Sentenza N. 236 del 1975
Corte Costituzionale
Data generale
30/10/1975
Data deposito/pubblicazione
30/10/1975
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/10/1975
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO
AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONIO DE STEFANO, Giudici,
codice penale, promosso con ordinanza emessa il 1 marzo 1973 dal
pretore di Prato nel procedimento penale a carico di Mammolini Ezio,
iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 del 25 luglio 1973.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 1975 il Giudice relatore
Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso di un procedimento penale a carico di Ezio Mammolini, per
la contravvenzione di cui all’art. 707 del codice penale, il pretore di
Prato, con ordinanza 1 marzo 1973, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale di tale articolo, in riferimento agli artt.
25, secondo comma, 3, primo comma, 27, secondo comma, e ancora 3 in
relazione al 24, secondo comma, della Costituzione.
Sulle prime tre dedotte violazioni – che l’ordinanza asserisce già
esaminate da questa Corte, pur se sotto profili non del tutto
coincidenti, con le sentenze n. 110 del 1968 e n. 14 del 1971 – il
pretore rispettivamente osserva:
a) nella norma incriminatrice, in contrasto col principio di
stretta legalità, non sarebbe precisata la condotta quale elemento
della fattispecie, mentre l’azione inerente al reato verso cui si
sospetta finalizzato il possesso ingiustificato non sarebbe un “fatto
commesso”, ma soltanto da commettersi;
b) elemento essenziale nel fac-simile di reato, secondo la
disposizione censurata, sarebbe la “condizione personale e sociale” di
pregiudicato, in contrasto con il principio di eguaglianza. Né, in
contrario, avrebbe pregio il dire che il codice penale tiene conto
delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (art.
133, secondo comma), perché tali qualità personali sono assunte ai
fini della misura della pena di cui all’art. 132 cod. pen., dopo che
sia stata riconosciuta la responsabilità penale dell’imputato, ma non
potrebbero, come nella specie, costituire il presupposto di un reato
ancora da giudicare;
c) in violazione del principio della presunzione di non
colpevolezza, starebbe l’inversione dell’onere della prova, posto a
carico dell’imputato, il quale verrebbe punito “se non giustifichi
l’attuale destinazione” degli oggetti di cui è colto in possesso.
La quarta ed ultima censura è la seguente: il far dipendere la
liceità o l’illiceità del fatto dalle giustificazioni date o non date
dall’imputato circa la destinazione degli arnesi di cui è colto in
possesso vulnererebbe i diritti della difesa tra i quali è previsto
quello di non rispondere (art. 1 legge 5 dicembre 1969, n. 932) e
darebbe, altresì, luogo ad una disparità di trattamento rispetto agli
imputati di altri reati, anche sul piano processuale.
Dinanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
che ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo l’Avvocatura, le prime tre censure non offrirebbero nessun
elemento che scalfisca i principi già fissati da questa Corte nelle
succitate sentenze. Sul restante profilo deduce che il rifiuto di
rispondere all’interrogatorio – fondamentale e irrinunciabile forma di
difesa – non sarebbe da confondere col non fornire giustificazioni –
che, d’altronde, ben potrebbero scaturire aliunde da indagini ad hoc –
circa la destinazione attuale degli oggetti di cui l’imputato è colto
in possesso.
1. – Con l’ordinanza in epigrafe viene impugnato l’articolo 707 del
codice penale nel suo testo vigente (a seguito della dichiarazione di
parziale illegittimità pronunciata con sentenza n. 14 del 1971), in
riferimento agli artt. 25, secondo comma, 3, primo comma, e 27, secondo
comma, oltreché al ridetto art. 3 in relazione all’art. 24, secondo
comma, della Costituzione.
2. – Quanto all’art. 25, secondo comma, Cost., è agevole obiettare
che, nella specie, la materialità del reato consiste nel possesso non
giustificato di chiavi alterate o contraffatte ovvero di chiavi genuine
o di strumenti atti ad aprire o a sforzare una serratura. È questo il
comportamento illecito e, come tale, punibile, analogamente ad altri
comportamenti previsti e puniti dal codice e da leggi speciali.
Il reato che potrebbe commettersi con gli oggetti e gli strumenti
indicati nell’art. 707 cod. pen. è del tutto estraneo alla
materialità del fatto contestato, il quale viene assunto come ipotesi
di reato solo perché il prevenuto non è in grado di giustificare
l’attuale destinazione di detti oggetti o strumenti.
Contrariamente all’interpretazione che ne dà il giudice a quo,
l’argomento addotto nella citata sentenza n. 14 del 1971 di questa
Corte è che la condotta presupposta dal reato di cui all’art. 707
consiste nell’antecedente logico e imprescindibile del possesso degli
oggetti o strumenti di cui trattasi. Viene comunemente ritenuto in
dottrina che il possesso concreta già una condotta o, comunque, fa
seguito ad una condotta, tanto è vero che se il possesso non è
volontario (come nel caso che gli arnesi siano stati collocati da altri
presso il soggetto ignaro), il reato non sussiste.
Sempre a proposito dell’art. 25, secondo comma, Cost., è da
ricordare che questa Corte, con sua sentenza n. 44 del 1964, ha
precisato che, “nell’indicare i fatti tipici costituenti reato, la
legge a volte fa una descrizione minuta di essi, ma spesso si limita a
dare un’ampia nozione del fatto, senza scendere a particolari di
esecuzione”. Orbene, la norma denunziata è, appunto, di quelle che
contengono una descrizione sufficientemente delimitata della
fattispecie.
Così, a fronte di identica censura mossa al parallelo articolo 708
cod. pen., sotto il profilo della violazione della riserva di legge,
questa Corte, con sentenza n. 110 del 1968, ha ritenuto che la norma
“offre una indicazione precisa del fatto punibile e pone il soggetto
nella condizione di conoscere il divieto che forma oggetto della
disposizione incriminatrice, tenuto conto, altresì, della possibilità
che gli è offerta di dare una soddisfacente spiegazione del possesso
(…)”.
E, con la medesima sentenza, la Corte ha precisato che la
giustificazione – la quale deve essere valutata dal giudice secondo i
comuni principi del libero convincimento – è concetto giuridicamente
distinto dalla prova.
Si ponga mente che la discrezionalità del magistrato non si limita
all’applicazione in concreto della pena (artt. 132 e 133 cod. pen.),
ma si estende, previamente, al giudizio sull’esistenza stessa del
reato. Ed essendo a lui attribuito il più largo potere in ordine alle
cause generali di giustificazione (i cosiddetti elementi negativi del
reato), quali sono la legittima difesa, lo stato di necessità, l’uso
legittimo di armi, ecc., non può negarsi che rientri nel sistema la
sussunzione ad elemento oppure a condizione del reato della mancata
giustificazione del possesso di determinati oggetti.
3. – L’art. 3 Cost. vieta una disparità di trattamento tra
situazioni personali omogenee e non tra soggetti diversi, quali sono i
già condannati per “delitti determinati da motivi di lucro o per
contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il
patrimonio”, rispetto ai non condannati per quei delitti o per quelle
contravvenzioni.
Anche per chi è colto in stato di manifesta ubriachezza in luogo
pubblico o aperto al pubblico (senza distinzione tra ubriachezza piena
e semipiena e tra ubriachezza volontaria e colposa), è prevista una
pena diversa e maggiore se il colpevole aveva già riportato condanne
per delitti non colposi contro la vita o l’incolumità individuale
(art. 688, cpv., cod. pen.); e questa Corte ha dichiarato
manifestamente infondata la relativa questione con sua ordinanza n. 155
del 1971 (cfr. anche l’art. 692, cpv., cod. pen.).
Né l’art. 3 può essere addotto a paradigma di incostituzionalità
sotto il profilo della ragionevolezza, dappoiché, all’opposto, è
logico ed è razionale che la legge penale tenga conto della
eventualità che stia per commettere un reato chi, colto in possesso di
grimaldelli, chiavi ecc., sia stato già condannato per i reati
specificati nell’art. 707.
4. – Non è consistente la censura di incostituzionalità per
pretesa violazione dell’art. 3 Cost. in relazione all’art. 24, secondo
comma: tra i diritti della difesa vi è, bensì, la facoltà di non
rispondere all’interrogatorio in qualsiasi fase del procedimento
(preistruttoria, istruttoria, giudizio: art. 367, secondo comma, cod.
proc. pen.; art. 1 legge 5 dicembre 1969, n. 932); ma se è pur vero
che la giustificazione circa le cose indicate nell’art. 707 cod. pen.
implica che una risposta sia data, è altrettanto vero che anche la
giustificazione è, essa stessa, un mezzo di difesa offerto dalla
legge, al quale l’interessato può liberamente rinunciare qualora
ritenga che, ai fini difensivi, sia preferibile il silenzio.
È lasciato, ovviamente, al giudice di valutare aliunde il fatto,
sulla scorta di prove (documentali, testimoniali ecc.), che potrebbero
essere fornite e addotte sia da chi si è rifiutato di fornire la
giustificazione verbale, sia dalla sua difesa tecnica (che resta piena,
incondizionata ed autonoma) o che potrebbero essere introdotte od
ammesse ex officio.
Ciò dimostra che nella norma non esiste un’inversione dell’onere
della prova e, quindi, non appare fondato il presupposto in base al
quale il giudice ha fatto riferimento all’art. 27, secondo comma, della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 707 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt.
25, secondo comma, 3, primo comma, anche in relazione all’art. 24,
secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal pretore di
Prato con l’ordinanza 1 marzo 1973.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA –
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – ANTONIO DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere