Sentenza N. 244 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1982
Data deposito/pubblicazione
29/12/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/12/1982
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI –
Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO –
Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi), conv. in legge 3 aprile
1979, n. 95 promosso con ordinanza emessa l’8 marzo 1982 dal Tribunale
di Torino sul ricorso proposto da Drago Bianca ed altri contro il
fallimento della s.a.s. SICMU, iscritta al n. 339 del registro
ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 269 del 29 settembre 1982.
Visti l’atto di costituzione di Drago Bianca e del fallimento Sicmu
e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1 dicembre 1982 il Giudice
relatore Virgilio Andrioli;
uditi l’avv. Antonio Sansone per Drago Bianca, l’avv. Alberto
Jorio per il fallimento SICMU e l’avvocato dello Stato Dante Corti per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con sentenza, pronunciata a seguito delle istanze presentate
da diciannove creditori (Micromeccanica Irpinia s.n.c., Pinato Bruno,
F.I.S. s.p.a., R.D.N. Lodiflex s.r.l., Chiara Giuseppe, Cernotto
s.n.c., Rasfer s.r.l., Empis s.r.l.. FIM Legno s.n.c., Leoni Luigi,
C.L.N. Coils Lamiere e Nastri s.p.a., Maxnovo Italia s.p.a., TAV
s.r.l., La Bello e Feira Costruzioni Edili s.n.c., Torre dei Corsari
s.r.l., Banco di S. Spirito, Friulgraf s.n.c., ICO s.p.a. di Pujardi
Prata, Eurovini s.r.l.) nonché a seguito di rapporto 2 novembre 1981
del Pretore di Torino, e depositata il 10 dicembre 1981 (sentenza di
cui non è agli atti copia), il Tribunale di Torino dichiarò i
fallimenti della SICMU s.a.s. di Gianfranco Maiocco e C. e di
Gianfranco Maiocco socio illimitatamente responsabile della s.a.s.
2.1. – Con ricorso 10 novembre 1981, cui la Drago si riferiva nel
successivo ricorso depositato il 6 febbraio 1982, era stato chiesto, ai
fini dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese, che il Tribunale di Torino dichiarasse
l’insolvenza della Centrofin s.p.a. e della SICMU deducendo, con
specifico riferimento a quest’ultima, che la SICMU possedeva in proprio
tutti i requisiti richiesti dall’art. 1 l. 3 aprile 1979, n. 95 e che
tra le due società sussistevano i criteri di collegamento previsti
dall’art. 3 a), b), c) della menzionata legge a motivo del rapporto di
controllo corrente tra le due società e per la sussistenza di un
rapporto di direzione unitaria.
2.2. – Il decreto 10 dicembre 1981, con cui il Tribunale ebbe a
respingere il ricorso 10 novembre 1981, per quanto concerneva le
domande di ammissione alla procedura di a.s. delle due società e a
dichiararlo inammissibile per quanto concerne l’ammissione della SICMU
ai sensi dell’art. 3 l. 95/1979 sul riflesso che tale ammissione
potesse avvenire solo a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale del decreto ministeriale che disponeva l’a.s. di società
collegate a sensi dell’art. 1 l. 95/1979, su reclamo della s.p.a.
Centrofin, veniva parzialmente riformato dalla locale Corte d’appello
con decreto 10 gennaio 1982 con cui restituì gli atti al Tribunale per
la dichiarazione d’insolvenza della s.p.a. Centrofin.
3. – Il Tribunale di Torino, con sentenza pronunciata il 13 gennaio
1982 a seguito di rimessione degli atti disposta dalla Corte d’appello
di Torino con il decreto 12 gennaio 1982 (supra 2.2.), dichiarò lo
stato di insolvenza ai fini dell’ammissione alla procedura di
amministrazione straordinaria della s.p.a. Centrofin; sentenza cui
seguì il decreto 4 febbraio 1982 (G. U. n. 37 dell’8 febbraio 1982),
con il quale il Ministro dell’Industria, del Commercio e
dell’Artigianato, di concerto con il Ministro del Tesoro, visti il d.l.
26/1979 conv. in l. 95/1979 e la l. 13 agosto 1980 n. 445 concernente
l’interpretazione autentica del d.l. e ritenuta la sussistenza dei
requisiti e dei motivi di pubblico interesse, pose in amministrazione
straordinaria la s.p.a. Centrofin e dispose la continuazione
dell’esercizio dell’impresa per due anni nominando commissario il dott.
Roberto Elefante.
4. – Con atti, notificati il 24 dicembre 1981 al curatore dei
fallimenti SICMU s.a.s. e Maiocco Gianfranco in proprio e ai 19
creditori istanti, i due falliti spiegarono opposizione alla sentenza
19 dicembre 1981 (supra 1.) e chiesero revocarsi le dichiarazioni di
fallimento assumendo che la SICMU, per essere impresa ad un tempo
industriale e commerciale, doveva essere assoggettata alla procedura di
amministrazione straordinaria alla quale erano comunque soggette anche
le imprese commerciali, e che di tale procedura sussistevano i
presupposti obiettivi. Si costituirono la curatela e le creditrici
Maxnovo Italia s.p.a. e FIM Legno s.n.c. instando per il rigetto della
opposizione, mentre la Micromeccanica Irpinia s.n.c. dichiarò non
opporsi allo stato degli atti alla richiesta di assoggettamento alla
procedura di amministrazione straordinaria avanzata dalla debitrice
società. Alla prima udienza tenutasi il 10 marzo 1982, si costituirono
i creditori Empis s.r.l. e Basfer s.r.l., venne dichiarata la
contumacia dei non comparsi e rinviata la causa alla udienza del 21
aprile 1982 per la precisazione delle conclusioni.
5.1. – Con ricorso depositato il 6 febbraio 1982, Bianca Drago in
Maiocco, socia accomodante della s.a.s. SICMU, chiese che, previa
convocazione in camera di consiglio del legale rappresentante, fosse
disposta la conversione del fallimento della società in procedura di
amministrazione straordinaria. Richiesta cui si associò spiegando
intervento Gianfranco Maiocco soggiungendo che fosse di conseguenza
dichiarato il venir meno dei presupposti del suo fallimento in proprio.
5.2. – Il Tribunale provvide a convocare per l’audizione in camera
di consiglio la Drago, Gianfranco Maiocco che, per essere detenuto,
dichiarava nelle forme di legge di non voler presenziare, il curatore
del fallimento della SICMU e il commissario della s.p.a. Centrofin in
amministrazione straordinaria; intervenne il Pubblico Ministero.
5.3. – Con ordinanza emessa l’8 marzo 1982, notificata il
successivo 29 e comunicata il 22 aprile 1982, pubblicata nella G. U. n.
269 del 29 settembre 1982 e iscritta al n. 339 R.O. 1982, ha giudicato
rilevante e, in riferimento all’art. 24, non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. 30 gennaio
1979, n. 26, conv. in l. 3 aprile 1979, n. 95, nella parte in cui non
prevede che nel giudizio per la conversione del fallimento in
amministrazione straordinaria vengano sentiti dal tribunale in camera
di consiglio i creditori già istanti per la dichiarazione di
fallimento. Ha il Tribunale argomentato che a) mentre il fallimento è
procedura liquidatoria preordinata alla soddisfazione dei creditori in
cui l’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa
rappresenta una mera eventualità, la procedura di amministrazione
straordinaria persegue finalità essenzialmente conservative, b) mentre
nel fallimento l’interesse dei creditori è salvaguardato dalla
spettanza, al comitato dei creditori, del parere vincolante se
contrario all’esercizio provvisorio, e, per il periodo anteriore alla
esecutività dello stato passivo, dalla limitazione della continuazione
ai soli casi in cui “dall’interruzione improvvisa può derivare un
danno grave e irreparabile” (art. 90 l. fall.), nella procedura di
amministrazione straordinaria il comitato di sorveglianza (peraltro sol
in parte necessariamente composto da creditori) è abilitato unicamente
a proporre la revoca della continuazione, che spetta al solo ministro
competente disporre, c) il comma secondo dell’art. 2 d.l. 26/1979,
così come sostituito nella l. 95/1979 di conversione, con prevedere
che la continuazione è disposta “tenendo anche conto dell’interesse
dei creditori”, mostra chiaramente che interessi diversi (come quello
occupazionale o quelli più generali dell’economia nazionale) possono
essere in linea priore considerati anche a costo che la continuazione
dell’impresa, con i debiti per essa contratti, si risolva
nell’assorbimento anche totale dell’attivo e nella conseguente
frustrazione delle aspettative dei creditori concorrenti, d) mentre
l’art. 110 l. fall. fa obbligo al curatore di presentare ogni due anni,
a far tempo dall’approvazione dello stato passivo, un prospetto delle
somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle spese, per
l’amministrazione straordinaria il richiamo all’art. 212 l. fall.,
operato dal quarto comma del menzionato art. 2, riguarda la
distribuzione di acconti come una facoltà, e) anche ad interpretare
l’art. 2 comma quarto nel senso che contempli una deroga soltanto
temporale all’ordine dei crediti stabilito dall’art. 111 l. fall.,
lavoratori dipendenti e imprese artigiane e industriali con non più di
cento dipendenti finiscono con ricevere un trattamento differenziato
rispetto ai lavoratori autonomi e alle imprese commerciali e
industriali con più di cento dipendenti, f) mentre nel fallimento
l’accertamento del passivo, pur nella prima fase di natura sommaria, è
affidato ad un organo giurisdizionale quale il giudice delegato, l’art.
109 l. fall., richiamato dall’art. 1 d.l. 26/1979, demanda al
commissario l’accertamento del passivo senza fissazione di un termine
perentorio e, dunque, con possibilità di sospensione a tempo
indeterminato (donde la questione di legittimità costituzionale
sollevata, in riferimento all’art. 24 Cost., dal Pretore di Bologna con
ordinanza 24 maggio 1980).
Ciò premesso, il Tribunale ha considerato che il creditore istante
per la dichiarazione di fallimento è titolare di una posizione
giuridica subiettiva, che – quale che ne sia la definizione teorica –
è oggetto di tutela nella procedura fallimentare e che, pertanto, la
mancata audizione dei creditori in sede di procedura di conversione del
fallimento, su loro istanza dichiarato, si risolve in lesione del loro
diritto di difesa, che l’art. 24 Cost. garantisce “in ogni stato e
grado del procedimento” (posizione dei creditori che – sempre a
giudizio del Tribunale – non sarebbe tutelata mediante l’audizione del
curatore in camera di consiglio perché da un lato tale audizione non
parrebbe implicare l’assunzione della qualità di parte, dall’altro
lato l’art. 18 l. fall., riconoscendo al creditore istante la qualità
di litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione alla sentenza
dichiarativa di fallimento, indurrebbe a spogliare il curatore della
veste di rappresentante generale dei creditori), a nulla infine
rilevando che l’art. 4, richiamando l’art. 195 l. fall., attribuisca ai
creditori istanti la legittimazione ad opporsi alla pronuncia di
conversione, dappodiché il diritto di difesa vuole dall’art. 24 essere
garantito in ogni stato e grado del giudizio e tale ampiezza tanto più
va assicurata a causa della esecutività della pronuncia pur opposta
che riduce l’effettività dei risultati conseguibili.
In tal guisa motivata la non manifesta infondatezza della proposta
questione, il Tribunale ne ha desunto la rilevanza da ciò che, ove
fosse dichiarato illegittimo l’art. 4 nella parte in cui non prevede
l’audizione dei creditori, non potrebbe pronunciarsi sull’istanza di
conversione senza aver previamente sentito i soggetti che avevano
richiesto la dichiarazione di fallimento della SICMU il cui interesse a
contraddire, lungi dall’essere posto in dubbio dal loro mancato
intervento nella procedura di conversione della quale, allo stato della
legislazione, non viene ai medesimi data notizia non essendo prevista
la loro partecipazione, è invece rivelato dall’atteggiamento da alcuni
di essi assunto e dalle conclusioni prese nel giudizio di opposizione
promosso dalla SICMU e dal Maiocco contro la sentenza dichiarativa di
fallimento.
6.1. – Avanti la Corte si sono costituiti 1) nell’interesse di
Bianca Drago gli avv.ti Angelo Bonsignori, Vincenzo Fanelli, Enzo
Gaito, Gilberto Lozzi, Mario Mustilli e Augusto Treves giusta procura
in calce alla memoria depositata il 12 maggio 1982 nella quale hanno
concluso per la manifesta infondatezza della proposta questione di
costituzionalità argomentando da ciò che a) la conversione è una
fase interna al sistema dei procedimenti concorsuali e, di conseguenza,
i creditori vi sono unitariamente rappresentati dal curatore, b) il
fallimento ha una struttura variabile soltanto nella fase iniziale e
nell’accertamento del passivo, c) la conversione del fallimento in
amministrazione straordinaria, lungi dal recare pregiudizio ai
creditori concorsuali, “serve per effettuare un pagamento,
tendenzialmente al 100%, a seguito del risanamento dell’impresa
insolvente, mentre i nuovi indebitamenti non incidono affatto sui
vecchi creditori, perché per questi v’è la garanzia dello Stato”, e
Il) nell’interesse della curatela del fallimento della s.a.s. SICMU gli
avv.ti Alberto Jorio e Gustavo Romanelli giusta delega in margine alla
memoria depositata il 19 ottobre 1982, nella quale han concluso per
l’accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale
facendo proprie le argomentazioni del Tribunale di Torino.
Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri
mediante atto depositato il 19 ottobre 1982, nel quale l’Avvocatura
generale dello Stato ha concluso per la infondatezza della proposta
questione ravvisando incongruenza della ordinanza di rimessione in ciò
che del pregiudizio, provocato dalla conversione a tutti i creditori,
finirebbe con tenersi conto nei confronti dei soli creditori istanti e,
pertanto, o si ritiene che l’amministrazione straordinaria incida sugli
interessi del ceto creditorio, genericamente considerato, ed allora non
si comprenderebbe – sempre ad avviso della difesa erariale – perché
l’audizione si limiterebbe ai soli creditori che videro accolte le
istanze di dichiarazione di fallimento, o, per conferire specificità
all’interesse (e quindi giustificare la legittimazione) dei creditori
istanti, occorrerebbe configurare un vero e proprio rapporto oppositivo
(di contraddizione-incompatibilità) fra il dichiarato fallimento e
l’ipotizzata sussistenza degli estremi dell’amministrazione
straordinaria, ma ciò – sempre ad avviso dell’Avvocatura generale – è
contrario a realtà perché l’esigenza di convertire nasce da fatti
sopravvenuti (assoggettamento di altra impresa all’amministrazione
straordinaria e rilevazione di un collegamento fra tale impresa e
quella fallita), che si innestano su precedenti senza contraddirli ma
al contrario assumendoli come presupposto.
6.2. – Nella memoria depositata il 18 novembre 1982 la difesa di
Bianca Drago ha, in linea preliminare, eccepito il difetto di rilevanza
della questione in quanto il sospetto d’incostituzionalità,
evidenziato dal giudice a quo, non atterrebbe all’oggetto
dell’accertamento demandato al tribunale stesso con il ricorso per
conversione, nel merito ha osservato che la rapidità del procedimento
camerale giustificherebbe il temporaneo affievolimento del diritto di
difesa dei creditori, che peraltro si riespanderebbe in sede di
conversione, e che la possibilità di emanazione di provvedimenti
adottati inaudita altera parte, con successiva possibilità di
opposizione, è ben nota all’ordinamento processuale civile (artt. 633
ss. c.p.c.) e penale (artt. 506 ss. c.p.p.).
Dal suo canto, la difesa della curatela del fallimento s.a.s. SICMU
ha ribadito l’incidenza negativa sui creditori concorsuali della
procedura straordinaria e l’inidoneità della legittimazione
all’opposizione a ripianare il difetto di contraddittorio nella fase
camerale a motivo della esecutorietà della sentenza di conversione; ha
obiettato all’argomentazione del Presidente del Consiglio, intesa a
negare rilevante contrasto giuridico fra l’accertamento finalizzato
alla conversione e quello già effettuato ai fini della dichiarazione
di fallimento, che nello svolgerla non si terrebbe conto del fatto che
la conversione non è una “vicenda neutra” per i creditori anteriori e
che, d’altra parte, i creditori hanno interesse a far sentire la loro
voce su circostanze “nuove e diverse”, che non vi è alcuna
contraddizione tra la rilevanza dell’interesse dei creditori in quanto
tali e la ipotizzata partecipazione dei soli creditori istanti alla
preventiva audizione perché in tanto ai creditori è riconosciuto un
diritto alla difesa in quanto siansi essi attivati per la dichiarazione
di fallimento; ha replicato alla difesa di Bianca Drago che non sarebbe
corretto riguardare la conversione come una vicenda interna alla
procedura fallimentare perché trattasi non già di gestire interessi
nell’ambito della procedura per la quale la nomina del curatore è
avvenuta, bensì di decidere se sussistano le premesse per il passaggio
ad un’altra procedura impostata su di un diverso assetto d’interessi e
che la conversione non è provvedimento automatico implicando nella
specie l’accertamento del requisito della c.d. direzione unitaria tra
la s.a.s. SICMU e la s.p.a. Centrofin, che è ipotesi da verificare e
sulla quale i creditori potranno apportare un non indifferente
contributo.
7. – Alla pubblica udienza del 1 dicembre 1982, nella quale il
giudice Andrioli ha svolto la relazione, gli avv.ti Alberto Jorio per
la curatela del fallimento della s.a.s. SICMU e Antonino Sansone,
costituitosi mediante procura con firma autenticata il 18 novembre 1982
per not. Vicario di Torino (rep. n. 131747), per la Drago e l’avv.to
dello Stato Dante Corti per l’interveniente Presidente del Consiglio
dei ministri hanno ampiamente illustrato le argomentazioni svolte negli
scritti.
8. – La questione, pur essendo – nei limiti in cui il Tribunale se
l’è prospettata – rilevante, è da giudicare infondata.
Che l’amministrazione straordinaria dell’impresa produca rispetto
ai creditori concorrenti dell’imprenditore già dichiarato fallito
effetti diversi da quelli consecutivi alla dichiarazione di fallimento,
non può disconoscersi, sebbene non poco discors sia la concordia degli
scrittori sugli effetti dell’ammissione alla procedura di
amministrazione straordinaria, e sebbene sulla posizione sistematica di
questa l’ufficio giudiziario, cui è riservato il compito della
nomofilachia, sia stato chiamato soltanto una volta a statuire sulla
relazione corrente tra l’autorità giudiziaria e il ministro competente
a disporre la collocazione in amministrazione straordinaria della
grande impresa in crisi.
Senonché – è stato avvertito dalla accomandante della s.a.s.
SICMU e dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri –
diversi sono gli obietti, da un lato, degli accertamenti, che il
tribunale, chiamato a constatare i presupposti della dichiarazione di
fallimento (qualità d’imprenditore commerciale non piccolo,
inadempimenti o altri fatti esteriori i quali dimostrino che il
debitore più non è in grado di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni) è tenuto ad effettuare, e, dall’altro lato, degli
accertamenti, che il tribunale chiamato a provvedere sulla conversione
del fallimento in amministrazione straordinaria è tenuto ad effettuare
(situazioni descritte nell’art. 3 d.l. 26/1979 alcune attinenti alla
individualità della società od impresa ed altre alla entità e
qualità delle obbligazioni assunte). Inoltre, diversi sono per un
verso i presupposti dell’acquisizione della legittimazione a provocare
la dichiarazione di fallimento e la conversione del fallimento
dichiarato e a resistere a siffatte iniziative nei successivi giudizi
di opposizione all’una e all’altra sentenza dichiarativa e per altro
verso i presupposti della acquisizione della qualità di creditore
concorrente sia nella procedura fallimentare sia nella procedura di
amministrazione straordinaria, ché la veste di creditore concorsuale
non può identificarsi con la qualità di creditore concorrente.
Mentre la diversa oggettività degli accertamenti che il tribunale,
a seconda che sia chiamato ad applicare l’art. 5 l. fall. ovvero l’art.
4 d.l. 26/1979, è chiamato ad effettuare, non ha bisogno di commento
per risultare dalla lettera delle due disposizioni, la diversa
soggettività per un verso di coloro che possono assumere la qualità
di parte nelle due procedure camerali e nei due consecutivi processi di
opposizione e per altro verso dei creditori destinatari degli effetti
delle due sentenze dichiarative una volta rese in camera di consiglio,
emerge dagli artt. 6 l. fall. e 4 d.l. 26/1979 e dalle normative che
nell’una e nell’altra procedura (fallimento e amministrazione
straordinaria) attribuiscono la qualità di creditori concorrenti.
Invero, gli artt. 6 e 4 hanno in comune la iniziativa ufficiosa,
ma, mentre l’art. 6 le affianca la richiesta del debitore, il ricorso
di uno o più creditori e l’istanza del pubblico ministero, l’art. 4 fa
verbo di “qualunque interessato”; correlativamente, mentre l’art. 18 l.
fall. attribuisce al debitore e a qualsiasi interessato la
legittimazione attiva all’opposizione alla sentenza di fallimento e la
legittimazione passiva a resistere alla proposta opposizione al
curatore e al creditore richiedente, l’art. 195 comma quarto l. fall.,
richiamato dall’art. 4, riserva la legittimazione attiva a qualunque
interessato e la legittimazione passiva al solo commissario liquidatore
o straordinario. Orbene la ragione della specifica considerazione dei
creditori nel quadro della iniziativa intesa alla dichiarazione di
fallimento e non anche dell’iniziativa diretta alla conversione del
già dichiarato fallimento in procedura di amministrazione
straordinaria e del creditore che presentò istanza dichiarativa di
fallimento poi accolta, quale passivamente legittimato a resistere alla
opposizione alla sentenza di fallimento, e non anche di quel creditore,
che, emergendo dalla anonima folla degli interessati, presentò la
istanza di conversione, è da ricercare in ciò che né l’art. 4 d.l.
26/1979 né l’art. 195 l. fall. richiamano l’art. 21 comma terzo l.
fall. che pone le spese della procedura e il compenso del curatore,
nell’ipotesi di revoca della sentenza di fallimento, a carico del
creditore istante condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione
di fallimento con colpa.
9. – V’è di più: se è da reputare, come in effetti è,
elementare la distinzione tra creditore concorsuale e creditore
concorrente, è sin troppo palese che la maggiore pericolosità della
procedura di amministrazione straordinaria rispetto al fallimento per
la soddisfazione delle ragioni dei creditori, studiosamente evidenziata
nella ordinanza di rimessione – dato e non concesso che rivesta
carattere di assoluta generalità – coinvolge i creditori concorrenti
(e cioè ammessi al passivo) e non quei creditori concorsuali che, per
assumere l’iniziativa della dichiarazione di fallimento del debitore
ovvero della conversione del fallimento già dichiarato, non sono
illico et immediate ammessi al passivo né quindi indossano le vesti di
creditori concorrenti.
Né a contraria conclusione conduce la rubrica dell’art. 4 perché
il vocabolo “conversione” non vi è utilizzato nel senso, che gli è
proprio negli artt. 607, 1424 e 2701 c.c. e nella dottrina
amministrativistica, di operazione intesa ad utilizzare, in virtù del
principio di conservazione, requisiti che, sufficienti a dar vita ad un
atto, sono inidonei a conferire validità ad altro atto di cui
difettano in concreto gli altri requisiti (il testamento olografo
rispetto al testamento segreto, la scrittura privata rispetto all’atto
pubblico, ecc.); difettano invero, nella relazione tra fallimento e
amministrazione straordinaria, la parziale identità di elementi e,
soprattutto, il minor numero di requisiti nella procedura di
amministrazione straordinaria rispetto al fallimento che consentano di
ravvisare nella prima il contenuto e nel secondo il contenente.
10. – In sintesi, le diverse obiettività e subiettività degli
elementi propri del fallimento e della conversione non consentono di
fonderli in un unico giudizio e di ravvisarvi stati e, in ancor minore
misura, gradi di questo, e pertanto manca la base di razionale
applicabilità dell’art. 24 comma secondo Cost., per il quale “la
difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
La veste di creditori istanti nella procedura dichiarativa di
fallimento non giustifica una sorta di perpetuatio legitimationis nella
fase consiliare della procedura di conversione del già dichiarato
fallimento in amministrazione straordinaria e, pertanto, non
costituisce utile precedente la sent. 141/1970 della Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4 d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, conv. in l. 3 aprile 1979, n.
95 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi), sollevata, in riferimento all’art. 24 Cost.,
nella parte in cui non prevede che nel giudizio per la conversione del
fallimento in amministrazione straordinaria vengano sentiti dal
tribunale in camera di consiglio i creditori già istanti per la
dichiarazione di fallimento, dal Tribunale di Torino con ordinanza 8
marzo 1982 (n. 339 R.O. 1982).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere