Sentenza N. 23 del 1978
Corte Costituzionale
Data generale
20/03/1978
Data deposito/pubblicazione
20/03/1978
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/03/1978
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof.
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE, Giudici,
ultimo comma, e 48, della legge della Regione Lombardia n. 51 del 15
aprile 1975 (disciplina urbanistica del territorio regionale e misure
di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico);
dell’art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica);
degli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (modifiche ed
integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150); art. 1
della legge 30 Novembre 1973, n. 756 (proroga dell’efficacia della
legge 19 novembre 1968, n. 1187); art. 1 commi primo e secondo, della
legge della Regione Toscana del 24 febbraio 1975, n. 16 (norme relative
ai programmi di fabbricazione e alle zone agricole); artt. 1 e 4 della
legge della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59 (norme per la
formazione di un programma delle aree da destinare all’esproprio e
all’assoluta inedificabilità sulla base dei programmi di
fabbricazione); promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 21 maggio 1975 dal TAR per la Lombardia nel
procedimento vertente tra Tognazzi Alberto e il Comune di Varedo e la
Regione Lombardia, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 1975 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 dell’11
febbraio 1976 e nel Bollettino regionale della Lombardia n. 4 del 28
gennaio 1976;
2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1976 dal Consiglio di Stato –
sezione IV giurisdizionale – nel corso del giudizio promosso da Pera
Gemma ed altri contro la Regione Toscana ed altro, iscritta al n. 450
del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 313 del 16 novembre 1977 e nel Bollettino regionale n. 61
del 4 novembre 1977;
3) ordinanza emessa il 10 dicembre 1976 dal Consiglio di Stato –
sezione IV giurisdizionale – nel corso del giudizio promosso da Mallaby
Pia Teresa ed altro contro la Regione Toscana ed altro, iscritta al n.
453 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 313 del 16 novembre 1977 e nel Bollettino regionale
n. 61 del 4 novembre 1977;
4) ordinanza emessa il 3 marzo 1976 dal Pretore di Bassano del
Grappa nel corso del procedimento penale a carico di Girardi Marcello,
iscritta al n. 497 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 del 15 settembre 1976.
Visti gli atti di costituzione di Tognazzi Alberto, di Pera Gemma
ed altri, del Comune di Varedo, del Comune di Asciano, della Regione
Lombardia, della Regione Toscana, nonché gli atti di intervento della
Regione Veneto e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 gennaio 1978 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi gli avvocati Aldo Sandulli per Tognazzi, Adriano Pallottino
per Pera ed altri, Alberto Predieri per il Comune di Asciano e per la
Regione Toscana, Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia, Giovanni
Miele e Antonio Ragazzini per la Regione Toscana, Giorgio Berti e
Leonello D’Aloja per la Regione Veneto, ed il vice avvocato generale
dello Stato Giovanni Albisinni per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
1. – Nel corso di un giudizio concernente la legittimità del
programma di fabbricazione del Comune di Varedo, in vista del quale era
stata negata al ricorrente una licenza edilizia relativa ad un’area che
lo stesso programma vincolava a verde di rispetto, il Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 14 ultimo comma e 48 della
legge urbanistica della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51: il
primo dei quali consente le sole modifiche dei programmi di
fabbricazione “che comportino riduzione della edificabilità e
l’introduzione di nuovi vincoli per attrezzature pubbliche e
collettive”; mentre in base al secondo “i vincoli di aree… previsti
dai programmi di fabbricazione di cui all’art. 34 della legge 17 agosto
1942, n. 1150, hanno efficacia entro i limiti temporali” fissati dalle
leggi n. 1187 del 1968 e n. 756 del 1973, anche se stabiliti da
programmi “approvati anteriormente alla data di entrata in vigore della
presente legge”.
“Nonostante una indubbia evoluzione legislativa” – afferma
testualmente il Tribunale – “non si è compiutamente pervenuti, da
parte del legislatore nazionale, ad una piena e totale equiparazione”
dei contenuti dei piani regolatori generali e dei programmi di
fabbricazione; sicché si potrebbe ritenere che l’art. 14 ultimo comma
abbia violato, derogando rispetto alla normale portata dei programmi di
fabbricazione, un principio fondamentale stabilito o risultante in
materia dalle leggi dello Stato. E, d’altra parte, l’art. 48 farebbe
nascere il dubbio se il legislatore regionale, ridisciplinando per il
passato situazioni già regolate da norme statali, non abbia violato
anche il principio generale dell’irretroattività delle leggi,
vincolante la potestà legislativa delle Regioni.
Si sono costituiti nel presente giudizio il ricorrente dott.
Tognazzi, il Comune di Varedo e la Regione Lombardia.
La difesa del ricorrente ha in un primo tempo ipotizzato
l’irrilevanza di entrambe le questioni di legittimità, notando che le
norme impugnate potrebbero venire interpretate con esclusivo riguardo
all’avvenire, senza incidere sull’accoglimento della domanda di licenza
edilizia, presentata in precedenza dall’interessato. Con una successiva
memoria, tuttavia, il ricorrente ha rilevato che in base
all’interpretazione delle norme urbanistiche statali, sostenuta dalla
costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, i programmi di
fabbricazione non possono – salve le eccezioni stabilite e regolate da
leggi speciali – introdurre vincoli di assoluta inedificabilità; tanto
più che, se così non fosse, tali programmi verrebbero assimilati ai
piani regolatori generali in violazione del principio di eguaglianza,
mancando per i primi le garanzie procedimentali (inerenti alla
pubblicità ed alle osservazioni deducibili dagli interessati) che sono
invece previste per la formazione dei secondi: dal che deriverebbe,
allora, un principio fondamentale della legislazione statale vigente in
materia, che il legislatore regionale avrebbe violato. Inoltre, il
ricorrente ha aderito alle ulteriori censure del giudice a quo,
nell’ipotesi che l’art. 48 abbia effettivamente disposto per il
passato, in violazione del principio di irretroattività, precludendo
al Tribunale l’annullamento del programma di fabbricazione del Comune
di Varedo.
Per converso, la difesa del Comune di Varedo ha preliminarmente
eccepito l’irrilevanza delle questioni sollevate; e ciò, con
particolare riguardo all’art. 14 ultimo comma, in quanto concernente la
sola imposizione di vincoli nuovi. Nel merito, il Comune ha contestato
che il divieto di introdurre previsioni d’inedificabilità per mezzo di
un programma di fabbricazione possa elevarsi a principio fondamentale
della materia: sia perché il principio stesso non sarebbe stato
stabilito da alcuna norma specifica, sia perché l’ordinamento vigente
offrirebbe elementi atti a superare l’interpretazione restrittiva del
Consiglio di Stato. Secondariamente, il Comune ha sostenuto il
carattere ricognitivo e non retroattivo dell’art. 48; ed ha comunque
negato che l’irretroattività delle leggi sia concepibile come un
principio generale dell’ordinamento, limitativo della legislazione
regionale.
Del pari, la difesa della Regione ha notato che le deroghe
introdotte in tal campo dalla stessa legislazione statale sarebbero
tanto numerose, da far escludere la vigenza di un principio
fondamentale avente per oggetto i contenuti necessari dei programmi di
fabbricazione. In via subordinata, la Regione ha osservato che le norme
impugnate non avrebbero valore innovativo: l’art. 14 ultimo comma
consentirebbe la futura introduzione degli stessi tipi di vincoli già
ammessi dalla legislazione statale previgente; mentre l’art. 48 non
farebbe che confermare senza effetti retroattivi la durata dei vincoli
imponibili dai programmi di fabbricazione (già in base alla cosiddetta
legge-ponte del 1967), quale era stata fissata dalla legge n. 756 del
1973.
Successivamente una memoria della Regione ha rilevato, in primo
luogo, che la stessa legge n. 756 del 1973 demanda alle “leggi emanate
dalle regioni” la definitiva regolamentazione della materia; in secondo
luogo, che la legge n. 10 del 1977, assoggettando a concessione ogni
attività edilizia, avrebbe mutato il contesto entro cui va risolto il
problema della legittimità dei vincoli derivanti dai programmi di
fabbricazione; in terzo luogo, che le garanzie procedimentali proprie
dei piani regolatori generali e non dei programmi di fabbricazione non
imporrebbero di tener distinti i contenuti dei due tipi di strumenti
urbanistici, dal momento che dette garanzie non sono nemmeno previste,
quanto alle osservazioni dei proprietari interessati, dalla legge n.
1150 del 1942, e non rappresentano comunque – per costante
giurisprudenza – un vero e proprio rimedio giuridico.
2. – In un procedimento penale riguardante un delitto di omissione
di atti di ufficio, per la mancata decisione su una richiesta di
licenza edilizia da parte del competente assessore comunale di Rossano
Veneto, il Pretore di Bassano del Grappa ha impugnato gli artt. 1 e 4
della legge della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59, recante norme
sui programmi di fabbricazione. L’art. 1, disponendo che “i programmi
di fabbricazione… possono contenere indicazioni di aree preordinate
all’esproprio o da vincolare all’assoluta inedificabilità”, salva
l’adozione di un apposito “programma dei vincoli”, violerebbe un
principio fondamentale del settore urbanistico, per le stesse ragioni
già addotte dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia;
ed altrettanto varrebbe per l’art. 4, che impone al Sindaco del Comune
interessato di sospendere, fino all’approvazione del programma dei
vincoli, “ogni determinazione sulla domanda di licenza edilizia in
contrasto con le destinazioni… preordinate… dai programmi di
fabbricazione vigenti o adottati”. Ambedue le questioni sarebbero
rilevanti, secondo il giudice a quo, anche perché l’imputato non
avrebbe adempiuto all’obbligo previsto dall’art. 4, che prescrive di
notificare alla parte richiedente il provvedimento di sospensione.
La Regione Veneto, intervenuta nel presente giudizio, ha invece
affermato – preliminarmente – l’irrilevanza di entrambe le questioni:
poiché il giudizio a quo dovrebbe comunque esser deciso sulla base
dell’originario programma di fabbricazione nonché della legislazione,
regionale o statale, vigente all’epoca dei fatti. Nel merito, la difesa
della Regione si associa alla tesi che dalla legislazione statale non
sia ricavabile un principio preclusivo di leggi regionali che
attribuiscano ai programmi di fabbricazione possibilità vincolistiche;
tanto più che il legislatore regionale avrebbe colmato – per
l’avvenire – il divario procedurale fra programmi di fabbricazione e
piani regolatori generali, associando ai primi l’apposito “programma
dei vincoli” e disponendo in tal modo un opportuno sistema di garanzie.
3. – Da ultimo, la quarta sezione del Consiglio di Stato, nei
giudizi su due ricorsi per l’annullamento dei programmi di
fabbricazione dei Comuni di Capannori e di Asciano, perché impositivi
di vincoli di assoluta inedificabilità, ha impugnato – rispettivamente
– l’art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, gli artt. 8, 12 e 17
della legge 6 agosto 1967, n. 765, l’art. 1 della legge 30 novembre
1973, n. 756, l’art. 1, primo e secondo comma, della legge della
Regione Toscana 24 febbraio 1975, n. 16, nonché “ogni altra norma di
legge parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del
piano regolatore generale”; ovvero – con la seconda delle due ordinanze
di rinvio – i medesimi disposti della legge toscana e della
legge-ponte, nonché ogni altra equivalente “norma di legge dello
Stato”. Stando alla prima ordinanza, è dubbia la legittimità delle
norme legislative statali sui contenuti dei programmi di fabbricazione,
se ed in quanto si assuma in proposito l’interpretazione opposta a
quella accolta dal Consiglio di Stato: ossia che i programmi di
fabbricazione ed i piani regolatori generali siano stati assimilati –
come vorrebbe una certa corrente dottrinale – senza che nell’un caso vi
siano garanzie procedimentali per le posizioni giuridiche sacrificate,
e dunque in violazione degli artt. 3 e 42 Cost. A sua volta, la
ricordata legge regionale Toscana sarebbe invece lesiva del limite dei
principi fondamentali, per le stesse ragioni già addotte dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia.
Analoghe impugnative sono state poi proposte dalla seconda
ordinanza, sia pure invertendo l’ordine delle argomentazioni ed
invocando – quanto alle leggi statali impugnate – il solo art. 3 e non
l’art. 42 Cost.
Nei conseguenti giudizi dinanzi a questa Corte si sono costituiti:
le ricorrenti avverso il programma di fabbricazione del Comune di
Capannori, la Regione Toscana, l’Avvocatura generale dello Stato (per
il Presidente del Consiglio dei ministri), nonché il Comune di
Asciano.
In particolare, la difesa del Comune di Asciano ha notato che il
nuovo regime dei suoli non è più incardinato sull’introduzione di
vincoli limitativi delle situazioni preesistenti: con il che dovrebbe
venir riesaminata la rilevanza delle questioni prospettate dal giudice
a quo. A parte ciò, la disciplina dei programmi di fabbricazione,
quanto meno a partire dall’entrata in vigore della legge-ponte (specie
per effetto della nuova normativa sugli standards e sulle procedure di
approvazione degli strumenti urbanistici), non sarebbe più quella del
1942, essendo subentrata nel 1967 una disciplina fondamentalmente
unitaria di programmi e di piani (come avrebbero poi evidenziato la
legge n. 756 del 1973 e le successive proroghe, altre che una serie di
altre leggi speciali). Non vi sarebbe dunque violazione dell’art. 117
primo comma Cost. da parte del legislatore toscano; né si potrebbe
argomentare una lesione dell’art. 3, dato il carattere collaborativo,
per l’attuazione del pubblico interesse, che le osservazioni dei
privati assumono in tal campo (e dato che il contraddittorio non
sarebbe costituzionalmente garantito nei procedimenti amministrativi).
Quanto alla Regione Toscana, anch’essa ha svolto analoghe
considerazioni, notando specialmente che i programmi di fabbricazione
rimangono distinti dagli altri strumenti urbanistici per la procedura
formativa semplificata ed accelerata, in corrispondenza ai mezzi ed
alle necessità dei Comuni minori, ma senza che per questo i loro
contenuti vincolistici debbano essere diversificati. Al contrario,
l’equiparazione dei vincoli introducibili da entrambi i tipi di atti
costituirebbe ormai “un dato incontrovertibile della legislazione
nazionale”, su cui si sarebbe fondata la stessa normativa urbanistica
toscana.
Altra è invece la posizione assunta dall’Avvocatura dello Stato,
che ha sostenuto l’infondatezza delle questioni concernenti le norme
urbanistiche statali sui programmi di fabbricazione, affermando che i
loro contenuti sarebbero sempre rimasti diversi da quelli dei piani
regolatori generali: come risulterebbe dal costante orientamento del
Consiglio di Stato, espresso sia da un parere della seconda sezione,
sia da una successiva decisione dell’adunanza plenaria, sia dalle
attuali ordinanze della quarta sezione.
1. – Le quattro ordinanze in questione propongono alla Corte
problemi diversi, concernenti la legittimità di norme urbanistiche
statali e regionali, che vengono impugnate in vista di un loro
eventuale contrasto – diretto od indiretto – con molteplici norme
costituzionali. Nondimeno, i conseguenti giudizi possono essere riuniti
e decisi con un’unica sentenza, dal momento che tutti presuppongono la
determinazione dei contenuti vincolistici dei programmi di
fabbricazione, compatibili con il vigente ordinamento generale dello
Stato.
2. – Va presa anzitutto in esame l’eccezione di inammissibilità
sollevata dalla difesa del Comune di Asciano. Si deve infatti
accertare, preliminarmente, se l’entrata in vigore della legge 28
gennaio 1977, n. 10, recante nuove norme per la edificabilità dei
suoli, non abbia messo in forse la rilevanza delle questioni di
legittimità costituzionale prospettate dalla quarta sezione del
Consiglio di Stato, rendendo indispensabile la restituzione degli atti
al giudice a quo. L’ordinanza che ha sospeso il giudizio promosso da
Pia Teresa e Carlo Alberto Mallaby, contro il Comune di Asciano e la
Regione Toscana, ha posto il problema se siano legittime le norme che
abbiano parificato – quanto ai contenuti – il piano regolatore generale
ed il programma di fabbricazione: consentendo non soltanto al primo ma
anche a quest’ultimo tipo di atti l’imposizione di vincoli concernenti
la sistemazione urbanistica del territorio, malgrado il relativo
procedimento di adozione e di approvazione non implichi un’adeguata
tutela delle posizioni giuridiche soggettive così sacrificate. Ma in
sede urbanistica – secondo la difesa del Comune di Asciano – la legge
n. 10 del 1977 avrebbe eliminato dall’ordinamento la nozione di
vincolo, limitativo di posizioni preesistenti, basandosi invece sulla
concessione di poteri edificatori, altrimenti sottratti ai proprietari
dei terreni edificabili.
L’eccezione è infondata. Al centro del problema prospettato dalla
quarta sezione del Consiglio di Stato non sta la garanzia dei diritti
spettanti ai privati proprietari di aree edificabili, ma la
giustificatezza di una normativa con cui si apportino deroghe al
“principio della necessaria disparità di funzioni e di contenuto fra
piano regolatore e programma di fabbricazione”, ferma restando la
diversità delle corrispondenti procedure formative; tanto è vero che
l’ordinanza in esame (diversamente da quella emessa nel giudizio fra
Gemma Pera ed altri, il Comune di Capannori e la stessa Regione
Toscana) non ha configurato la violazione dell’art. 42, bensì ha
ritenuto non manifestamente infondata la sola ipotesi che le norme
impugnate contrastino con l’art. 3 Cost.
In altri termini, la Corte è qui chiamata a giudicare se non siano
lesive del principio costituzionale di eguaglianza le disparità
riscontrabili nella formazione di questi due tipi di atti urbanistici,
in corrispondenza con l’assimilazione dei loro contenuti. Ed è
manifesto che, sotto questi aspetti, la legge n. 10 del 1977 non
costituisce una nuova normativa che il giudice a quo debba prendere in
considerazione; poiché la legge stessa non ha ridisciplinato né le
procedure formative né i contenuti rispettivi dei programmi di
fabbricazione e dei piani regolatori generali.
D’altronde, è vero che il giudizio in corso dinanzi alla quarta
sezione del Consiglio di Stato ha per oggetto il programma di
fabbricazione del Comune di Asciano, nella parte riguardante la
destinazione a “zona sportiva” di alcune aree di proprietà dei
ricorrenti. Ma l’attualità della questione non è venuta meno in
conseguenza dell’entrata in vigore della legge n. 10 del 1977: sia
perché rimane l’esigenza di ripristinare – ad ogni possibile effetto –
la legalità che fosse stata eventualmente lesa; sia perché l’art. 4
primo comma della legge n. 10 stabilisce che la stessa “concessione di
edificare” dev’essere data “a chi abbia titolo per richiederla…, in
conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei
regolamenti edilizi…”.
3. – Ciò premesso, giova considerare in primo luogo le questioni
di legittimità costituzionale proposte dalle due ordinanze della
quarta sezione del Consiglio di Stato, con riguardo all’art. 34 della
legge 17 agosto 1942, n. 1150, agli artt. 8, 12 e 17 della legge 6
agosto 1967, n. 765, all’art. 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756,
nonché ad “ogni altra norma di legge di Stato parificante il contenuto
del programma di fabbricazione e del piano regolatore generale”.
L’interpretazione e la valutazione di questo complesso di norme
urbanistiche statali condizionano, infatti, l’individuazione dei
“principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”, al cui
rispetto è tenuta la potestà legislativa che l’art. 117 primo comma
Cost. conferisce alle Regioni di diritto comune, quali la Lombardia, la
Toscana ed il Veneto.
La linea di ragionamento seguita in tal senso da entrambe le
ordinanze potrebbe per altro far nascere ulteriori dubbi concernenti la
loro ammissibilità: in quanto il giudice a quo non ha affatto aderito
alla tesi che le leggi dello Stato abbiano attribuito ai programmi di
fabbricazione possibilità vincolistiche equivalenti o comparabili a
quelle che spettano ai piani regolatori generali, determinando con ciò
una violazione dell’art. 3 (nonché dell’art. 42 Cost.). Le ordinanze
hanno anzi ribadito – con ampie argomentazioni – gli assunti prevalenti
nella giurisprudenza amministrativa: concludendo senz’altro che lo
“strumento esclusivo di sistemazione urbanistica” sarebbe tuttora
costituito dal piano regolatore, mentre il programma di fabbricazione
si limiterebbe ad integrare il corrispondente regolamento edilizio
(sicché verrebbe a mancare – secondo il testuale rilievo della quarta
sezione del Consiglio di Stato – “il presupposto indispensabile alla
questione di legittimità costituzionale delle norme di legge dello
Stato come sopra indicate”).
Analogamente a ciò che la Corte ha motivato nella sent. 29
dicembre 1977, n. 161, si deve però ritenere che gli accertamenti di
competenza del giudice a quo siano stati correttamente effettuati. Il
requisito indicato dall’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del
1948, per cui la questione non dev’essere “manifestamente infondata”,
non comporta che il giudice stesso sia convinto della fondatezza e non
esclude nemmeno che egli rimanga soggettivamente persuaso del
contrario; è invece sufficiente che esistano oggettive ragioni di
incertezza, sul tipo di quelle derivanti da radicati dissensi
dottrinali e giurisprudenziali. Ora, nel caso specifico, il giudice
amministrativo ha precisamente riscontrato la presenza di tali
condizioni, sospendendo perciò il suo giudizio; ed implicitamente,
dunque, ha chiamato la Corte a riesaminare quei problemi
d’interpretazione e di ricostruzione delle norme urbanistiche statali
attinenti ai programmi di fabbricazione, cui sono strettamente
collegati i corrispondenti problemi di legittimità costituzionale.
4. – Alla stregua della vigente normativa urbanistica statale,
questa Corte ritiene che l’interpretazione sostenuta dal giudice a quo
non tenga pienamente conto della funzione e dei contenuti spettanti ai
programmi di fabbricazione. Il dichiarato assunto, comune ad entrambe
le ordinanze in esame, per cui tali atti non rappresenterebbero un vero
e proprio strumento urbanistico, ma dovrebbero risolversi in una sorte
di appendice topografica del regolamento edilizio, potrebbe già esser
discusso alla luce dell’art. 34 della legge n. 1150 del 1942: ai sensi
del quale i programmi di fabbricazione costituiscono i sostitutivi –
sia pure assai meno elaborati e penetranti – dei piani regolatori
generali, atti a disporre un certo assetto urbanistico del territorio
comunale, soprattutto nelle parti concernenti i vincoli di zona e le
“direttrici di espansione” dei centri abitati. Ma la tesi stessa è
superata in un modo ben più netto dai successivi sviluppi della
legislazione dello Stato.
In primo luogo, l’attitudine dei programmi di fabbricazione a
fungere da strumenti di sistemazione urbanistica è stata presa in
puntuale considerazione, sotto svariati profili, ad opera di una serie
di leggi speciali che hanno affidato agli atti stessi – al medesimo
titolo dei piani regolatori generali – l’individuazione delle aree da
destinare a certe specie di opere e la determinazione dei
corrispondenti vincoli preordinati all’esproprio: dall’art. 3 ultimo
comma della legge 18 aprile 1962, n. 167, sull’acquisizione di aree
fabbricabili per l’edilizia economica e popolare; all’art. 14 secondo
comma della legge 28 luglio 1967, n. 641, sulla edilizia scolastica ed
universitaria; all’art. 3 della legge 1 giugno 1971, n. 291, quanto
all’edilizia ospedaliera ed universitaria; agli artt. 13 e 14 della
legge 11 giugno 1971, n. 426, relativamente agli insediamenti di
attività commerciali; all’art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865,
circa i piani delle aree per gli insediamenti produttivi; fino all’art.
6 della legge 12 dicembre 1971, n. 1133, sull’edilizia degli istituti
di prevenzione e di pena. Nell’insieme di tutte queste ipotesi, che
riguardano ai medesimi effetti piani regolatori generali e programmi di
fabbricazione, il legislatore ha presupposto e confermato che anche gli
atti del secondo tipo fossero strumenti suscettibili di stabilire
vincoli urbanistici. E la riprova di ciò si ricava – prima ancora che
la cosiddetta legge-ponte del 1967 sopraggiungesse a modificare ed
integrare la disciplina urbanistica del 1942 – dall’art. 2 della legge
5 luglio 1966, n. 517, che ha riferito anche ai programmi di
fabbricazione le misure di salvaguardia in pendenza dell’approvazione
dei piani regolatori generali.
In secondo luogo, gli originari contenuti dei programmi di
fabbricazione, stabiliti dall’art. 34 della legge n. 1150 del 1942,
sono stati considerevolmente arricchiti dalla legge 6 agosto 1967, n.
765 (anche se si danno divergenze, dottrinali e giurisprudenziali,
nella definizione degli effetti desumibili dai contenuti stessi). Vero
è che l’art. 17 della legge-ponte include fra gli “strumenti
urbanistici” tanto il piano regolatore generale quanto il programma di
fabbricazione; ed obbliga tutti i Comuni, nella formazione e nella
revisione di tali strumenti, ad osservare “limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati, nonché
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a
verde pubblico o a parcheggi”. Una disposizione così formulata non
può essere intesa – né letteralmente né in vista dei fini che la
legge-ponte si è proposta – come se i limiti e i rapporti fissati nei
programmi di fabbricazione fossero totalmente diversi da quelli
stabiliti nei piani regolatori generali: non potendo tradursi in
vincoli specifici, ma risolvendosi in indicazioni meramente
orientative.
Se così fosse, la preventiva pianificazione dell’attività
costruttiva, in ciascuna delle zone considerate dai programmi di
fabbricazione, diverrebbe di fatto impossibile: con la conseguenza che
i Comuni chiamati ad applicare determinati limiti e rapporti,
dovrebbero in realtà disapplicarli. In questa prospettiva, d’altra
parte, non si spiegherebbe nemmeno la disposizione dell’art. 12, onde
il decreto di approvazione può introdurre “nel regolamento edilizio e
nel programma di fabbricazione le modifiche… indispensabili” per
assicurare – fra l’altro – l'”osservanza dei limiti” voluti dall’art.
17. Inoltre, verrebbe svuotata od impoverita’ di senso la stessa
disposizione dell’art. 8, per cui non è dato procedere alla
lottizzazione dei terreni a scopo edilizio se non sulla base del
relativo programma di fabbricazione, dopo che esso sia stato approvato:
in quanto ciò comporta che il programma possa prevedere – in modo
vincolante e non semplicemente orientativo – le opere di urbanizzazione
destinate ad essere eseguite secondo i vari piani di lottizzazione
edilizia.
In terzo luogo, questa progressiva assimilazione degli effetti
dovuti ai programmi di fabbricazione ed ai piani regolatori generali ha
ricevuto un’ulteriore conferma da parte della legge 30 novembre 1973,
n. 756, e dei conseguenti atti legislativi che hanno prorogato la
durata dei rispettivi vincoli urbanistici. In una prima fase, l’art. 2
della legge 19 novembre 1968, n. 1187, aveva limitato a cinque anni
l’efficacia dei soli vincoli derivanti dai piani regolatori generali;
sicché restava aperto il dubbio se quella previsione fosse
implicitamente riferibile anche ai programmi di fabbricazione.
Viceversa l’art. 1 della legge n. 756 del 1973 concerne testualmente
entrambi i tipi di strumenti urbanistici, “nella parte in cui incidono
su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati
all’espropriazione o a vincoli che comportino l’inedificabilità”. Ed
un tale disposto – che è stato impugnato con esclusivo riguardo ai
contenuti vincolistici dei programmi di fabbricazione – significa
appunto che questi stessi atti hanno per oggetto la sistemazione
urbanistica del territorio comunale; tanto più che l’interpretazione
letterale risulta rafforzata dalle indicazioni dei lavori preparatori
(oltre che dalle due consecutive proroghe, fondate sui d.l. 29 novembre
1975, n. 562, e 26 novembre 1976, n. 781).
Tutto ciò concorre a far concludere che l’iniziale divario fra i
programmi di fabbricazione ed i piani regolatori generali è stato
ampiamente – se non completamente – colmato dalla legislazione statale
successiva alla legge urbanistica n. 1150 del 1942. Ma quali siano,
precisamente, gli attuali contenuti vincolistici che i programmi di
fabbricazione sono venuti in tal modo assumendo, non è un accertamento
che spetti a questa Corte. Ai fini del presente giudizio, è invece
necessario e sufficiente l’aver verificato che i vincoli in questione
sono previsti dall’ordinamento statale vigente; e non si risolvono nei
soli effetti cosiddetti atipici, disposti dalle ricordate leggi
speciali che hanno mirato a soddisfare particolari esigenze di edilizia
pubblica (o di pubblica utilità), ma investono la totalità dei
programmi di fabbricazione, considerati nei loro contenuti tipici e
normali.
5. – Così interpretate, le norme urbanistiche statali attinenti ai
programmi di fabbricazione verrebbero per altro a contrastare – secondo
le ordinanze emesse dalla quarta sezione del Consiglio di Stato – con
gli artt. 3 e 42 Cost. ogniqualvolta i programmi di fabbricazione
fossero abilitati a limitare la proprietà fondiaria, nella stessa
misura ed allo stesso titolo dei piani regolatori generali, ma senza le
corrispondenti “garanzie di procedimento per le posizioni giuridiche
sacrificate e per i loro titolari”, sarebbe infatti leso il principio
di eguaglianza; e parallelamente, risulterebbe violata – stando al
dispositivo di una delle due ordinanze di rinvio – anche la norma
costituzionale sul riconoscimento e sulla tutela della proprietà
privata.
Appare evidente, però, che non tutte le norme statali impugnate
sono destinate a trovare applicazione nei rispettivi giudizi. In
particolar modo, è inammissibile l’impugnativa riferita ad “ogni altra
norma di legge parificante il contenuto del programma di fabbricazione
e del piano regolatore generale”: non foss’altro perché le stesse
ordinanze di rinvio trascurano di identificare le norme predette,
indicando puntualmente le ragioni per le quali la loro impugnazione
sarebbe rilevante.
D’altra parte, non sono fondate le questioni proposte nei confronti
delle norme che potrebbero specificamente interessare i due processi
pendenti dinanzi alla quarta sezione del Consiglio di Stato: cioè le
impugnative concernenti l’art. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150,
gli artt. 8, 12 e 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, nonché l’art.
1 della legge 30 novembre 1973, n. 756. In verità, entrambe le
ordinanze sono molto sommarie nel definire i termini delle impugnative
stesse: sicché rimane incerto se tale normativa sia stata impugnata
là dove non prevede adeguate garanzie procedimentali nella formazione
dei programmi di fabbricazione, sebbene essi possano imporre vincoli
che corrispondono a quelli derivanti dai piani regolatori generali;
oppure se il vizio ipotizzato riguardi – viceversa – l’imposizione dei
vincoli medesimi, sebbene i procedimenti formativi dei programmi di
fabbricazione non garantiscano le “posizioni giuridiche sacrificate” al
pari di quelle sulle quali incidono i piani regolatori. Sotto entrambi
i profili, tuttavia, questa Corte non ravvisa un’illegittima disparità
di trattamento.
Va ricordato, anzitutto, che il cosiddetto principio del giusto
procedimento (in vista del quale i soggetti privati dovrebbero poter
esporre le proprie ragioni, prima che vengano adottati provvedimenti
limitativi dei loro diritti) non può considerarsi costituzionalizzato;
all’opposto, fin dalla sentenza 2 marzo 1962, n. 13, la Corte ha
rilevato che la esigenza in questione è stata molte volte derogata dal
legislatore statale, dal momento che esso non è vincolato –
diversamente dai legislatori regionali – “al rispetto dei principi
generali dell’ordinamento, quando questi non si identifichino con norme
o principi della Costituzione”. Perciò la circostanza che nell’iter
formativo dei programmi di fabbricazione non siano state introdotte –
né dalla legge urbanistica del 1942, né dalla legge-ponte del 1967,
né da leggi statali successive – adeguate forme di partecipazione dei
soggetti interessati alla pianificazione del territorio comunale non
implica, di per sé sola, un’illegittimità costituzionale.
Ciò che più conta, non si può certo affermare che il “giusto
procedimento” sia stato realizzato nella sua pienezza, quanto alla
formazione dei piani regolatori generali. Le garanzie cui fa
riferimento il giudice a quo si riassumono, infatti, nella
pubblicazione dei relativi progetti per un periodo di trenta giorni
consecutivi, “durante i quali chiunque ha facoltà di prenderne
visione”, e nelle osservazioni che possono venire presentate entro i
trenta giorni successivi, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 1150 del
1942. E questa Corte non è dell’avviso che la semplificazione delle
procedure formative dei programmi di fabbricazione, per cui le
osservazioni degli interessati non vi ritrovano posto (o non sono state
comunque previste dalla legislazione urbanistica statale), sacrifichi a
tal punto gli interessi privati rispetto agli interessi pubblici, al
confronto con ciò che si verifica nella formazione dei piani
regolatori generali, a ledere il principio costituzionale di
eguaglianza.
A dimostrazione del contrario, valgono le concordi indicazioni
della prassi e della giurisprudenza amministrativa, dalle quali si
ricava che i soggetti privati non partecipano al procedimento formativo
dei piani regolatori nella veste di vere e proprie parti, presentando
osservazioni “a tutela del proprio interesse” (secondo il criterio
enunciato da questa Corte, nella sentenza n. 13 del 1962); ma svolgono
attività puramente collaborative, in vista di una più compiuta
valutazione degli interessi pubblici in gioco. Non a caso, si
considerano irricevibili le osservazioni che non abbiano di mira la
soddisfazione delle comuni esigenze cui tendono i piani regolatori, ma
consistano in reclami rivolti a difendere particolari interessi
privati. Parallelamente, si esclude che sussista l’obbligo di
respingere le osservazioni stesse motivando in maniera specifica e
puntuale, ma si suole affermare che basta una motivazione sintetica,
nella quale si adducano le ragioni di pubblico interesse che stanno a
fondamento della pianificazione progettata. Ed anzi si ritiene
sufficiente che l’amministrazione comunale abbia preso comunque in
esame i rilievi così presentati; mentre non si configura neanche un
dovere di esame, per quanto riguarda le denunce successivamente inviate
alle autorità cui spetta l’approvazione del piano.
Del resto, assunti del genere sono coerenti con la disposizione
dell’art. 9 cpv. della legge n. 1150 del 1942, in cui non si ammettono
a presentare osservazioni se non “le associazioni sindacali e gli altri
enti pubblici ed istituzioni interessati”.
Effettivamente, la previsione che qualunque soggetto privato possa
proporsi di collaborare alla formazione dei piani regolatori, allo
stesso modo che chiunque può prendere visione dei relativi progetti,
non è stata introdotta da una legge statale, ma dalla circolare 7
luglio 1954, n. 2495, del Ministero dei lavori pubblici. Le
differenziazioni di trattamento lamentate dal giudice a quo riguardano,
pertanto, il momento applicativo piuttosto che il previo momento della
disciplina legislativa degli assetti urbanistici. Il che rafforza la
conclusione che le differenziazioni stesse non contrastano né con la
norma generale di eguaglianza né con l’esigenza di una pari garanzia
della proprietà fondiaria, ai sensi degli artt. 3 e 42 Cost.; tanto
più che i problemi da risolvere nei piccoli Comuni, mediante programmi
di fabbricazione che possono prescindere dalle osservazioni degli
interessati, non hanno dimensioni territoriali, sociali ed economiche,
comparabili a quelle dei problemi fronteggiati dai piani regolatori
generali, propri dei Comuni di maggiore importanza.
Con tutto ciò, la Corte non vuol certo contestare che l’attuale
disciplina degli strumenti urbanistici sia notevolmente frammentaria e
disorganica. Non senza ragione, entrambe le ordinanze emesse dalla
quarta sezione del Consiglio di Stato pongono in rilievo che la
distinzione tra piani regolatori generali e programmi di fabbricazione,
alternativamente utilizzabili ad analoghi scopi dalla generalità dei
Comuni italiani, rischia a questo punto di apparire “nominale” e non
più sostanziale.
Conviene invece che il legislatore statale riconsideri i
procedimenti formativi ed attuativi di tali strumenti, assicurando in
ogni caso l’accertamento ed il contemperamento di tutti gli interessi
pertinenti all’assetto del territorio. E più generalmente conviene che
le scelte urbanistiche delle singole amministrazioni comunali
(soprattutto nei piccoli Comuni) non restino isolate e scollegate, ma
vengano armonizzate con le analoghe scelte dei Comuni contermini,
nell’ambito di pianificazioni territoriali di più comprensiva portata;
sicché si dimostrano congiuntamente opportune, tanto una legge-cornice
che coordini le varie legislazioni regionali in materia urbanistica,
quanto una “legge generale” che determini – sulla base dell’art. 128
Cost. – i livelli ed i tipi di amministrazione locale sovracomunale.
Ma le molteplici esigenze di riforma della vigente legislazione
urbanistica statale non si convertono, sotto i profili dei quali la
Corte è ora chiamata a giudicare, in alcuno dei vizi di legittimità
costituzionale, prospettati dal giudice a quo.
6. – Quanto alle impugnative riguardanti la legislazione
urbanistica regionale, va per prima cosa dichiarata l’inammissibilità
delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 della
legge veneta 23 dicembre 1974, n. 59, sollevate dal Pretore di Bassano
del Grappa.
In effetti, ambedue le questioni sono manifestamente irrilevanti ai
fini del giudizio a quo. Da un lato, l’art. 1 disciplina con
riferimento all’avvenire i contenuti del programma di fabbricazione e
l’adozione di un correlativo “programma decennale di aree da
espropriare o da vincolare all’assoluta inedificabilità”; d’altro
lato, l’art. 4 dispone anche esso in forma irretroattiva, là dove
prevede che il Sindaco sia transitoriamente “tenuto a sospendere, con
provvedimento notificato alla parte richiedente, ogni determinazione
sulla domanda di licenza edilizia in contrasto con le destinazioni
delle aree preordinate… dai programmi di fabbricazione vigenti o
adottati”. In entrambi i casi, l’eventuale annullamento delle norme
impugnate non potrebbe avere nessuna incidenza sul procedimento penale
per il delitto di omissione di atti d’ufficio, imputato all’assessore
all’urbanistica del Comune di Rossano Veneto: dato che il rifiuto di
concedere una licenza edilizia, del quale il Pretore è competente a
giudicare sulla base delle leggi e degli strumenti urbanistici allora
vigenti (e non contestati nella loro legittimità), risale – secondo la
stessa ordinanza di rinvio – ad un periodo precedente l’entrata in
vigore della legge regionale in discussione; mentre la mancata
notificazione del provvedimento alla parte richiedente, nella quale il
Pretore ravvisa un’ulteriore ipotesi di omissione penalmente
imputabile, investe soltanto un inciso dell’art. 4 della legge stessa,
senza coinvolgere alcuna di quelle disposizioni che avrebbero esteso –
illegittimamente – i contenuti vincolistici dei programmi di
fabbricazione.
7. – Nemmeno è rilevante la questione sollevata dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, circa l’asserita violazione
dell’art. 117 Cost. da parte dell’art. 14 ultimo comma della legge
regionale lombarda 15 aprile 1975, n. 51.
Disponendo che i Comuni, dopo l’entrata in vigore della legge
stessa, possono apportare ai programmi adottati o vigenti le sole
modifiche riduttive dell’edificabilità od introduttive di “nuovi
vincoli per attrezzature pubbliche e collettive”, tale norma non può
avere applicazione nel giudizio a quo: poiché questo concerne
l’annullamento di un antecedente programma di fabbricazione, già
entrato in vigore il 12 ottobre 1972.
È invece ammissibile e fondata l’altra questione che lo stesso
Tribunale ha sollevato nei riguardi dell’art. 48 della legge n. 51 del
1975, perché contrastante con il principio generale
dell’irretroattività delle leggi regionali. Non può essere infatti
condivisa la tesi sostenuta dalle difese del Comune di Varedo e della
Regione Lombardia, per cui si tratterebbe di una norma puramente
ricognitiva, mirante a confermare i limiti temporali di efficacia dei
vincoli già stabiliti dai programmi di fabbricazione ai sensi di leggi
statali precedenti. Tale interpretazione viene in sostanza a privare
l’art. 48 d’un suo proprio contenuto normativo; e non è compatibile
con il testo dell’articolo impugnato, nel quale si delimita nel tempo
l’efficacia dei “vincoli di aree per attrezzature pubbliche e
collettive o che comunque comportino l’inedificabilità”, mediante una
formula che non corrisponde alla lettera di alcuna disposizione
legislativa statale concernente i contenuti dei programmi di
fabbricazione, ed anzi si presta ad essere intesa nel senso di
un’incondizionata sanatoria. Quanto meno, al contrario, la norma
impugnata ha voluto fissare, con riguardo ai rapporti pendenti nel
momento dell’entrata in vigore della legge regionale, l’interpretazione
delle leggi statali vigenti in tal campo: allo scopo di impedire – come
finisce per ammettere la stessa memoria presentata dalla difesa della
Regione – l’eventuale annullamento dei programmi che avessero
configurato vincoli considerati illegittimi dalla prevalente
giurisprudenza amministrativa.
Così ricostruito, l’art. 48 si ripercuote indubbiamente sul
giudizio a quo ed al tempo stesso eccede i limiti della potestà
legislativa regionale. Questa Corte ha infatti precisato, fin dalle
sentenze n. 44 e n. 123 del 1957, che gli effetti già prodotti dalle
leggi dello Stato non possono venir paralizzati od alterati – con
riferimento al passato – da parte di leggi regionali successive, senza
che ne risulti violato “il principio fondamentale dell’unità
dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
Ma nel caso specifico l’art. 117 primo comma Cost. è stato
contraddetto anche in quanto la norma impugnata si propone di risolvere
autenticamente questioni interessanti la disciplina di principio della
materia urbanistica, come quelle relative alla funzione ed ai contenuti
dello strumento urbanistico allora obbligatorio per la generalità dei
Comuni italiani (sebbene l’art. 14 primo comma della legge lombarda in
esame preveda, in prospettiva, che tutti i Comuni della Regione debbano
“dotarsi di un piano regolatore generale”. Ed in questo senso poco
importa fino a che punto sia fondata l’interpretazione imposta dal
legislatore regionale; poiché, in qualunque caso, l’art. 48 rimane
costituzionalmente illegittimo.
8. – Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne
l’ammissibilità delle impugnative aventi per oggetto il primo e il
secondo comma dell’art. 1 della legge regionale toscana 24 febbraio
1975, n. 16, sollevate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato.
Non sono rilevanti le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1 primo comma, poiché la disposizione che facoltizza i
programmi di fabbricazione a “prevedere vincoli di aree per la
razionale e coordinata sistemazione di spazi destinati ad uso pubblico
e per la realizzazione di opere, impianti ed attrezzature di interesse
pubblico”, non è di per se stessa riferibile se non all’adozione di
nuovi contenuti vincolistici; mentre i due processi pendenti dinanzi al
giudice a quo riguardano programmi già approvati nel momento
dell’entrata in vigore della norma impugnata.
Non è invece contestabile la rilevanza dell’impugnazione dell’art.
1 secondo comma, che attiene espressamente ai vincoli “previsti nei
programmi di fabbricazione approvati prima dell’entrata in vigore della
presente legge”. Ma la questione è infondata. In effetti, il giudice a
quo non ha ipotizzato la lesione di alcun principio riguardante la
successione nel tempo delle leggi statali e regionali; ed anzi ha
ritenuto manifestamente infondata la censura concernente “l’asserita
retroattività della norma riguardo ai programmi di fabbricazione già
approvati”, rilevando che la norma stessa investirebbe tali atti per il
solo avvenire, cioè “nella loro persistente efficacia”.
Entrambe le ordinanze ravvisano invece un contrasto fra l’art. 1
cpv. e l’art. 117 primo comma Cost., in quanto la parificazione operata
dal legislatore regionale, circa i contenuti dei programmi di
fabbricazione e dei piani regolatori generali, avrebbe violato i
corrispondenti principi della legislazione statale vigente in materia
urbanistica. Ma l’impugnazione cosi prospettata deve essere respinta,
poiché dalle leggi dello Stato – correttamente interpretate – non
emerge alcun principio che vieti la previsione di possibilità
vincolistiche comuni ad entrambi gli strumenti di pianificazione del
territorio comunale. E va coerentemente escluso, per le medesime
ragioni adotte nei riguardi delle norme urbanistiche statali impugnate
dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, che sussista alcuna
violazione degli artt. 3 e 42 Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni
di legittimità costituzionale di “ogni altra norma di legge dello
Stato parificante il contenuto del programma di fabbricazione e del
piano regolatore generale”, dell’art. 1 primo comma della legge della
Regione Toscana 24 febbraio 1975, n. 16, degli artt. 1 e 4 della legge
della Regione Veneto 23 dicembre 1974, n. 59, dell’art. 14 ultimo
comma della legge della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51,
rispettivamente sollevate – in riferimento agli artt. 3, 42 e 117 della
Costituzione – dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, dal Pretore
di Bassano del Grappa e dal Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, con le ordinanze indicate in epigrafe;
b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 34 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, 8, 12 e 17 della
legge 6 agosto 1967, n. 765, 1 della legge 30 novembre 1973, n. 756, 1
secondo comma della legge della Regione Toscana 24 febbraio 1975, n.
16, sollevate dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, in
riferimento agli artt. 3, 42 e 117 della Costituzione, con le ordinanze
indicate in epigrafe;
c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 48 della
legge della Regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1978.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere