Sentenza N. 243 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1982
Data deposito/pubblicazione
29/12/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/12/1982
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI –
Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO –
Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del
contenzioso tributario), in rif. agli artt. 650, 426 e 435 cod. proc.
civ. e degli artt. 10, secondo comma, n. 14, e 15 della legge 9 ottobre
1971, n. 825, promossi con ordinanze emesse in data 21 febbraio 1980
dalla Commissione tributaria centrale, 27 marzo 1980 dalla Commissione
tributaria di primo grado di Lodi, 18 marzo 1980 dalla Commissione
tributaria di secondo grado di Siracusa, 30 giugno 1980 dalla
Commissione tributaria di primo grado di Torino (n. 18 ordinanze) e 16
maggio 1978 dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma,
iscritte rispettivamente ai nn. 493 del registro ordinanze 1980, 123,
311, da 365 a 381 e 801 del registro ordinanze 1981 e 166 del registro
ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 263 dell’anno 1980, 165, 262 e 276 dell’anno 1981 e 68 e 248
dell’anno 1982.
Visti gli atti di costituzione della S.p.a. Immobiliare Marte e
della S.a.s. SAIPA e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1 dicembre 1982 il Giudice relatore
Oronzo Reale;
udito l’avvocato dello Stato Carlo Salimei, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Con diciotto ordinanze identiche quanto alla motivazione e
prive di ogni cenno alla rilevanza (nn. da 365 a 381 del reg. ord.
1981), la Commissione tributaria di primo grado di Torino solleva
questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24
e 76 della Costituzione, degli artt. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.
636 e 10, secondo comma, n. 14, e 15 della legge 9 ottobre 1971, n.
825.
Il giudice a quo non condivide infatti le ragioni poste a base
della sentenza n. 63 del 1977 della Corte, che dichiarava la
infondatezza delle questioni, e le sottopone a critica negando
innanzitutto validità al rilievo, fatto dalla Corte, sulla necessità
di eliminare un arretrato di vecchia data e di grande mole, imputabile
anche e soprattutto ai contribuenti per l’abituale ed abusiva prassi
dei ricorsi proposti solo a scopo interruttivo o dilatorio.
Quanto alle giustificazioni della norma impugnata, desunte dalla
particolarità del processo tributario, generalmente inteso come
“processo di impugnazione degli accertamenti fiscali da parte dei
ricorrenti”, il collegio a quo ne nega la validità osservando che
sempre nel processo occorre assicurare una effettiva uguaglianza dei
poteri ed obblighi delle parti; in caso contrario sarebbe violato il
principio del contraddittorio, con lesione dei principi
costituzionalmente garantiti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione. E
tale diseguaglianza apparirebbe ancor più accentuata
“nell’applicazione della norma ai giudizi di fronte alle Commissioni di
secondo e terzo (sic) grado” in quanto eguale sarebbe l’interesse
dell’ufficio o del contribuente, a seconda dell’esito del giudizio di
primo grado, alla prosecuzione del processo.
Infine, la Commissione tributaria, preso atto della parte della
sentenza n. 63 del 1977 in cui è stato escluso il contrasto fra l’art.
44 citato e l’art. 76 Cost., dubita della costituzionalità, riferita
allo stesso art. 76 Cost., degli artt. 10 e 15 della legge delega n.
825 del 1971, perché essi non prevedono alcunché a proposito
dell’onere ravvisabile nell’art. 44.
Si sono costituite l’Immobiliare Marte S.p.a. (n. 366 del reg. ord.
1981) e la SAIPA S.a.s. (n. 376 del reg. ord. 1981) aderendo alle
ragioni contenute nell’ordinanza e chiedendo pertanto che la Corte
dichiari fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata
dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino.
2. – Con ordinanza datata 21 febbraio 1980 (n. 493 del reg. ord.
1980) la Commissione tributaria centrale ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dello stesso comma dell’art. 44 citato,
previo compiuto esame della rilevanza della questione stessa, nella
parte in cui impone l’onere di presentare l’istanza di trattazione
anche nel caso in cui l’originario ricorrente sia defunto e il suo
avente causa non sia a conoscenza della presentazione del ricorso.
La Commissione esclude che nella specie possa trovare applicazione
l’art. 31 dello stesso d.P.R. 636 del 1972, atteso che la proroga di
sei mesi ivi prevista per tutti i termini del procedimento a favore
degli eredi del contribuente opera in riferimento ai soli termini
pendenti alla data di morte del contribuente, mentre nel caso di specie
a tale data il termine non aveva ancora avuto decorrenza, ed anzi
sarebbe stato imposto direttamente nei riguardi degli aventi causa.
Tale disposizione sarebbe pertanto in contrasto con l’art. 24 Cost. per
violazione del diritto di difesa dell’erede ed anche con l’art. 3 Cost.
per irrazionale imposizione di un medesimo onere in presenza di
situazioni oggettivamente diverse.
Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
proposta questione venga dichiarata infondata.
Ad avviso dell’Avvocatura, infatti, con la più volte ricordata
sentenza n. 63 del 1977 la Corte, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art. 31 del d.P.R. n. 636 del 1972 nella parte in
cui non estendeva al curatore del contribuente fallito la facoltà di
usufruire della proroga dei termini ivi prevista per l’erede, avrebbe
implicitamente riconosciuto la costituzionalità dell’art. 31
relativamente alla posizione degli eredi del contribuente.
Ma il caso prospettato dalla Commissione tributaria centrale,
secondo la quale la norma di cui all’art. 31 non sarebbe applicabile ai
termini che non erano ancora iniziati a decorrere dalla data della
morte del contribuente e pertanto incostituzionale sarebbe l’art. 44
che riserva l’onere dell’istanza di trattazione anche agli eredi
inconsapevoli, negli stessi termini previsti per il contribuente
tuttora in vita, sarebbe frutto di un equivoco.
Nel caso di specie, infatti, essendosi la successione aperta nel
1967, si ha “il pieno e normale subentro dell’erede nel rapporto
processuale allora già pendente”; sarebbe dunque un ingiustificato
privilegio quello di accordare all’erede la trattazione del ricorso del
dante causa prescindendo dalla istanza, in quanto tale concessione si
porrebbe in contrasto ingiustificato con la generale disciplina della
successione ereditaria che, “attraverso l’istituto dell’accettazione”,
garantirebbe pienamente l’erede circa l’effettiva e reale consistenza
dell’eredità cui è chiamato.
3. – Con ordinanza datata 27 marzo 1980 (n. 123 del reg. ord. 1981)
la Commissione tributaria di primo grado di Lodi sollevava questione
incidentale di legittimità costituzionale del terzo comma dell’art. 44
del d.P.R. n. 636 del 1972, assumendo che la norma stessa si porrebbe
in contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui, a differenza di
quanto previsto nell’art. 650 c.p.c., non prevede una riammissione in
termini per causa di forza maggiore o di caso fortuito.
La stessa Commissione dubita altresì che la norma de qua sia in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non distingue
(ai fini dell’onere di presentazione dell’istanza) tra i ricorsi privi
di motivi e quelli che tali motivi già contenevano esplicitamente.
Nel secondo caso, il ricorso sarebbe già stato perfetto e
l’imposizione di un onere siffatto sarebbe di difficile osservanza se
non vessatorio. Con l’art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972 sarebbe
quindi imposto al ricorrente un onere superiore al limite della normale
diligenza in contrasto con il criterio della legge delega di informare
la nuova normativa alla tutela del contribuente. Nell’ordinanza manca
ogni dichiarazione della rilevanza della questione sollevata.
Non si aveva intervento del Presidente del Consiglio né
costituzione di parti private.
4 – Con ordinanza datata 18 marzo 1980 (n. 311 del reg. ord. 1981),
la Commissione tributaria di secondo grado di Siracusa ha sollevato
questione incidentale di legittimità costituzionale del terzo comma
dell’art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972 per preteso contrasto con
l’art. 76 Cost.
Sostanzialmente, si assume, nella legge delega mancava ogni accenno
ai procedimenti pendenti; l’aver previsto una sanzione rigida come la
estinzione del processo in mancanza dell’adempimento di un onere prima
insussistente costituirebbe, ad avviso del collegio a quo, pur nella
ritenuta autonomia dell’esecutivo nel dar corpo alle direttive del
legislatore delegante, una violazione dell’art. 76 Cost., proprio in
quanto nella legge delega non era contenuta alcuna previsione neppure
generica circa la “successione di competenze” tra le “antiche
Commissioni e le nuove che si andavano a costituire”.
La previsione della decadenza dal ricorso in danno del contribuente
che non abbia provveduto nei termini a presentare istanza di
trattazione si risolverebbe pertanto in un esercizio di fatto da parte
del Governo del potere legislativo, cosa questa che si definisce
arbitraria ed in sicuro conflitto con l’art. 76 Cost.
5. – Con ordinanza datata 16 maggio 1978, la Commissione tributaria
di primo grado di Roma (n. 166 del reg. ord. 1982), solleva pure
questione di costituzionalità del più volte citato art. 44 del d.P.R.
n. 636 del 1972, nella parte in cui detta norma impone l’onere di
presentare l’istanza di trattazione, con la conseguenza dell’estinzione
del processo in caso di mancato adempimento, sia nel caso in cui il
contribuente sia assistito da un difensore tecnico, sia nel caso di un
contribuente che si difenda personalmente. Tale parità di trattamento
di situazioni diverse si risolverebbe in una lesione dell’art. 3 Cost.
in quanto sarebbe assolutamente ingiustificata ed irrazionale. A
sostegno di tale tesi il collegio a quo svolge considerazioni attinenti
in parte alle caratteristiche proprie del processo tributario ed in
parte allo specifico problema sollevato, osservando che sarebbe
contrastante con la riconosciuta (ex lege) facoltà di difendersi
personalmente la rigorosa sanzione prevista dall’art. 44 per un
inadempimento meramente formale; se infatti il difensore tecnico ha per
un verso l’obbligo professionale di tenersi al corrente delle
innovazioni legislative concernenti la materia (che peraltro incombe
anche sul cittadino, che non può addurre la sua ignoranza della
legge), sarebbe, per dovere professionale, più facile per il difensore
ricordare la pendenza di un procedimento per il quale egli è stato
officiato e che deve seguire nel suo iter.
Non si aveva costituzione di parti né intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri.
1. – Le ventidue ordinanze indicate in epigrafe e riassunte in
narrativa sollevano questioni di legittimità costituzionale in parte
identiche, in parte sostanzialmente simili. I relativi giudizi,
pertanto, possono essere esaminati e decisi con unica sentenza.
2. – Nelle diciotto ordinanze della Commissione tributaria di primo
grado di Torino (nn. 365-381 e 801 del reg. ord. 1981) si chiede alla
Corte di dichiarare, in difformità da sue precedenti pronunzie, e
cioè dalla sentenza n. 63 del 1977 e successive ordinanze,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 44 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 636, nonché dell’art. 10, secondo comma, n. 14, e dell’art.
15 della legge delega 29 ottobre 1971, n. 825, in quanto il citato art.
44 dispone, senza che ciò sia stato previsto nelle citate norme della
legge delega, che il contribuente deve chiedere con istanza alla
Commissione competente ed entro sei mesi dal termine fissato dalla
legge (e, per effetto della legge 2 agosto 1974, n. 350, entro il 31
dicembre 1974), la trattazione del ricorso o della impugnazione da lui
proposta; e che in difetto di tale istanza il processo è dichiarato
estinto.
Le ordinanze, tutte identiche, della Commissione di Torino
espongono con larghezza i vari profili della ritenuta illegittimità
costituzionale della norma, ma non contengono né nel dispositivo, né
nella motivazione, indicazione alcuna della rilevanza della questione
sollevata, né riferimento alcuno alle situazioni concrete rispetto
alle quali la rilevanza andava verificata.
Pertanto, in conformità della costante giurisprudenza della Corte
le questioni vanno dichiarate inammissibili.
3. – Con l’ordinanza in data 27 marzo 1980 (n. 123 del reg. ord.
1981) la Commissione tributaria di primo grado di Lodi denuncia la
incostituzionalità “dell’art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 con
riferimento alla legge delega all’art. 650 c.p.c. e agli artt. 426 e
435 c.p.c. in relazione agli artt. 2-24-76 della Costituzione”, “nella
parte (è specificato in motivazione) in cui non prevede la
possibilità di una remissione in termini per causa di forza maggiore o
per caso fortuito”; e inoltre “nella parte in cui non prevede una
distinzione tra i ricorsi privi dell’indicazione dei motivi e quindi
presentati a fini dilatori… ed i ricorsi che tali motivi già
contenevano specificamente e che pertanto potevano comunque essere
fatti oggetto di esame da parte delle insediate Commissioni,
indipendentemente dalla presentazione della istanza ex art. 44″.
Senonché non solo il giudice a quo non dichiara la rilevanza della
questione, ma nella ordinanza non è dato rinvenire cenno alcuno
all’esistenza di un caso di forza maggiore o di un caso fortuito o ad
un ricorso specificamente motivato, costituente, l’uno o l’altro, il
presupposto della rilevanza della questione sollevata.
Pertanto, anche la questione sollevata dalla Commissione di Lodi
deve essere dichiarata inammissibile (art. 23 della legge n. 87 del
1953).
4. – La Commissione tributaria centrale con l’ordinanza 21 febbraio
1980 (n. 493 del reg. ord. 1980) ha prospettato, d’ufficio, la
questione di legittimità costituzionale del più volte citato art. 44
del d.P.R. n. 636 del 1972 sotto lo specifico profilo della
incostituzionalità dell'”obbligo di nuovi adempimenti (cioè della
presentazione della istanza di trattazione del ricorso)… imposto non
all’originario ricorrente, ma al suo avente causa, che della pendenza
del ricorso non è a conoscenza”. La Commissione centrale ritiene che
in tale ipotesi non sia appagante e risolutivo quanto la Corte aveva
dichiarato nella sentenza n. 63 del 1977, e cioè che l’art. 24 della
Costituzione “non preclude al legislatore, nell’occasione della riforma
di un ordinamento processuale, la facoltà di introdurre, con norme
eccezionali e transitorie, nuovi adempimenti in relazione ai giudizi
pendenti, ad essi condizionando l’ulteriore prosecuzione dei giudizi
stessi”. Senonché, è da rilevare innanzitutto, come fa l’Avvocatura
dello Stato, che nella citata sentenza la Corte, esaminando l’ipotesi
della istanza di trattazione del ricorso non tempestivamente presentato
dal curatore del fallimento, e dichiarando l’illegittimità
costituzionale dell’art. 31, primo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972,
nella parte in cui non estende la proroga dei termini ivi accordata nel
caso di morte del contribuente, anche al caso di perdita della
capacità, ha pareggiato le due situazioni (morte o perdita della
capacità) ritenendo ad esse applicabili (ai fini del rispetto del
diritto di difesa) la proroga dei termini del procedimento tributario,
pendente alla data della morte o della perdita della capacità, per sei
mesi a decorrere da tali eventi.
Con ciò la Corte ha implicitamente ritenuto che, tanto per la
morte quanto per la perdita della capacità, la tutela del diritto di
difesa fosse soddisfatta dalla detta proroga del termine.
Né a conclusione diversa potrebbe pervenirsi nel caso, sottoposto
alla Commissione tributaria centrale che ha sollevato la questione, in
cui la morte del contribuente ricorrente si sia verificata
anteriormente all’entrata in vigore della norma che ha introdotto
l’istanza di trattazione del ricorso.
Infatti, una volta che un termine processuale è stato fissato per
legge, non potrebbe immaginarsi che in caso di apertura della
successione tale termine rimanesse indefinitamente sospeso a beneficio
degli eredi. Sostenere ciò, a proposito della istanza di fissazione
della trattazione del ricorso, significherebbe (stante la
impossibilità di altri rimedi, perché l’apertura della successione
non è a conoscenza dell’ufficio impositore) sottrarre tutte le
procedure nelle quali si sia verificata la morte o la perdita della
capacità del ricorrente alla possibilità di una rapida definizione,
con ciò vanificando gli scopi dell’art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972,
riconosciuto costituzionalmente legittimo in ragione della
eccezionalità della situazione (entrata in vigore del nuovo processo
tributario) che ha reso ragionevole la prescrizione dell’istanza di
trattazione.
E ciò non per la necessaria tutela del diritto di difesa
dell’erede, ma – come osserva l’Avvocatura – accordando a lui un
privilegio, in quanto l’erede che ha accettato la successione è venuto
a trovarsi, quando il d.P.R. n. 636 del 1972 ha prescritto la
presentazione dell’istanza di trattazione, in una posizione processuale
identica a quella del suo dante causa originario ricorrente.
Ne consegue la non fondatezza della questione sollevata dalla
Commissione tributaria centrale.
5. – Con l’ordinanza 18 marzo 1980 (n. 311 del reg. ord. 1981) la
Commissione tributaria di secondo grado di Siracusa, ricordata la
“posizione radicalmente negativa” della Corte sulle eccezioni di
incostituzionalità dell’art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972, sollevate
nei vari giudizi decisi con la sentenza n. 63 del 1977, sottopone alla
Corte un nuovo “profilo di compatibilità costituzionale” attinente
“alla possibilità di ricondurre la norma dell’art. 44 alle previsioni
della legge delega onde verificare se, per avventura, non ci sia stato,
nei decreti delegati del 1972 emanati dal Governo, un eccesso rispetto
al quadro legale configurato nella legge delega e, pertanto, una
violazione dell’art. 76 della Carta costituzionale”.
E ciò in quanto “nessuna previsione specifica il legislatore
delegante ha formulato in ordine al rito da osservarsi innanzi alle
Commissioni ed alle norme di procedura che avrebbero dovuto essere
applicate”, mentre “la previsione di una così severa e rigida ipotesi
di decadenza a carico del contribuente e la sanzione comminata dalla
estinzione del rapporto tributario abbisognavano… di un accenno,
anche generico, in ordine alla sorte dei procedimenti pendenti che
nella fattispecie manca”.
6. – La questione non è fondata.
Sotto un diverso profilo (cioè quello del contrasto fra l’art. 44
del d.P.R. n. 636 del 1972 e l’art. 10, primo comma, n. 14, della legge
n. 825 del 1971) essa era stata sollevata nei giudizi decisi con la
sentenza n. 63 del 1977 che la dichiarò infondata, osservando che le
disposizioni dei primi tre commi dell’art. 44 del decreto n. 636 “non
precludono sicuramente ai contribuenti la possibilità di ottenere la
tutela giurisdizionale dei loro diritti, né introducono una
complicazione processuale…, né infine possono considerarsi tali da
confliggere con il principio della imparziale applicazione della legge
nel contenzioso tributario”.
Osservazioni, queste, che già escludono quella singolarità e
gravità del pregiudizio alla tutela giurisdizionale che sarebbe stato
prodotto dalle disposizioni dell’art. 44 del d.P.R. n. 636, e che
costituiscono il punto di partenza della censura contenuta nella
ordinanza in esame.
Ma la soluzione della questione, nei termini in tale ordinanza
proposti, non può neanche prescindere, innanzi tutto, dall’art. 15
della legge delega n. 825 del 1971, il quale affida al Governo,
nell’esercizio della delega, l’emanazione delle disposizioni
transitorie e di attuazione, né dal fatto che le norme censurate sono
state emanate nella situazione creata dalla riforma del contenzioso
tributario.
E nemmeno può prescindersi, attribuendo una qualche genericità ai
principi e criteri della legge delega, dal fatto che la maggiore
ampiezza delle scelte strumentali affidate al legislatore delegato era,
da una parte, necessitata dall’ampiezza e complessità della riforma
tributaria; era, dall’altra, temperata dalla previsione (art. 17 della
legge delegante) del previsto parere di una commissione composta da
quindici senatori e da quindici deputati richiesto sui decreti delegati
da emanare.
Queste considerazioni consentono di concludere per la non
fondatezza della questione in esame.
7. – Con l’ordinanza 16 maggio 1978 (n. 166 del reg. ord. 1981),
la Commissione tributaria di primo grado di Roma ha sollevato – previo
compiuto esame della rilevanza – questione di legittimità
costituzionale dei commi primo e terzo dell’art. 44 del d.P.R. n. 636
del 1972 “per contrasto con l’art. 3 della Costituzione nella parte in
cui commina… la stessa sanzione per l’omessa presentazione
dell’istanza di trattazione del ricorso sia per il contribuente
assistito da difensore tecnico, sia per il contribuente che si difende
personalmente”.
Il giudice a quo si diffonde ampiamente nella critica alla sentenza
n. 63 del 1977 della Corte e ritiene di poter presentare come profilo
nuovo della questione la violazione del principio di eguaglianza che
deriverebbe dall’aver previsto la medesima sanzione di estinzione del
processo tributario per mancata presentazione della istanza di
trattazione, sia a carico del contribuente assistito da difensore
tecnico, sia a carico del contribuente che si difende personalmente.
8. – La questione non è fondata.
Già al punto 4 della più volte citata sentenza n. 63 del 1977 la
Corte l’ha implicitamente affrontata negando ogni rilevanza alla
diversità delle condizioni economiche dei contribuenti ai fini della
conoscenza della disposizione che istituiva l’obbligo della istanza di
trattazione del ricorso. Le condizioni economiche, infatti, si
riflettono sulla maggiore o minore possibilità per il contribuente di
farsi assistere da un difensore tecnico.
Ora la Commissione tributaria di Roma sposta la questione sulla
diversa possibilità di ricordare la pendenza di un procedimento
instaurato molti anni prima, da parte del contribuente e del suo
difensore.
Senonché è di tutta evidenza che, una volta che il contribuente
è ammesso a difendersi nella controversia tributaria sia
personalmente, sia con l’assistenza di un difensore tecnico, termini e
decadenze processuali non possono variare, nel processo tributario come
in ogni altro processo, secondo che la facoltà di farsi assistere dal
difensore tecnico sia stata dalla parte esercitata o no.
Quando poi si volesse attribuire rilievo alla diversa possibilità
economica dei contribuenti di farsi assistere dal difensore tecnico, si
porrebbe una questione relativa alla conseguenza di una supposta
diversa capacità di difesa correlata a una diversa potenzialità
economica: questione sulla quale la Corte ha già avuto modo (cfr.
sentenza n. 89 del 1982) di esprimere il suo avviso negandone la
fondatezza in analoga fattispecie.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e degli
artt. 10, secondo comma n. 14, e 15 della legge 9 ottobre 1971, n. 825
in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, sollevata
dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino con le diciotto
ordinanze emesse il 30 giugno 1980 (nn. 365-381 e 801 del reg. ord.
1981) di cui in epigrafe;
2) dichiara la inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale “dell’art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 in
riferimento alla legge delega, all’art. 650 c.p.c. e agli artt. 426 e
435 c.p.c. in relazione agli artt. 2-24-76 della Costituzione”,
sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Lodi con
l’ordinanza 27 marzo 1980 (n. 123 del reg. ord. 1981) di cui in
epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
“dell’art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede nei
riguardi dell’erede o dell’avente causa dell’originario ricorrente
l’esonero dall’obbligo di presentazione dell’istanza di trattazione del
ricorso”, sollevata dalla Commissione tributaria centrale con
l’ordinanza 21 febbraio 1980 (n. 423 del reg. ord. 1980) di cui in
epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 in riferimento all’art.
76 della Costituzione, sollevata dalla Commissione tributaria di
secondo grado di Siracusa con l’ordinanza 18 marzo 1980 (n. 311 del
reg. ord. 1981) di cui in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 in riferimento all’art.
3 della Costituzione, sollevata dalla Commissione tributaria di primo
grado di Roma con l’ordinanza 16 maggio 1978 (n. 166 del reg. ord.
1981) di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere