sempre
stati inquadrati su piano identico ed anche superiore a quello dei
provveditori agli studi per i quali le norme denunziate riconoscevano
la qualifica dirigenziale, non poteva disconoscersi che ricorrevano
tutti gli estremi di fatto e di diritto per riconoscere tale qualifica
anche ai presidi: ne conseguiva la violazione degli artt. 3, 36 e 97
della Costituzione.
Dopo gli adempimenti di legge il giudizio, come sopra promosso,
viene ora alla cognizione della Corte.
In tale giudizio si sono costituite le parti private, il patrocinio
delle quali, con gli atti di costituzione, conclude chiedendo che venga
riconosciuta la fondatezza delle proposte questioni, ribadendo, al
riguardo, le argomentazioni già ritenute non manifestamente infondate
con l’ordinanza del T.A.R. ed insistendo nel dedurre la violazione
dell’art. 5 della Costituzione, in tale ordinanza disattesa.
È intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, con
l’atto d’intervento, chiede che le proposte questioni vengano
dichiarate infondate, deducendo al riguardo, in sostanza, quanto segue:
a) legittimamente per il personale scolastico, date le sue
particolari caratteristiche, si è sempre ritenuto necessario un
ordinamento speciale, cosicché non può parlarsi di violazione
dell’art. 76 della Costituzione;
b) tale ordinamento speciale tiene il debito conto delle peculiari
caratteristiche del personale scolastico, cosicché il diverso
trattamento giuridico e retributivo per esso preveduto risulta
razionale e pertanto è da escludersi l’asserita violazione degli artt.
3, 36 e 97 della Costituzione.
Con una elaborata memoria, depositata il 22 settembre 1976, il
patrocinio delle parti private illustra dettagliatamente i motivi di
illegittimità già dedotti nell’atto di costituzione, insistendo in
modo particolare, attraverso una minuziosa elencazione delle mansioni
amministrative esercitate dai presidi, nella tesi che tali mansioni non
sono diverse o meno delicate di quelle proprie dei primi dirigenti.
1. – Come si è posto in rilievo in narrativa la Corte è chiamata
a decidere:
a) se gli artt. 1 e seguenti e 47 e seguenti del d.P.R. n. 748 del
1972, nonché le tabelle allegate, violino l’art. 76 della
Costituzione, per essere in contrasto con gli artt. 1 e seguenti della
legge di delegazione n. 249 del 1968, così come modificati dalla legge
n. 775 del 1970, in quanto tali norme riguarderebbero tutti gli
impiegati dello Stato e non consentirebbero di escludere i presidi
delle scuole secondarie dalla disciplina della funzione dirigenziale
dettata con le norme delegate;
b) se gli artt. 1 e seguenti e 47 e seguenti del d.P.R. n. 748 del
1972, le allegate tabelle, nonché gli artt. 1 e 16 della legge n. 249
del 1968, e successive modificazioni, violino gli artt. 3, 36 e 97
della Costituzione, in quanto ai presidi sono conferite funzioni che
potrebbero assimilarsi a quelle proprie della dirigenza statale, in
particolare a quelle esercitate dal personale dirigenziale del
provveditorato agli studi, rispetto al quale sarebbe stata introdotta
una sperequazione ingiustificata a danno dei presidi in precedenza
fruenti di un trattamento economico pari o superiore (art. 3), nonché
per inadeguata valutazione della qualità del servizio prestato (art.
36) con grave incidenza sul buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97).
Le questioni, così prospettate, sono prive di fondamento
giuridico, sotto tutti i profili sopra esposti.
2. – Non sussiste, in primo luogo, la dedotta violazione dell’art.
76 della Costituzione, in quanto né la legge di delegazione 18 marzo
1968, n. 249, né la successiva legge modificativa 28 ottobre 1970, n.
775, si riferiscono al trattamento giuridico del personale docente,
direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed
artistica dello Stato.
Come, infatti, risulta dalla relazione alla Camera dei deputati del
Ministro per la pubblica istruzione sul disegno di legge
perfezionatosi, poi, nella legge 30 luglio 1973, n. 477, di delegazione
al Governo per l’emanazione di norme sullo stato giuridico di detto
personale, tali norme avrebbero dovuto essere emanate in forza della
legge di delegazione 20 dicembre 1954, n. 1181 e con l’adeguamento dei
criteri stabiliti dall’art. 7 di tale legge, entro l’11 gennaio 1956.
Alla data dell’11 gennaio 1956, invece, poté essere approvato
soltanto lo “Statuto degli impiegati civili dello Stato” con d.P.R. 11
gennaio 1956, n. 17 insieme con il decreto 11 gennaio 1956, n. 16
sull'”Ordinamento delle carriere degli impiegati dello Stato” poi
trasfusi nel “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato”, approvato con d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3, l’art. 384 del quale, peraltro, fa “salve le disposizioni
speciali vigenti”, tra l’altro, “per il personale insegnante, direttivo
ed ispettivo delle scuole”.
Venuti, così, a cessare i poteri, come sopra delegati, restava
aperto il problema di un aggiornamento della “disciplina speciale”
relativa a detto personale’.
La soluzione di tale problema venne a formare oggetto di apposito
disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri, presentato alla
Camera dei deputati nel dicembre del 1966 (n. 2107) come di “Delega al
Governo per l’emanazione di norme sullo stato giuridico del personale
direttivo, docente ed assistente della scuola”.
L’iter successivo di questo disegno di legge si incrociava con
quello del riordinamento delle carriere, del trattamento economico e di
quiescenza dei pubblici dipendenti in generale e dei dipendenti statali
in particolare, che poi si concluse nelle leggi di delegazione n. 249
del 1968 e n. 775 del 1970 ed infine nel d.P.R. n. 748 del 1972.
Il disegno di legge n. 2107, invece, venne a decadere nella
primavera del 1968 per fine legislatura ed altrettanto ebbe a
verificarsi, per lo scioglimento delle Camere, per altro disegno di
legge di delegazione che pur aveva ottenuto definitiva approvazione
della Camera dei deputati nella seduta del 14 luglio 1971 ed era stato
trasmesso al Senato.
Di qui la nuova legge di delegazione n. 477 del 1973, in attuazione
della quale è stato emanato il d.P.R. 30 gennaio 1976, n. 13, sul
riordinamento dei ruoli del personale docente, direttivo ed ispettivo
della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato.
Resta così dimostrato che la delegazione conferita al Governo con
le leggi n. 249 del 1968 e n. 775 del 1970 non si estendeva
all’ordinamento speciale del personale docente, direttivo ed ispettivo
della scuola e che quindi legittimamente il d.P.R. n. 748 del 1972 tale
ordinamento non ha contemplato.
3. – Escluso, per le ragioni sopra esposte, che vi sia stata
violazione dell’art. 76 della Costituzione, resta da accertare se, con
il non comprendere nelle delegazioni di cui alle citate leggi n. 249
del 1968 e n. 775 del 1970 anche il personale docente, direttivo ed
ispettivo della scuola, il legislatore sia incorso nella violazione
delle norme di cui agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, denunziata
dal giudice a quo.
Al riguardo non può negarsi che con la legge di delegazione n.
1181 del 1954 il legislatore si fosse proposto un riordinamento delle
carriere di tutto il personale dello Stato che, discostandosi dai
criteri rigorosamente unitari che informavano la legge 11 novembre
1923, n. 2395, tenesse presenti le particolari caratteristiche di
alcune categorie di personale per le quali si rendeva necessario un
ordinamento speciale.
Senonché, come sopra si è rilevato, con tale delegazione si è
pervenuti soltanto a quei decreti delegati n. 16 e n. 17 dell’11
gennaio 1956, trasfusi nel “Testo unico delle disposizioni concernenti
lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, approvato con d.P.R.
10 gennaio 1957, n. 3.
Mentre per talune categorie restavano fermi gli ordinamenti
speciali che – anche vigente l’ordinamento gerarchico del 1923 – si
erano dovuti adottare da tempo (ordinamento giudiziario, ordinamento
del personale diplomatico, ordinamento degli ufficiali e sottufficiali
delle forze armate) e per un’altra categoria – appunto quella alla
quale si riferisce il presente giudizio – non si riuscivano a
perfezionare le più volte progettate leggi di delegazione sopra
citate, dirette a disciplinare il necessario ordinamento speciale, non
si era ancora pervenuti a concretizzare una disciplina adeguata
dell’ordinamento di quel personale addetto ai servizi centrali e
periferici dei Ministeri che costituisce la struttura portante
dell’Amministrazione statale.
Vi si è, infine, pervenuti con quelle leggi n. 249 del 1968 e n.
775 del 1970 di delegazione, il cui essenziale criterio informatore
risulta dalla intitolazione del decreto di attuazione n. 748 del 1972:
“Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello
Stato, anche ad ordinamento autonomo”.
Si è, così, creata nell’ambito delle carriere direttive
dell’Amministrazione statale una particolare categoria di funzionari,
caratterizzata da una rigorosa selezione qualitativa, alla quale, con
l’attribuzione di una larga sfera di potestà decisionale e
corrispondente responsabilità, viene affidata la dirigenza
dell’Amministrazione, con quella agilità e prontezza di decisione e di
azione che sono necessarie in funzione della corretta attuazione
dell’art. 97 della Costituzione.
Di qui la necessità di tenere nettamente distinta l’attività
strettamente amministrativa da ogni altra attività inerente ad altri
settori, anche essenziali, delle attribuzioni statali, dato che la
funzione dirigenziale è collegata alla tradizionale articolazione
degli uffici ministeriali in direzioni generali, uffici centrali
assimilabili e divisioni, articolazione che, in quanto ne ricorrano le
condizioni, si estende agli uffici periferici, la cui situazione deve
essere disposta con legge, anche ai fini delle determinazioni delle
qualifiche dei funzionari da preporre alla loro direzione (art. 2,
commi primo, quinto, sesto e settimo, della legge n. 249 del 1968).
Infatti, con il d.P.R. n. 748 del 1972, sono stati dettagliatamente
specificati i compiti dei dirigenti sia degli uffici centrali, sia di
quelli periferici (art. 2) in relazione agli uffici ai quali debbono
essere preposti ed, in particolare, per quanto attiene ai primi
dirigenti di uffici periferici (art. 6) dispone che debbono essere
preposti ad uffici con circoscrizione provinciale o di particolare
importanza.
Inoltre (art. 6 secondo comma) “negli uffici periferici diretti da
dirigenti con qualifica superiore, essi (ossia i primi dirigenti) sono
preposti alle ripartizioni di livello corrispondente alla divisione,
ove esistano, o svolgono altre funzioni di pari rilevanza previste
dalle disposizioni particolari concernenti le singole amministrazioni”.
Dal che chiaramente si desume che gli uffici periferici ai quali i
primi dirigenti possono essere preposti o debbono avere circoscrizione
provinciale o debbono essere di livello corrispondente alla divisione o
di pari rilevanza.
Ora, tenuto presente che oggetto del giudizio a quo è la richiesta
del riconoscimento ai presidi delle scuole medie della qualifica di
primo dirigente e non semplicemente quello dell’attribuzione del
trattamento economico di tale qualifica, alla stregua delle
considerazioni che precedono, deve escludersi che sussistano le
denunziate violazioni degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, che
inficierebbero le norme delle leggi n. 249 del 1968 e n. 775 del 1970,
in base alle quali quel riconoscimento è stato negato.
Si deve, infatti, rilevare che in base all’ordinamento speciale per
il personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola, i presidi
delle scuole secondarie – anche se in qualche periodo hanno avuto
attribuito grado uguale e perfino superiore a quello dei provveditori
agli studi – rispetto ai quali si lamenta la disparità di trattamento
ai fini del presente giudizio – sono stati sempre inquadrati nei ruoli
del personale della scuola.
Si hanno, quindi, posizioni differenziate – essendo stati invece i
provveditori agli studi sempre inquadrati nei ruoli del personale
amministrativo – il che, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, legittima una disciplina del pari differenziata.
Per uniformarsi a tale giurisprudenza occorre, pertanto, accertare
se quelle differenziazioni abbiano un fondamento razionale.
Al riguardo basta rilevare che, anche se tra le attribuzioni dei
presidi ve ne sono alcune di carattere amministrativo di non
trascurabile rilevanza, la loro prevalente attribuzione è quella di
sopraintendere al governo della scuola, soprattutto sotto il profilo
didattico ed è appunto per questo che i presidi sono sempre stati e
sono tuttora prescelti tra il personale docente laureato e fanno parte
dei ruoli della scuola.
D’altra parte per codesto personale non è possibile neppure
ipotizzare una funzione dirigenziale paragonabile a quella sopra
illustrata riguardante il personale amministrativo. Si tratta, invero,
di un personale che, dall’inizio della carriera fino al suo termine,
anche se di alto livello scientifico, quale quello universitario,
esercita le stesse funzioni di studio e di insegnamento, che possono
differenziarsi per efficacia, in relazione alle doti personali di chi
le esercita, ma, funzionalmente, non si prestano ad alcuna
classificazione o differenziazione, tanto vero che in detta carriera
non è preveduta altra progressione che non sia quella meramente
economica.
Comunque, l’attribuzione ai presidi della qualifica di primo
dirigente implicherebbe il passaggio nel ruolo amministrativo il che, a
parte ogni altra considerazione, non sarebbe possibile, in quanto, come
sopra si è rilevato, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 748 del 1972,
occorrerebbe per essi la circoscrizione provinciale. Le scuole citate
dal patrocinio delle parti private e dirette da funzionari con
qualifica dirigenziale, sono infatti scuole speciali uniche in tutto il
territorio nazionale e, quindi, con circoscrizione più che
provinciale.
Né può opporsi che le scuole rientrano tra le “amministrazioni ad
ordinamento autonomo” alle quali si applicano le norme sulla dirigenza,
dato che, anche se la formulazione dell’art. 384 del t.u. 10 gennaio
1957, n. 3, può far sorgere qualche dubbio al riguardo, nel caso del
personale scolastico si tratta di ordinamento speciale e non autonomo,
come dimostra la dipendenza diretta dal Ministero della pubblica
istruzione ed, in sede decentrata, dal provveditore agli studi, per
quanto riguarda la parte meramente amministrativa.
Pienamente razionale e rispondente all’ordinamento instaurato col
d.P.R. n. 748 del 1972 risulta, quindi, la differenziata disciplina in
esame, con la conseguenza che, come già si è detto, non sussiste la
dedotta violazione del principio di eguaglianza.
Altrettanto è a dirsi per la dedotta violazione dell’art. 36
della Costituzione, che attiene al trattamento economico.
Invero, attualmente, i provveditori agli studi hanno la qualifica
di dirigente superiore e non di primo dirigente e quindi il loro
trattamento economico non è comparabile con quello dei presidi.
Inoltre, sta di fatto che i presidi – per i quali, a conferma della
loro prevalente qualità di docenti era da tempo istituita
un’indennità di studio (vedasi da ultimo la legge 15 febbraio 1963, n.
355) – hanno uno stipendio base ed un’indennità (ora definita “assegno
annuo pensionabile”), nel loro complesso di poco inferiore allo
stipendio base ed all’indennità di funzione dei primi dirigenti, il
che, attesa la diversità di posizione posta sopra in rilievo, ben può
attribuirsi ad esatta e non errata applicazione dell’art. 36, il quale
evidentemente lascia al legislatore un certo margine di
discrezionalità.
Escluse così le violazioni sia dell’art. 3, sia dell’art. 36 della
Costituzione, viene meno anche quella dell’art. 97 della Costituzione,
che sulla loro esistenza dovrebbe trovare fondamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (Disciplina delle
funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni del lo Stato, anche ad
ordinamento autonomo), e allegate tabelle, e 16 della legge 18 marzo
1968, n. 249 (Delega al Governo per il riordinamento
dell’Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e
per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti
statali), nel testo modificato dall’art. 12 della legge 28 ottobre
1970, n. 775, sollevata, in riferimento agli artt. 76, 3, 36 e 97 della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per
l’Emilia-Romagna con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere