Sentenza N. 228 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1982
Data deposito/pubblicazione
22/12/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1982
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Prof. GIOVANNI CONSO, Giudici,
cod. pen. (ritrattazione) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 marzo 1977 dal Tribunale di Grosseto nel
procedimento penale a carico di Cancelli Mario ed altro, iscritta al n.
296 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 205 del 27 luglio 1977;
2) ordinanza emessa l’1 luglio 1977 dal Tribunale di Reggio
Calabria nel procedimento penale a carico di Infantino Andrea ed altri,
iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 del 19 luglio 1978;
3) ordinanza emessa il 26 giugno 1978 dal Tribunale di Grosseto nel
procedimento penale a carico di Malossi Arnaldo ed altri, iscritta al
n. 506 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17 del 17 gennaio 1979;
4) ordinanza emessa il 9 gennaio 1981 dal Tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Santangelo Lucia ed altri, iscritta al
n. 293 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 234 del 26 agosto 1981.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’1 giugno 1982 il Giudice relatore
Giuseppe Ferrari;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Ferri, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di taluni procedimenti penali a carico di persone
che avevano reso mendaci dichiarazioni alla polizia giudiziaria ed
erano state chiamate a rispondere del reato di cui all’art. 378 c.p.
(favoreggiamento personale) benché avessero successivamente
ritrattato, i Tribunali di Grosseto, con distinte ordinanze del 23
marzo 1977 (r.o. 296/77) e del 26 giugno 1978 (r.o. 506/78), e di
Reggio Calabria, con ordinanza in data 1 luglio 1977 (r.o. 221/78),
hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 376
c.p. nella parte in cui prevede l’esimente della ritrattazione solo per
il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e non anche per il
reato di favoreggiamento personale integrato da false dichiarazioni, in
riferimento all’art. 3 Cost.
2. – Il Tribunale di Torino, con ordinanza in data 9 gennaio 1981
(r.o. 293/81), ha denunciato inoltre la medesima norma anche in
riferimento all’art. 24 Cost. In tale ordinanza si osserva che sovente
il favoreggiamento personale è “commesso in forme del tutto
coincidenti, quanto alla condotta realizzata dal colpevole, con il
reato di falsa testimonianza, da questo differenziandosi unicamente per
la diversa natura dell’autorità che riceve le dichiarazioni del reo”,
costituendo consolidato orientamento giurisprudenziale che “integra il
delitto di cui all’art. 378 c.p. il fatto di chi, durante le indagini
di polizia giudiziaria, si rifiuta di fornire notizie essenziali per
l’identificazione del colpevole, ovvero fornisce notizie false per
aiutarlo”.
Ad avviso del Tribunale, l’addurre una diversa obiettività
giuridica degli interessi offesi, rappresentato l’uno dall’interesse
dell’amministrazione della giustizia all’accertamento ed alla
repressione dei reati (art. 378 c.p.) e l’altro dall’interesse alla
verità ed alla completezza della testimonianza (art. 372 c.p.), non
costituirebbe argomento idoneo ad escludere l’addotta disparità di
trattamento. Su tale diversità, infatti, si fonda l’orientamento di
quella giurisprudenza che ravvisa concorso formale di reati nella
condotta di chi rende falsa testimonianza all’autorità giudiziaria con
lo scopo di aiutare taluno ad eludere le investigazioni o a sottrarsi
alle ricerche, conseguentemente ritenendo, in caso di ritrattazione,
l’imputato non punibile solo in ordine al reato di falsa testimonianza.
L’argomento di cui sopra trascurerebbe di considerare, sia che i due
interessi vengono in pratica a coincidere (anche la veridicità della
testimonianza essendo funzionale all’accertamento dei reati), sia
l’estrema difficoltà di individuare una falsa testimonianza che non
sia dettata dall’esigenza di evitare un pericolo a se stessi o di
aiutare taluno. Talché, essendo il primo caso previsto come non
punibile a mente dell’art. 384 (primo comma) c.p., ne conseguirebbe che
“la falsa testimonianza punibile ha come elemento naturale intrinseco
l’intenzione di favorire qualcuno”. E ciò renderebbe ancor più
evidente la disparità di trattamento in ordine agli effetti
riconosciuti alla ritrattazione solo per il reato di falsa
testimonianza, che pure condivide con quello di favoreggiamento
personale i casi di non punibilità previsti dall’art. 384 (primo
comma) c.p.
Neppure varrebbe addurre – continua l’ordinanza – che i due reati,
al di là delle analogie, individuano pur sempre fattispecie diverse,
per dedurne che la diversa disciplina delle cause di non punibilità
rientrerebbe nelle scelte discrezionali del legislatore, non
censurabili sotto il profilo della legittimità. Tale diversità
travalicherebbe invero il limite di ragionevolezza, nel senso che il
motivo ispiratore della causa di non punibilità prevista dalla norma
impugnata (che consiste nell’opportunità di incoraggiare il
ravvedimento attuoso del reo, privilegiando l’accertamento della
verità rispetto alla pretesa punitiva) si adatta perfettamente pure al
favoreggiamento personale integrato da dichiarazioni mendaci. Anche
questo, infatti, viene punito in quanto comporta rallentamento o
vanificazione delle investigazioni, onde dovrebbe essere indifferente
che l’intralcio venga rimosso manifestando il vero all’autorità
giudiziaria ovvero alla polizia (se davanti a questa erano state rese
le dichiarazioni mendaci) o al magistrato che avesse ricevuto le false
dichiarazioni mentre compiva egli stesso atti di polizia giudiziaria ex
artt. 231, 232 e 234 c.p.p.
Infine – conclude l’ordinanza – “sotto il profilo della politica
criminale la disciplina vigente appare improduttiva e contrastante con
le scelte che incoraggiano il pentimento del reo”. L’autore delle
dichiarazioni favoreggiatrici, infatti, non può manifestare il vero
davanti al giudice, ove lo voglia, se non sotto pena di rivelare il
proprio reato precedentemente commesso (rimasto, in ipotesi, ignoto).
Ne scaturisce, quindi, un incentivo alla perpetuazione ed
all’estensione degli effetti del primo reato; e si può profilare,
altresì, una lesione del diritto di difesa, inteso nell’accezione del
“difendersi provando”, vale a dire “nell’interesse di addurre tutte le
circostanze che possano giovare al dichiarante”.
3. – Nessuna ulteriore argomentazione viene addotta nelle ordinanze
del Tribunale di Grosseto ed in quella emessa dal Tribunale di Reggio
Calabria che, come s’è accennato, denunciano la norma in riferimento
al solo art. 3 della Costituzione.
Nelle prime si afferma, peraltro, che il “bene giuridico (retto
funzionamento della giustizia) tutelato dalle due norme incriminatrici”
di cui agli artt. 372 e 378 sarebbe identico e che la fattispecie
criminosa dell’art. 372 c.p. – per la quale è prevista l’efficacia
esimente della ritrattazione – sarebbe più grave sotto il profilo sia
sanzionatorio che sostanziale; nella seconda, che difetta di una
qualsiasi razionale giustificazione una disciplina penale che “regoli
l’indagine di polizia giudiziaria in modo più rigoroso e restrittivo
rispetto a quella condotta davanti all’autorità giudiziaria”.
4 – L’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nei giudizi
promossi con la prima delle ordinanze emesse dal Tribunale di Grosseto
e con quella del Tribunale di Reggio Calabria ha chiesto che le
questioni vengano dichiarate infondate.
Negli atti di intervento sostanzialmente si osserva che la
ritrattazione, mentre “interviene tempestivamente ad impedire la
definitiva lesione del bene oggetto di tutela penale nei delitti di cui
agli artt. 372 e 373 c.p.”, “nel delitto di favoreggiamento personale
commesso mediante mendaci e reticenti dichiarazioni, interverrebbe
quando il bene oggetto di tutela penale è già stato definitivamente
leso, nel senso che l’aiuto ad eludere le investigazioni dell’autorità
od a sottrarsi alle ricerche di questa ha già ottenuto il risultato
voluto: cioè, le investigazioni dell’autorità già sono state eluse
o la sottrazione alle ricerche dell’autorità già è stata favorita”.
In tal caso, quindi, non sembra possa prevedersi altro che
l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. In
conclusione, la disciplina impugnata costituirebbe espressione di
scelte di politica legislativa e non porrebbe problemi di
costituzionalità in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
1. – Poiché le questioni sollevate con le ordinanze di cui sopra
sono sostanzialmente identiche, i relativi giudizi possono essere
riuniti e. decisi con unica sentenza.
2. – I giudici a quibus dubitano tutti della legittimità
costituzionale dell’art. 376 c.p. nella parte in cui non estende la
causa di non punibilità ivi considerata (ritrattazione) all’imputato
del reato previsto dall’art. 378 c.p. (favoreggiamento personale),
allorché successivamente ritratti il falso e manifesti il vero,
quantomeno nell’ipotesi in cui il fatto risulti commesso con condotta
corrispondente a quella del reato di falsa testimonianza (art. 372
c.p.): nei casi di specie, con dichiarazioni mendaci rese alla polizia
giudiziaria. La medesima condotta, consistente nel rifiuto di fornire
notizie essenziali per l’identificazione del colpevole, ovvero nel
fornire notizie false per aiutarlo, determinerebbe conseguenze opposte
sotto il profilo dell’applicabilità dell’esimente della ritrattazione,
secondo che le false dichiarazioni siano state rese all’autorità
giudiziaria, nel qual caso il reato ipotizzabile sarebbe quello di
falsa testimonianza, ovvero all’autorità di polizia giudiziaria, nel
qual caso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il reato
ipotizzabile sarebbe quello di favoreggiamento personale.
Conseguentemente, l’inapplicabilità dell’esimente a quest’ultima
ipotesi comporterebbe, in contrasto col precetto di cui all’art. 3,
primo comma, Cost., un’ingiustificata disparità di trattamento in
danno dell’imputato di favoreggiamento personale; inoltre, l’indagine
di polizia giudiziaria risulterebbe disciplinata in modo
irragionevolmente più rigoroso di quella condotta dalla stessa
autorità giudiziaria.
Il Tribunale di Torino, poi, sulla scorta della considerazione che
l’autore delle dichiarazioni favoreggiatrici (in ipotesi rese alla
polizia giudiziaria) non potrebbe manifestare il vero al giudice che lo
interroghi sugli stessi fatti, se non rivelando il reato
precedentemente commesso, prospetta altresì la violazione dell’art. 24
Cost., dovendo intendersi ricompreso nel diritto di difesa l’interesse
di addurre tutte le circostanze che possano giovare al dichiarante.
3. – Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono,
sotto entrambi i profili, infondate.
Come in altre occasioni affermato da questa Corte, finalità
dell’esimente della ritrattazione è di “dare soddisfazione
all’interesse alla giusta definizione del giudizio principale”
(sentenze n. 26 del 1974 e n. 206 del 1982). In funzione del
perseguimento di questo scopo primario, con la norma di cui all’art.
376 c.p. il legislatore ha inteso incoraggiare il ravvedimento operoso
del falso testimone, prevedendone la non punibilità, ove la
ritrattazione del falso e la manifestazione del vero intervengano in
tempo utile ad evitare il pericolo di una decisione fondata su
presupposti non veritieri, con consegnente possibile pregiudizio del
fine primario di cui s’è detto. Pregiudizio che, evidentemente, una
testimonianza vedidica e completa, se pur “tardivamente” resa, può
valere ad evitare, attesa l’intima connessione funzionale fra il suo
oggetto ed i fatti sui quali è in corso un accertamento giudiziale non
ancora compiuto.
Analoga attitudine della ritrattazione ad evitare la lesione
dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 378
c.p. difetta nel caso del favoreggiamento personale, anche se integrato
da false o reticenti dichiarazioni rese all’autorità di polizia
giudiziaria. L’aiuto “a eludere le investigazioni dell’autorità o a
sottrarsi alle ricerche di questa”, che costituisce l’elemento
materiale del reato in esame, comporta invero per definizione – anche
se non sempre la vanificazione o il rallentamento – comunque un
intralcio all’opera di investigazione dell’autorità. Intralcio che,
soprattutto nella fase iniziale delle indagini, cui sembra
principalmente riferirsi la norma, è suscettibile di comportare la
definitiva frustrazione del fine di assicurare l’accertamento e la
repressione dei reati, essendo evidente che il pregiudizio arrecato
alla pretesa punitiva dello Stato allorché, grazie alle false
dichiarazioni rese dal favoreggiatore alla polizia giudiziaria, il reo
si sia ad esempio sottratto all’arresto o alla cattura, non è tale da
poter essere in sé eliso da una resipiscenza che intervenga, in
ipotesi, quando egli è ormai lontano o non più altrettanto
agevolmente reperibile.
Non sembra dubitare, insomma, che la diversa obiettività giuridica
dei due reati comporta un diverso atteggiarsi della idoneità della
ritrattazione ad evitare la definitiva lesione dell’interesse tutelato
da ciascuna delle fattispecie, onde non appare irragionevole che la
causa esimente sia contemplata solo per il reato di falsa testimonianza
(e per quello di cui all’art. 373 c.p.) e non anche per il
favoreggiamento personale.
4 – Che, poi, la prevalente giurisprudenza ritenga, in linea con
talune opinioni espresse in dottrina, che la diversa obiettività
giuridica dei due reati non impedisce di ravvisare nella falsa
testimonianza ipotesi speciale di reato rispetto al favoreggiamento
personale, con la conseguenza che le false e favoreggiatrici
dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria comportano, in caso di
tempestiva ritrattazione, la non punibilità dell’agente, è
constatazione esatta, ma dipendente da valutazioni ermeneutiche
sull’ambito applicativo del principio c.d. di specialità di cui
all’art. 15 c.p. Ma si tratta di valutazioni che esulano dal giudizio
di questa Corte, cui non compete stabilire se, nell’ipotesi descritta,
ricorra un caso di concorso formale di reati o, invece, di concorso
apparente di norme incriminatrici.
La diversità delle conseguenze che possono in ipotesi derivare
all’agente in relazione alla non identità dei contesti nei quali le
dichiarazioni favoreggiatrici siano rese non inficia, insomma, le
raggiunte conclusioni sulla insussistenza del contrasto della norma in
esame col principio di cui all’art. 3, primo comma, Cost. Ed invero, in
caso di ritrattazione, l’impunità viene concessa al reo in funzione
meramente strumentale al perseguimento del diverso fine primario di cui
s’è detto più sopra, non già nell’interesse dell’imputato (sentenze
n. 26 del 1974 e n. 206 del 1982). Se ne trova indiretta, seppur
inequivoca conferma nella disciplina dettata dall’art. 384, primo
comma, c.p., laddove non essendo l’esimente speciale ivi considerata
funzionalmente collegata a fini ulteriori, ma venendo in rilievo
esclusivamente la particolare condizione soggettiva dell’agente, i casi
preveduti, tra gli altri, dagli artt. 372 e 378 c.p., sono stati,
invece, logicamente accomunati.
5. – Non può dirsi infine che integri violazione dell’art. 24,
secondo comma, Cost., la circostanza che il favoreggiatore – il cui
reato sia rimasto in ipotesi ignoto – non possa manifestare il vero al
giudice che lo interroga sugli stessi fatti, se non rivelando il reato
precedentemente commesso. A parte l’ovvia osservazione che egli sarebbe
escusso come testimone, onde il diritto di difesa non potrebbe venire
in considerazione, deve rilevarsi che la situazione prospettata è
comune a tutti i casi in cui il teste si trovi di fronte
all’alternativa di manifestare il falso e di confessare, dichiarando il
vero, un reato: in tale ipotetico contesto, l’assumere che la norma
costituzionale, in tanto sarebbe rispettata, in quanto la
manifestazione del vero comportasse l’impunità in ordine al reato
confessato, è affermazione che avrebbe senso logico, solo se il
diritto di difesa potesse legittimamente riguardarsi in un’accezione
semantica che lo consideri sinonimo di rinuncia alla pretesa punitiva
da parte dello Stato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 376 c.p. nella parte in cui prevede l’esimente della
ritrattazione solo per il reato di cui all’art. 372 c.p. (falsa
testimonianza) e non anche per quello di cui all’art. 378 c.p.
(favoreggiamento personale) sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dai Tribunali di Grosseto, Reggio Calabria e Torino con le ordinanze
indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 376 c.p. sollevata, con la stessa ordinanza,
dal Tribunale di Torino, in riferimento all’art. 24 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere