Sentenza N. 235 del 1974
Corte Costituzionale
Data generale
17/07/1974
Data deposito/pubblicazione
17/07/1974
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/07/1974
Avv. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE
MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE Prof.
PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof.
EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI, Giudici,
codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo
1972 dalla Corte suprema di cassazione – sezione VI penale – nel
procedimento penale a carico di Martone Gennaro, iscritta al n. 285 del
registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972.
Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1974 il Giudice
relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
1. – La Corte di cassazione, sezione VI penale, nel corso del
procedimento a carico di Gennaro Martone, con ordinanza emessa il 3
marzo 1972, sollevava di ufficio la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 185 del codice di procedura penale “in quanto
viola il diritto di difesa della parte civile, del querelante e
dell’offeso, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione”.
Ricordava che, a seguito della sentenza n. 132 del 1968, con la
quale questa Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 422 del codice di procedura penale nella parte in cui
prevedeva la sanatoria della nullità di cui all’art. 412, in relazione
all’art. 408 dello stesso codice, nei confronti della parte civile,
dell’offeso dal reato e del querelante, erano insorti in dottrina e
giurisprudenza contrasti rivolti a riconoscere oppure ad escludere la
nullità assoluta rilevabile ex officio in ogni grado e stato del
giudizio, per il caso di omessa citazione delle dette persone; e che
essa Corte di cassazione, con giurisprudenza costante, aveva ritenuto
che con quella sentenza la Corte costituzionale aveva rimosso la
preclusione della deduzione delle dette nullità dopo compiute le
formalità di apertura del dibattimento; che ciò non vulnerava il
principio secondo cui non è deducibile dall’imputato la nullità di
atti riguardanti disposizioni alla cui osservanza non ha interesse; e
che, non avendo interesse alla citazione della parte offesa, l’imputato
non era legittimato a dedurre la nullità derivante dall’omessa
citazione dell’offeso dal reato (alla cui tutela era tenuto a
provvedere, secondo l’ordinamento processuale, il pubblico ministero).
Il ricordato orientamento giurisprudenziale – aggiungeva
l’ordinanza – metterebbe in evidenza motivi di grave perplessità sulla
legittimità costituzionale del citato articolo 185 perché, nulla
essendo dato di rilevare dalla sentenza n. 132 del 1968 di questa Corte
“sul carattere della nullità in questione, per stabilire cioè se,
oltre ad essere eccepibile dalla parte interessata in ogni stato e
grado del procedimento, sia pure da ritenere nullità insanabile e
quindi rilevabile d’ufficio”, il detto articolo non dà al diritto di
difesa della parte civile, del querelante e dell’offeso dal reato
(inteso come potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale
nello svolgimento di qualsiasi procedimento, nell’interesse di tutte le
parti in giudizio) una tutela analoga a quella riconosciuta al diritto
di difesa dell’imputato (col dichiarare che sono insanabili e devono
essere rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento le
nullità derivanti dalla mancata osservanza delle disposizioni
concernenti l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato stesso).
E quindi la norma denunciata, per quello che non dice, sarebbe in
contrasto con il principio secondo cui la difesa è diritto inviolabile
in ogni stato e grado del procedimento, e con altro principio, che al
primo si ricollega, della par condicio, circa le garanzie per la tutela
dei rispettivi diritti di difesa, tra il pubblico ministero e
l’imputato e tra l’imputato e le altre parti private.
2.Ritualmente camunicata, notificata e pubblicata l’ordinanza,
davanti a questa Corte costituiva nessuna delle parti e non spiegava
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
La causa veniva pertanto assegnata per la decisione in camera di
consiglio.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione
solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 185 del
codice di procedura penale nella parte in cui, in violazione dell’art.
24 della Costituzione, la norma lascia sprovvisto di tutela analoga a
quella accordata al diritto di difesa dell’imputato, il corrispondente
diritto della parte civile, del querelante e dell’offeso dal reato.
2. – Nonostante che nell’ordinanza manchi qualsiasi espressa
considerazione circa la rilevanza della questione, e all’esame della
Cassazione fosse il capo di decisione con cui il tribunale di Napoli
aveva rigettato l’eccezione di nullità del decreto di citazione a
giudizio per la mancata citazione della persona offesa dal reato, deve
riconoscersi il carattere pregiudiziale della decisione della questione
de qua e, data la comunanza delle ragioni che stanno a base delle
nullità derivanti dalla mancata citazione anche della parte civile e
del querelante, la corretta proposizione della questione sollevata nei
termini sopra ricordati.
Va poi rilevato, ai fini dell’identificazione della questione, che,
pur esistendo nell’ordinanza un riferimento specifico alle nullità
derivanti dalla mancata osservanza delle disposizioni concernenti
l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, siccome a punto di
raffronto, l’oggetto della denuncia risiede in ciò che alla tutela del
diritto di difesa, latamente inteso (come diritto di azione e di difesa
tecnica e professionale), non sarebbero ammessi in modo analogo
l’imputato e la persona offesa dal reato per ciò che solo per il primo
e non anche per la seconda le nullità degli atti, per la mancata
osservanza delle disposizioni previste a garanzia del diritto di
difesa, sarebbero insanabili e quindi rilevabili d’ufficio in ogni
stato e grado del procedimento; ed in particolare, si avrebbe il vizio
di legittimità costituzionale perché la pura e-semplice rimozione
della preclusione, attuata con la sentenza n. 132 del 1968 di questa
Corte, non assicurerebbe in maniera effettiva la difesa in giudizio per
la persona offesa dal reato (nonché per la parte civile ed il
querelante).
3. – A seguito della richiamata sentenza n. 132 del 1968, con cui
è stato eliminato l’ostacolo (risultante dall’art. 422 del codice di
procedura penale) alla difesa in giudizio della persona offesa dal
reato, questa, la cui sfera giuridica per altro risulta accresciuta con
le innovazioni introdotte nel sistema a mezzo delle leggi 5 dicembre
1969, n. 932, e 15 dicembre 1972, n. 773, ha la possibilità giuridica,
qualora ad essa non sia stato notificato il decreto di citazione a
giudizio, ed anche “non immediatamente dopo compiute le formalità
d’apertura del dibattimento”, di comparire davanti al giudice per
dedurre la nullità del decreto e di costituirsi parte civile per far
valere nel processo penale il suo diritto al risarcimento del danno e
alle restituzioni nei confronti dell’imputato o delle persone che, a
norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto di lui.
L’esigenza del riconoscimento pieno ed effettivo del diritto in
parola, affinché ne sia assicurata l’inviolabilità, giusta quanto
sancito dall’art. 24 della Costituzione, risulta in tal modo
adeguatamente soddisfatta: alla persona offesa dal reato sono
riconosciuti diritti nel processo penale, di questi è assicurato un
normale esercizio e sono permesse l’assistenza e la rappresentanza in
casi e forme del tutto compatibili con le posizioni soggettive ed il
loro svolgimento.
Non appare per ciò necessario che, in funzione del rispetto della
disposizione costituzionale di raffronto, la nullità del decreto di
citazione derivante dalla mancata notifica di questo alla persona
offesa dal reato, sia insanabile e che debba essere rilevata d’ufficio
in ogni stato e grado del procedimento. Considerata la situazione
giuridica sostanziale e processuale dell’offeso dal reato sotto
l’angolo visuale dell’interesse di questo ad essere presente nel
processo penale anche (e soprattutto) per l’esercizio dell’azione
civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni, la doverosa
rilevabilità d’ufficio della nullità di cui si tratta, in sostanza,
nulla aggiungerebbe alla tutela desumibile dalla deducibilità della
stessa su richiesta del pubblico ministero e della-parte interessata.
All’offeso dal reato – è ancora da rilevare – è dato, per
l’efficacia riflessa del giudicato penale, d’avvalersi, a proprio
vantaggio, della relativa decisione nei casi ed entro i limiti previsti
dagli artt. 25 e seguenti del codice di procedura penale.
Ed infine, va tenuto presente il disposto degli artt. 27 e 28 di
detto codice, quale risulta rispettivamente a seguito delle sentenze n.
99 del 1973 e n. 55 del 1971. La persona offesa dal reato, a cui non
sia stato notificato il decreto di citazione a giudizio e sempre che la
conseguente nullità di codesto atto non sia dichiarata, rientra
certamente tra coloro che rimangono estranei al processo penale,
perché non posta in condizione di parteciparvi o di intervenirvi; e
pertanto nei di lei confronti nel giudizio civile o amministrativo la
pronuncia del giudice penale non ha autorità di cosa giudicata, quanto
alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità
del condannato o di colui al quale sia stato conceduto il perdono
giudiziale (art. 27 e sentenza n. 99 del 1973), e non è vincolante nel
giudizio civile o amministrativo l’accertamento dei fatti materiali che
furono oggetto del giudizio penale (art. 28 e sentenza n. 55 del 1971).
4. – Il diritto di difesa della persona offesa dal reato, per ciò,
non risulta negato, limitato o compresso.
Anzi il relativo principio è, come si è detto, adeguatamente
osservato, di modo che in relazione ad esso non acquista rilievo
l’asserito mancato rlspetto della par condicio nei confronti del
Pubblico ministero e dell’imputato e di questo e delle altre parti
private, dovendosi ritenere che almeno per quanto concerne la persona
offesa dal reato (nonché la parte civile ed il querelante) non è
essenziale che il diritto di difesa, che in sé è assicurato, lo sia
alla stessa stregua di come lo è per le parti necessarie del processo
penale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 185-del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento
all’art. 24.della Costituzione, dalla Corte di cassazione con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1974.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI
– GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA
– GUIDO ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere